IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 384 del 1996,
  proposto  da  Erminio  Mazza,  rappresentato  e  difeso dall'avv.to
  Claudia  Boccardo ed elettivamente domiciliato presso il suo studio
  in Torino, Via Madonna delle Rose, n. 38;
    Contro  i  Ministeri  delle  finanze e del tesoro, del bilancio e
  della  programmazione economica, in persona dei rispettivi Ministri
  pro-tempore,  rappresentati  e  difesi dalla ex lege domiciliataria
  Avvocatura  distrettuale  dello Stato di Torino; per l'accertamento
  del  diritto del ricorrente, in relazione al ritardo nel pagamento,
  alla  corresponsione  degli  interessi legali e della rivalutazione
  monetaria sugli arretrati, con decorrenza dalla data di maturazione
  del  credito  fino  al  saldo  e  per  la  condanna conseguente del
  Ministero  delle  finanze,  in persona del Ministro pro-tempore, al
  pagamento delle anzidette somme.
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio dei Ministeri delle
  finanze   e   del  tesoro,  del  bilancio  e  della  programmazione
  economica;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
  difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udita  alla  pubblica  udienza  del 9 marzo 2000 la relazione del
  primo  referendario  dr.  Italo  Volpe  e uditi, altresi', l'avv.to
  Claudia  Boccardo  per  la  parte ricorrente e l'avv.to dello Stato
  Guido Carotenuto per il Ministero resistente;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

                              F a t t o

    Ritenendosi leso, col ricorso in epigrafe Erminio Mazza, premesso
  di  essere  stato,  come  dipendente  del  Ministero delle finanze,
  inquadrato  ai  sensi dell'art. 4, ottavo comma della legge n. 312,
  del  1980  nel  profilo  professionale  di collaboratore tributario
  della settima qualifica funzionale, con decorrenze 1o gennaio 1978,
  ai  fini  giuridici, e 1o luglio 1978, ai fini economici, e di aver
  ricevuto  dai competenti uffici periferici dell'amministrazione del
  tesoro,  del  bilancio  e  della programmazione economica, con rate
  ottobre   1990,  luglio  1992,  novembre  1993,  esclusivamente  la
  corresponsione  dei  maggiori emolumenti arretrati, rimanendo senza
  risposta  il  suo  sollecito  15  dicembre 1994 all'amministrazione
  delle finanze, per la corresponsione degli interessi legali e della
  rivalutazione  monetaria  sulle differenze retributive riconosciute
  in  ritardo,  evocava in giudizio le predette amministrazioni dello
  Stato  perche'  nel loro riguardi fosse accertato il suo diritto ai
  crediti  pecuniari  esposti  e  condannata  l'amministrazione delle
  finanze al conseguente pagamento.
    Si  costituivano  in  giudizio  i  Ministeri  delle finanze e del
  tesoro,  del bilancio e della programmazione economica, concludendo
  per la reiezione del ricorso.
    Acquisita documentazione, la causa veniva chiamata all'udienza di
  discussione del 9 marzo 2000 ed ivi trattenuta in decisione.

                            D i r i t t o

    1.  -  La  questione posta con il ricorso e' stata gia' esaminata
  dalla  giurisprudenza  (C.d.S., sez. IV, 27 settembre 1993, n. 799;
  29 maggio 1995, n. 278; sez. VI 26 maggio 1997, n. 747; sez. IV, 29
  maggio  1998,  n. 893),  nel  senso  che  interessi e rivalutazione
  monetaria  sugli emolumenti retributivi tardivamente corrisposti ai
  dipendenti  statali,  a  seguito  del loro inquadramento ex art. 4,
  ottavo  comma,  della  legge n. 312 del 1980, competono a decorrere
  dall'8  novembre 1988, allorche' e' stata pubblicata nella Gazzetta
  Ufficiale   la   delibera   28  settembre  1988  della  commissione
  paritetica di cui all'art. 10 della medesima legge, con la quale e'
  stata determinata la corrispondenza tra le precedenti qualifiche ed
  i  nuovi  profili professionali istituiti con la sopravvenuta legge
  n. 312 del 1980.
