IL TRIBUNALE All'udienza del 24 maggio 2000, pronuncia la seguente ordinanza nel procedimento n. 116/1995 contro F. R., S.M., C.P., G.G., imputati dei reati rispettivamente ascritti come nel decreto del g.u.p. del tribunale di Massa 30 ottobre 1994. Premesso che all'odierna udienza il pubblico ministero ha sollevato la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 513, comma 2, c.p.p. con riferimento all'art. 111 Costituzione, nella parte in cui prevede che, qualora il dichiarante rifiuti o ometta, in tutto o in parte, di rispondere sui fatti concernenti la responsabilita' di altri imputati, gia' oggetto delle sue precedenti dichiarazioni, in mancanza di accordo delle parti alla lettura, si applichi l'art. 500, commi 2-bis e 4 c.p.p., indipendentemente dal verificarsi di uno dei casi previsti dall'art. 111, quinto comma, Costituzione; tutti i difensori degli imputati si sono opposti alla prospettazione del pubblico ministero; il p.m. ha sostenuto la manifesta infondatezza della questione, in quanto il divieto di cui all'art. 111, comma quarto, Cost. concerne soltanto la utilizzazione al fine della prova della colpevolezza dell'imputato, ma non esclude del tutto che le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari possano essere acquisite colmezzo della contestazione ed utilizzate, sia al fine della prova della innocenza di qualche coimputato, sia, ove si accerti autonomamente sulla base di altri elementi di prova, la colpevolezza dell'imputato, al fine della valutazione dell'entita' della pena in base ai criteri di cui all'art. 133 c.p.. O s s e r v a La questione sollavata dal pubblico ministero e rilevante nel presente giudizio, posto che non e' possibile definirlo senza aver previamente stabilito se il p.m. possa, non sussistendo il consenso delle parti, contestare a F.B., persona esaminata ex art. 210 c.p.p. e che si e' avvalsa della facolta di non rispondere alle domande, il contenuto dei verbali degli interrogatori resi alla p.g. il 4 marzo 1994, nei quali aveva reso dichiarazioni attinenti ai fatti per cui si procede. Non si condivide la tesi dei difensori secondo cui la questione sarebbe manifestamente infondata. Questo tribunale segue il ragionamento del tribunale di La Spezia (11 aprile 2000) e' del tribunale di Milano (ordinanza 20 marzo 2000). Invero, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 361 del 2 novembre 1998, l'art. 513, secondo comma, c.p.p. consente l'applicabilita', anche nel caso di persona esaminata ai sensi dell'art. 210 c.p.p., della contestazione disciplinata per i testimoni dall'art. 500, commi 2-bis e 4, c.p.p.. Non pare superabile il tenore letterale dell'art. 500, quarto comma, c.p.p., secondo cui le dichiarazioni utilizzate per la contestazione sono acquisite nel fascicolo per il dibattimento e sono valutate come prova dei fatti in essa affermati, se sussistono altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilita'. La norma, infatti, di per se' non consente la limitazione del valore probatorio degli atti acquisiti con la contestazione alla prova dell'innocenza e/o alla valutazione dei criteri di cui all'art. 133 c.p., come indicato dal p.m., atteso l'espresso richiamo alla "prova dei fatti" per cui si procede. Non appare manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata, posto che la disciplina di cui all'art. 513 comma 2 c.p.p., cosi' come delineata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 361/1998, appare in contrasto con il dettato costituzionale di cui all'art. 111 della Costituzione introdotto dalla legge costituzionale n. 2/1999, da cui peraltro traspare la specifica volonta' del legislatore di porre nel nulla la sentenza interpretativa di accoglimento della Corte costituzionale sopra citata. Alla luce della nuova composizione delle diverse garanzie fondamentali scaturire dalle innovazioni introdotte con legge costituzionale n. 2, 23 novembre 1999, si rileva contraria al precetto costituzionale del diritto al contradditorio - come tale suscettibile di ristrettissime esclusioni, espressamente individuate dall'art. 111 stesso (consenso dell'imputato; impossibilita' di natura oggettiva; provata condotta illecita) - la previsione della facolta' di non rispondere prevista dall'art. 210 c.p.p. quanto alle dichiarazioni che un imputato renda su fatti concernenti alla responsabilita' di altri. A parere di questo tribunale non puo' invece essere accolta l'impostazione del tribunale di Foggia (ordinanza 17 marzo 2000) secondo cui il contrasto tra l'art. 111 Cost., cosi' come novellato, e l'art. 513 c.p.p. va risolto nel senso di dare prevalenza alla legge di conversione del decreto legge 2/2000, che, in quanto legge successiva ed attuativa nel disposto costituzionale, ha abrogato implicitamente il precedente dettato dell'art. 513 c.p.p. Ed invero, la possibilita' - introdotta col meccanismo delle contestazioni - di acquisire ed utilizzare contra alios le dichiarazioni in precedenza rese dalla persona esaminata ex art. 210 c.p.p., che si sia avvalsa in dibattimento della facolta' di non rispondere, pare inconciliabile: 1) con il comma 4 dell'art. 111 novellato, risultando violato il principio costituzionale del contraddittorio nella formazione della prova e ricorrendo, peraltro, la specifica ipotesi di soggetto che si e sottratto volontariamente all'esame da parte dell'imputato e del suo difensore in relazione alla propria posizione processuale; 2) con il comma 5 dell'art. 111 Cost., non ricorrendo nessuna delle ipotesi in cui e' consentita la formazione della prova al di fuori del contraddittorio (consenso dell'imputato, accertata impossibilita' di natura oggettiva, provata condotta illecita).