IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa iscritta al registro n. 1/2000 promossa da: Atripaldi Antonella rappresentata e difesa dall'avv. Solivo del Foro di Biella; Contro Azienda sanitaria locale n. 11 di Vercelli in persona del direttore generale pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Carlo Merani del Foro di Torino. Il giudice del lavoro, all'udienza del 27 giugno 2000, letti gli atti e vagliati i documenti; O s s e r v a 1. - Con ricorso depositato nella cancelleria di questo ufficio in data 5 gennaio 2000, la dott.ssa Antonella Atripaldi impugnava il provvedimento emesso in data 7 giugno 1999 dall'A.S.L. n. 11 di Vercelli con il quale era stata rigettata la domanda avanzata dalla ricorrente in data 27 maggio 1999 con la quale la stessa, in qualita' di dirigente di primo livello di neuropsichiatra infantile, aveva chiesto all'amministrazione di appartenenza la trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale. A sostegno della domanda l'esponente rivendicava l'applicabilita' dell'art. 1 comma 57 della legge n. 662/1996 e la violazione della legge n. 488/1999 che aveva modificato la disciplina dell'art. 39 comma 18-bis della legge n. 449/1997 sostenendo di vantare una posizione di diritto soggettivo nei riguardi dell'amministrazione alla trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale. Resisteva in giudizio l'A.S.L. convenuta chiedendo la reiezione del ricorso sul presupposto della permanenza di un potere discrezionale nella valutazione delle domande da parte dell'ente pubblico a fronte del riconoscimento di una posizione di interesse pretensivo dell'instante. 2. - Questo giudice, al fine di meglio inquadrare la fattispecie, ritiene utile illustrare la normativa del part-time nel settore pubblico cosi' come la stessa si e' evoluta negli ultimi anni. In origine il d.P.C.M. 17 marzo 1989 n. 117 recava norme regolamentari sulla disciplina del rapporto di lavoro a tempo parziale consentendo alle pubbliche amministrazioni di costituire nuovi rapporti di lavoro part-time o trasformare quelli gia' esistenti a tempo pieno in rapporti a tempo parziale. Gli artt. 2 e 7 fissavano i limiti di tale potere, indicando, rispettivamente, il limite massimo della fruibilita' dell'istituto nella quota del 20% della dotazione della pianta organica di personale a tempo pieno ed i termini per la presentazione delle domande e per l'adozione dei provvedimenti da parte delle p.a. In applicazione di tale normativa si riteneva che la possibilita' per il pubblico dipendente di ottenere la trasformazione del rapporto di impiego da tempo pieno a tempo parziale non costituisse espressione di libera scelta del dipendente, ma fosse condizionata dal consenso dell'amministrazione di appartenenza che poteva legittimamente rigettare l'istanza in caso di comprovata necessita' di organico (cfr. Tribunale amministrativo regionale Emilia-Romagna, sez. I, 1o luglio 1997 n. 425 in Tribunale amministrativo regionale, 1997, I, 3150). Il comma 20 dell'art. 22 della legge 23 dicembre 1994 n. 724 elevata dal 20 al 25% la quota di personale suscettivile di fruire dell'istituto. L'art. 1, comma 57 della legge 23 dicembre 1996 n. 662 ha stabilito che "il rapporto di lavoro a tempo parziale puo' essere costituito relativamente a tutti i profili professionali appartenenti alle varie qualifiche o livelli dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ad esclusione del personale militare, di quello delle forze di polizia e del corpo nazionale di vigili del fuoco". La procedura ai fini della costituzione del rapporto veniva disciplinata dal successivo comma 58, ove si e' previsto che "la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale avviene autonomamente entro sessanta giorni dalla domanda". Si e' stabilito inoltre che tale disposizione consente all'amministrazione di non accogliere la richiesta di trasformazione del rapporto solo nell'ipotesi in cui l'attivita' lavorativa di lavoro autonomo comporti conflitto di interessi con la specifica attivita' di servizio svolta dal dipendente, mentre, in presenza di grave pregiudizio alla funzionalita' dell'amministrazione permette solo di differirne gli effetti per un tempo di sei mesi. Tale disposizione e' stata ritenuta applicabile, salve le eccezioni espresse, a tutti i dipendenti delle pubbliche amministrazioni e quindi anche ai dirigenti sanitari di primo livello (cfr. Tribunale amministrativo regionale Lombardia, 12 novembre 1997, in LPO, 1998, 1040 e