    Di  conseguenza,  secondo  le  conclusioni  cui  e'  pervenuta la
  richiamata   giurisprudenza,   ai   fini  del  perfezionamento  del
  complesso procedimento di inquadramento dei dipendenti dello Stato,
  nel  contesto delle nuove qualifiche funzionali individuate in sede
  di riassetto retributivo-funzionale disposto dalla richiamata legge
  n. 312  del  1980,  le  diverse amministrazioni di appartenenza dei
  dipendenti risultavano costituite in mora alla riferita data dell'8
  novembre  1988,  in  quanto,  a  seguito  della pubblicazione della
  tabella  di  equiparazione  tra le precedenti qualifiche ed i nuovi
  profili professionali, non si frapponeva piu' alcuna preclusione od
  impedimento   procedimentale   per  la  formalizzazione  dei  nuovi
  inquadramenti   sulla   base   delle  diverse  mansioni  lavorative
  effettivamente   svolte,   rispetto  alla  qualifica  di  effettiva
  titolarita', ai sensi di quanto previsto dall'art. 3, ottavo comma,
  della richiamata legge n. 312 del 1980.
    Cio' comporta che il credito di lavoro del dipendente interessato
  a  tale  operazione  di  reinquadramento e' venuto ad esistenza, ai
  fini   della  decorrenza  della  rivalutazione  monetaria  e  degli
  interessi compensativi, alla data di pubblicazione della richiamata
  deliberazione  della  commissione  paritetica  per l'inquadramento,
  costituendo   tale  delibera  l'atto  conclusivo  del  procedimento
  amministrativo devoluto dalla legge ai competenti organi, nel quale
  si  sono  sostanziate le opzioni discrezionali e valutative in base
  alle quali e' stato in concreto possibile il nuovo inquadramento.
    In  relazione  a  quanto  precisato, il collegio non ha motivo di
  discostarsi dall'orientamento della giurisprudenza del Consiglio di
  Stato  e, quindi, il ricorso andrebbe accolto, avendo il ricorrente
  diritto   al   pagamento  della  rivalutazione  monetaria  e  degli
  interessi  legali  sulle  retribuzioni  differenziali spettanti per
  effetto dell'accennato inquadramento ex art. 4, ottavo comma, della
  legge  n. 312  del  1980,  e tardivamente corrisposte rispetto alla
  richiamata  data  dell'8 novembre 1988, a decorrere da tale termine
  fino al giorno dell'effettivo pagamento delle stesse.
    2.  -  Tuttavia,  l'accoglimento  del ricorso risulta attualmente
  precluso  dalla  sopravvenuta  disposizione  dell'art. 26, comma 4,
  della  legge  23  dicembre  1998, n. 448, recante misure di finanza
  pubblica collegate alla legge finanziaria per l'anno 1999 (legge 23
  dicembre  1998,  n. 449 il quale ha espressamente stabilito che "le
  somme  corrisposte  al  personale  del  comparto  ministeriale  per
  effetto  dell'inquadramento  definitivo nelle qualifiche funzionali
  ai  sensi  dell'art. 4,  ottavo  comma, della legge 11 luglio 1980,
  n. 312  ...  non  danno  luogo  ad  interessi  ne'  a rivalutazione
  monetaria".
    Cio'   comporta,   dunque,   ai   fini   che  qui  interessa,  la
  impossibilita'  per il giudice adito di acclarare la sussistenza di
  un  diritto di credito espressamente disconosciuto dal legislatore,
  il   quale,  secondo  il  collegio,  con  la  previsione  normativa
  richiamata  non ha dato luogo ad alcuna interpretazione delle norme
  vigenti,  come sembrerebbe desumersi dalla titolazione dell'art. 26
  della  legge  n. 448  del  1998,  per cui deve escludersi qualsiasi
  efficacia  retroattiva,  propria  delle  norme  di  interpretazione
  autentica,   del   disposto   disconoscimento   del   diritto  alla
  rivalutazione  monetaria  dello speciale credito retributivo di cui
  si  controverte, attesa la sostanziale precettivita' del divieto di
  pagamento  di interessi, la cui operativita' viene a concretizzarsi
  solo  per  crediti non ancora riconosciuti in sede giudiziaria alla
  data del 1o gennaio 1999 di efficacia del divieto suddetto.
    Cio'  posto,  non  vi e' dubbio che anche nella prospettiva della
  affermata  natura  non  interpretativa  e,  quindi, non retroattiva
  della  norma  suddetta,  per  quanto  riguarda  il caso che occupa,
  secondo il collegio, la innovativa previsione legislativa si rivela
  comunque   di   ostacolo   alla   valorizzazione   del   richiamato
  orientamento  della  giurisprudenza  amministrativa,  favorevole al
  riconoscimento  del  diritto  alla  rivalutazione  monetaria  delle
  retribuzioni  differenziali tardivamente corrisposte al ricorrente,
  ai  sensi  dell'art. 4,  ottavo comma, della legge n. 312 del 1980,
  poiche'  e'  indubitabile  che  la  nuova norma che disconosce tale
  pretesa  patrimoniale trovi piena applicazione nei giudizi pendenti
  non ancora definiti con sentenza.

