IL GIUDICE PER L'UDIENZA PRELIMINARE
    Letti   gli   atti  del  procedimento  come  sopra  numerato,  ha
  pronunziato la seguente ordinanza.
                           P r e m e s s o
    Che  il  pubblico  ministero,  ritenendo  la sussistenza di gravi
  indizi   di   condotte  di  favoreggiamento  e  sfruttamento  della
  prostituzione  all'interno night club "Di Di Club" di Santo Stefano
  Belbo,  chiedeva  il  9  marzo  1999  al  giudice  per  le indagini
  preliminari    l'autorizzazione    alla    "intercettazione   delle
  comunicazioni   tra  presenti"  all'interno  del  predetto  locale,
  specificando  che  tale  intercettazione  doveva comunque ritenersi
  ammissibile,  anche  qualificando  il  night  club  come  "luogo di
  privata dimora";
        che il giudice per le indagini preliminari con decreto del 10
  marzo  1999  autorizzava  le  intercettazioni  di comunicazioni tra
  presenti,  ex  art. 266  c.p.p.,  in conformita' alla richiesta del
  pubblico ministero;
        che  il  pubblico  Ministero,  con decreto del 20 marzo 1999,
  richiamando  anche  il  decreto autorizzativo del g.i.p., disponeva
  l'intercettazione delle conversazioni e comunicazioni tra presenti,
  nonche' "l'installazione di videocamere all'interno del night";
        che  la  polizia giudiziaria dava esecuzione al provvedimento
  del  pubblico  ministero  in  data  28 giugno 1999 (essendo rimasto
  chiuso il locale per un certo tempo), procedendo alla installazione
  di  un sistema di videoregistrazione di immagini all'interno di una
  plafoniera  sita  in  una  particolare  sala del locale, denominata
  "sala   champagne",   mentre   non   riteneva   di  procedere  alla
  intercettazione di comunicazioni e conversazioni in quanto, secondo
  il  giudizio  dei  tecnici,  la  percezione  dei  dialoghi  non era
  possibile  a  causa  del  volume  della  musica durante l'orario di
  apertura del locale;
        che  le  apparecchiature  di  ripresa  televisiva  installate
  consentivano  di  registrare, in varie occasioni, rapporti sessuali
  tra clienti e ballerine all'interno della saletta "champagne";
        che,   anche   sulla   base   di   quanto   risultante  dalle
  registrazioni,  il Di Sarno, con ordinanza del g.i.p. del 10 luglio
  1999,   era   sottoposto   alla  misura  coercitiva  degli  arresti
  domiciliari,  misura confermata dal tribunale del riesame di Torino
  in data 31 luglio 1999;
        che,  sul  ricorso  della  difesa  dell'imputato, la Corte di
  cassazione,  con provvedimento del 22 dicembre 1999-7 febbraio 2000
  annullava  la  decisione  del  tribunale  di  Torino, ritenendo che
  "anche  l'attivita'  di  riprese  filmate  (al  pari  di  quella di
  videoregistrazione)  andasse  nel  caso  in  esame specificatamente
  autorizzata a norma dell'art. 266 ultimo comma c.p.p.";
        che   il   pubblico  ministero,  con  atto  depositato  nella
  cancelleria  di  questo  giudice  il  19 novembre 1999, chiedeva il
  rinvio  a  giudizio  di  Di  Sarno  Giovanni  per  il  reato di cui
  all'art. 3  numero  1) ovvero, in alternativa, all'art. 3 numero 3)
  della  legge  20 febbraio 1958 n. 75 in relazione alla attivita' di
  meretricio  che,  secondo  l'ipotesi dell'accusa, si sarebbe svolta
  nel  night  club  "Di  Di  Club" di Santo Stefano Belbo, gestito di
  fatto dall'imputato, nonche' per il reato di cui agli artt. 56 c.p.
