IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE


    Ha  pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 888 del 1997
  proposto    da    Zucca    Giuseppe,    rappresentato    e   difeso
  dall'avv. Sebastiano  Zuccarello e presso il medesimo elettivamente
  domiciliato in Torino, via Magenta n. 36.
    Contro  l'azienda regionale U.S.L. n. 8, in persona del direttore
  generale   pro-tempore,   rappresentata  e  difesa  dall'avv. Mario
  Vecchione e presso il medesimo elettivamente domiciliata in Torino,
  corso  Vinzaglio  n. 4;  e nei confronti della Regione Piemonte, in
  persona   del   presidente   della  giunta  regionale  pro-tempore,
  rappresentata    e   difesa   dall'avv.   Giulietta   Magliona   ed
  elettivamente  domiciliata  in  Torino, piazza Castello n. 165, per
  l'annullamento:
        -  previa  sospensione  - dell'atto prot. n. 1183/DP/Vt del 7
  aprile  1997,  con  il  quale  il servizio veterinario dell'azienda
  regionale  U.S.L. 8 di Chieri ha intimato al ricorrente di chiudere
  la struttura ambulatoriale di cui lo stesso e' titolare;
        di ogni altro atto precedente, successivo o comunque connesso
  con quello impugnato con il presente ricorso.
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Piemonte e
  dell'azienda regionale USL 8;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
  difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Nominato relatore il dott. Italo Caso;
    Uditi  alla  camera  di  consiglio  del  10  maggio  2000  l'avv.
  Zuccarello  per  il  ricorrente,  l'avv.  Magliona  per  la Regione
  Piemonte e l'avv. Vecchione per l'azienda regionale USL 8;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

                              F a t t o


    Con atto prot. n. 66/DP in data 4 aprile 1997 l'azienda regionale
  U.S.L. n. 8 di Chieri richiedeva ai medici veterinari dipendenti di
  segnalare  i  "programmi  e  tempi  di  massima del proprio impegno
  professionale  (art.  1,  comma  2, legge regionale 4/1997) nonche'
  l'opzione  di  massima circa l'ambito (intra o extra murario) entro
  cui  si  intende  operare,  con  riferimento  anche  alle tipologie
  professionali  individuate  nella  legge  regionale 4/1997 (animali
  d'affezione,  da  reddito,  cavallo  sportivo)".  L'acquisizione di
  queste  informazioni  era diretta, tra l'altro, all'accertamento di
  eventuali  situazioni  di incompatibilita', a proposito delle quali
  si  precisava  essere  necessario adeguarsi alle disposizioni della
  legge reg. n. 4/1997 entro il 31 maggio 1997.
    Indi  con  atto  prot.  n. 1183/DP/Vt  in  data  7 aprile 1997 il
  servizio  veterinario  della  medesima  azienda,  rilevato  che  il
  ricorrente  risultava  ancora  titolare  di struttura ambulatoriale
  ubicata  nel  comune  di  Castelnuovo  Don  Bosco,  lo  invitava  a
  regolarizzare  la propria posizione, entro il successivo 18 aprile,
  in  conformita' al disposto dell'art. 2 della legge reg. n. 4/1997,
  che   vieta   l'attivita'  professionale  nell'ambito  territoriale
  dell'azienda sanitaria di appartenenza e preclude al veterinario la
  titolarita' di studio privato.
    Avverso tale provvedimento ha proposto impugnativa l'interessato,
  deducendo:
           I. - Questione di legittimita' costituzionale.
    Il  ricorrente  solleva  questione di legittimita' costituzionale
  degli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge Regione Piemonte 3 gennaio 1997
  n. 4 per i seguenti motivi:
    1)  Contrasto  della disposizione contenuta nell'art. 2, comma 1,
  della   legge  reg.  n. 4/1997  con  l'art.  120,  comma  3,  della
  Costituzione.
    La    normativa    regionale,    nel   disciplinare   l'attivita'
  libero-professionale   dei   veterinari   dipendenti  dal  servizio
  sanitario  nazionale,  ha  posto  il divieto di svolgimento di tale
  attivita'   nell'ambito   territoriale  dell'azienda  sanitaria  di
  appartenenza.  Tuttavia,  trattandosi di limitazione che non appare
  immediatamente  riconducibile  all'esigenza  di evitare la riunione
  nella  medesima  persona  delle  figure  del  "controllore"  e  del
  "controllato",  e quindi all'obiettivo di scongiurare situazioni di
  conflitto   derivanti   dall'esercizio   delle  funzioni  pubbliche
  affidate   ai   veterinari,   il   criterio   territoriale   appare
  ingiustificato,  tenuto conto dell'avviso espresso in proposito dal
  Consiglio  di  Stato  in  sede  consultiva (sez. I, 20 ottobre 1993
  n. 985), circa la necessita' che il sistema delle compatibilita' si
  fondi   sulla   individuazione   in   concreto   delle   situazioni
  pregiudizievoli  per  i  fini  istituzionali del servizio sanitario
  nazionale,  a  prescindere  da  un  generico riferimento all'ambito
  territoriale.  Pertanto  il  divieto  imposto dalla legge regionale
  risulta  arbitrario e si pone in netto contrasto con il precetto di
  cui  all'art. 120,  terzo  comma,  della  Costituzione, a norma del
  quale la regione non puo' porre limiti di carattere territoriale al
  diritto dei cittadini di esercitare la loro attivita' professionale
  o di impiego.