conf. Tribunale amministrativo regionale Friuli Venenzia Giulia 23 novembre 1998 n. 1365) e si e' sostenuto l'illegittimita' della limitazione inserita nelle circolari della presidenza del Consiglio dei ministri 19 febbraio 1997 e 18 luglio 1997 n. 6/97 sul presupposto del riconoscimento del diritto, anche in capo al personale dirigente della p.a. alla trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale (Tribunale amministrativo regionale Lombardia 13 dicembre 1997 n. 2199 in FI, 1998, III, 176). Con l'entrata in vigore della legge n. 662/1996 e' lecito ritenere che i limiti, anche quantitativi, precedentemente fissati ai fini del vaglio delle domande siano stati abrogati per effetto dell'incompatibilita' delle nuove norme con quelle previgenti. In tal senso depongono sia il meccanismo della trasformazione automatica del rapporto in caso di mancata adozione di provvedimento entro i sessanta giorni dalla domanda, sia gli angusti limiti di esercizio del potere di rigetto dell'amministrazione (cfr. ut supra e conf. ord. Tribunale amministrativo regionale Veneto 6 giugno 1997 in Tribunale amministrativo regionale 1997, 3092 di rimessione degli atti alla Corte cost. in Tribunale amministrativo regionale, 1997, I, 3092 e Tribunale amministrativo regionale Lazio, sez. 2, 26 ottobre 1998 n. 1711). Sotto tale profilo del tutto improprio considerare ancora configurata in capo al richiedente una posizione di interesse legittimo e non di diritto soggettivo nei riguardi della pretesa al riconoscimento della sussistenza dei presupposti per la trasformazione del rapporto. In altri termini, la p.a. - al di la' dell'ipotesi di conflitto di interessi di cui si e' detto - e' tenuta ad accogliere la domanda del dipendente perche' mantiene soltanto il potere di differire di sei mesi la trasformazione del rapporto. Solo un'interpretazione estensiva, non giustificata dalla lettera della disposizione dell'art. 1, comma 58 legge n. 662/1996, puo' portare a ritenere che il limite dei sei mesi operi "come spazio temporale ordinario per far fronte alle esigenze organizzative connesse al ridotto impegno lavorativo dell'interessato senza escludere che la carenza di soluzioni immediatamente applicabili legittimi eccezionalmente la fissazione di tempi piu' lunghi per la trasformazione del rapporto, o addirittura porti al momentaneo rigetto della domanda, se la situazione organizzativa non consenta allo stato di programmare, con un attendibile grado di precisione, variazioni di assetto compatibili con le necessita' funzionali dell'ente" (cfr. Tribunale amministrativo regionale Piemonte, 16 luglio 1998 n. 281). L'affermazione contenuta nell'ordinanza n. 164/1999 della Corte costituzionale - seconda la quale le disposizioni sopravvenute alle ordinanze di rimessione hanno innovato il complessivo quadro normativo di riferimento rendendo indispensabile il riesame dei giudici a quibus - non rappresenta ad avviso di questo giudice una decisione implicita della questione, ma una mera constatazione in cui non si ravvisa alcuna valutazione di ordine istituzionale-costituzionale, ma solo una presa d'atto delle scelte legislative. La normativa successiva non risolve i problemi aperti dalla marcata liberalizzazione del part-time all'interno del pubblico impiego ma, anzi, per il settore di appartenenza della ricorrente, sembra ampliarli. Infatti con l'art. 39 comma 27 della legge n. 449/1997 e' stata estesa l'applicazione delle disposizioni dell'art. 1, comma 58 e 59 della legge 23 dicembre 1996, n. 662 al personale delle regioni e degli enti locali fino a che ciascuno di tali enti non disponga diversamente con proprio atto normativo; in assenza dell'atto normativo da parte dell'ente locale non possono che operare le disposizioni in esame. L'introduzione di ulteriore elementi di "flessibilita'" nei rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti di cui agli artt. 36 comma 7 e 36-bis d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 come modificato dal d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 sembra incidere solo sulle forme contrattuali di assunzione e di impiego ma non anche, a monte, sui criteri di vaglio delle domande dei dipendenti che aspirano a fruire del tempo parziale. Nello stesso senso vanno le disposizioni che ammettono la possibilita' di forme sperimentali di contrattazione collettiva anche in ordine all'articolazione flessibile dell'orario di lavoro ed alla diffusione del part-time di cui all'art. 8 comma 1 lettera i) del