IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 887 del 1997
  proposto  da Bisio Luca, Gualco Vincenzo, Barale Pierangelo e Bruno
  Piergianni,  rappresentati e difesi dall'avv. Sebastiano Zuccarello
  e  presso  il  medesimo  elettivamente  domiciliati  in Torino, via
  Magenta n. 36;
    Contro  l'azienda  regionale  U.S.L.  n. 16,  non  costituita  in
  giudizio  e  nei  confronti  della regione Piemonte, in persona del
  presidente  della  giunta  regionale  p.t.,  rappresentata e difesa
  dall'avv.   Giulietta  Magliona  ed  elettivamente  domiciliata  in
  Torino, piazza Castello n. 165, per l'annullamento:
        - previa sospensione - dell'atto prot. n. 4234 del 6 febbraio
  1997,  con  il quale il servizio veterinario dell'azienda regionale
  U.S.L.  16  Mondovi' - Ceva ha dato adempimento all'art. 1, comma 2
  della legge regionale 3 gennaio 1997, n. 4;
        di ogni altro atto precedente, successivo o comunque connesso
  con quello impugnato con il presente ricorso.
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Piemonte;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
  difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Nominato relatore il dott. Italo Caso;
    Uditi   alla  camera  di  consiglio  del  10 maggio  2000  l'avv.
  Zuccarello  per  i  ricorrenti  e  l'avv.  Magliona  per la regione
  Piemonte.
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

                              F a t t o

    Con  atto  prot.  n. 4234  in  data  6 febbraio  1997 il servizio
  veterinario dell'azienda regionale U.S.L. n. 16 di Mondovi' - Ceva,
  in  dichiarato  adempimento  dell'art.  1,  comma  2,  della  legge
  regionale   Piemonte   3 gennaio  1997,  n. 4,  invitava  i  medici
  veterinari  dipendenti a segnalare, nel termine di quindici giorni,
  se  intendessero  esercitare  attivita'  libero-professionale, e in
  caso  positivo quali fossero i "programmi ed i tempi di massima del
  proprio  impegno  al  fine di accertare e valutare le condizioni di
  incompatibilita'".  Avverso  tale atto hanno proposto impugnativa i
  ricorrenti,   tutti   medici   veterinari  in  servizio  presso  la
  suindicata azienda sanita'ria, deducendo:
    I. - Questione di legittimita' costituzionale.
    I  ricorrenti  sollevano questione di legittimita' costituzionale
  degli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge Regione Piemonte 3 gennaio 1997
  n. 4 per i seguenti motivi:
        1)  Contrasto della disposizione contenuta nell'art, 2, comma
  1,  della  legge  regionale  n. 4/1997 con l'art. 120, terzo comma,
  della Costituzione.
    La    normativa    regionale,    nel   disciplinare   l'attivita'
  libero-professionale   dei   veterinari   dipendenti  dal  servizio
  sanitario  nazionale,  ha  posto  il divieto di svolgimento di tale
  attivita'   nell'ambito   territoriale  dell'azienda  sanitaria  di
  appartenenza.  Tuttavia,  trattandosi di limitazione che non appare
  immediatamente  riconducibile  all'esigenza  di evitare la riunione
  nella  medesima  persona  delle  figure  del  "controllore"  e  del
  "controllato",  e quindi all'obiettivo di scongiurare situazioni di
  conflitto   derivanti   dall'esercizio   delle  funzioni  pubbliche
  affidate   ai   veterinari,   il   criterio   territoriale   appare
  ingiustificato,  tenuto conto dell'avviso espresso in proposito dal
  Consiglio  di  Stato  in  sede  consultiva (sez. I, 20 ottobre 1993
  n. 985), circa la necessita' che il sistema delle compatibilita' si
  fondi   sulla   individuazione   in   concreto   delle   situazioni
  pregiudizievoli  per  i  fini  istituzionali del servizio sanitario
  nazionale,  a  prescindere  da  un  generico riferimento all'ambito
  territoriale.  Pertanto  il  divieto  imposto dalla legge regionale
  risulta  arbitrario e si pone in netto contrasto con il precetto di
  cui all'art. 120, comma 3, della Costituzione, a norma del quale la
  regione  non puo' porre limiti di carattere territoriale al diritto
  dei  cittadini  di  esercitare  la  loro  attivita' professionale o
  impiego.
        2)  Contrasto  degli  artt.  1  (commi 2 e 3), 2, 3 e 4 della
  legge regionale n. 4/1997 con gli artt. 4, primo comma, e 35, primo
  comma, della Costituzione.