    2)  Contrasto  degli  artt. 1 (comma 2 e 3), 2, 3 e 4 della legge
  reg.  n. 4/1997  con  gli  artt. 4, primo comma, e 35, primo comma,
  della Costituzione.
    Il  sistema  di divieti, controlli e condizioni predisposto dalla
  legge   regionale   n. 4/1997   esclude   in  concreto  l'effettiva
  possibilita'  di  esercizio  della  libera professione da parte dei
  medici  veterinari  dipendenti  dal  servizio  sanitario nazionale,
  cosi'   violando   le   norme  di  cui  agli  artt. 4  e  35  della
  Costituzione,  che  tutelano  il  diritto al lavoro nelle sue varie
  modalita' concrete di esplicazione.
    Ne'  i  limiti  introdotti appaiono giustificati dall'esigenza di
  evitare  pregiudizi  all'interesse pubblico. Si consideri, infatti,
  che  il  divieto  di  essere  titolare  di  struttura ambulatoriale
  privata  e  di  esservi  legato  da rapporto di lavoro subordinato,
  relativamente  all'attivita' sugli animali d'affezione (v. art. 2),
  si traduce in un divieto assoluto di svolgimento di tale attivita',
  attesa la necessita' che la stessa si svolga presso un ambulatorio;
  senza  che,  poi,  emergano  ragioni  idonee  a  giustificare  tale
  preclusione,  posto  che  i servizi assicurati dai veterinari delle
  aziende  sanitarie  sono  diretti alla cura e alla profilassi delle
  malattie   relative   agli  "animali  da  reddito",  sicche'  alcun
  pregiudizio  puo'  ipotizzarsi  per il servizio sanitario nazionale
  dallo  svolgimento  di  un'attivita' professionale che riguardi gli
  "animali d'affezione".
    Peraltro  anche  gli  articoli  3  e 4 della normativa regionale,
  disciplinando  la libera professione per gli "animali da reddito" e
  per   il   "cavallo   sportivo",  hanno  l'effetto  di  sacrificare
  ingiustificatamente   il   diritto   costituzionale   all'esercizio
  dell'attivita' libero-professionale, ove si consideri che la stessa
  e'  consentita  solo  se  si  verifica una "permanente o temporanea
  carenza  di  veterinari libero-professionisti" (art. 3, comma 1), e
  quindi  e' subordinata a circostanze che non attengono all'esigenza
  di  evitare gravi pregiudizi al servizio sanitario pubblico, quanto
  piuttosto  a  situazioni  che appaiono finalizzate soprattutto alla
  tutela degli interessi dei veterinari libero-professionisti.
    3)  Contrasto delle disposizioni contenute negli articoli 1, 2, 3
  e   4   della   legge  reg.  n. 4/1997  con  l'art. 4  della  legge
  n. 412/1991,  con  l'art. 47,  n. 4,  della legge n. 833/1978 e con
  l'art. 36  del  d.P.R. n. 761/1979. Violazione dell'art. 117, primo
  comma della Costituzione.
    La  normativa  regionale  e'  in  contrasto  con  le disposizioni
  statali  in  materia,  ed  in  particolare con l'art. 4 della legge
  n. 412/1991,  con  l'art. 47,  n. 4,  della legge n. 833/1978 e con
  l'art. 36  del  d.P.R.  n. 761/1979.  Detta  disciplina  affida  al
  legislatore  regionale l'adozione di norme attuative, presupponendo
  che  non  venga  escluso  in  concreto  l'esercizio  dell'attivita'
  libero-professionale,  ma regolamentata la stessa in funzione della
  salvaguardia  degli  interessi pubblici. Ne consegue che, avendo la
  legge   regionale   piemontese   introdotto   limitazioni  tali  da
  precluderne in concreto lo svolgimento, non sono stati rispettati i
  limiti  fissati  dai  principi  fondamentali ricavabili dalle leggi
  statali,  e quindi si ravvisa l'ulteriore contrasto con l'art. 117,
  primo comma, della Costituzione.
    4) Contrasto  degli  articoli  1,  2, 3 e 4 della legge regionale
  n. 4/1997  con  l'art. 3, primo e secondo comma della Costituzione.
  Disparita' di trattamento.
    La  normativa  regionale viola anche l'art. 3 della Costituzione.
  Infatti,  l'introduzione  di  limitazioni sostanziali all'esercizio
  dell'attivita' professionale dei veterinari dipendenti dal servizio
  sanitario   nazionale   nell'ambito   della   Regione  Piemonte  ha
  determinato  una  evidente  disparita'  di  trattamento  tra medici
  pubblici e veterinari pubblici, e nonche' tra veterinari pubblici e
  veterinari   liberi  professionsti,  e  ancora  fra  veterinari  in
  servizio  presso  le aziende sanitarie piemontesi e quelli di altre
  regioni.  La  violazione  del principio di uguaglianza emerge dalla
  considerazione   dell'inutilita'   ed   arbitrarieta'  dei  divieti
  contenuti  nella  legge  regionale,  i  quali  non  sono  idonei  a
  salvaguardare  l'interesse  pubblico,  favorendo  esclusivamente  i
  veterinari  liberi professionisti, rispetto ai quali i colleghi del
  servizio  sanitario  nazionale,  in  modo  del tutto immotivato, si
  trovano in posizione deteriore.
