LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE

    Ha   emesso   la   seguente  ordinanza  sul  ricorso  n. 906/2000
  depositato  il  17  marzo  2000 avverso S/RIF su Rimb n. 31-12-99 -
  I.R.A.P.  1998  contro  Regione Liguria, Genova, proposto da Studio
  Rosina  e  associati  dottori  commercialisti residente a Genova in
  piazza G. Verdi n. 4/8, difeso da Rosina Daniela residente a Genova
  in  piazza  Verdi  n. 4/8 e Traverso Giovanni residente a Genova in
  piazza Verdi n. 4/8.

                      Svolgimento del processo

    Nei mesi di giugno e novembre 1998 lo Studio Rosina e Associati -
  dottori  commercialisti,  verso'  in  due rate la complessiva somma
  pari  a  L.  82.876.000 a titolo di IRAP; e, con successiva istanza
  del  31 dicembre  1999  indirizzata  al  Centro di servizio imposte
  dirette  ed  alla Regione Liguria ne chiese il rimborso denunciando
  l'illegittimita'   costituzionale  di  varie  norme  istitutive  ed
  applicative dell'imposta anzidetta.
    A  seguito  della  reiezione  dell'istanza da parte della regione
  adita  lo  Studio  ha qui proposto ricorso reiterando nei motivi di
  doglianza gia' oggetto della fase amministrativa del giudizio.
    La   Regione,   costituitasi,   ha   genericamente   chiesto   il
  riconoscimento  dell'inammissibilita' e irricevibilita' del ricorso
  e, nel merito, la sua reiezione.
    All'udienza  collegiale  odierna,  previa  discussione orale alla
  quale  hanno  preso parte i rappresentanti delle parti, la presente
  vertenza e' stata trattenuta in decisione.

                       Motivi della decisione

    1. -    Osserva   la  commissione  che  il  contraddittorio  deve
  ritenersi  integro  ancorche'  il ricorso sia stato notificato alla
  sola Regione Liguria e non al Centro di servizio, al quale ultimo -
  cosi'   come  alla  regione  -  l'istanza  di  rimborso  era  stata
  previamente indirizzata.
    La  Regione  ha  infatti  formalizzato  il  rigetto  dell'istanza
  escludendo  il diritto dello studio ricorrente al chiesto rimborso,
  con  cio'  riconoscendo  sostanzialmente  la propria legittimazione
  passiva  sul  ricorso; e d'altro canto il versamento del tributo e'
  stato effettuato a favore della medesima.
    Cio'  e'  sufficiente  per  ritenere  validamente  instaurato  il
  rapporto  processuale  tributario  con il soggetto effettivamente e
  sostanzialmente   legittimo   contraddittore   delle   pretese  del
  ricorrente, con ogni conseguenza.
    2. - Alcune   delle  questioni  di  costituzionalita'  sottoposte
  all'esame  di  questa  commissione da parte del ricorrente appaiono
  manifestamente  infondate  e,  come  tali,  immeritevoli  di essere
  sottoposte all' esame della Corte costituzionale.
    2.1. - Cosi'   dicasi   per  quanto  attiene  la  violazione  del
  "principio   di  riserva  di  legge"  previsto  dall'art. 23  della
  Costituzione,   dedotta   nella   considerazione   che  l'ammontare
  dell'acconto  dell'imposta  da versare, determinato in applicazione
  della  c.d. "clausola di salvaguardia" di cui all' art. 45, comma 3
  del  decreto  legislativo  n. 446, verrebbe in concreto a dipendere
  dal  "limite  di  incremento  in  valore  assoluto risultante dalla
  tabella  A allegata" al decreto del Ministro delle finanze 5 maggio
  1998;  per  cui, di fatto, il limite impositivo suindicato verrebbe
  stabilito  non  gia'  in  base  alla  legge  ma  in base ad un atto
  amministrativo.
    E'  agevole  replicare  che  non  si  tratta  di una questione di
  costituzionalita'  di  una  norma  di legge bensi' di una questione
  relativa  ad  un  atto amministrativo la cui pretesa illegittimita'
  (costituzionale)  ne  imporrebbe  la  disapplicazione  da parte del
  giudice;  disapplicazione che lo stesso studio ricorrente ha finito
  per   riconoscere   come   praticabile   e   che,  quindi,  esclude
  l'insorgenza  di  una vera e propria questione da costituzionalita'
  da rimettere all'esame della Corte costituzionale.
