IL COLLEGIO ARBITRALE Costituitosi il 13 ottobre 1998, in virtu' della clausola compromissoria di cui all'art. 28 della convenzione inter partes n. 2 Rep. in data 31 luglio 1981, cosi' formulata: "qualsiasi controversia - di natura tecnica, amministrativa o giuridica - che dovesse insorgere in ordine alla interpretazione, esecuzione e/o risoluzione o al termine della presente convezione, sara' diferita ad un collegio di tre arbitri rituali ... Il collegio arbitrale avra' sede in Napoli e giudichera' secondo diritto ...", per la risoluzione della controversia insorta tra il Consorzio Co.Ri. - Consorzio Ricostruzione con sede in Napoli alla via S. Pasquale a Chiaia n. 55, in persona del presidente ing. Giancarlo Carriero, rappresentato e difeso dall'avv. Paolo Vosa e dall'avv. Giangiacomo Allodi e presso il primo elett. te domiciliato in Napoli alla via G. Fiorelli n. 14, il comune di Napoli - Area Funzionale CIPE in persona del Sindaco pro tempore, rapp.to e difeso dall'avv. Edoardo Barone dell'Avvocatura Municipale. Svolgimento del processo I. - Con atto introduttivo di arbitrato e nomina di arbitro, notificato al comune di Napoli in data 22 giugno 1998, il Consorzio CORI dichiarava che con convenzione rep. n. 2 del 31 luglio 1981, il sindaco di Napoli - commissario straordinario di Governo aveva affidato in concessione la realizzazione di parte del programma di cui al titolo VIII della legge 14 maggio 1981 n. 219. Precisava che, in forza di tale convenzione e successivi atti integrativi, modificativi ed aggiuntivi, il concessionario era tenuto all'espletamento delle procedure di esproprio delle aree occorrenti per la realizzazione dell'opera oggetto dell'affidamento, e avanzava richiesta relativa alla disapplicazione di penali ed al riconoscimento di maggiori compensi rispetto a quelli contrattualmente previsti, in ragione di maggiori difficolta' incontrate nell'espletamento delle procedure espropriative non previste ne' prevedibili al momento della stipula della convenzione. Con lo stesso atto il Consorzio CORI invitava il Comune di Napoli alla nomina del suo arbitro, ai fini della costituzione del collegio arbitrale; significava allo stesso la nomina del proprio nella persona dell'avv. Sergio Como. II. - Con delibera di giunta 3 giugno 1998, n. 1357, il comune di Napoli nominava proprio arbitro l'avv. Felice Laudadio. Gli arbitri nominati dalle parti, con verbale del 13 ottobre 1998, designavano quale terzo arbitro, con funzioni di presidente del collegio, il prof. avv. Vincenzo Cocozza. III. - Nella stessa data si costituiva il collegio arbitrale fissando la sede dell'arbitrato in Napoli, alla via Scarlatti n. 105 (presso lo Studio del prof. avv. Cocozza) e designando quale segretario del collegio l'avv. Fiorella Titolo. Venivano assegnati alle parti termini per lo svolgimento del procedimento arbitrale. Le parti, pertanto, provvedevano a depositare memorie e relative repliche. IV. - In data 15 marzo 1999 si teneva l'udienza di discussione nella quale le parti concordavano sulla richiesta istruttoria di consulenza tecnica d'ufficio. Il collegio arbitrale, decideva, con ordinanza in data 26 aprile 1999, di procedere con istruttoria a mezzo consulenza tecnica di ufficio. I CC.TT.UU. designati, in data 28 ottobre 1999, depositavano la relazione. I termini per il deposito del lodo venivano prorogati prima dal collegio per la disposta C.T.U. e, poi, dalle parti. V. - Il collegio assegnava, poi, termini alle parti per il deposito di memorie ed eventuali repliche e contestualmente fissava la discussione per il giorno 7 marzo 1999. La discussione non si teneva per espressa rinuncia delle parti. VI. - Il collegio, stante l'approvazione, nelle more del giudizio, del d.lgs. 20 settembre 1999, n. 354 che escludeva dalle procedure di transazione ivi contemplate, gli atti introduttivi di giudizio arbitrale notificati dopo l'entrata in vigore del d.l. 180/1998, con cio' estendendo il divieto di rimessione al giudizio arbitrale