    Il  sistema  di divieti, controlli e condizioni predisposto dalla
  legge   regionale,   n. 4/1997   esclude  in  concreto  l'effettiva
  possibilita'  di  esercizio  della  libera professione da parte dei
  medici  veterinari  dipendenti  dal  servizio  sanitario nazionale,
  cosi'   violando   le  norme  di  cui  agli  artt.  4  e  35  della
  Costituzione,  che  tutelano  il  diritto al lavoro nelle sue varie
  modalita'   concrete  di  esplicazione.  Ne'  i  limiti  introdotti
  appaiono   giustificati   dall'esigenza   di   evitare   pregiudizi
  all'interesse  pubblico.  Si  consideri, infatti, che il divieto di
  essere  titolare  di  struttura  ambulatoriale privata e di esservi
  legato   da   rapporto   di   lavoro   subordinato,   relativamente
  all'attivita'  sugli animali d'affezione (v. art. 2), si traduce in
  un  divieto  assoluto  di  svolgimento di tale attivita', attesa la
  necessita'  che  la  stessa  si svolga presso un ambulatorio; senza
  che,  poi, emergano ragioni idonee a giustificare tale preclusione,
  posto  che  i  servizi  assicurati  dai  veterinari  delle  aziende
  sanitarie  sono  diretti alla cura e alla profilassi delle malattie
  relative  agli "animali da reddito", sicche' alcun pregiudizio puo'
  ipotizzarsi  per  il servizio sanitario nazionale dallo svolgimento
  di   un'attivita'   professionale   che   riguardi   gli   "animali
  d'affezione".  Peraltro  anche  gli  artt.  3  e  4 della normativa
  regionale,  disciplinando la libera professione per gli "animali da
  reddito"   e   per   il  "cavallo  sportivo",  hanno  l'effetto  di
  sacrificare    ingiustificatamente    il   diritto   costituzionale
  all'esercizio dell'attivita' libero-professionale, ove si consideri
  che  la  stessa e' consentita solo se si verifica una "permanente o
  temporanea carenza di veterinari libero-professioni" (art. 3, comma
  1),  e  quindi  e'  subordinata  a  circostanze  che  non attengono
  all'esigenza  di  evitare  gravi  pregiudizi  aI servizio sanitario
  pubblico,  quanto  piuttosto  a situazioni che appaiono finalizzate
  soprattutto    alla   tutela   degli   interessi   dei   veterinari
  libero-professionisti.
        3) Contrasto delle disposizioni contenute negli artt. 1, 2, 3
  e  4  della  legge  regionale  n. 4/1997  con  l'art. 4 della legge
  n. 412/1991,  con  l'art.  47,  n. 4, della legge n. 833/1978 e con
  l'art.  36  del d.P.R. n. 761/1979. Violazione dell'art. 117, primo
  comma, della Costituzione.
    La  normativa  regionale  e'  in  contrasto  con  le disposizioni
  statali  in  materia,  ed  in  particolare con l'art. 4 della legge
  n. 412/1991,  con  l'art.  47,  n. 4, della legge n. 833/1978 e con
  l'art.  36  del  d.P.R.  n. 761/1979.  Detta  disciplina  affida al
  legislatore  regionale l'adozione di norme attuative, presupponendo
  che  non  venga  escluso  in  concreto  l'esercizio  dell'attivita'
  libero-professionale,  ma regolamentata la stessa in funzione della
  salvaguardia  degli  interessi pubblici. Ne consegue che, avendo la
  legge   regionale   piemontese   introdotto   limitazioni  tali  da
  precluderne in concreto lo svolgimento, non sono stati rispettati i
  limiti  fissati  dai  principi  fondamentali ricavabili dalle leggi
  statali,  e quindi si ravvisa l'ulteriore contrasto con l'art. 117,
  comma 1, della Costituzione.
        4)  Contrasto  degli  artt. 1, 2, 3 e 4 della legge regionale
  n. 4/1997  con  l'art. 3, primo e secondo comma della Costituzione.
  Disparita' di trattamento.
    La  normativa  regionale viola anche l'art. 3 della Costituzione.
  Infatti,  l'introduzione  di  limitazioni sostanziali all'esercizio
  dell'attivita' professionale dei veterinari dipendenti dal servizio
  sanitario   nazionale   nell'ambito   della   Regione  Piemonte  ha
  determinato  una  evidente  disparita'  di  trattamento  tra medici
  pubblici  e  medici  veterinari  pubblici,  nonche'  tra veterinari
  pubblici   e   veterinari   liberi  professionisti,  e  ancora  fra
  veterinari  in  servizio  presso  le aziende sanitarie piemontesi e
  quelli di altre regioni. La violazione del principio di uguaglianza
  emerge  dalla  considerazione  dell'inutilita' ed arbitrarieta' dei
  divieti  contenuti nella legge regionale, i quali non sono idonei a
  salvaguardare  l'interesse  pubblico,  favorendo  esclusivamente  i
  veterinari  liberi professionisti, rispetto ai quali i colleghi del
  servizio  sanitario  nazionale,  in  modo  del tutto immotivato, si
  trovano in posizione deteriore.
    II.   -   Merito.   Violazione   di  legge.  Eccesso  di  potere;
  illegittimita' derivata.
    Gli  indicati profili di illegittimita' costituzionale viziano in
  via  derivata  l'atto  impugnato.  La  violazione delle norme e dei
  principi   costituzionali   comporta   altresi'  l'invalidita'  del
  provvedimento   per   eccesso   di   potere,   sotto   il   profilo
  dell'ingiustizia  manifesta  e  della  disparita'  di  trattamento.
  Inoltre l'applicazione di una legge che favorisce in modo del tutto
  ingiustificato i veterinari liberi professionisti potrebbe altresi'
  determinare  il  vizio  di  eccesso  di  potere per sviamento della
  causa.