    2.2.   -  Cosi'  dicasi,  poi,  per  quanto  attiene  la  dedotta
  violazione  dell'art. 35  della  Costituzione, relativo alla tutela
  del  lavoro,  violato  nella considerazione che la legge istitutiva
  del  tributo  non  escluderebbe "... dalla base imponibile il costo
  del  lavoro  sia  esso  dipendente  sia  parasubordinato, favorendo
  pesantemente   l'investimento   in   beni   strumentali  a  scapito
  dell'investimento   nel  fattore  lavoro".  Oltre  a  trattarsi  di
  questione,  per  quanto  infra,  assorbita  in  altra  questione di
  costituzionalita'  -  questa  invece  ritenuta  non  manifestamente
  infondata   e  rilevante  ai  fini  del  decidere,  concernente  la
  violazione del principio della capacita' contributiva - non pare al
  collegio che possa essere invocato a parametro un principio (quello
  della  tutela  del  lavoro) estraneo al campo tributario, nel quale
  trovano applicazione altre e diverse regole.
    Rientra   comunque   nella   discrezionalita'   del   legislatore
  tributario,  a  giudizio  della  commissione,  valutare  in maniera
  differente  i  fattori  produttivi,  incentivando l'investimento di
  beni  strumentali  rispetto  al  fattore  lavoro  umano,  senza che
  l'eventuale  penalizzazione  del  secondo  rispetto  al primo possa
  ritenersi effettuata in violazione del principio invocato.
    2.3.  -  Analogamente  e'  a  dirsi per quanto attiene la dedotta
  incostituzionalita'    della   disciplina   IRAP   per   violazione
  dell'art. 76  della Costituzione. Il legislatore delegante, secondo
  lo  studio  ricorrente,  avrebbe  autorizzato il Governo ad emanare
  norme  in  proposito  "... al  fine  di ridurre il costo del lavoro
  autonomo ... nel rispetto dei principi costituzionali".
    Ora,  in  violazione della legge delega - obietta il ricorrente -
  il  legislatore  delegato avrebbe accresciuto a dismisura il carico
  tributario  a danno dei professionisti, sostituendo a tale imposta,
  a  gettito  programmato  come  invariato,  alcune imposte a gettito
  significativo,  come  I'ILOR e l'imposta sul patrimonio netto delle
  imprese,  non  gravanti  sui  lavoratori  autonomi;  per  cui,  per
  realizzare  l'invarianza  del  gettito,  sarebbe  stato  necessario
  aumentare  (e non diminuire come previsto nella legge di delega) la
  pressione tributaria sui professionisti.
    In  tale  ottica - aggiunge - si inquadrerebbe la sostituzione di
  tasse ed imposte previamente deducibili (contributo per il servizio
  sanitario  nazionale;  tassa  sulla  partita  IVA;  ICIAP)  con  un
  contributo  del  tutto indeducibile dalle imposte sui redditi quale
  l'imposta in discorso.
    Ancora  -  e  come corollario, seppure dedotto in forma autonoma,
  del motivo precedente - l'IRAP risulterebbe violare il principio di
  eguaglianza   di  cui  all'art. 3  della  Costituzione  poiche'  la
  sostituzione  del  contributo al servizio sanitario nazionale - che
  precedentemente gravava su tutti i contribuenti - con il tributo in
  esame   che   colpisce   soltanto  alcune  categorie  di  cittadini
  determinerebbe   che   il   costo  di  un  servizio  di  cui  tutti
  usufruiscono  e'  invece  sopportato  dalle  categorie incise dalla
  nuova imposta.
    E'  agevole  rispondere  che  non  puo'  imputarsi al legislatore
  delegato   il   mancato   raggiungimento  delle  finalita'  che  il
  legislatore delegante si prefiggeva nel ridurre il costo del lavoro
  autonomo  tenuto  conto  che  le linee guida del nuovo tributo sono
  state  previamente  fissate  dal  secondo  e  non  dal primo; senza
  considerare  che  il  dedotto  aumento  della  pressione tributaria
  appare,  in  mancanza  di  migliori  indicazioni  non  fornite  dal
  ricorrente, una mera petizione di principio indimostrata.