    3. - In  relazione  a  tale  circostanza,  in  forza  dei  poteri
  riconosciuti  dall'art. 134  della Costituzione e dall'art. 1 della
  legge  costituzionale  9  febbraio  1948, n. 1 e dall'art. 23 della
  legge  11  marzo  1953, n. 87, il collegio ravvisa la necessita' di
  sollevare  d'ufficio  eccezione  di  incostituzionalita' del citato
  art. 26,  comma  4, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, attesa la
  riconosciuta  rilevanza  e  non manifesta infondatezza dei dubbi di
  costituzionalita' della medesima ingenerati in rapporto ai principi
  affermati  dagli  artt. 3,  24,  36,  97,  102,  103  e  113  della
  Costituzione.
    Le sollevate questioni di possibile contrasto costituzionale sono
  sicuramente rilevanti per la decisione della causa, se si considera
  l'evidente   nesso   di   strumentalita'  esistente  fra  la  norma
  sospettata  di incostituzionalita' e la risoluzione del giudizio de
  quo,  per la cui decisione si impone necessariamente l'applicazione
  di   detta  disposizione  normativa,  la  cui  chiara  enunciazione
  dispositiva  e  precettiva non consente al collegio di privilegiare
  una  diversa  soluzione  interpretativa  favorevole  al  ricorrente
  diretta  a  fugare  il sospetto di contrasto con le accennate norme
  della Costituzione.
    Parimenti,  la  questione  appare  non  manifestamente infondata,
  considerato    che   il   solo   profilarsi   di   un   dubbio   di
  incostituzionalita' impone al giudice, ex art. 23 della legge n. 87
  del 1953, di provocare l'intervento della Corte.
    3.A. - ln particolare, secondo il collegio la prevista esclusione
  operata  dall'art.  26,  comma 4, della legge n. 448 del 1998 della
  corresponsione  degli  interessi  e  della  rivalutazione monetaria
  sulle  somme  dovute  e  tardivamente  corrisposte  a  seguito  del
  definitivo  inquadramento ai sensi dell'art. 4, ottavo comma, della
  legge  n. 312 del 1980, si pone in primo luogo in contrasto con gli
  artt.   3   e  36  della  Costituzione,  poiche'  in  tal  modo  si
  sottopongono     i     crediti    considerati,    in    conseguenza
  dell'inadempimento   dei   rispettivi  debiti,  ad  un  trattamento
  risarcitorio  deteriore  rispetto  a quello previsto per ogni altro
  credito  di qualiasi genere ed anche da lavoro dipendente, senza la
  sussistenza di peculiarita' differenziatrici.
    Non  solo,  ma  la  stessa  norma,  con l'esclusione del previsto
  ristoro  dell'inadempimento dei crediti retributivi suddetti, viene
  ad ingenerare una ingiusta discriminazione tra i dipendenti statali
  che  vantano  crediti  identici nei confronti dell'amministrazione,
  alcuni   dei   quali  hanno  visto  riconosciuto  il  diritto  alla
  percezione  della  rivalutazione monetaria e degli interessi legali
  per  effetto  di pronunce giudiziarie e magari hanno anche ottenuto
  la  liquidazione delle relative spettanze, mentre altri, nonostante
  si  siano  parimenti  attivati  in sede giudiziaria per ottenere il
  soddisfacimento  delle  loro pretese patrimoniali, si sono tuttavia
  visti ingiustamente pregiudicare le proprie aspettative per effetto
  dell'intervento  del legislatore sospettato di incostituzionalita',
  il  quale,  in  tal  modo, si ritiene abbia violato il principio di
  uguaglianza   di  cui  all'art. 3  della  Costituzione,  attesa  la
  omogeneita'  delle  situazioni  giuridiche per le quali la legge in
  questione ha previsto una regolamentazione differenziata.
    3.B.  -  Secondo  il  collegio, la norma di cui si controverte si
  pone  sotto  altro  profilo  ugualmente  in contrasto con l'art. 36
  della  Costituzione,  poiche'  viene  a  vulnerare  il diritto alla
  giusta  retribuzione,  mediante  la  sostanziale  preclusione della
  operativita'   dei   sistemi   di  garanzia  della  realita'  della
  retribuzione stessa, dal momento che, senza il riconoscimento della
  rivalutazione,  si  determina  un ingiustificato depauperamento del
  contenuto  economico dello stesso trattamento retributivo, a fronte
  del ritardo con cui il medesimo viene materialmente corrisposto.