    I  ricorrenti  concludono  dunque  per  l'annullamento  dell'atto
  impugnato,  previa rimessione degli atti alla Corte costituzionale,
  che  invocano venga disposta gia' nella camera di consiglio fissata
  per l'esame dell'istanza cautelare.
    Si  e'  costituita in giudizio la Regione Piemonte, resistendo al
  gravame.  Con  memoria  del  13  maggio 1997 e' stata innanzi tutto
  eccepita l'inammissibilita' del ricorso, in quanto proposto avverso
  atto  recante un mero invito a comunicare dati, e quindi inidoneo a
  ledere un interesse concreto e attuale, potendo la lesione derivare
  solo  da  un  successivo  provvedimento  avente immediato contenuto
  precettivo;    si    tratta    quindi    di    atto    preparatorio
  endoprocedimentale,  non  autonomamente  impugnabile.  Quanto  alla
  dedotta  incostituzionalita'  della  normativa  regionale, se ne e'
  rilevata  l'infondatezza, atteso che il legislatore regionale si e'
  limitato  a  stabilire  le  modalita'  di  esercizio  della  libera
  professione  da  parte  dei  veterinari pubblici, in conformita' ai
  principi  stabiliti  dalla  normativa  statale,  e  soprattutto  in
  ossequio all'esigenza di evitare conflitti di interessi legati alle
  molteplici  funzioni affidate al personale veterinario del servizio
  sanitario nazionale, nell'ambito di un'attivita' rivolta a tutelare
  -  attraverso  le  profilassi  pianificate  e  il  controllo  degli
  alimenti  di  origine  animale  -  la  salute  umana  e  l'economia
  dell'intero comparto agro-zootecnico.
    Con  ordinanza  n. 517  in  data 16 giugno 1997 questa sezione ha
  dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di
  legittimita'  costituzionale degli artt. 1, secondo comma, 2, 3 e 4
  della  legge  regionale  Piemonte  3  gennaio  1997,  n. 4, e ne ha
  deferito il sindacato alla Corte costituzionale; contestualmente ha
  sospeso   l'efficacia  dell'atto  impugnato  fino  alla  camera  di
  consiglio  immediatamente  successiva alla comunicazione dell'esito
  del  giudizio  di  costituzionalita', in vista dell'ulteriore corso
  del processo cautelare.
    Con  ordinanza  n. 231,  depositata  in  cancelleria il 19 giugno
  1998,  la  Corte  costituzionale  ha disposto la restituzione degli
  atti  a questo, tribunale, invitandolo ad effettuare un nuovo esame
  della  rilevanza  della  questione  di  costituzionalita' alla luce
  delle norme sopravvenute in materia.
    Con memoria del 14 luglio 1998 i ricorrenti hanno insistito sulla
  perdurante sussistenza dei presupposti per la rimessione degli atti
  alla  Corte costituzionale, tenuto anche conto - relativamente allo
  ius  superveniens  (art.  124, comma 1, lett, a del d.lgs. 31 marzo
  1998,  n. 112)  -  del  difetto di potere legislativo della regione
  Piemonte nella materia oggetto della presente controversia.
    Con  ordinanza  n. 536  in  data 25 luglio 1998 questa sezione ha
  nuovamente  deferito  la  questione  alla Corte costituzionale, con
  contestuale sospensione dell'efficacia dell'atto impugnato.
    Successivamente,  in  relazione ad un mutato quadro normativo, la
  Corte  costituzionale  ha ancora una volta disposto la restituzione
  degli  atti  al  giudice  a  quo,  al  fine  di vedere accertata la
  perdurante rilevanza della questione (v. ord. n. 84/2000).
    Con  memorie in data 8 maggio 2000 le parti hanno insistito sulle
  rispettive posizioni.
    Alla  camera  di  consiglio  del  10  maggio  2000,  ascoltati  i
  rappresentanti   delle  parti,  il  collegio  si  e'  riservata  la
  decisione sull'istanza cautelare dei ricorrenti.

                            D i r i t t o

    In  servizio  presso l'azienda regionale U.S.L. n. 16 in qualita'
  di  medici  veterinari,  i  ricorrenti  impugnano  la  nota con cui
  l'amministrazione,  fissato  un  termine  di  quindici  giorni  per
  pronunciarsi,  li ha invitati a comunicare le loro intenzioni circa
  l'esercizio  dell'attivita' libero-professionale, ed in particolare
  circa  i  "programmi  ed  i tempi di massima del proprio impegno al
  fine  di  accertare  e valutare le condizioni di incompatibilita'".
  Assumono  l'illegittimita'  costituzionale  della  legge  regionale
  Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4, in applicazione della quale e' stata
  formulata    la   richiesta   dell'amministrazione,   giacche'   la
  sopraggiunta  disciplina  regionale avrebbe introdotto tali e tante
  limitazioni  all'attivita' professionale dei veterinari titolari di
  rapporto   di   pubblico   impiego   da   precluderne  in  concreto
  l'esercizio,  in  violazione  degli artt. 3, 4, 35, 117 e 120 della
  Costituzione.