                            II. - Merito.
    1)   Violazione  di  legge.  Eccesso  di  potere;  illegittimita'
  derivata.  Gli  indicati  profili  di illegittimita' costituzionale
  viziano in via derivata l'atto impugnato. La violazione delle norme
  e  dei  principi costituzionali comporta altresi' l'invalidita' del
  provvedimento   per   eccesso   di   potere,   sotto   il   profilo
  dell'ingiustizia  manifesta  e  della  disparita'  di  trattamento.
  Inoltre l'applicazione di una legge che favorisce in modo del tutto
  ingiustificato i veterinari liberi professionisti potrebbe altresi'
  determinare  il  vizio  di  eccesso  di  potere per sviamento della
  causa.
    2)  Eccesso  di  potere;  illogicita'  e  contraddittorieta'  del
  comportamento   dell'amministrazione;   violazione   della   prassi
  amministrativa.
    L'atto  impugnato  e' altresi' viziato da eccesso di potere sotto
  ulteriori    profili.    Infatti    l'intimazione    di    chiusura
  dell'ambulatorio   risulta  adottata  prima  ancora  che  si  fosse
  completata la fase istruttoria avviata dalla stessa amministrazione
  con  la  richiesta di informazioni circa la posizione del personale
  veterinario,   sicche'   il   provvedimento  e'  stato  assunto  in
  violazione  della procedura individuata dall'azienda, pregiudicando
  il  buon  andamento  e  l'imparzialita' dell'azione amministrativa.
  Inoltre   il  termine  fissato  per  la  chiusura  dell'ambulatorio
  (18 aprile   1997)  risulta  illogicamente  e  contraddittoriamente
  anticipato  rispetto  sia al termine per l'invio delle informazioni
  sollecitate  a  tutto il personale veterinario (30 aprile 1997) sia
  al  termine  per  uniformarsi alla normativa di cui alla legge reg.
  n. 4/97 (31 maggio 1997).
    3)  Violazione  di  legge;  violazione  deIl'art. 7  della  legge
  n. 241/1990;    violazione    del   principio   di   partecipazione
  collaborativa dell'amministrato al procedimento.
    L'aver   intimato   al   ricorrente  di  chiudere  immediatamente
  l'ambulatorio  privato, senza attendere il completamento della fase
  istruttoria (ovvero l'acquisizione dei dati relativi alla posizione
  dei vari medici veterinari dipendenti dall'azienda), ha determinato
  altresi'  l'impossibilita'  per  l'interessato  di  partecipare  al
  procedimento,  in  violazione  dell'art. 7  della  legge n. 241 del
  1990. Considerato che la richiesta di informazioni agli interessati
  si poneva come comunicazione dell'avvio del procedimento, si doveva
  poi consentire a tutti, e quindi anche al ricorrente, di far valere
  le  proprie  ragioni  nel  corso dell'iter procedurale, astenendosi
  dall'adottare prematuri atti lesivi.
    Il   ricorrente  conclude  dunque  per  l'annullamento  dell'atto
  impugnato,  previa rimessione degli atti alla Corte costituzionale,
  che  invoca  venga  disposta gia' nella camera di consiglio fissata
  per l'esame dell'istanza cautelare.
    Si  e'  costituita in giudizio la Regione Piemonte, resistendo al
  gravame.   Con  memoria  del  13  maggio  1997  si  e'  evidenziata
  l'infondatezza    della    dedotta    questione   di   legittimita'
  costituzionale  della normativa regionale. Il legislatore regionale
  si  sarebbe  limitato  a  stabilire le modalita' di esercizio della
  libera professione da parte dei veterinari pubblici, in conformita'
  ai  principi  stabiliti  dalla  normativa statale, e soprattutto in
  ossequio all'esigenza di evitare conflitti di interessi legati alle
  molteplici  funzioni affidate al personale veterinario del servizio
  sanitario nazionale, nell'ambito di un'attivita' rivolta a tutelare
  -  attraverso  le  profilassi  pianificate  e  il  controllo  degli
  alimenti  di  origine  animale  -  la  salute  umana  e  l'economia
  dell'intero comparto agro-zootecnico.
    Si  e'  costituita  in  giudizio anche l'azienda regionale USL 8,
  opponendosi all'accoglimento del ricorso in quanto infondato.
    Con  ordinanza  n. 518  in  data 16 giugno 1997 questa sezione ha
  dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di
  legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge Reg. Piemonte 3
  gennaio  1997,  n. 4,  e  ne  ha  deferito  il sindacato alla Corte
  costituzionale;  contestualmente  ha  sospeso l'efficacia dell'atto
  impugnato  fino  alla camera di consiglio immediatamente successiva
  alla comunicazione dell'esito del giudizio di costituzionalita', in
  vista dell'ulteriore corso del processo cautelare.
    Con  ordinanza  n. 231,  depositata  in  cancelleria il 19 giugno
  1998,  la  Corte  costituzionale  ha disposto la restituzione degli
  atti  a  questo tribunale, invitandolo ad effettuare un nuovo esame
  della  rilevanza  della  questione  di  costituzionalita' alla luce
  delle norme sopravvenute in materia.
    Con  memoria  del 14 luglio 1998 il ricorrente ha insistito sulla
  perdurante sussistenza dei presupposti per la rimessione degli atti
  alla  Corte costituzionale, tenuto anche conto - relativamente allo
  ius  superveniens  (art. 124, comma 1, lett. a, del d.lgs. 31 marzo
  1998,  n. 112)  -  del  difetto di potere legislativo della Regione
  Piemonte nella materia oggetto della presente controversia.
