IL TRIBUNALE

    Nell'ordinanza  emessa  nella  causa civile n. 4040/1999 r.g.a.c.
  (pretura  di  Mineo),  promossa da Distefano Antonio Avv. Francesco
  Zuccarello;
    contro  Comune  di  Mineo Avv. Salvatore Ialuna Banco di Sicilia,
  Agenzia di Mineo, contumace, sciogliendo la riserva, letti gli atti
  ed esaminati i documenti, osserva quanto segue;
    Con ricorso depositato il 6 maggio 1999, l'ing. Antonio Distefano
  ha  proposto  opposizione  agli  atti esecutivi avverso l'ordinanza
  resa  il  22  aprile  1999  dal  pretore  di  Mineo,  quale giudice
  dell'esecuzione,  reiettiva  dell'istanza di assegnazione formulata
  dal ricorrente - nella veste di creditore - in seno al procedimento
  di  espropriazione  presso  terzi  sperimentato contro il Comune di
  Mineo   ed  il  Banco  di  Sicilia  (nella  qualita'  di  tesoriere
  dell'ente),  per  la  soddisfazione di un credito portato da giusti
  titoli di natura giudiziaria (lodo arbitrale esecutivo).
    L'atto  oppositivo,  di  contenuto  impugnatorio,  riproponeva  -
  ampliandole - le medesime argomentazioni a sostegno della richiesta
  di assegnazione delle somme, gia' vanamente rappresentate avanti al
  giudice dell'esecuzione.
    L'esame  della  fattispecie,  alla  luce della disciplina dettata
  dagli  artt. 617 e 618 c.p.c, nonche' - ai fini che qui interessano
  -  dall'art. 51 c.p.c., tuttavia evidenzia dei profili che inducono
  a  ritenere  la  non  manifesta  infondatezza  della  questione  di
  legittimita'  costituzionale  delle  norme  di  cui  alle  suddette
  disposizioni  di  legge,  nella parte in cui non escludono che alla
  decisione  della  causa  di  opposizione presieda lo stesso giudice
  dell'esecuzione  che  ha  adottato  il  provvedimento  oggetto  del
  giudizio,  ovvero  nella  parte  in  cui non prevedono l'obbligo di
  astensione  per  il medesimo giudice, con riferimento agli artt. 3,
  25 e 111 della Costituzione.
    Come  e'  noto,  l'art. 617,  secondo  comma  c.p.c. dispone, tra
  l'altro,  che  le opposizioni ai singoli atti esecutivi (nel novero
  dei   quali   nessuno  dubita  che  rientri  anche  l'ordinanza  di
  assegnazione  o di rigetto emessa dal giudice dell'esecuzione) sono
  proposte   al   giudice   dell'esecuzione,  il  quale  -  ai  sensi
  dell'art. 618, secondo comma c.p.c. - dopo l'eventuale adozione dei
  provvedimenti   che   ritiene  indilazionabili,  provvede  altresi'
  all'istruzione  della  causa  che  e'  poi  decisa con sentenza non
  impugnabile.
    Nell'originaria  formulazione  di quest'ultima norma era previsto
  che  la  decisione fosse adottata dal collegio, tuttavia la riserva
  di  collegialita'  e'  stata espressamente esclusa dall'art. 99 del
  d.lgs.  51/1998,  mentre  in precedenza la disposizione si riteneva
  pacificamente  inapplicabile in relazione a quelle cause rientranti
  nella  competenza  pretorile ratione materiae (esecuzioni mobiliari
  e/o  presso  terzi, per consegna o rilascio, obblighi di fare o non
  fare).
    Orbene,  nel caso di opposizione all'ordinanza emessa dal giudice
  dell'esecuzione  -  come  nella  specie  -  e'  evidente  che sara'
  chiamato  a  decidere sul merito dell'opposizione lo stesso giudice
  che  ha adottato il provvedimento opposto e, di conseguenza, appare
  probabile  che  egli - nella fase decisoria - ripercorra l'identico
  itinerario logico precedentemente seguito.
    Cio',  oltre a rappresentare concretamente la regola negli uffici
  giudiziari  di  piccole  dimensioni  e  nelle sezioni distaccate di
  tribunale,   dove   al  settore  delle  esecuzioni  civili  risulta
  assegnato  un  solo magistrato; non e' tuttavia escluso dalle norme
  di  ordinamento giudiziario in materia di formazione delle tabelle,
  attraverso  le  quali viene assicurata la concreta applicazione del
  principio di precostituzione del giudice sancito dall'art. 25 della
  Costituzione,   posto  che  soltanto  la  previsione  tabellare  di
  assegnazione  delle  cause  di  opposizione a magistrati diversi da
  quelli  addetti al settore delle esecuzioni potrebbe - in ipotesi -
  garantire l'esigenza di alterita' del giudice dell'impugnazione sui
  generis  in  cui,  in  buona  sostanza,  si  risolve il giudizio di
  opposizione  agli atti esecutivi avente ad oggetto un provvedimento
  del giudice dell'esecuzione.