delle controversie relative ai rapporti concessori sorti nella vigenza della legge n. 219/1981, riteneva opportuno convocare le parti per valutare il problema dell'incidenza di detto decreto nella procedura in corso. All'udienza del 5 giugno 2000, dopo ampia discussione, veniva sollevata questione di legittimita' costituzionale nei confronti dell'art. 3, comma 2, del d.l. 11 giugno 1998 n. 180 e del d.lgs. 20 settembre 1999 n. 354, in quanto impeditivo delle pronunce arbitrali e, con richiesta al collegio arbitrale la rimessione della questione alla Corte costituzionale. VII. - A fronte di specifica richiesta di parte, avanzata nell'udienza di cui sopra, il Collegio non puo' esimersi dal valutare la possibilita' di sollevare questione di legittimita' costituzionale innanzi alla Consulta sulla disciplina normativa che, sulla base delle prescrizioni di cui al d.lgs, n. 354/1999, impedisce allo stesso di pronunciarsi con lodo sulle richieste avanzate nell'atto di accesso, verificando preliminarmente la legittimazione del collegio a sollevare la questione di legittimita'. Il collegio e' ben consapevole della, ancora oggi, problematica possibilita' (senza che comunque vi sia alcuna definitiva soluzione al problema) per gli arbitri di assumere la veste di giudice a quo nel giudizio di legittimita' costituzionale. Un forte impulso alla prospettazione della questione di legittimita', piuttosto che arrestarsi alla mera declaratoria di incompetenza (unica alternativa ipotizzabile), viene, come si dira', dal principio di effettivita' della tutela giurisdizionale. Principio che, nel caso in questione, sembra assumere una portata ancora piu' ampia proprio perche' la mera applicazione della disciplina normativa, sospettata di incostituzionalita', sottrae la decisione sulla controversia esaminata. Per quel che riguarda la legittimazione, peraltro, e in linea col principio di effettivita' di cui si e' detto, il collegio ritiene di poter cogliere nella evoluzione sia normativa che dottrinaria e giurisprudenziale una piu' accentuata adesione alla tesi della configurabilita' degli arbitri come giudice a quo. In estrema sintesi sembrano deporre in questa direzione in primo luogo la piu' marcata assimilazione, nella evoluzione normativa, del collegio arbitrale - quando si tratti di arbitrati rituali come nel caso di specie - all'autorita' giudiziaria e, pertanto, il complessivo contesto modificativo della normativa processuale relativa all'arbitrato medesimo: basti pensare alla sostanziale equiparazione effettuata del lodo alla sentenza giudiziale, conferendo al primo la possibilita' di assumere una incidenza definitiva sulla sfera giuridica delle parti; l'introduzione dell'impugnazione per nullita' del lodo a seguito di mancata osservanza del principio del contraddittorio e, non ultimo, la rilevanza certamente notevole che assume la riformulazione dell'art. 819 c.p.c. Ben nota, peraltro, e' la, coerente a questo dato evolutivo, piu' recente impostazione dei commentatori in dottrina e non in contraddizione si mostrano alcuni spunti rinvenibili nelle conclusioni dello stesso giudice costituzionale (Ord. Corte costituzionale, 10-17 dicembre 1997, n. 410). Tenuto conto del quadro complessivo, e venuto meno l'ostacolo formale che prima era stato indicato in dottrina per escludere la possibilita' degli arbitri di proporre la questione di legittimita' (e cioe' la precedente formula dell'art. 819 c.p.c.), non e' dato ravvisare impedimenti tali da non consentire l'inserimento dell'arbitro nella definizione estensiva che ha dato la giurisprudenza della Corte costituzionale di autorita' giudiziaria (ai fini della legittimazione a sollevare la questione incidentale di legittimita' costituzionale) riferita anche ad organi non soggettivamente giurisdizionali ma che, in ogni caso, esercitano poteri decisori. VIII. - Tanto concluso sul piano della legittimazione, il collegio passa a valutare la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione. Sulla