    3.C.   -   Vi   e'   da  rilevare  inoltre  che  il  sospetto  di
  illegittimita'  dell'art. 26,  comma 4, della legge n. 448 del 1998
  si  estende  anche  alla  violazione degli artt. 24, 102, 103 e 113
  della Costituzione, in quanto, di fatto, con l'accennato innovativo
  intervento  di  disconoscimento  del diritto alla rivalutazione dei
  crediti   retributivi,   in   contrasto  con  l'orientamento  della
  giurisprudenza,  il  legislatore  ha di fatto vanificato il diritto
  costituzionale  di tutela giurisdizionale riconosciuto dall'art, 24
  della  Carta  fondamentale, attesa la evidente applicabilita' della
  nuova  norma  anche in giudizi tuttora pendenti, quale e' quello di
  cui  e'  causa, promosso proprio per il riconoscimento del suddetto
  beneficio  economico  a titolo di sanzione patrimoniale del ritardo
  nell'adempimento dell'obbligazione retributiva principale.
    La lesione della suddetta posizione soggettiva costituzionalmente
  garantita,  si  e'  accompagnata  con  una illegittima interferenza
  nella sfera di attribuzione del potere giurisdizionale riconosciuto
  dall'art. 102  della  Costituzione  e,  piu'  in particolare, dagli
  artt. 103  e  113,  per  quanto  riguarda  le prerogative di tutela
  riservate  al giudice amministrativo nei confronti degli atti e dei
  comportamenti della pubblica amministrazione.
    Infatti,  se e' vero che i precetti richiamati non vietano che il
  legislatore  ordinario  possa variamente disciplinare il diritto di
  difesa  quale espressione della tutela giurisdizionale, in funzione
  di  superiori  interessi di giustizia, subordinandone eventualmente
  l'esercizio  all'esperimento  di una procedura amministrativa, cio'
  non   toglie   tuttavia   che   sussistono  limiti  ad  una  simile
  discrezionalita',  fra  cui  il  principale  e' rappresentato dalla
  condizione  che  l'esercizio del diritto di difesa sia garantito in
  modo effettivo ed adeguato alle circostanze.
    Donde,  in  riferimento a tale principio, ritiene il collegio che
  il  limite  anzidetto risulti ampiamente superato allorquando, come
  nel  caso  di  specie,  il  legislatore  intervenga successivamente
  all'esercizio  dell'azione  giudiziaria con disposizioni preclusive
  ed  innovative  preordinate,  in  sostanza,  a vanificare la tutela
  giurisdizionale.
    Peraltro,  lo  stesso  insegnamento della Corte costituzionale e'
  nel  senso  che  violano  l'art. 24 della Costituzione quelle norme
  che,  intervenendo  nel  corso  di  un  giudizio,  recano una nuova
  disciplina sostanziale di segno opposto alle richieste degli attori
  di  quel processo ed alle interpretazioni giurisprudenziali ad essi
  favorevoli  (cfr.  Corte  costituzionale,  sentenza 10 aprile 1987,
  n. 123,  in  riferimento  all'art. 10,  primo  comma, della legge 6
  agosto 1984, n. 425).
    3.D.  - Ad avviso del collegio, la norma in questione presenta un
  ulteriore  profilo  di  illegittimita' costituzionale, in quanto il
  sopravvenuto   disconoscimento   legislativo   del   diritto   alla
  rivalutazione  del credito retributivo vantato dalla ricorrente nei
  confronti  dell'amministrazione statale, si pone in contrasto anche
  con  il  principio  di  buon andamento e di imparzialita' affermato
  dall'art. 97  della  Costituzione,  a  cui  deve  essere improntata
  l'azione  della  pubblica  amministrazione,  dal momento che in tal
  modo si introduce una ingiustificata deroga a favore dello Stato al
  principio  fondamentale  di  liquidazione  dei  debiti  liquidi  ed
  esigibili.

    4. - In  conclusione,  poiche' in relazione a quanto precisato le
  delineate  questioni  di incostituzionalita' dell'art. 26, comma 4,
  della   legge   n. 448   del   1998  sono  rilevanti,  nonche'  non
  manifestamente  infondate,  va  disposta la trasmissione degli atti
  alla  Corte  costituzionale  per  la  pronuncia  sulla legittimita'
  costituzionale   della   suindicata  norma,  rimanendo  sospeso  il
  presente giudizio, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953,
  n. 87.