    Nell'attuale   regime  giuridico  ogni  preclusione  alla  libera
  professione  del personale veterinario dipendente pubblico dovrebbe
  trovare    giustificazione   in   concrete   esigenze   di   tutela
  dell'interesse  alla  massima  funzionalita' operativa del servizio
  sanitario  nazionale,  sicche' ogni ulteriore limite determinerebbe
  una  indebita  compressione  del  diritto  al  lavoro e del diritto
  all'uguaglianza  di  trattamento  rispetto  al  restante  personale
  medico  e al personale veterinario di altre regioni, nonche' ancora
  una  non  consentita  riduzione  dell'ambito  territoriale  in  cui
  svolgere  l'attivita' professionale (atteso il divieto in tal senso
  posto  al  legislatore  regionale) e, comunque, l'esorbitanza della
  disciplina   regionale   dai  limiti  fissati  dalla  normativa  di
  principio.
    Eccepisce  la  regione  Piemonte  l'inammissibilita' del ricorso,
  giacche'  proposto  avverso atto endoprocedimentale, e quindi privo
  di   carattere   immediatamente   lesivo.   Quanto   alla  presunta
  incostituzionalita'  della  disciplina regionale, se ne contesta la
  sussistenza,  poiche'  le  introdotte limitazioni al lo svolgimento
  della   libera  professione  da  parte  del  personale  veterinario
  troverebbero  tutte  fondamento  nella  necessita'  di  scongiurare
  l'insorgenza  di  conflitti  di  interessi  legati  al  contestuale
  esercizio di funzioni istituzionali e di attivita' professionale.
    Va  preliminarmente  respinta l'eccezione di inammissibilita' del
  gravame.  In effetti l'atto impugnato, facendo carico ai ricorrenti
  di  un  adempimento  che  trae  origine  direttamente  dalla  legge
  regionale   n. 4   del  1997  (ovvero  l'obbligatoria  segnalazione
  all'amministrazione  del  tipo  di  attivita'  professionale che si
  intende  svolgere),  rende  attuali  i vincoli di legge alla libera
  professione  dei  veterinari,  quali  si  desumono  dalla  medesima
  disciplina  regionale.  Sussiste  quindi  l'interesse  attuale  dei
  destinatari  di quella nota di veder rimossa la causa di un obbligo
  di  condotta  che  rileva  immediatamente  nel rapporto di impiego,
  sotto il duplice profilo del dovere di comunicazione dell'attivita'
  professionale  da esercitare e del connesso divieto di svolgerla al
  di la' dei limiti fissati dalla legge regionale.
    Nel merito, occorre innanzi tutto definire il quadro normativo in
  cui si inserisce la questione dedotta.
    Nell'ambito della disciplina di riforma sanitaria l'art. 47 della
  legge  n. 833 del 1978 recava la delega al Governo per l'emanazione
  di  norme  idonee  a  "garantire  con  criteri  uniformi il diritto
  all'esercizio  della  libera attivita' professionale per i medici e
  veterinari  dipendenti  delle  unita' sanitarie locali... Con legge
  regionale sono stabiliti le modalita' e i limiti per l'esercizio di
  tale  attivita'"  (comma  3,  n. 4). Successivamente, in attuazione
  della  delega conferita, si stabiliva che il "personale veterinario
  ha  la  facolta'  di  esercitare  l'attivita' libero-professionale,
  fuori  dei  servizi e delle strutture dell'unita' sanitaria locale,
  purche'  tale  attivita'  non  sia  prestata con rapporto di lavoro
  subordinato,  non  sia  in  contrasto  con  gli interessi ed i fini
  istituzionali    dell'unita'    sanitaria    locale   stessa,   ne'
  incompatibile  con  gli orari di lavoro, secondo modalita' e limiti
  previsti  dalla  legge  regionale"  (art.  36,  comma 1, del d.P.R.
  n. 761  del  1979).  Indi l'art. 4, comma 7, della legge n. 412 del
  1991,  sancito  il  principio  per  cui  "con il servizio sanitario
  nazionale  puo'  intercorrere  un  unico  rapporto  di  lavoro", ha
  disposto  che  "l'esercizio dell'attivita' libero-professionale dei
  medici  dipendenti  del servizio sanitario nazionale e' compatibile
  col  rapporto  unico d'impiego, purche' espletato fuori dell'orario
  di lavoro all'interno delle strutture sanitarie o all'esterno delle
  stesse,  con  esclusione  di strutture private convenzionate con il
  servizio  sanitario  nazionale".  Da  ultimo la regione Piemonte ha
  inteso    provvedere    alla    "regolamentazione    dell'esercizio
  dell'attivita'    libero-professionale    dei   medici   veterinari
  dipendenti  dal  servizio  sanitario  nazionale" (legge regionale 3
  gennaio  1997, n. 4), ribadendone in via di principio il diritto di
  esplicare tale attivita' "al di fuori delle strutture pubbliche, al
  di  fuori  dell'orario di servizio, al di fuori del plus orario, al
  di   fuori   del  lavoro  straordinario"  (art.  1,  comma  1),  ma
  subordinatamente  all'adempimento  dell'obbligo  di  "segnalare  al
  direttore   generale  dell'azienda  sanitaria  regionale  (ASR)  di
  appartenenza  programmi  e  tempi  di  massima  del proprio impegno
  perche'  l'ente  possa accertare e valutare l'assenza di condizioni
  di  incompatibilita'"  (art.  1,  comma  2);  incompatibilita' che,
  relativamente  agli  "animali  d'affezione", riguardano l'attivita'
  professionale  esercitata  nel  territorio di pertinenza della "ASR
  presso la quale il medico veterinario svolge il proprio servizio di
  pubblico  dipendente" (art. 2, comma 1), con contestuale divieto di
  essere "titolare di struttura ambulatoriale privata" (art. 2, comma
  2),  e  che, relativamente agli "animali da reddito", comportano il
  generale divieto di svolgimento dell'attivita' professionale, salvo
  che  non  "si  verifichi  una  permanente  o  temporanea carenza di
  veterinari libero-professionisti" (art. 3, comma 1), e comunque nel
  rispetto  di  determinati programmi operativi e subordinatamente ad
  una verifica di competenza del servizio veterinario regionale (art.