rilevanza della questione di legittimita' costituzionale Il d.l. 11 giugno 1998, n. 180, conv. in legge 3 agosto 1998, n. 267, al comma 2 dell'art. 3 prevede che "le controversie relative all'esecuzione di opere pubbliche comprese in programmi di ricostruzione di territori colpiti da calamita' naturali non possono essere devolute a collegi arbitrali". Successivamente al d.l. 180/1998, nella materia e' intervenuto il d.lgs. 20 settembre 1999, n. 354, recante disposizioni per la definitiva chiusura del programma di ricostruzione di cui al titolo VIII della legge 219/1981. Tale intervenuta disciplina (d.lgs. 354/1999) postula certamente l'applicazione del d.l. n. 180/1998 anche alle controversie relative all'esecuzione delle opere comprese nei programmi di ricostruzione di cui al titolo VIII legge 219/1981, nel momento in cui dispone nell'art. 8 lett. d) che il commissario straordinario liquidatore ai fini della transazione considera "i giudizi ordinari o arbitrali in corso o le istanze di accessi di arbitrati notificate prima dell'entrata in vigore del d.l. 11 giugno 1998, n. 180 convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 1998, n. 267". Tale formulazione legislativa nella sua estrema puntualita' non consente alcun spazio interpretativo. Essa esplicita che le istanze di accesso arbitrale notificate dopo l'entrata in vigore del d.l. 180/1998 non possono aver seguito e, per tal motivo, non rientrano fra i giudizi in corso valutati ai fini della transazione. Per legge vi e', dunque, un insuperabile impedimento acche' il collegio arbitrale pervenga al dispositivo in ordine alle domande. La controversia di cui all'atto di accesso notificato il 22 giugno 1998 dal Consorzio CORI, della quale si occupa il collegio arbitrale, rientra in quelle aventi titolo ex lege 219/1981 e, pertanto, la normativa della cui legittimita' si dubita trova applicazione nella situazione de qua ed e' quella impeditiva della pronuncia arbitrale sulle richieste avanzate nell'atto di accesso. Sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale Il Collegio reputa che fondati siano i dubbi di legittimita' costituzionale sulla disciplina normativa che, sulla base delle prescrizioni di cui al d.lgs. 354/1999, impedisce allo stesso di pronunciarsi con lodo sulle richieste avanzate nell'atto di accesso. Esso, cosi', procede ad esplicare le ragioni per le quali sembra sussistere la non infondatezza della questione di legittimita' costituzionale sollevata nei confronti dell'art. 3, comma 2, del decreto-legge 11 giugno 1998, n. 180, convertito con modificazioni nella legge 3 agosto 1998, n. 267 e dell'art. 8, comma 1, lett. d), del d.lgs. 20 settembre 1999, n. 354 per violazione degli artt. 3, 24, 76, 77 e 97 della Costituzione. 1. - Contrasto con l'art. 77 della Costituzione e art. 15 della 1egge 23 agosto 1988 n. 400. Violazione dell'art. 76 della Costituzione.Violazione della legge 15 maggio 1999, n. 144. Eccesso di delega. Il decreto legge 11 giugno 1998, n. 180. conv. in legge 3 agosto 1998, n. 267, e' cosi' caratterizzato: a) nel titolo il d.l. de quo delimita l'ambito di applicazione della disciplina con "misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico e a favore delle zone colpite da disastri franosi nella Regione Campania". b) la premessa del d.l. conferma, poi, il titolo, individuando le finalita' della normativa laddove afferma che l'emanazione delle disposizioni e' conseguente alla "straordinaria necessita' e urgenza di emanare prime disposizioni per le zone della Campania colpite dai disastri idrogeologici del 5 e 6 maggio 1998". c) il contenuto tutto del d.l. conferma quanto sopra riferendosi a situazioni di calamita' naturali e richiamando gli eventi che sono ricompresi nella disciplina (eventi franosi verificatisi nel comune di Sarno ed eventi sismici del territorio umbro); d) la formula dispositiva, che reca il divieto di affidamento agli arbitri delle controversie, si riferisce "alle opere