    Con  ordinanza  n. 537  in  data 25 luglio 1998 questa sezione ha
  nuovamente  deferito  la  questione  alla Corte costituzionale, con
  contestuale sospensione dell'efficacia dell'atto impugnato.
    Successivamente,  in  relazione ad un mutato quadro normativo, la
  Corte  costituzionale  ha ancora una volta disposto la restituzione
  degli  atti  al  giudice  a  quo,  al  fine  di vedere accertata la
  perdurante rilevanza della questione (v. ord. n. 84/2000).
    Con  memorie  in  data 4 e 8 maggio 2000 le parti hanno insistito
  sulle rispettive posizioni.
    Alla  camera  di  consiglio  del  10  maggio  2000,  ascoltati  i
  rappresentanti   delle  parti,  il  collegio  si  e'  riservata  la
  decisione sull'istanza cautelare del ricorrente.

                            D i r i t t o

    In  servizio  presso  l'azienda regionale USL n. 8 in qualita' di
  medico   veterinario,   il  ricorrente  impugna  la  nota  con  cui
  l'amministrazione,  rilevatane  la  titolarita'  di  un ambulatorio
  privato  nell'ambito  del  territorio  di competenza della medesima
  azienda,  lo  ha invitato a far venir meno tale situazione entro il
  18  aprile 1997. Assume l'illegittimita' costituzionale della legge
  Reg.  Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4, in applicazione della quale e'
  stato   adottato   il   provvedimento,   giacche'  la  sopraggiunta
  disciplina  regionale  avrebbe  introdotto tali e tante limitazioni
  all'attivita'  professionale dei veterinari titolari di rapporto di
  pubblico   impiego  da  precluderne  in  concreto  l'esercizio,  in
  violazione degli artt. 3, 4, 35, 117 e 120 della Costituzione.
    Nell'attuale   regime  giuridico  ogni  preclusione  alla  libera
  professione  del personale veterinario dipendente pubblico dovrebbe
  trovare    giustificazione   in   concrete   esigenze   di   tutela
  dell'interesse  alla  massima  funzionalita' operativa del servizio
  sanitario  nazionale,  sicche' ogni ulteriore limite determinerebbe
  una  indebita  compressione  del  diritto  al  lavoro e del diritto
  all'uguaglianza  di  trattamento  rispetto  al  restante  personale
  medico  e al personale veterinario di altre regioni, nonche' ancora
  una  non  consentita  riduzione  dell'ambito  territoriale  in  cui
  svolgere, l'attivita' professionale (atteso il divieto in tal senso
  posto  al  legislatore  regionale) e, comunque, l'esorbitanza della
  disciplina   regionale   dai  limiti  fissati  dalla  normativa  di
  principio.  In  ogni  caso il provvedimento impugnato sarebbe stato
  assunto  prima  del  completamento  della  fase istruttoria e senza
  alcun   raccordo   con  i  termini  fissati  in  via  generale  per
  uniformarsi  alla  nuova  disciplina;  ne' sarebbe stata consentita
  all'interessato   la   partecipazione  al  procedimento,  ai  sensi
  dell'art. 7 e segg. della legge n. 241 del 1990.
    Contesta  la  Regione  Piemonte  la  fondatezza  dell'assunto del
  ricorrente,  poiche'  le  introdotte  limitazioni  allo svolgimento
  della   libera  professione  da  parte  del  personale  veterinario
  troverebbero  tutte  fondamento  nella  necessita'  di  scongiurare
  l'insorgenza  di  conflitti  di  interessi  legati  al  contestuale
  esercizio di funzioni istituzionali e di attivita' professionale.
    Occorre  innanzi  tutto  definire  il  quadro normativo in cui si
  inserisce la questione dedotta.
    Nell'ambito della disciplina di riforma sanitaria l'art. 47 della
  legge  n. 833 del 1978 recava la delega al Governo per l'emanazione
  di  norme  idonee  a  "garantire  con  criteri  uniformi il diritto
  all'esercizio  della  libera attivita' professionale per i medici e
  veterinari  dipendenti  delle unita' sanitarie locali ... Con legge
  regionale sono stabiliti le modalita' e i limiti per l'esercizio di
  tale attivita'" (comma 3, n. 4).
    Successivamente,   in   attuazione  della  delega  conferita,  si
  stabiliva   che   il  "personale  veterinario  ha  la  facolta'  di
  esercitare  l'attivita'  libero-professionale,  fuori dei servizi e
  delle   strutture   dell'unita'   sanitaria  locale,  purche'  tale
  attivita'  non sia prestata con rapporto di lavoro subordinato, non
  sia  in  contrasto  con  gli  interessi  ed  i  fini  istituzionali
  dell'unita'  sanitaria  locale  stessa,  ne'  incompatibile con gli
  orari  di  lavoro,  secondo modalita' e limiti previsti dalla legge
  regionale" (art. 36, primo comma, del d.P.R. n. 761 del 1979). Indi
  l'art. 4,  comma  7,  della  legge  n. 412  del  1991,  sancito  il
  principio  per  cui  "con  il  servizio  sanitario  nazionale  puo'
  intercorrere   un  unico  rapporto  di  lavoro",  ha  disposto  che
  "l'esercizio   dell'attivita'   libero-professionale   dei   medici
  dipendenti  del  servizio  sanitario  nazionale  e' compatibile col
  rapporto  unico  d'impiego,  purche' espletato fuori dell'orario di
  lavoro  all'interno  delle  strutture sanitarie o all'esterno delle
  stesse,  con  esclusione  di strutture private convenzionate con il
  servizio sanitario nazionale".