  3, commi 2 e 3).
    La  normativa  statale  richiamata  si iscrive in quell'indirizzo
  costantemente  favorevole  all'esercizio di attivita' professionali
  al di fuori dell'ordinario rapporto di lavoro, che - in deroga alla
  disciplina    generale    del   rapporto   di   pubblico   impiego,
  caratterizzata  dal  principio di esclusivita' - e' stato da sempre
  l'elemento   peculiare  dello  status  del  medico  dipendente  dal
  servizio  sanitario  pubblico.  Alla  base  vi  e'  la  convinzione
  dell'influenza  positiva  che  al pubblico dipendente puo' derivare
  dalla  pratica professionale, posto che l'espletamento di attivita'
  esterne ed aggiuntive valgono a potenziarne le capacita' operative,
  si'   da   giustificare   il  regime  differenziato  riservato  dal
  legislatore  a  talune  categorie di personale abilitato a svolgere
  anche  la  libera  professione  (v.  Corte  cost.  23 dicembre 1986
  n. 284,  relativamente  al  personale docente della scuola); per il
  personale  medico,  in  particolare, trattandosi di valorizzarne la
  professionalita', si persegue al contempo un interesse della stessa
  struttura    sanitaria    pubblica.    L'esercizio   dell'attivita'
  professionale non puo' pero' incidere negativamente sull'osservanza
  del  complesso  dei  doveri  facenti  capo  al pubblico dipendente,
  ovvero  non  puo'  trasformarsi  in  un  fattore di pregiudizio del
  corretto  assolvimento dei compiti d'ufficio. In tal senso assumono
  rilievo   i   limiti  posti  dall'esaminata  normativa,  ovvero  il
  riferimento  al  possibile  contrasto  con  gli  interessi e i fini
  istituzionali   dell'amministrazione   sanitaria.      Cio'  posto,
  deducono  i  ricorrenti  che  l'intervenuta disciplina regionale si
  caratterizza  per  una  indebita  restrizione delle possibilita' di
  esercizio   dell'attivita'   libero-professionale   da   parte  dei
  veterinari  addetti  al  servizio sanitario nazionale, in contrasto
  con varie norme costituzionali.
    La questione e' rilevante e non manifestamente infondata.
    La   rilevanza  ai  fini  del  presente  giudizio  consegue  alla
  circostanza  che  il  provvedimento  impugnato e' stato adottato in
  diretta   applicazione  della  normativa  regionale  sospettata  di
  incostituzionalita',    e    in    riferimento   alla   complessiva
  regolamentazione     dalla     stessa     impressa    all'attivita'
  libero-professionale  dei  veterinari  dipendenti pubblici, sicche'
  l'eventuale  espunzione  dall'ordinamento  della predetta normativa
  comporterebbe l'accoglimento del ricorso e la caducazione dell'atto
  lesivo.
    Quanto  alla  non manifesta infondatezza della questione dedotta,
  rileva  il  collegio,  in  linea  con  l'orientamento  espresso dal
  consiglio  di  Stato in sede consultiva (v. sez. I, 20 ottobre 1993
  n. 985/93),      che     la     regolamentazione     dell'attivita'
  libero-professionale   dei   veterinari   dipendenti  del  servizio
  sanitario   nazionale   implica   l'individuazione  di  "specifiche
  situazioni  idonee  a determinare un grave e comprovato pregiudizio
  al  servizio sanitario pubblico, vietando ai medici veterinari quei
  comportamenti  idonei  a  realizzarli". Non operando nel settore il
  principio  generale  secondo  cui e' interdetta qualsiasi attivita'
  professionale estranea al rapporto di lavoro (giacche' suscettibile
  di  dar  luogo  ad  interessi  conflittuali  con quelli inerenti la
  posizione  di  pubblico  dipendente),  ogni  deroga alla regola che
  consente  la  libera  professione medica deve trovare fondamento in
  ragioni  direttamente  connesse alla primaria esigenza di garantire
  un  efficiente servizio assistenziale pubblico, ovvero deve tendere
  ad  evitare  che  sia negativamente condizionato l'assolvimento dei
  doveri   d'ufficio,   senza  tuttavia  porre  limiti  ulteriori,  e
  soprattutto  senza  tradursi  in  un sostanziale annullamento delle
  effettive  possibilita'  di esercizio di tali attivita' aggiuntive,
  attraverso  l'adozione  di  misure  che  in concreto vanifichino il
  diritto  astrattamente riconosciuto. In quanto voluto espressamente
  dall'ordinamento come uno dei contenuti del rapporto di impiego del
  personale medico, il diritto all'esercizio della libera professione
  e'  riconducibile  al diritto al lavoro costituzionalmente protetto
  (artt.  4  e 35 Cost.), sicche' ogni limitazione a tale facolta' si
  giustifica  solo per la tutela di valori costituzionali concorrenti
  (v. Corte cost. 2 giugno 1977 n. 103 e 23 dicembre 1993 n. 457).