    Quanto,  poi,  al  rilievo  secondo  cui  il  costo  del servizio
  sanitario nazionale - che precedentemente all'istituzione del nuovo
  tributo  gravava  su  tutti  i contribuenti - risulti ingiustamente
  gravare  esclusivamente  su  alcuni (i soggetti passivi dell'IRAP),
  puo' replicarsi osservando come anche in questo caso il rilievo sia
  del  tutto indimostrato. Vi sono spese pubbliche (ad esempio quelle
  per  le  Forze armate, per il funzionamento degli apparati statali,
  della   giustizia,  etc.)  che  gravano  sulla  c.d.  contribuzione
  generale,  senza che al relativo onere siano chiamate a contribuire
  specifiche classi o categorie di contribuenti; per cui, in mancanza
  di  norme  di  segno  opposto, deve presumersi che anche per quanto
  attiene  l'importante  capitolo  di  spesa  riservato  alla Sanita'
  pubblica si faccia ricorso alla fiscalita' generale.
    2.4.  -  Analogamente  e',  infine,  a dire per quanto attiene la
  dedotta incostituzionalita' della disciplina dell'IRAP per avere il
  legislatore  illegittimamente  equiparato  l'esercizio  di  arti  e
  professioni  all'esercizio  di  impresa, pur essendo tali attivita'
  diverse  e  distinte  nella loro essenza e nella disciplina di ogni
  tributo. I redditi di lavoro autonomo - rileva lo studio ricorrente
  -  hanno  la propria fonte nel lavoro ancorche' intellettuale e non
  nella organizzazione di capitali e di lavoro come quelli di impresa
  nella quale e' insito un pregnante profilo di rischio economico non
  rinvenibile,  quanto  meno  con la medesima intensita' e rilevanza,
  nell'attivita' professionale.
    Il  rilievo  e'  ininfluente,  poiche'  non si vede perche' mai i
  redditi  di  lavoro  autonomo non dovrebbero essere assoggettati ad
  imposta.  Il  paragone  con  l'ILOR, argomentato dal ricorrente per
  difendere  la propria tesi, non regge stante la differenza di ratio
  con  l'imposta  in  esame.  Quella,  infatti,  aveva la funzione di
  operare  una discriminazione qualitativa dei redditi, mentre questa
  ha  la  funzione  di  colpire  una forma di capacita' economica (si
  vedra'   infra   se   l'operazione  puo'  dirsi  costituzionalmente
  legittima) diversa dal reddito (il valore aggiunto prodotto).
    Da  cio'  consegue che se la ricchezza che trova la sua fonte nel
  lavoro  personale  non  poteva essere assoggettata ad ILOR, ai fini
  dell'IRAP  la  medesima  ricchezza, costituendo remunerazione di un
  fattore  della  produzione,  deve  logicamente concorrere a formare
  l'imponibile.
    3. - Diverse   considerazioni   meritano,  invece,  le  ulteriori
  questioni  di  costituzionalita'  prospettate  (unitamente ad altri
  profili  che  qui  si intendono, anche di ufficio, prospettare). Si
  intende  fare  riferimento, in particolare, agli articoli 11, comma
  1,  lettera  c),  nn. 1,  2,  3,  4;  8  e  1,  comma 2 del decreto
  legislativo n. 446/1997 istitutivo dell'IRAP.
    Con   il   primo   vengono   stabiliti  alcuni  principi  per  la
  determinazione  del valore della base imponibile dell'IRAP ("valore
  della  produzione  netta"), stabilendosi, tra l'altro, che non sono
  ammessi in deduzione vari costi, incidenti sulla base stessa, quali
  quelli relativi al personale e, in genere, a prestazioni di lavoro.
  Con  il  secondo  la  base  imponibile  (relativamente,  come nella
  specie,  ai  soggetti  esercenti arti e professioni) e' determinata
  dalla  forbice tra l'ammontare dei compensi percepiti e l'ammontare
  dei beni materiali ed immateriali, "esclusi gli interessi passivi e
  le spese per il personale dipendente". Con il terzo viene stabilito
  che  l'imposta  ha carattere reale e che "non e' deducibile ai fini
  delle imposte sui redditi".
    3.1.   -   Ritiene   questa   commissione   che  le  disposizioni
  surrichiamate  siano  contrastanti ocn il principio della capacita'
  contributiva  sancito  dall'art.  53  della  Costituzione  e con il
  principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione.
    Va  premesso  che  per  capacita'  contributiva  si  intende fare
  riferimento   all'astratta   idoneita'   di  un  soggetto,  che  ha
  realizzato  il  presupposto cui la legge ricollega l'insorgenza del
  tributo,  a  sostenere  il  connesso onere economico. Il sacrificio
  patrimoniale  richiesto  dalla  legge  deve  essere rapportato alle
  possobilita'  che  ciascun  soggetto manifesta in concreto, e cioe'
  alla  idoneita'  sotto  il  profilo  economico  del  contribuente a
  spogliarsi   di   una   parte  dei  propri  averi  per  metterla  a
  disposizione della collettivita'.