  e  3  numero  5), legge 20 febbraio 1958, n. 75 per un tentativo di
  induzione  alla prostituzione dallo stesso Di Sarno posto in essere
  ai danni di Ghia Dagmar;
        che,  nell'elencare  le  fonti di prova acquisite ex art. 417
  lettera  c)  c.p.p., il pubblico ministero indicava anche "i nastri
  della   registrazione   con   videocamera  all'interno  della  sala
  Champagne del night";
        che all'udienza preliminare del 19 gennaio 2000, il difensore
  e l'imputato presente dichiaravano di nulla eccepire in ordine alla
  notifica  ex  art. 419 primo comma c.p.p. e la difesa dell'imputato
  chiedeva  rinvio  in  attesa  del  deposito  delle  motivazioni del
  provvedimento della Suprema corte;
        che  all'udienza  del  28 giugno 2000 la difesa dell'imputato
  depositava  memoria  nella quale chiedeva che il giudice rimettesse
  gli  atti  al  p.m. per escludere, dalla indicazione delle fonti di
  prova,  le  videoregistrazioni, in quanto inutilizzabili ed al fine
  di procedere a nuova notifica della richiesta di rinvio a giudizio;
        che   il  giudice,  con  ordinanza  motivata,  respingeva  la
  richiesta   della  difesa  di  restituzione  degli  atti  al  p.m.,
  evidenziando la liberta' del p.m. nell'indicare le fonti di prova e
  la  sanatoria  di  eventuali  nullita'  attinenti  alla notifica ex
  art. 419 primo comma c.p.p.;
        che  la  difesa  chiedeva  comunque che le videoregistrazioni
  fossero dichiarate inutilizzabili;
                              Ritenuto
    Di   dover   sollevare,   d'ufficio,  questione  di  legittimita'
  costituzionale  degli  artt. 189  e 266-271 c.p.p. e, segnatamente,
  dell'art. 266  secondo comma c.p.p., in relazione agli artt. 3 e 14
  della  Costituzione,  nella  parte  in cui non sono previsti per le
  riprese  visive  e  le  videoregistrazioni  all'interno  dei luoghi
  indicati  dall'art. 614  c.p.  i  medesimi  limiti,  presupposti  e
  garanzie   dettati   per  l'intercettazione  di  comunicazioni  tra
  presenti.
                     Considerato, circa la rilevanza
    Che  la  questione  sopra  indicata appare rilevante nel presente
  giudizio;
        che,  come  sopra  esposto, le videoregistrazioni all'interno
  della   saletta   "champagne"  del  night  che  si  assume  gestito
  dall'imputato  furono  disposte  non  dal  giudice  per le indagini
  preliminari  (che  si  limito'  ad autorizzare l'intercettazione di
  comunicazione  tra  presenti)  bensi'  dal  pubblico ministero, con
  provvedimento nel quale era richiamato, sia pure per relationem, il
  decreto del giudice per le indagini preliminari;
        che  quindi  le riprese furono effettuate, nella fattispecie,
  sulla base di un provvedimento motivato del pubblico ministero;
        che  le  videoregistrazioni  furono effettuate in un luogo di
  privata dimora;
        che  in  particolare  emerge  dagli  atti  del  fascicolo del
  pubblico  ministero  che  i  clienti,  prima  di  appartarsi con le
  ballerine nella saletta "champagne", dovevano domandare il permesso
  al   Di   Sarno  ed  accordarsi  con  quest'ultimo  (vedi  sommarie
  informazioni di Mariaz Barabara Stefania e Doina Chirchiu);
        che  tale  saletta si trovava in un settore separato rispetto
  alla  sala  da ballo, in fondo ad un lungo corridoio, raggiungibile
  solamente  passando davanti all'ufficio verosimilmente destinato ad
  ospitare  i  gestori  ed  al suo ingresso vi era una doppia tenda a
  trecce  (vedi  quanto rilevato dal Tribunale del riesame sulla base
  della   documentazione   prodotta   in  quella  sede  dalla  difesa
  dell'imputato);
        che,  come emerge dalle videoregistrazioni, in tale locale il
  cliente consumava rapporti sessuali con una ballerina, rimanendo da
  solo con quest'ultima, salvo l'ingresso del Di Sarno per servire le
  consumazioni pagate dal cliente;
        che, come chiarito dalla giurisprudenza e dalla dottrina, per
  domicilio   o   privata  dimora  deve  intendersi  qualsiasi  luogo
  destinato allo svolgimento della vita privata, nel quale sia quindi
  garantita un area di intimita' e riservatezza;
        che  dalle  videoregistrazioni  risultano  emergere  indizi a
  carico dell'imputato;
        che   l'utilizzabilita'  o  comunque  la  validita'  di  tali
  videoregistrazioni e' contestata dalla difesa dell'imputato, che ha
  chiesto espressamente a questo giudice di pronunziarsi in merito;
        che  la  possibilita',  per  questo giudice, di utilizzare le
  riprese filmate e' rilevante ai fini della decisione, ovvero per la
  pronunzia  di  sentenza  di  non luogo a procedere o di decreto che
  dispone il giudizio;
        che  quindi  vi  e'  un  nesso pregiudiziale tra la questione
  attinente    alla    inutilizzabilita'    ovvero   nullita'   delle
  videoregistrazioni  eseguite in un luogo di privata dimora in forza
  di  un provvedimento motivato del pubblico ministero e la decisione
  che  questo  giudice  e' chiamato a prendere all'esito dell'udienza
  preliminare;
        che  dunque  le  norme  processuali  denunziate  possono, nel
  presente    processo,   trovare   applicazione   e   dall'eventuale
  accoglimento  della questione discenderebbe un mutamento nel quadro
  normativo di riferimento.