    Ne   consegue   che   l'impossibilita'   di   svolgere  attivita'
  professionale   per  gli  "animali  d'affezione"  nel  territori  o
  dell'azienda  sanitaria  di  pertinenza, con contestuale divieto di
  essere  titolare  di  struttura ambulatoriale privata (art. 2 della
  legge  regionale Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4), determina un grave
  affievolimento  delle  facolta' professionali del veterinario senza
  raccordarsi  funzionalmente  a  specifiche esigenze della struttura
  sanitaria pubblica. La titolarita' di funzioni inerenti al servizio
  sanitario   nazionale   non  puo  evidentemente  dar  luogo  ad  un
  generalizzato  divieto  di  esercizio di attivita' private, benche'
  limitato  ad un determinato ambito territoriale, in quanto si viene
  in  tal  modo  a  contraddire  il principio che ammette alla libera
  professione   il  veterinario  dipendente  pubblico.  Va  piuttosto
  ribadito  che  i vincoli devono essere dimensionati in relazione al
  tipo  di  attivita'  svolte nell'ambito della struttura pubblica, e
  non  anche  in riferimento al luogo in cui opera il veterinario. Il
  criterio  territoriale non soddisfa di per se' le esigenze che sono
  alla   base   della   necessita'   di   disciplina   dell'attivita'
  professionale  del  personale medico, giacche' ne vanifica di fatto
  il   diritto   senza   razionalmente  ricondursi  all'obiettivo  di
  assicurare   l'ottimale   funzionalita'   del   servizio  sanitario
  pubblico.    Nell'attuale    ordinamento    prevale   il   criterio
  sostanzialistico della potenziale situazione di conflitto, e quindi
  occorre  procedere alla individuazione in concreto delle situazioni
  pregiudizievoli  per  i  fini  istituzionali del servizio sanitario
  nazionale,   che   va   considerato  nella  sua  globalita'  e  non
  nell'ambito  delle  singole  strutture in cui si articola (v. Cons.
  Stato,  sez.  I,  n. 985/93 cit.). Ne' e' decisivo il richiamo alle
  varie  competenze in materia di controllo e vigilanza, facenti capo
  ai  servizi  veterinari delle aziende sanitarie, che indurrebbero i
  medici  veterinari ad essere controllori di stessi, posto che - una
  volta ammesso l'esercizio della libera professione - non se ne puo'
  poi  escludere  in  toto  l'ammissibilita',  ma  occorre  piuttosto
  individuare  le misure utili ad evitare la sovrapposizione di ruoli
  nella medesima persona, tenendo conto delle mansioni effettivamente
  assolte  e  dei  settori  operativi cui si e' assegnati, ed in tale
  ottica  trarne  le conseguenze in ordine alle modalita' e ai limiti
  di esercizio dell'attivita' professionale.     Allo stesso modo, il
  generale  divieto  di  svolgere  attivita'  professionale  per  gli
  "animali  da  reddito",  (salvo  il  caso  di carenza di veterinari
  libero-professionisti;   art.  3  della  legge  regionale  n. 4/97)
  implica  la  soppressione  di  ogni possibilita' di esercizio della
  libera professione, e quindi sovverte quel principio che si e' piu'
  volte  indicato come canone informatore del rapporto di impiego del
  personale  medico. Anziche' individuare le ipotesi di conflitto con
  le  competenze  dei  veterinari quali dipendenti pubblici, la norma
  preclude in toto l'ammissibilita' della libera professione. Difetta
  quindi  ogni  ponderato  collegamento  con le esigenze del servizio
  sanitario pubblico.
    In  conclusione, la questione appare non manifestamente infondata
  in  relazione  agli  artt.  4  e 35 della Costituzione, giacche' la
  normativa  regionale piemontese (ed in particolare gli artt. 2 e 3,
  nonche'  l'art.  4,  che  estende  la  predetta  disciplina al c.d.
  "cavallo  sportivo", nonche' per connessione l'art. 1, comma 2, che
  fa   obbligo  ai  veterinari  di  segnalare  alla  propria  azienda
  sanitaria,     per     le     dovute     verifiche,     l'attivita'
  libero-professionale     che     intendono     svolgere)    risulta
  ingiustificatamente   preclusiva  delle  concrete  possibilita'  di
  esercizio   della   libera  professione  da  parte  dei  veterinari
  dipendenti   pubblici,  e  quindi  lesiva  del  diritto  al  lavoro
  costituzionalmente protetto.