    Non  appaiono  conformi  a tale concetto interpretazioni, che una
  parte  della  dottrina  ha ritenuto di effettuare con riguardo alla
  imposta  in  esame, per le quali la capacita' contributiva dovrebbe
  dipendere  dalla  "potenzialita' economica dell'unita' produttiva",
  dal  "dominio  sui  fattori  della  produzione"  o dal "consumo dei
  servizi   pubblici"   (c.d.   principio  del  beneficio)  da  parte
  dell'impresa;  interpretazioni  che  comportano inevitabilmente uno
  scostamento  della capacita' anzidetta dal principio costituzionale
  per  il quale un tributo puo' essere corrisposto da un soggetto che
  in concreto sia in grado di sopportarlo.
    Nel  caso  specifico,  relativamente  all'inclusione  nella  base
  imponibile  di  alcuni  costi  sicuramente  significativi quali gli
  interessi  passivi  e  le  spese  per  il  personale (e, per logica
  correlazione,   al  divieto  di  dedurre  sia  dall'imponibile  che
  dall'imposta detti oneri) i principi costituzionali della capacita'
  contributiva e della uguaglianza dei contribuenti vogliono che:
        a)  non tutti i fatti possono rappresentare il presupposto di
  imposta  ma  solo  quelli  esprimenti l'attitudine all'assolvimento
  dell'obbligazione tributaria;
        b)  a eguale capacita' contributiva deve corrispondere eguale
  prelievo e a una differente capacita' un differente prelievo.
    Non  pare che le disposizioni anzidette siano rispettose di detti
  principi.  A  parita'  di  tributo  dovuto,  infatti,  due soggetti
  economici  potrebbero  avere  una differente capacita' contributiva
  non  considerata  dal  meccanismo impositivo in quanto uno potrebbe
  essere  titolare  di  un  valore aggiunto assoggettabile ad imposta
  interamente  assorbito  dalle retribuzioni e dagli interessi mentre
  il secondo potrebbe evidenziare minori costi per il personale ed il
  capitale  a prestito e quindi avere consistenti utili. A differente
  capacita'  contributiva,  quindi,  vi  sarebbe il medesimo prelievo
  fiscale;  e cio' non considerando che spesso l'indebitamento di una
  impresa   (fonte   di   interessi  passivi,  ritenuti  dalla  legge
  indeducibili)  non  solo  e'  fisiologico,  ma  piu' frequentemente
  insito  nella  fase  iniziale  dell'attivita'  stessa  nella  quale
  tradizionalmente   vi   e',   piu'   che   capacita',   incapacita'
  contributiva.
    Il  meccanismo  di  determinazione  della  base  imponibile porta
  quindi   a   tassare   anche   soggetti  che,  a  causa  dei  costi
  summenzionati   (personale;   interessi   passivi),   o  non  hanno
  realizzato  alcun utile o addirittura sono in perdita; con evidente
  violazione  della  capacita'  contributiva - poiche' di fatto viene
  tassata  una  ricchezza inesistente e del principio di eguaglianza,
  poiche'  si  vengono  a  realizzare  trattamenti  differenziati nei
  confronti  di  una  medesima  categoria  di  contribuenti senza una
  valida giustificazione.
    3.2. -  Relativamente, poi, alla indeducibilita' dell' IRAP dalle
  imposte sui redditi (quali IRPEF e IRPEG) va osservato che vi e' un
  principio  di  ordine  generale  per  cui  le  "spese  e  gli altri
  componenti negativi ... sono deducibili se e nella misura in cui si
  riferiscono  ad  attivita'  o  beni  da cui derivano ricavi o altri
  proventi  che concorrono a formare il reddito" (cfr. art. 75, comma
  5,  del  decreto  del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986,
  n. 917); principio che, seppur non costituzionalizzato, esprime una
  linea  di  tendenza  del  legislatore  per  scostarsi  dalla  quale
  sembrerebbe necessaria una specifica ed adeguata giustificazione.
    E',  poi,  noto  l'orientamento della Corte costituzionale per il
  quale  la  detraibilita' dei tributi va stabilita e commisurata dal
  legislatore  ordinario  secondo un criterio che concili, sulla base
  di   valutazioni   politico   economiche   incensurabili   se   non
  manifestamente  irragionevoli,  le esigenze finanziarie dello Stato
  con  quelle  del  cittadino chiamato a contribuire ai bisogni della
  vita  collettiva,  non  meno  importanti  delle esigenze della vita
  individuale (cfr. Corte costituzionale numeri 134 e 143 del 1982).