    Da   ultimo   la  Regione  Piemonte  ha  inteso  provvedere  alla
  "regolamentazione           dell'esercizio           dell'attivita'
  libero-professionale  dei medici veterinari dipendenti dal servizio
  sanitario  nazionale"  (legge  regionale  3  gennaio  1997,  n. 4),
  ribadendone  in  via  di  principio  il  diritto  di esplicare tale
  attivita'  "al  di  fuori  delle  strutture  pubbliche, al di fuori
  dell'orario  di  servizio, al di fuori del plus orario, al di fuori
  del  lavoro  straordinario"  (art.1,  comma 1), ma subordinatamente
  all'adempimento  dell'obbligo  di  "segnalare al direttore generale
  dell'azienda  sanitaria regionale (ASR) di appartenenza programmi e
  tempi di massima del proprio impegno perche' l'ente possa accertare
  e  valutare  l'assenza  di condizioni di incompatibilita'" (art. 1,
  comma   2);   incompatibilita'  che,  relativamente  agli  "animali
  d'affezione",  riguardano  l'attivita' professionale esercitata nel
  territorio  di  pertinenza  della  "ASR  presso  la quale il medico
  veterinano  svolge  il  proprio  servizio  di  pubblico dipendente"
  (art. 2,  comma  1), con contestuale divieto di essere "titolare di
  struttura   ambulatoriale   privata"  (art. 2,  comma  2),  e  che,
  relativamente  agli  "animali  da  reddito", comportano il generale
  divieto  di svolgimento dell'attivita' professionale, salvo che non
  "si  verifichi  una  permanente  o temporanea carenza di veterinari
  libero-professionisti"  (art. 3,  comma 1), e comunque nel rispetto
  di  determinati  programmi  operativi  e  subordinatamente  ad  una
  verifica  di competenza del servizio veterinario regionale (art. 3,
  comma 2 e 3).
    La  normativa  statale  richiamata  si iscrive in quell'indirizzo
  costantemente  favorevole  all'esercizio di attivita' professionali
  al di fuori dell'ordinario rapporto di lavoro, che - in deroga alla
  disciplina    generale    del   rapporto   di   pubblico   impiego,
  caratterizzata  dal  principio di esclusivita' - e' stato da sempre
  l'elemento   peculiare  dello  status  del  medico  dipendente  dal
  servizio  sanitario  pubblico.  Alla  base  vi  e'  la  convinzione
  dell'influenza  positiva  che  al pubblico dipendente puo' derivare
  dalla  pratica professionale, posto che l'espletamento di attivita'
  esterne ed aggiuntive valgono a potenziarne le capacita' operative,
  si'   da   giustificare   il  regime  differenziato  riservato  dal
  legislatore  a  talune  categorie di personale abilitato a svolgere
  anche  la  libera  professione  (v.  Corte  cost.  23 dicembre 1986
  n. 284,  relativamente  al  personale docente della scuola); per il
  personale  medico,  in  particolare, trattandosi di valorizzarne la
  professionalita', si persegue al contempo un interesse della stessa
  struttura sanitaria pubblica.
    L'esercizio  dell'attivita' professionale non puo' pero' incidere
  negativamente sull'osservanza del complesso dei doveri facenti capo
  al  pubblico  dipendente, ovvero non puo trasformarsi in un fattore
  di  pregiudizio del corretto assolvimento dei compiti d'ufficio. In
  tal senso assumono rilievo i limiti posti dall'esaminata normativa,
  ovvero  il riferimento al possibile contrasto con gli interessi e i
  fini istituzionali dell'amministrazione sanitaria.
    Cio'  posto,  deduce  il  ricorrente che l'intervenuta disciplina
  regionale  si  caratterizza  per  una  indebita  restrizione  delle
  possibilita'  di  esercizio  dell'attivita' libero-professionale da
  parte  dei  veterinari  addetti al servizio sanitario nazionale, in
  contrasto con varie norme costituzionali.
    La  questione  e'  rilevante  e non manifestamente infondata, nei
  limiti che si indicheranno.
    La   rilevanza  ai  fini  del  presente  giudizio  consegue  alla
  circostanza  che  il  provvedimento  impugnato e' stato adottato in
  diretta   applicazione  della  normativa  regionale  sospettata  di
  incostituzionalita',       sicche'      l'eventuale      espunzione
  dall'ordinamento    della    predetta    normativa    comporterebbe
  l'accoglimento del ricorso e la caducazione dell'atto lesivo.
    Tuttavia,  poiche'  il  provvedimento  concerne in particolare il
  divieto   di   svolgere  attivita'  professionale  nell'ambito  del
  territorio  dell'azienda  sanitaria  di  appartenenza, con connessa
  impossibilita'   di  essere  titolare  di  struttura  ambulatoriale
  privata   (di   qui   l'intimazione   a  rimuovere  tale  causa  di
  incompatibilita'),  la controversia appare circoscritta all'ipotesi
  di  cui  all'art.   2  della  legge  regionale n. 4/1997, ovvero ai
  vincoli   inerenti   l'attivita'  professionale  per  gli  "animali
  d'affezione".    Pertanto   la   rilevanza   della   questione   di
  costituzionalita'  va  limitata a tale disposizione della normativa
  regionale, l'unica che incide sull'esito del presente giudizio.