    Per  quanto  concerne poi l'asserito contrasto con l'art. 3 della
  Costituzione, nega il collegio che possa ipotizzarsi una disparita'
  di  trattamento con i medici dipendenti pubblici da una parte e con
  i  veterinari  libero- professionisti dall'altra, attesa l'evidente
  diversita' delle situazioni poste a raffronto; quanto, invece, alla
  ipotizzata  disparita'  di trattamento con il personale veterinario
  di altre regioni, e' da escludersi che altre normative regionali (o
  anche  l'assenza delle stesse) possano essere assunte a riferimento
  per desumerne un'eventuale violazione del principio di uguaglianza.
  Per   contro,   si  deve  dichiarare  d'ufficio  la  non  manifesta
  infondatezza  della questione, in relazione all'art. 3 Cost., sotto
  il  profilo  della  irragionevolezza di una normativa regionale che
  prima    ammette    i   veterinari   all'esercizio   dell'attivita'
  libero-professionale  (v.  art.  1,  comma  1)  e  poi ne restringe
  contraddittoriamente  le  possibilita'  di esplicazione del diritto
  fino a vanificarlo.
    L'assenza  di  una  ratio giustificativa legata alla tutela della
  funzionalita'  operativa  del  servizio sanitario pubblico induce a
  ritenere   non  manifestamente  infondata  anche  la  questione  di
  costituzionalita'  dell'art.  2  della legge regionale in esame, in
  riferimento  all'art. 120, comma 3, della Costituzione, giacche' il
  divieto  di  esercizio dell'attivita' professionale per gli animali
  d'affezione  nell'ambito  del  territorio dell'azienda sanitaria di
  appartenenza,  privo  come  e'  di  fondamento  in  norme  di rango
  costituzionale,  viene  a  determinare un indebito limite di spazio
  allo svolgimento della libera professione.
    Vanno  infine ritenuti sussistenti i presupposti per investire la
  Corte  costituzionale della cognizione della normativa regionale in
  riferimento all'art. 117 Cost., atteso che l'intervenuta disciplina
  dell'attivita'   libero-professionale   dei  veterinari  dipendenti
  pubblici  appare  discostarsi dai principi fondamentali in materia,
  quali  si desumono dalla normativa statale esaminata, che - come si
  e'  visto  -  ha  inteso consentire in linea di massima l'esercizio
  della  libera  professione,  salvo  regolamentarne  le modalita' di
  esplicazione in relazione all'obiettivo di impedire l'insorgenza di
  situazioni  di  pregiudizio  al servizio sanitario pubblico. L'aver
  gravemente  compromesso  il diritto allo svolgimento dell'attivita'
  professionale,  senza  alcun  ragionevole  raccordo con le esigenze
  della  struttura  pubblica,  integra  quindi  l'inosservanza  degli
  indirizzi   fissati   dal   legislatore  statale,  con  conseguente
  violazione dell'art. 117 Cost.
    Ne'  elementi  significativi  di  novita'  rispetto all'esaminata
  questione  sono  stati  in  un primo tempo desunti dal tribunale in
  relazione  alle  norme  sopravvenute  in materia, quali individuate
  dalla  Corte  costituzionale  con l'ordinanza n. 231 (depositata in
  cancelleria il 19 giugno 1998) - recante l'invito ad un nuovo esame
  della  rilevanza  della questione di costituzionalita' nel presente
  giudizio.
    L'art.  1  del  decreto-legge  n. 175  del 1997 (convertito dalla
  legge n. 272 del 1997) aveva riconosciuto al Ministro della sanita'
  la   competenza   a  definire  le  "caratteristiche  dell'attivita'
  libero-professionale  intramuraria  del  personale  medico  e delle
  altre  professionalita'  della  dirigenza  sanitaria  del  servizio
  sanitario  nazionale,  le  categorie  professionali  e  gli  enti o
  soggetti  ai  quali  si  applicano  le  disposizioni sull'attivita'
  intramuraria"  nonche'  a  disciplinare  "l'opzione  tra  attivita'
  libero-professionale intramuraria ed extramuraria, le modalita' del
  controllo del rispetto delle disposizioni sull'incompatibilita', le
  attivita'   di   consulenza   e  consulto";  successivamente  erano
  intervenuti  due  decreti  ministeriali, entrambi in data 31 luglio
  1997,   recante   l'uno   "le   linee  guida  dell'  organizzazione
  dell'attivita'  libero-professionale  intramuraria  della dirigenza
  sanitaria del servizio sanitario nazionale" e l'altro la disciplina
  in  materia  di  "attivita' libero professionale e incompatibilita'
  del  personale  della  dirigenza sanitaria del S.S.N." (l'art. 7 di
  quest'ultimo  aveva  fatto salva la regolamentazione introdotta con
  il  decreto  ministeriale in data 11 giugno 1997, avente ad oggetto
  la   "fissazione   dei  termini  per  l'attivazione  dell'attivita'
  libero-professionale  intramuraria".  Ebbene,  da tali norme non si
  evinceva  un  regime  di  incompatibilita'  che  si sovrapponesse o
  sostituisse  a  quello  fissato  con la legge regionale piemontese,
  atteso che - come prescritto dall'art. 1 del decreto-legge n. 175 -
  oggetto  della  nuova  disciplina  era  esclusivamente  l'attivita'
  libero-professionale  intramuraria  (ed  in tal senso doveva essere
  conseguentemente  inteso  ogni  vincolo all'attivita' professionale
  ivi  stabilito),  mentre  di quella extramuraria si teneva conto ai
  soli  fini della definizione delle modalita' di opzione tra l'una e
  l'altra  e  di  controllo  dell'osservanza delle disposizioni sulle
  incompatibilita'.   Non  si  ravvisava  dunque  alcuna  innovazione
  normativa suscettibile di incidere direttamente sulla posizione dei
  ricorrenti,  ancora  soggetta  -  quanto  ai limiti di esplicazione
  dell'attivita'   professionale   esterna  -  alla  legge  regionale
  sospettata di incostituzionalita'.
