IL TRIBUNALE Nel procedimento penale a carico di: 1) Bruno Binasco, libero, con gli avv. Oreste Dominioni e Cesare Zacconi; 2) Antonio Crespo, libero, con gli avv. Giuseppe Pezzotta e Canovi; 3) Aldo Franchi, libero contumace, con l'avv. Franco Rossi Galante; 4) Marco Franchi, libero contumace, con l'avv. Franco Rossi Galante; 5) Pieragostino Franchi, libero contumace, con l'avv. Franco Rossi Galante; 6) Marcellino Gavio, libero contumace, con gli avv. Edda Gandossi e Oreste Dominioni; 7) Gianstefano Frigerio, libero, con gli avv. Guido Murdolo e Manola Murdolo. Imputati in ordine ai reati di cui ai decreti che dispongono il giudizio nei procedimenti riuniti 1145/97, 878/98, 1108/98, 1907/99 RG trib; a scioglimento della riserva assunta all'udienza 4 luglio 2000 ha emesso la seguente ordinanza sulla questione di illegittimita' costituzionale degli artt. 210 e 513 c.p.p., per violazione degli aria. 3, 24, 111 e 112 Cost., che viene sollevata d'ufficio, nonche' dell'art. 197, lett. A) c.p.p. sollevata dal pubblico ministero per violazione degli artt. 3, 25, 101, secondo comma, 111 e 112 Cost., su eccezione del pubblico ministero. O s s e r v a Il procedimento ha per oggetto una serie di fatti di corruzione, turbata liberta' degli incanti, e prima dell'apertura del dibattimento alcune posizioni sono state separate per la definizione con rito alternativo, o con eventuale pronuncia di non doversi procedere ai sensi dell'art. 469 c.p.p.. Alla prima udienza del 6 giugno 2000 sono state separate le posizioni degli imputati che hanno chiesto un rito alternativo, per un imputato deceduto, e per quelli che hanno conseguito il consenso del pubblico ministero in ordine alla declaratoria di non doversi procedere per prescrizione ai sensi dell'art. 226 d.lgs. 51/1998 (Citaristi; Rocco di Torrepadula, Simontacchi, Tomaselli, Tumini, Craxi). Si e' proceduto alla apertura del dibattimento ed alle richieste di prova - tutte accolte dal tribunale - e quindi nel corso delle successive udienze del 20 giugno, 27 giugno e 4 luglio e' stata espletata la prova orale chiesta dal pubblico ministero, che si e' principalmente articolata nell'esame di numerosi imputati in procedimento connesso, di cui uno solo (Simontacchi) ha inteso rispondere alle domande postegli dalle parti. Tutti gli altri soggetti ex art. 210 c.p.p. citati dal pubblico ministero hanno invece dichiarato di volersi avvalere della facolta' di non rispondere, sia comparendo avanti al tribunale, sia facendo pervenire al pubblico ministero, ovvero nella cancelleria del giudice, missive in cui esprimevano il medesimo intendimento, e che sono state acquisite al fascicolo del dibattimento sull'accordo delle parti in sostituzione della comparizione e del tentativo di sottoporli ad esame. Occorre poi ulteriormente premettere che il procedimento e' evidentemente ed incontestatamente ai principi di cui all'art. 111 Cost., come modificato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, in quanto il dibattimento e' stato aperto in epoca successiva alla introduzione della predetta innovazione legislativa. In ordine alla rilevanza della questione sollevata dal pubblico ministero per la definizione del processo, basti osservare che dal decreto che dispone il giudizio e dalla richiesta di prove formulata dal pubblico ministero ai sensi dell'art. 493 c.p.p., ammesse dal tribunale con ordinanza del 6 giugno 2000, si evince che la responsabilita' degli imputati non puo' essere valutata prescindendo dalle dichiarazioni accusatorie formulate dai soggetti ex art. 210 c.p.p., i quali in grande maggioranza hanno definito la propria posizione con sentenza di applicazione della pena ormai irrevocabile. Esse non possono trovare ingresso nel dibattimento posto che dette persone si sono avvalse della facolta' di non rispondere. Non risultano poi elementi da cui desumere la sussistenza dei presupposti ex art. 111, quinto comma, Cost., per l'acquisizione dei