    Quanto  alla  non manifesta infondatezza della questione dedotta,
  rileva  il  collegio,  in  linea  con  l'orientamento  espresso dal
  Consiglio  di  Stato in sede consultiva (v. sez. I, 20 ottobre 1993
  n. 985/1993),     che     la     regolamentazione    dell'attivita'
  libero-professionale   dei   veterinari   dipendenti  del  servizio
  sanitario   nazionale   implica   l'individuazione  di  "specifiche
  situazioni  idonee  a determinare un grave e comprovato pregiudizio
  al  servizio sanitario pubblico, vietando ai medici veterinari quei
  comportamenti  idonei  a  realizzarli." Non operando nel settore il
  principio  generale  secondo  cui e' interdetta qualsiasi attivita'
  professionale estranea al rapporto di lavoro (giacche' suscettibile
  di  dar  luogo  ad  interessi  conflittuali  con quelli inerenti la
  posizione  di  pubblico  dipendente),  ogni  deroga alla regola che
  consente  la  libera  professione medica deve trovare fondamento in
  ragioni  direttamente  connesse alla primaria esigenza di garantire
  un  efficiente servizio assistenziale pubblico, ovvero deve tendere
  ad  evitare  che  sia negativamente condizionato l'assolvimento dei
  doveri   d'ufficio,   senza  tuttavia  porre  limiti  ulteriori,  e
  soprattutto  senza  tradursi  in  un sostanziale annullamento delle
  effettive  possibilita'  di esercizio di tali attivita' aggiuntive,
  attraverso  l'adozione  di  misure  che  in concreto vanifichino il
  diritto  astrattamente riconosciuto. In quanto voluto espressamente
  dall'ordinamento come uno dei contenuti del rapporto di impiego del
  personale medico, il diritto all'esercizio della libera professione
  e'  riconducibile  al diritto al lavoro costituzionalmente protetto
  (artt. 4  e  35 Cost.), sicche' ogni limitazione a tale facolta' si
  giustifica  solo per la tutela di valori costituzionali concorrenti
  (v. Corte cost. 2 giugno 1977 n. 103 e 23 dicembre 1993 n. 457).
    Ne   consegue   che   l'impossibilita'   di   svolgere  attivita'
  professionale   per   gli   "animali  d'affezione"  nel  territorio
  dell'azienda  sanitaria  di  pertinenza, con contestuale divieto di
  essere  titolare  di  struttura ambulatoriale privata (art. 2 della
  legge  Reg.  Piemonte  3  gennaio  1997,  n. 4), determina un grave
  affievolimento  delle  facolta' professionali del veterinario senza
  raccordarsi  funzionalmente  a  specifiche esigenze della struttura
  sanitaria pubblica. La titolarita' di funzioni inerenti al servizio
  sanitario   nazionale  non  puo'  evidentemente  dar  luogo  ad  un
  generalizzato  divieto  di  esercizio di attivita' private, benche'
  limitato  ad un determinato ambito territoriale, in quanto si viene
  in  tal  modo  a  contraddire  il principio che ammette alla libera
  professione il veterinario dipendente pubblico.
    Va piuttosto ribadito che i vincoli devono essere dimensionati in
  relazione  al  tipo di attivita' svolte nell'ambito della struttura
  pubblica,  e  non  anche  in  riferimento  al luogo in cui opera il
  veterinario.  Il  criterio  territoriale non soddisfa di per se' le
  esigenze   che  sono  alla  base  della  necessita'  di  disciplina
  dell'attivita'  professionale  del  personale  medico,  giacche' ne
  vanifica   di  fatto  il  diritto  senza  razionalmente  ricondursi
  all'obiettivo  di  assicurare l'ottimale funzionalita' del servizio
  sanitario pubblico.
    Nell'attuale  ordinamento  prevale  il  criterio sostanzialistico
  della   potenziale   situazione  di  conflitto,  e  quindi  occorre
  procedere   alla   individuazione   in  concreto  delle  situazioni
  pregiudizievoli  per  i  fini  istituzionali del servizio sanitario
  nazionale,   che   va   considerato  nella  sua  globalita'  e  non
  nell'ambito  delle  singole  strutture in cui si articola (v. Cons.
  Stato, sez. I, n. 985/1993 cit).
    Ne'  e'  decisivo il richiamo alle varie competenze in materia di
  controllo  e  vigilanza,  facenti  capo ai servizi veterinari delle
  aziende  sanitarie,  che indurrebbero i medici veterinari ad essere
  controllori  di  stessi,  posto che - una volta ammesso l'esercizio
  della  libera  professione  -  non se ne puo' poi escludere in toto
  l'ammissibilita',  ma occorre piuttosto individuare le misure utili
  ad  evitare  la  sovrapposizione  di  ruoli nella medesima persona,
  tenendo  conto  delle mansioni effettivamente assolte e dei settori
  operativi  cui  si  e'  assegnati,  ed  in  tale  ottica  trarne le
  conseguenze  in  ordine  alle  modalita'  e  ai limiti di esercizio
  dell'attivita' professionale.