d.lgs. 4 novembre 1997, n. 396. Infine le norme in tema di telelavoro, si appalesano oggettivamente inapplicabili al rapporto di cui trattasi in relazione alla peculiare natura del medesimo. Ne' sembra possibile argomentare in senso contrario in base all'introduzione delle norme di cui al c.d. decreto Bindi (cfr. d.lgs. 299/1999). Quale atto normativo primario esso e' certamente idoneo a svolgere il ruolo di normativa speciale rispetto a quella generale (rif. legge n. 662/1996) nella disciplina del rapporto di lavoro dei dirigenti medici. Cio' non legittima, tuttavia, l'inferenza deduttiva in forza della quale la soppressione dei posti di lavoro a tempo definito di cui all'alinea del comma 3 dell'art. 15-bis porterebbe ad escludere, a fronte dell'istanza di totale disponibilita' del dirigente (art. 15-sexies), la compatibilita' all'attivita' di istituto dei limiti di orario con i rapporti part-time. Infatti la disciplina dell'art. 15-bis appare dettata con prevalente riguardo ai dirigenti responsabili di struttura e non ai dirigenti medici tout court. Cio' si sostiene in quanto, al di la' del titolo, sul piano sistematico tutte le disposizioni di cui agli artt. 15-bis, 15-ter, 15-quater e ss., fanno riferimento ai dirigenti prendendo in esame coloro i quali hanno compiti di direzione delle strutture e degli uffici (cfr. art. 15-bis comma 2) e/o di preposizione a strutture complesse (cfr. artt. 15-bis e 15-ter). L'esclusivita' del rapporto dirigenziale (sancita dal comma 2 dell'art. 15-bis) e' stabilita in stretta connessione con la previsione dell'affidamento ai dirigenti della direzione delle strutture e degli uffici secondo i criteri e le modalita' di cui al primo comma dello stesso articolo. Pertanto i dirigenti in rapporto ai quali e' stabilita la soppressione dei rapporti di lavoro a tempo definito non possono che essere quelli indicati al comma 1 dell'art. 15-bis. Una siffatta interpretazione, oltre ad essere coerente con la lettere e la sistematica delle norme in esame, appare conforme alla ratio della legge, che e' improntata al fine di garantire al servizio sanitario nazionale l'esclusivita' del rapporto di lavoro dei dirigenti del ruolo sanitario per gli incarichi di direzione di struttura semplice o complessa (art. 15-quinques) e la totale disponibilita' nello svolgimento delle funzioni dirigenziali attribuite dall'azienda ai predetti, della competenza professionale posseduta e della disciplina di appartenenza. Va notato inoltre come, nell'innovazione della disciplina del d.lgs. 502/1992 da parte dell'art. 15 del d.lgs. 229/1999, il legislatore si limiti a sopprimere i rapporti a tempo definito per la dirigenza sanitaria solo con riguardo a soggetti aventi responsabilita' organizzative e di struttura. Infine, anche la disposizione di cui all'art. 15-quinques comma 7 (che disciplina la fase transitoria fino al 31 dicembre 1999) mantiene ferma la distinzione tra dirigenti di primo e secondo livello. La natura ed il tipo di impegno connessi alla funzione dirigenziale propriamente detta (con compiti di direzione di strutture), trovano precisi riscontri nelle disposizioni afferenti alle nomine (rif. artt. 15, 15-ter) ed in quelle relative ai trattamenti economici (cfr. art. 15-quater) che giustificano pienamente un impegno lavorativo di durata non riducibile. Ne' sembrano poter trovare applicazione al caso di specie le disposizioni di cui all'art. 20 della legge 488/1999 che, nell'innovare il comma 18 lettera f), ha disposto il consenso all'accesso ad un regime di impegno ridotto per il personale non sanitario con qualifica non dirigenziale escluso da preposizione a titolarita' di uffici (rif. comma 18-bis). Tale norma speciale, invero, si riferisce unicamente al personale non sanitario e non sembra possa avere efficacia estensiva e/o di interpretazione autentica del diverso regime previsto per il personale sanitario in assenza di precisi riferimenti letterali in tal senso. Per poter ritenere sussistente l'abrogazione, anche in forma implicita, degli atti normativi precedenti, occorre infatti riscontrare la diversita' ed incompatibilita' contenutistica delle nuove disposizioni, profili questi che esulano dalla fattispecie in esame. Ne' giova ai fini interpretativi valorizzare quanto previsto dalla norma programmatica dell'art. 63 comma 1 del nuovo C.C.N.L. per i dipendenti del servizio nazionale. Ivi si dispone che le parti, pur prendendo atto che, nell'art. 20 comma 1 punto 18-bis della legge 488/1999 