pubbliche comprese in programmi di ricostruzione di territori colpiti da calamita' naturali". Ebbene e' noto che la legge 219/1981 e' distinguibile in due parti di cui la prima si riferisce a provvedimenti di ricostruzione dei territori colpiti dagli eventi sismici del 1980/1981. Infatti, il titolo I e ss. della normativa dichiara di preminente interesse nazionale "l'opera di ricostruzione" delle Regioni di Basilicata e Campania disastrate per effetto del terremoto e, nei successivi articoli, si preoccupa di disciplinare in maniera dettagliata l'intervento stesso specificamente finalizzato alla ricostruzione. Tale disciplina, poi, trova la sua conclusione funzionale nel titolo VII laddove vengono individuate le norme finali e, nell'ambito di queste ultime, le disposizioni transitorie. Il successivo titolo VIII costituisce invero normativa distinta, finalizzata alla realizzazione di un programma straordinario di edilizia residenziale nell'area metropolitana di Napoli (art. 80 legge 219/1981). Ne consegue che il divieto di cui al II comma dell'art. 3 d.l. 180/1998, laddove si richiamano espressamente i "programmi di ricostruzione di territori colpiti da calamita' naturali", sarebbe eventualmente riferibile solo ai primi sette titoli della legge 219 del 1981 e non a titolo VIII. Il d.lgs. 354/1999, con la formula dispositiva contenuta nell'art. 8, comma 1, lett. d), certamente estende alle controversie ex lege 219/1981 il divieto di devoluzione alla decisione arbitrale. Ebbene tale estensione mostra vizi di legittimita' costituzionale. Innanzitutto come e' noto, il comma 3 dell'art. 15 della legge n. 400 del 1988 stabilisce che i decreti legge devono contenere misure di immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo. La prescrizione legislativa appena citata costituisce la esplicitazione di contenuti rinvenibili nella regola costituzionale di cui all'art. 77 della Costituzione, ed agevolmente da essa desumibili osservando il modo in cui la norma costituzionale ha disciplinato, nei presupposti e nelle modalita' di esplicazione, questo potere eccezionale di normazione del Governo. Non sembra dubbio in verita' che, nel caso di specie, si possa ravvisare un contenuto del decreto-legge, di cui si sospetta la illegittimita' costituzionale, del tutto in contraddizione con la appena richiamata complessiva disciplina. Non vi e' la specificita' e l'omogeneita', nel momento in cui vengono ricomprese situazioni del tutto differenti, sol che si consideri la diversita' dei contesti, quanto a presupposti e tempi, in cui si sono realizzati gli eventi cui sono correlate le clausole compromissorie e le procedure arbitrali conseguenti. Non vi e' certamente la corrispondenza al titolo, dal momento che l'intervento e', come detto, riferito alla prevenzione del rischio idrogeologico a favore delle zone colpite dai disastri franosi del maggio 1998 nella Regione Campania; mentre le procedure arbitrali coinvolte sono risalenti nel tempo e riferite a tutt'altra situazione e cioe', come detto, ad un programma straordinario di edilizia residenziale nell'area metropolitana di Napoli. Sotto questo profilo, invero, si connette al vizio appena evidenziato quello dell'eccesso di delega che affligge il d.lgs. 354/1999, perche' non vi e' traccia nei principi e nei criteri direttivi contenuti nella legge di delegazione di un'estensione del potere del legislatore delegato tale da consentirgli di considerare la disciplina contenuta nel d.l. 180/1998 come applicabile, ai fini delle procedure di liquidazione affidate ad apposito commissario, anche al contenzioso originato dal programma residenziale nel territorio della Citta' di Napoli di cui a1 titolo VIII della legge n. 219/1981. 