    Per  quel  che  concerne, poi, l'art. 124, comma 1, del d.lgs. 31
  marzo   1998,   n. 112   "Conferimento   di   funzioni   e  compiti
  amministrativi  dello  Stato  alle  regioni ed agli enti locali, in
  attuazione  del  capo  I della legge 15 marzo 1997, n. 59", a norma
  del   quale  "sono  conservate  allo  Stato  le  seguenti  funzioni
  amministrative:     a)     la     disciplina     delle    attivita'
  libero-professionali  e  delle  relative incompatibilita', ai sensi
  dell'art.  4,  comma  7,  della  legge  30 dicembre 1991, n. 412, e
  dell'art.  1,  comma  14,  della  legge  23 dicembre 1996, n. 662";
  rilevava  il  tribunale  come la disposizione non facesse altro che
  confermare una preesistente competenza statale, rispetto alla quale
  la  competenza regionale in materia conservava un ruolo secondario,
  ovvero  attuativo  di principi e norme stabiliti a livello statale.
  In   questo   quadro,   quindi,  la  disciplina  regionale  restava
  sottordinata   ai   criteri   desumibili  da  quella  nazionale,  e
  permanevano  di  conseguenza  le  perplessita' espresse a proposito
  della conformita' della normativa denunciata agli indirizzi fissati
  dal legislatore statale.
    La  Corte  costituzionale  ha  poi richiesto un ulteriore riesame
  della  questione alla luce della normativa introdotta dal d.lgs. 19
  giugno  1999,  n. 229,  recante "norme per la razionalizzazione del
  servizio  sanitario  nazionale,  a norma dell'art. 1 della legge 30
  novembre 1998, n. 419" (v. ord. n. 84/2000).
    Senonche',  pur  essendosi in tal modo provveduto ad una organica
  disciplina  del  rapporto  di lavoro; "esclusivo", e di quello "non
  esclusivo" dei dirigenti sanitari (v. art. 15 del d.lgs. n. 502 del
  1992,  cosi'  come  modificato  dall'art.  13 del d.lgs. n. 229 del
  1999),  non  risulta  sostanzialmente mutato il quadro normativo di
  riferimento  circa  i contenuti dell'attivita' libero-professionale
  extramuraria  (dispone l'art. 15-sexies: "Il rapporto di lavoro dei
  dirigenti  sanitari  in  servizio  al  31 dicembre 1998 i quali, ai
  sensi  dell'art. 1, comma 10, della legge 23 dicembre 1996, n. 662,
  abbiano  comunicato al direttore generale l'opzione per l'esercizio
  della  libera professione extramuraria e che non intendano revocare
  detta   opzione,  comporta  la  totale  disponibilita'  nell'ambito
  dell'impegno  di  servizio,  per  la  realizzazione  dei  risultati
  programmati  e  lo  svolgimento  delle  attivita'  professionali di
  competenza.  Le  aziende stabiliscono i volumi e le tipologie delle
  attivita'  e  delle prestazioni che i singoli dirigenti sono tenuti
  ad  assicurare,  nonche'  le sedi operative in cui le stesse devono
  essere  effettuate". Non vi e' insomma ragione per ritenere che sia
  automaticamente  venuta  meno  la  previgente disciplina regionale,
  perche' - in assenza di incompatibilita' diretta e immediata con la
  sopraggiunta  legge  statale,  che  non  detta nuove indicazioni in
  merito - quella piemontese continua a regolare la materia in ambito
  regionale,   definendo   i   limiti   di  esercizio  dell'attivita'
  libero-professionale  esterna  nelle  ipotesi  di  non  intervenuta
  opzione  per  il  rapporto  di  lavoro  "esclusivo".  I ricorrenti,
  d'altra  parte,  sono  tuttora inquadrati tra i dirigenti abilitati
  allo   svolgimento   della   libera  professione  extramuraria  (v.
  certificati  in  data  4  maggio  2000), e quindi hanno sicuramente
  titolo  a  vedere  sindacata  la  legittimita' costituzionale della
  legge regionale nella specie applicata.
    Cio' stante, si deve disporre l'immediata trasmissione alla Corte
  costituzionale degli atti del giudizio, dichiarandone nelle more la
  sospensione.   Con  separata  ordinanza  e'  stata  pronunciata  la
  temporanea    sospensione    dell'atto    impugnato,   con   rinvio
  dell'ulteriore  corso  del  processo cautelare alla conclusione del
  giudizio di costituzionalita'.