verbali utilizzati per le contestazioni, ossia per la formazione della prova in deroga al principio del confronto dialettico (consenso dell'imputato; impossibilita' di natura oggettiva; provata condotta illecita). In principalita', ed in difformita' rispetto alla prospettazione del pubblico ministero - tanto da generare la necessita' di sollevare d'ufficio una diversa questione di costituzionalita' - il tribunale ritiene che il principio di formazione della prova in contraddittorio di cui ai quinto comma dell'art. 111 Cost., comporta la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' dell'intero sistema di assunzione della prova per cio' che concerne le dichiarazioni di persone esaminate ai sensi dell'art. 210 c.p.p., sotto il profilo della previsione della facolta' di non rispondere in ordine a circostanze concernenti la responsabilita' di altri. Il collegio in proposito intende quindi ribadire e richiamare i rilievi gia' esposti nella propria ordinanza del 20 marzo 2000 emessa nell'ambito del procedimento a carico di Tommaso Berger. La Corte costituzionale con la sentenza n. 361 del 1998 aveva individuato nel meccanismo delle contestazioni ai sensi dell'art. 500 c.p.p., il sistema con il quale contemperare il principio del diritto di difesa (art. 24), con quelli di ragionevolezza (art. 3), di obbligatorieta' dell'azione penale (112 Cost.), e conseguentemente di conservazione della prova. Tale assetto di composizione dei diversi principi risulta ora superato dall'introduzione di specificazioni circa la garanzia di formazione in contraddittorio della prova fissato dal nuovo art. 111, con l'esplicita vanificazione, quanto all'efficacia probatoria, delle dichiarazioni gia' rese nelle indagini preliminari da chi si sottrae volontariamente al contraddittorio mediante l'esercizio della facolta' di non rispondere. Secondo il parere del tribunale le nuove regole fissate dall'art. 111 della Cost. impongono una revisione dei confini tra il diritto alla formazione in contraddittorio della prova, ed il diritto al silenzio del dichiarante erga alios nel senso che alla maggiore espansione ed alla piu' intensa tutela del primo, corrisponde inevitabilmente la riduzione dell'area costituzionalmente protetta riguardante l'esercizio della facolta' di non rispondere. Alla luce della nuova composizione delle diverse garanzie fondamentali scaturita dalle innovazioni introdotte con legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2, si rivela contraria al precetto costituzionale del diritto al contraddittorio - come tale suscettibile di ristrettissime esclusioni, espressamente individuate dall'art. 111 stesso (consenso dell'imputato; impossibilita' di natura oggettiva; provata condotta illecita) - la previsione della facolta' di non rispondere prevista dall'art. 210 c.p.p. .quanto alle dichiarazioni che un imputato renda su fatti concernenti la responsabilita' di altri. In altre parole, confligge con siffatta ridisegnazione del principio del confronto dialettico in dibattimento, la previsione della legge ordinaria circa la facolta' dell'imputato di non rispondere per quanto attiene alle dichiarazioni accusatorie nei confronti di altri soggetti. Ferma restando l'intangibilita' del diritto al silenzio dell'imputato fin dall'inizio delle indagini preliminari, va posto in evidenza che per effetto della nuova composizione creatasi tra le diverse garanzie costituzionali, l'eventuale scelta di rendere dichiarazioni su fatto che implica la responsabilita' altrui ha ormai acquisito la connotazione dell'irrevocabilita', posto che le dichiarazioni stesse spiegano nei confronti dell'accusato effetti di rilevanza tanto grande nella fase predibattimentale, da portare in alcuni casi persino alla limitazione della liberta' personale, in ottemperanza al principio - anch'esso costituzionalmente protetto - di esercizio della giurisdizione penale. Una volta intrapresa la via della formulazione di dichiarazioni