2. - Contrasto con gli artt 3, 24 e 97 della Costituzione. Il divieto contenuto nel 180/1998 e poi nel d.lgs. 354/1999 si mostra in contrasto con l'invocato parametro per una pluralita' di profili. Giova ribadire, come gia' evidenziato, che il divieto di devoluzione a collegi arbitrali delle controversie relative all'esecuzione di opere pubbliche comprese in programmi di ricostruzione di territori colpiti da calamita' naturali, e' contenuto in un testo normativo recante "misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico e a favore delle zone colpite da disastri franosi nella Regione Campania". Pur volendo conferire limitato rilievo al titolo, e' difficile cogliere la logica ispiratrice di un divieto di tal genere pur se limitato alle specifiche situazioni disciplinate nel testo in cui il divieto e' contenuto. In tale direzione, infatti, il collegio non puo' non considerare che dovrebbe essere piuttosto coerente con un impianto normativo destinato a fronteggiare situazioni di emergenza la rapida soluzione di controversie ad esse opere correlate. Siffatta valutazione, che gia' probabilmente si viene a collocare in un'area diversa dalla discrezionalita' del legislatore per attingere profili di illegittimita', in maniera piu' marcata connota il vizio laddove si pervenga, come la complessiva normativa sospettata di illegittimita' impone, ad una innaturale ed incomprensibile estensione a fenomeni diversi e che hanno trovato per di piu' una conformazione e definizione delle posizioni nel lungo tempo trascorso. Al riguardo va considerato anche che la clausola compromissoria ha costituito un elemento caratterizzante le concessioni per la realizzazione dell'intervento edilizio di cui al titolo VIII legge n. 219/1981. Clausola collegata ad interessi specifici di entrambe le parti stipulatrici del patto convenzionale e che ha costituito, cosi', anche fonte condizionante la reciprocita' delle obbligazioni. E' ovvio, infatti, che la soluzione arbitrale, per le caratteristiche di celerita' del procedimento, e' funzionale alla definizione rapida di controversie e ad evitare che essa si prolunghi per un tempo comportante danno per entrambe le parti. E quanto questo sia vero anche per la parte pubblica risulta proprio dalla procedura transattiva prevista dal d.l. 354/1999, teso alla chiusura per evitare incertezze che si riflettano sugli stanziamenti nel bilancio statale. Si mostra, allora, il vizio della irragionevolezza della scelta legislativa nel momento in cui fissa, per di piu' con un provvedimento d'urgenza, un termine invalicabile per la tutela piu' rapida quale puo' realizzarsi nella sede arbitrale. Irragionevole, pertanto, il divieto in se' in un contesto evolutivo teso, al contrario, a favorire la composizione in sede alternativa a quella giudiziaria. Irragionevole fissare un termine con il quale si determina una ingiustificata ed incomprensibile disparita' di situazioni. La impossibilita' di trovare una ragione giustificatrice e una benche' minima coerenza in siffatta opzione legislativa, evidenzia in maniera ancora piu' efficace il vizio nella prospettiva della ingiustificata disparita' di trattamento di situazioni assolutamente uguali e dell'abbassamento di tutela di alcuni rispetto ad altri. Non vi e' dubbio, infatti, che alcuna distinzione e' ipotizzabile tra i concessionari e che in alcun modo l'elemento tempo possa incidere per differenziare le posizioni. Ne consegue che illegittima si mostra la previsione di regimi differenziati di tutela e che ancor piu' tale illegittimita' si presenti nel momento in cui si escludono dalla generale procedura transattiva le istanze di accesso arbitrale notificate oltre un determinato termine. Non sembra dubitabile che lo schema di transazione generalizzato sia funzionale alla conclusione alternativa rispetto alla definizione giudiziale e sia ispirata alla, del tutto condivisibile, esigenza di contemperare l'interesse pubblico e quello privato. In questo quadro coerente nelle sue finalita' e nelle modalita' per perseguirle, appare arbitraria la sottrazione di alcune situazioni senza che cio' trovi alcun aggancio in elementi che possano distinguere le situazioni stesse si' da giustificare la posizione deteriore che la legge impone.