l'istituto del part-time non e' consentito ai dirigenti sanitari, concordano sulla necessita' ed urgenza di affrontare il problema di utilizzazione di tale istituto esclusivamente in quei casi in cui risulta comprovata una particolare esigenza familiare, fermo restando il rapporto esclusivo, con sospensione provvisoria della eventuale libera professione intramuraria svolta. In sede di interpretazione, va rilevato come la fonte pattizia debba comunque rispettare quanto previsto dalle disposizioni normative in materia, non essendo operante nella specie alcuna forma di delegificazione. Ne consegue, in relazione a quanto esposto, che la previsione del divieto di applicazione del tempo parziale ai dirigenti non sembra potersi riferire che a quelli gia' individuati come dirigenti di secondo livello, lasciando ancora aperti i termini del problema per quelli di primo livello cui appartiene la ricorrente. 3. - Cio' premesso, si rileva pertanto che le norme da applicare, ai fini di causa, si riducono alle disposizioni di cui all'art. 1 comma 57 e 58 legge n. 662/1999 ed all'art. 31 comma 41 della legge n. 448/1999 che demanda alla contrattazione collettiva l'individuazione di particolari modalita' operative anche con previsione di riduzione delle percentuali previste per la generalita' dei casi e l'esclusione di determinate figure professionali ritenute particolarmente necessarie ai fini della funzionalita' dei servizi. Questo giudice dubita della legittimita' costituzionale delle disposizioni sopra indicate in relazione agli artt. 3, 97 e 32 in quanto le stesse si appalesano irrazionali, foriere di disparita' di trattamento dei cittadini, lesive del principio di ragionevolezza organizzativa e della garanzia di un adeguato grado di tutela della salute quale diritto fondamentale dell'individuo. Il dubbio di costituzionalita' e' rilevante ai fini della decisione della causa in quanto solo dall'applicazione di tali norme puo' accertarsi la sussistenza del diritto della ricorrente. Le norme di cui alla legge n. 662/1996 in esame appaiono irrazionali in quanto configurano l'accesso al tempo parziale come un diritto, ovvero come una facolta' del dipendente e, con riferimento alle modalita' applicative di cui all'art. 31 comma 41 legge n. 448/1998, demandano alla contrattazione collettiva scelte di riduzione delle percentuali previste, ovvero di esclusione di determinate figure professionali senza indicarne, se non in termini generici, i criteri e senza che siano fissate "a monte" adeguate norme di salvaguardia. L'ipotesi di un esercizio anche non massiccio ma, ad es. "a scacchiera" o in forme imprevedibili, di tale diritto o facolta' da parte di dipendenti di settori sensibili e delicati quali quello in cui opera l'esponente nell'ambito di una struttura complessa, appare gia' di per se' idoneo a rendere assai problematico il soddisfacimento dei compiti istituzionali dell'Ente. Tale evenienza puo' apprezzarsi in termini concreti e non meramente teorici, qualora si consideri che le norme sopra indicate estendono l'accesso al tempo parziale ai dipendenti appartenenti a tutti i livelli e a tutte le qualifiche, eccezion fatta che per i dirigenti di secondo livello. In relazione alle diverse possibilita' di conclusione delle trattative sindacali, la contrattazione collettiva puo' portare a differenti soluzioni in ordine alle modalita' applicative ed alle scelte di riduzione delle percentuali e/o di esclusione delle figure professionali che, da caso a caso, possono essere individuate come particolarmente necessarie per la funzionalita' dei servizi. I corollari di tali osservazioni appaiono del tutto evidenti: il rischio di una disparita' di trattamento dei cittadini-utenti delle strutture sanitarie si articola, amplificandosi o atteggiandosi in modi e forme diverse, a seconda del contratto concluso ed applicato in una determinata unita' sanitaria locale; le incertezze sulle scelte delle modalita' applicative finiscono per incidere direttamente sulla funzionalita' organizzativa dei diversi comparti ospedalieri in quanto complicano sia la pianificazione degli organici che la gestione degli stessi e cio' in violazione del principio di ragionevolezza organizzativa (art. 97 Cost.) che, nel settore di appartenenza della ricorrente, assume importanza fondamentale proprio ai fini di presidiare i livelli di efficienza e funzionalita' ritenuti la migliore garanzia per la prestazione delle cure in vista della tutela del diritto alla salute dei cittadini.