coinvolgenti la responsabilita' di altri, l'esercizio successivo del diritto ai silenzio da parte della persona sottoposta ad esame ai sensi dell'art. 210 c.p.p., finisce per scontrarsi con il diritto dell'accusato al confronto dialettico nella formazione della prova, ormai assunto a regola costituzionale. La concorrenza tra le due predette contrapposte articolazioni del diritto di difesa puo' essere composta solo affermando l'intervenuta compressione - per effetto dell'introduzione delle nuove regole ex art. 111 della Cost. - dello spazio costituzionalmente garantito del diritto al silenzio, che non puo' piu' includere la facolta' di non rispondere per il dichiarante erga alios. La contraria opinione implicherebbe l'irragionevole ed inaccettabile sacrificio dei principi del libero convincimento del giudice, della irrinunciabile funzione conoscitiva del processo, dell'indefettibilita' della giurisdizione e dell'obbligatorieta' dell'azione penale. Non si potrebbe poi ovviare alla dispersione della prova neppure ricorrendo allo strumento dell'incidente probatorio, posto che detto meccanismo costituisce una mera anticipazione del sistema di assunzione della prova, nell'ambito del quale resta comunque salva la facolta' di non rispondere. Con riferimento al caso posto all'attenzione del tribunale, non vi sono elementi che consentano di ipotizzare che i soggetti che nel presente dibattimento si sono avvalsi della facolta' di non rispondere avrebbero tenuto un atteggiamento diverso se fossero stati esaminati in sede di incidente probatorio. Da ultimo, va notato che lo stesso tenore letterale delle nuove norme costituzionali (quarto comma dell'art. 111 Cost.) nella parte in cui esse definiscono come sottrazione al contraddittorio la volonta' di non rispondere, sembrano connotare di disvalore la mancanza di coerenza nel proposito di rendere dichiarazioni accusatorie nei confronti di altre persone, implicitamente ponendo ii precetto dell'obbligo giuridico di rispondere per chi, una volta operata la scelta di raccontare fatti che coinvolgono la responsabilita' di altri, rifiuti di sottoporsi al contraddittorio per motivi diversi da quelli enunciati dal sesto comma dell'art. 111 Cost., e dunque persino per ragioni non meritevoli d'essere tutelate dall'ordinamento. Quanto alla questione sollevata dal pubblico ministero, va rilevato che essa implica una rivisitazione ideologica dell'istituto del diritto al silenzio, nonche' l'attribuzione della nuova veste di vero e proprio testimone all'imputato di procedimento connesso o al coimputato nel medesimo reato - la cui posizione sia stata definita con sentenza di condanna divenuta irrevocabile - che venga chiamato a rendere dichiarazioni eteroaccusatorie in altro dibattimento, con gli inevitabili corollari in tema di obbligo di verita', in ordine alla valutazione della prova - con sottrazione del contenuto delle dichiarazioni medesime al regime dei riscontri ex art. 192 c.p.p, - ed in materia di sanzioni penali, di possibili contrasti con il principio - nemo tenetur se detegere rappresentato dai possibili riflessi probatori nel giudizio civile di restituzioni e di risarcimento del danno, e dall'ipotizzabile preclusione ai giudizio di revisione. Benche' per le ragioni dette la questione in parola non appaia pienamente coerente con i principi che hanno ispirato il legislatore del codice di rito - nell'esercizio della sua discrezionalita' - in ordine al complessivo regime che questo ha riservato ai soggetti di cui all'art. 210 c.p.p., si deve comunque prendere atto che detta prospettazione di incostituzionalita' non puo' certo definirsi manifestamente infondata - tanto che e' stata sollevata da diverso collegio della sezione, con l'ordinanza del 16 maggio 2000, nel procedimento a carico di Nicola Di Muro, che va integralmente richiamata - ed appare dunque meritevole anch'essa d'essere sottoposta al vaglio di legittimita' della Corte costituzionale.