    In  difetto  di  una  tale  previsione  di  rango normativo, puo'
  sicuramente    configurarsi   una   irragionevole   disparita'   di
  trattamento  tra  i  cittadini in funzione dell'ufficio giudiziario
  adito  e  delle  sue  dotazioni  di  organico (se sede principale o
  sezione  distaccata di tribunale, se con uno solo o piu' magistrati
  addetti al settore delle esecuzioni, etc.).
    La   problematica   risulta  maggiormente  acuita  dalla  recente
  novellatio  dell'art 111  della  Costituzione, il cui nuovo secondo
  comma  prescrive  (se mai ce ne fosse stato bisogno) che il giudice
  sia terzo e imparziale.
    A  questo  rimettente  e'  nota  la giurisprudenza del Giudice ad
  quem,  secondo la quale le insopprimibili esigenze di imparzialita'
  del  giudice  sono  risolvibili  nel processo civile attraverso gli
  istituti  della  astensione e della ricusazione previsti dal codice
  di   rito   agli  artt. 51  e  52,  in  guisa  tale  da  consentire
  all'interprete  un'esegesi  di tali norme conforme a Costituzione e
  quindi  ricomprendervi  tutti quei casi in cui la previa conoscenza
  della causa in altro grado inficierebbe la necessaria imparzialita'
  del giudice (Corte cost. 15 ottobre 1999 n. 387).
    Per  quanto  qui rileva, l'art. 51 n. 4) c.p.c. impone al giudice
  l'obbligo  di  astenersi  qualora abbia conosciuto della causa come
  magistrato in altro grado del processo.
    Il   fondamento   costituzionale   di   tale   previsione  riposa
  nell'esigenza  stessa di garanzia che sta alla base del concetto di
  revisio prioris instantiae il quale postula l'alterita' del giudice
  dell'impugnazione  che  si  trova  -  stante la natura del mezzo di
  gravame  -  a  dover  ripercorrere  l'iter logico che e' stato gia'
  seguito onde pervenire al provvedimento impugnato.
    Posto  che  la nozione di conoscenza cui fa riferimento l'art. 51
  n. 4)  c.p.c.  deve  essere  intesa  nel  senso  di "aver deciso la
  controversia" (cfr. Cassazione 9 febbraio 1998 n. 1323, in motiv.),
  appare  -  viceversa  -  dubbio  se  l'espressione "altro grado del
  processo",  pur  contenuta nella norma de qua, possa ricomprendere,
  oltre  a tutte quelle fasi che, in un processo civile, si succedono
  con  carattere di autonomia ed aventi contenuto impugnatorio che si
  svolgono  avanti allo stesso organo giudiziario e sono attinenti al
  medesimo oggetto, anche la fattispecie in esame.
    Ed  invero, a tal proposito, la giurisprudenza di legittimita' ha
  escluso la sussistenza dell'obbligo di astensione per il magistrato
  con  funzioni  di giudice dell'esecuzione chiamato a decidere sulla
  causa   di   opposizione   avverso   un'ordinanza   da  lui  emessa
  nell'esercizio  delle  dette  funzioni, in quanto la sua conoscenza
  della  medesima  questione avviene non in un successivo grado di un
  unico  processo,  ma  in  un nuovo procedimento ancorche' originato
  dall'impugnazione  di  un  provvedimento  rispetto a cui ha operato
  come giudice addetto all'esecuzione (cfr. Cassazione 2  aprile 1981
  n. 1870).
    Non solo, ma deve altresi' escludersi che l'ordinanza pronunciata
  dal  giudice  dell'esecuzione sia configurabile alla stregua di una
  vera  e propria fase, ancorche' autonoma, di un processo civile cui
  puo'   far   seguito   altro   momento   processuale  di  contenuto
  impugnatorio,  posto  che  -  da  un lato - l'opposizione agli atti
  esecutivi  costituisce  un procedimento di cognizione assolutamente
  distinto  da  quello esecutivo in cui tale ordinanza viene resa, ed
  inoltre  esso  e' destinato ad essere definito con un provvedimento
  avente  attitudine  al  giudicato (sentenza), ne' - dall'altro - la
  citata  causa possiede i caratteri di impugnazione in senso stretto
  che   postula,   invece,   l'identita'   del   giudizio  e  la  sua
  articolazione in piu' gradi.
    L'impossibilita' di sussumere il provvedimento adottato nel corso
  del  procedimento  esecutivo sia sotto il paradigma della pronuncia
  terminativa  di  una  fase autonoma di un unico processo, sia quale
  evento  conclusivo  di un grado di giudizio, rende impraticabile la
  via  dell'esegesi  costituzionalmente corretta, pur suggerita dalla
  pronuncia  citata,  e pertanto si appalesa ineludibile la richiesta
  di esame delle norme suddette da parte della Corte costituzionale.
    Nel  caso  di  specie,  poi,  la  risoluzione  della questione di
  legittimita'  costituzionale  - sollevata d'ufficio con riferimento
  alle  norme  avanti  indicate  -  appare oltremodo rilevante per la
  definizione  della  controversia  di merito, atteso che l'ordinanza
  oggetto dell'opposizione risulta emessa da questo stesso magistrato
  in  funzione  di  giudice  dell'esecuzione  (ancorche',  all'epoca,
  ancora  nelle vesti di pretore) ed, al contempo, non manifestamente
  infondata,  deve  essere  ordinata  la  sospensione  del giudizio e
  disposta la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.