    Coerentemente   con   tale   affermazione   e'   stata   ritenuta
  costituzionalmente  corretta  la  indeducibilita' della sovrimposta
  comunale   sui  fabbricati  (SOCOF)  ai  fini  dell'IRPEF,  la  cui
  istituzione  perseguiva,  secondo il pensiero della Corte, lo scopo
  di   contenere   l'onere  gravante  sul  bilancio  statale  per  la
  soddisfazione  delle  esigenze degli enti locali, in una situazione
  economica  del  Paese  che  si  presentava  in  termini di notevole
  gravita'  ed esigeva dai cittadini rilevanti sacrifici per reperire
  ulteriori  risorse  da  destinare  ai  comuni.  Inoltre il tributo,
  peraltro  di  modesta  portata, era limitato ad un solo anno, erano
  previste numerose esenzioni ed agevolazioni sicche' esso presentava
  caratteristiche  affatto  peculiari  (cfr.  Corte costituzionale 19
  maggio 1988, n. 574).
    Si trattava, come precisato dalla stessa Corte, di una situazione
  che   presentava   i   caratteri   della   eccezionalita'  e  della
  temporaneita', ambedue palesate dal legislatore che aveva istituito
  la  sovrimposta  spinto  da necessita' contingenti non diversamente
  affrontabili;  onde,  in assenza di tali caratteristiche (I'IRAP, a
  differenza  della  SOCOF,  nasce come un tributo destinato a durare
  nel   tempo   semplificando   il  regime  tributario  preesistente,
  sull'onda del dibattito relativo al c.d. federalismo fiscale), deve
  presumersi   scorretta   dal  punto  di  vista  costituzionale  per
  violazione,  anche  in  questo  caso,  della capacita' contributiva
  (nonche'  del  principio di eguaglianza) una norma che non consenta
  la  detrazione  dal  reddito  assoggettato  ad  una seconda imposta
  dell'ammontare  di una imposta precedentemente pagata per la stessa
  materia  imponibile,  senza  che siano state esplicitate - per come
  non  lo  sono  le  particolari  e  contingenti esigenze che abbiano
  indotto il legislatore ad una deroga siffatta.
    Escludendo   la   deduzione  dell'IRAP  (che  per  l'imprenditore
  costituisce un fattore economico di spesa) dal reddito assoggettato
  alle  imposte  dirette  erariali  (IRPEF  e  IRPEG)  si finisce per
  tassare non piu' il reddito netto, indice di capacita' contributiva
  che  giustifica l'imposizione erariale, ma un reddito lordo che dal
  primo  se  ne  allontana  in  misura minore o maggiore. Puo' quindi
  verificarsi  che  imprese  la  cui  gestione  sia effettivamente in
  perdita,   a   causa  della  mancata  deduzione  dell'IRAP  paghino
  ugualmente  IRPEF  e  IRPEG  come  se avessero prodotto un reddito;
  mentre  altre imprese con gestione in utile vengano assoggettate ad
  imposta con prelievo pari o superiore all'utile stesso.
    Tutto  cio'  e',  a  parere  della commissione, in violazione del
  principio   della   capacita'   contributiva  e  del  principio  di
  eguaglianza  anche  a  considerare  l'IRAP una imposta di carattere
  reale, non potendo una definizione concettuale della caratteristica
  di  un  tributo  enunciata  dal  legislatore  eliminare gli effetti
  distorsivi e costituzionalmente scorretti dianzi segnalati.
    Le   questioni   prospettate   non   appaiono   alla  commissione
  manifestamente  infondate  per  i  motivi  sopra  descritti; e sono
  rilevanti ai fini del decidere in quanto suscettibili, in relazione
  alle  declaratorie  di  incostituzionalita' astrattamente possibili
  (sia  cassatorie  tout  court  degli aspetti piu' significativi del
  tributo,  sia  manipolative  od  additive  delle norme attinenti la
  materia  imponibile  e  le  eventuali  deduzioni)  di consentire un
  accoglimento  o totale o parziale delle pretese del ricorrente, con
  possibile ripetizione in tutto o in parte di quanto pagato.
    Si   impone   quindi   la   rimessione   degli  atti  alla  Corte
  costituzionale    con    conseguente   sospensione   del   presente
  procedimento sino all'esito del giudizio di costituzionalita'.