    In  conclusione, la questione appare non manifestamente infondata
  in  relazione  agli  artt. 4  e  35  della  Costituzione,  giacche'
  l'art. 2  della  legge  Reg.  Piemonte  3 gennaio 1997 n. 4 risulta
  ingiustificatamente   preclusivo  delle  concrete  possibilita'  di
  esercizio   della   libera  professione  da  parte  dei  veterinari
  dipendenti   pubblici,  e  quindi  lesivo  del  diritto  al  lavoro
  costituzionalmente protetto.
    Per  quanto  concerne poi l'asserito contrasto con l'art. 3 della
  Costituzione, nega il collegio che possa ipotizzarsi una disparita'
  di  trattamento con i medici dipendenti pubblici da una parte e con
  i  veterinari  libero-professionisti  dall'altra, attesa l'evidente
  diversita' delle situazioni poste a raffronto; quanto, invece, alla
  ipotizzata  disparita'  di trattamento con il personale veterinario
  di altre regioni, e' da escludersi che altre normative regionali (o
  anche  l'assenza delle stesse) possano essere assunte a riferimento
  per desumerne un'eventuale violazione del principio di uguaglianza.
    Per  contro,  si  deve  dichiarare  d'ufficio  la  non  manifesta
  infondatezza  della questione, in relazione all'art. 3 Cost., sotto
  il  profilo  della  irragionevolezza di una normativa regionale che
  prima    ammette    i   veterinari   all'esercizio   dell'attivita'
  libero-professionale  (v.  art. 1,  comma  1)  e  poi  ne restringe
  contraddittoriamente  le  possibilita'  di esplicazione del diritto
  fino a vanificarlo.
    L'assenza  di  una  ratio giustificativa legata alla tutela della
  funzionalita'  operativa  del  servizio sanitario pubblico induce a
  ritenere    non    manifestamente   infondata   la   questione   di
  costituzionalita'  anche  in riferimento all'art. 120, terzo comma,
  della Costituzione, giacche' il divieto di esercizio dell'attivita'
  professionale   per   gli   animali   d'affezione  nell'ambito  del
  territorio dell'azienda sanitaria di appartenenza, privo come e' di
  fondamento in norme di rango costituzionale, viene a determinare un
  indebito   limite   di   spazio   allo   svolgimento  della  libera
  professione.
    Vanno  infine ritenuti sussistenti i presupposti per investire la
  Corte  costituzionale  della  cognizione  della  norma regionale in
  riferimento all'art. 117 Cost., atteso che l'intervenuta disciplina
  dell'attivita'   libero-professionale   dei  veterinari  dipendenti
  pubblici  appare  discostarsi dai principi fondamentali in materia,
  quali  si desumono dalla normativa statale esaminata, che - come si
  e'  visto  -  ha  inteso consentire in linea di massima l'esercizio
  della  libera  professione,  salvo  regolamentarne  le modalita' di
  esplicazione in relazione all'obiettivo di impedire l'insorgenza di
  situazioni di pregiudizio al servizio sanitario pubblico.
    L'aver   gravemente   compromesso  il  diritto  allo  svolgimento
  dell'attivita'  professionale, senza alcun ragionevole raccordo con
  le esigenze della struttura pubblica, integra quindi l'inosservanza
  degli  indirizzi  fissati  dal legislatore statale, con conseguente
  violazione dell'art. 117 Cost.
    Ne'  elementi  significativi  di  novita'  rispetto all'esaminata
  questione  sono  stati  in  un primo tempo desunti dal tribunale in
  relazione  alle  norme  sopravvenute  in materia, quali individuate
  dalla  Corte  costituzionale  con l'ordinanza n. 231 (depositata in
  cancelleria il 19 giugno 1998) - recante l'invito ad un nuovo esame
  della  rilevanza  della questione di costituzionalita' nel presente
  giudizio -.
    L'art. 1  del  decreto-legge  n. 175  del  1997 (convertito dalla
  legge n. 272 del 1997) aveva riconosciuto al Ministro della sanita'
  la   competenza   a  definire  le  "caratteristiche  dell'attivita'
  libero-professionale  intramuraria  del  personale  medico  e delle
  altre  professionalita'  della  dirigenza  sanitaria  del  Servizio
  sanitario  nazionale,  le  categorie  professionali  e  gli  enti o
  soggetti  ai  quali  si  applicano  le  disposizioni sull'attivita'
  intramuraria",  nonche'  a  disciplinare  "l'opzione  tra attivita'
  libero-professionale intramuraria ed extramuraria, le modalita' del
  controllo del rispetto delle disposizioni sull'incompatibilita', le
  attivita'   di   consulenza   e  consulto",  successivamente  erano
  intervenuti  due  decreti  ministeriali, entrambi in data 31 luglio
  1997,   recante   l'uno   "le   linee   guida   dell'organizzazione
  dell'attivita'  libero-professionale  intramuraria  della dirigenza
  sanitaria del Servizio sanitario nazionale" e l'altro la disciplina
  in  materia  di  "attivita' libero professionale e incompatibilita'
  del  personale  della  dirigenza  sanitaria del S.S.N" (l'art. 7 di
  quest'ultimo  aveva  fatto salva la regolamentazione introdotta con
  il  decreto  ministeriale in data 11 giugno 1997, avente ad oggetto
  la   "fissazione   dei  termini  per  l'attivazione  dell'attivita'
  libero-professionale  intramuraria").  Ebbene, da tali norme non si
  evinceva  un  regime  di  incompatibilita'  che  si sovrapponesse o
  sostituisse  a  quello  fissato  con la legge regionale piemontese,
  atteso che - come prescritto dall'art. 1 del decreto-legge n. 175 -
  oggetto  della  nuova  disciplina  era  esclusivamente  l'attivita'
  libero-professionale  intramuraria  (ed  in tal senso doveva essere
  conseguentemente  inteso  ogni  vincolo all'attivita' professionale
  ivi  stabilito),  mentre  di  quella extramuraria si teneva conto a
  soli  fini della definizione delle modalita' di opzione tra l'una e
  l'altra  e  di  controllo  dell'osservanza delle disposizioni sulle
  incompatibilita'.   Non  si  ravvisava  dunque  alcuna  innovazione
  normativa suscettibile di incidere direttamente sulla posizione del
  ricorrente,  ancora  soggetta  -  quanto  ai limiti di esplicazione
  dell'attivita'   professionale   esterna  -  alla  legge  regionale
  sospettata di incostituzionalita'.
    Per  quel  che  concerne, poi, l'art. 124, comma 1, del d.lgs. 31
  marzo   1998,   n. 112   "Conferimento   di   funzioni   e  compiti
  amministrativi  dello  Stato  alle  regioni ed agli enti locali, in
  attuazione  del  capo  I della legge 15 marzo 1997, n. 59", a norma
  del   quale  "sono  conservate  allo  Stato  le  seguenti  funzioni
  amministrative:
        a) la disciplina delle attivita' libero-professionali e delle
  relative  incompatibilita',  ai  sensi  dell'art. 4, comma 7, della
  legge  30  dicembre  1991,  n. 412,  e dell'art. 1, comma 14, della
  legge 23 dicembre 1996, n. 662; ...", rilevava il tribunale come la
  disposizione  non  facesse  altro  che  confermare una preesistente
  competenza  statale, rispetto alla quale la competenza regionale in
  materia   conservava  un  ruolo  secondario,  ovvero  attuativo  di
  principi e norme stabiliti a livello statale.
    In   questo  quadro,  quindi,  la  disciplina  regionale  restava
  sottordinata   ai   criteri   desumibili  da  quella  nazionale,  e
  permanevano  di  conseguenza  le  perplessita' espresse a proposito
  della conformita' della normativa denunciata agli indirizzi fissati
  dal legislatore statale.
    La  Corte  costituzionale  ha  poi richiesto un ulteriore riesame
  della  questione alla luce della normativa introdotta dal d.lgs. 19
  giugno  1999,  n. 229,  recante "norme per la razionalizzazione del
  Servizio  sanitario  nazionale, a norma dell'articolo 1 della legge
  30 novembre 1998, n. 419" (v. ord. n. 84/2000).
    Senonche',  pur  essendosi in tal modo provveduto ad una organica
  disciplina  del  rapporto  di  lavoro  "esclusivo" e di quello "non
  esclusivo" dei dirigenti sanitari (v. art. 15 del d.lgs. n. 502 del
  1992,  cosi'  come  modificato  dall'art. 13  del d.lgs. n. 229 del
  1999),  non  risulta  sostanzialmente mutato il quadro normativo di
  riferimento  circa  i contenuti dell'attivita' libero-professionale
  extramuraria  (dispone l'art. 15-sexies: "Il rapporto di lavoro dei
  dirigenti  sanitari  in  servizio  al  31 dicembre 1998 i quali, ai
  sensi  dell'articolo  1,  comma  10,  della legge 23 dicembre 1996,
  n. 662,  abbiano  comunicato  al  direttore  generale l'opzione per
  l'esercizio   della  libera  professione  extramuraria  e  che  non
  intendano revocare detta opzione, comporta la totale disponibilita'
  nell'ambito  dell'impegno  di  servizio,  per  la realizzazione dei
  risultati    programmati   e   lo   svolgimento   delle   attivita'
  professionali  di competenza. Le aziende stabiliscono i volumi e le
  tipologie  delle  attivita'  e  delle  prestazioni  che  i  singoli
  dirigenti  sono  tenuti ad assicurare, nonche' le sedi operative in
  cui le stesse devono essere effettuare").
    Non  vi  e'  insomma ragione per ritenere che sia automaticamente
  venuta  meno  la  previgente  disciplina  regionale,  perche'  - in
  assenza di incompatibilita' diretta e immediata con la sopraggiunta
  legge  statale,  che non detta nuove indicazioni in merito - quella
  piemontese  continua  a  regolare  la  materia in ambito regionale,
  definendo i limiti di esercizio dell'attivita' libero-professionale
  esterna nelle ipotesi di non intervenuta opzione per il rapporto di
  lavoro  "esclusivo".  Il  ricorrente,  d'altra  parte,  e'  tuttora
  inquadrato  tra i dirigenti abilitati allo svolgimento della libera
  professione  extramuraria  (v.  opzione dell'interessato in data 13
  marzo  2000),  e quindi ha sicuramente titolo a vedere sindacata la
  legittimita'  costituzionale  della  legge  regionale  nella specie
  applicata.
    Cio' stante, si deve disporre l'immediata trasmissione alla Corte
  costituzionale degli atti del giudizio, dichiarandone nelle more la
  sospensione.   Con  separata  ordinanza  e'  stata  pronunciata  la
  temporanea    sospensione    dell'atto    impugnato,   con   rinvio
  dell'ulteriore  corso  del  processo cautelare alla conclusione del
  giudizio di costituzionalita'.