           Cosiderato, circa la non manifesta infondatezza
    Che  il  vigente  codice  di  procedura  penale non disciplina le
  modalita'     di    acquisizione    delle    riprese    visive    o
  videoregistrazioni;
        che  in  particolare  occorre  distinguere  tra  il  mezzo di
  ricerca  della  prova, costituito dalla intercettazione di immagini
  mediante  idonei  apparecchi,  dal  risultato  o  mezzo  di  prova,
  costituito   dal   documento   filmato   (non   diversamente  dalla
  distinzione  tra l'intercettazione di comunicazioni o conversazioni
  ed i nastri fonografici cosi' ottenuti);
        che  captare immagini mediante videocamere e' stato ritenuto,
  dalla  prevalente  giurisprudenza di legittimita', attivita' lecita
  ex artt. 189-234 c.p.p., qualora effettuata in luoghi pubblici;
        che  viceversa  vi sono state contrastanti pronunce in ordine
  alla  possibilita'  di  effettuare  riprese  visive  nei  luoghi di
  privata  dimora,  essendosi  affermato  che:  a)  tale attivita' e'
  comunque  preclusa,  se  non  nei  limiti  in  cui  e' strettamente
  funzionale  alla  intercettazione  di comunicazioni non verbali tra
  presenti,  in  considerazione  del  principio di inviolabilita' del
  domicilio  sancito  dall'art. 14  della Costituzione (vedi Cass. 10
  novembre  1997 n. 4397, Greco); b) e' necessaria l'autorizzazione a
  norma  dell'art. 266  secondo  comma c.p.p. (vedi la pronunzia resa
  dalla  Suprema corte nel presente procedimento); c) e' necessario e
  sufficiente,  ex  art. 189  c.p.p.  e 14 della Costituzione un atto
  motivato  dell'autorita'  giudiziaria  e  dunque,  nella fase delle
  indagini preliminari, anche un provvedimento del pubblico ministero
  (vedi Cass., sez IV, 16 marzo - 15 giugno 2006; Viskovic);
        che   questo   giudice   non  ritiene  che  il  principio  di
  inviolabilita'  del  domicilio  conduca  a  ritenere  in  ogni caso
  precluse  le  riprese  filmate  all'interno  di un luogo di privata
  dimora,  prevedendo il medesimo art. 14 della Costituzione limiti e
  deroghe  in  presenza  di  altri valori costituzionali, tra i quali
  l'accertamento e repressione dei reati;
        che  questo  giudice non ritiene possibile, in carenza di una
  norma  o  di  una  pronunzia  del  giudice  delle  leggi, estendere
  analogicamente  la  disciplina  prevista  per le intercettazioni di
  comunicazioni  tra  presenti,  ostandovi  anche  il disposto di cui
  all'art. 189 c.p.p.;
        che  questo giudice concorda con la ricostruzione del vigente
  quadro normativo svolta, con ampia motivazione, dalla Suprema Corte
  nella  sentenza  da  ultimo  citata  (Cass.,  sez IV, 16 marzo - 15
  giugno 2000, Viskovic);
        che  tuttavia  la  disciplina  processuale  delle  riprese in
  luoghi  di  privata  dimora,  cosi'  come in precedenza ricostruita
  (possibilita'  di effettuare videoregistrazioni nei luoghi indicati
  dall'art. 614  c.p.  in forza anche del solo provvedimento motivato
  del  pubblico  ministero,  come  nel  caso  di  specie)  appare  in
  contrasto  con  il  principio  di  uguaglianza (art. 3 Cost., avuto
  riguardo,   quale   tertium   comparationis   all'ipotesi   di  cui
  all'art. 266 comma secondo c.p.p.), nonche' con il medesimo art. 14
  Cost.;
        che in particolare l'effettuazione di riprese visive comporta
  una   limitazione   della   inviolabilita'  del  domicilio  ed  una
  intrusione   nei  luoghi  di  privata  dimora  equivalente  se  non
  addirittura  maggiore  della  intercettazione  di comunicazioni tra
  presenti;
        che  quindi  appare  contrario al principio di ragionevolezza
  che   le   intercettazioni  di  comunicazioni  tra  presenti  siano
  possibili  solo  con  provvedimento  del giudice, entro particolari
  limiti di ammissibilita' e con precisi limiti temporali, mentre per
  le  riprese  visive  sia  sufficiente un provvedimento del pubblico
  ministero, sia pure motivato;
        che  lo  stesso  art. 14  Costituzione, oltre a richiedere un
  provvedimento motivato dell'autorita' giudiziaria, prevede che tale
  provvedimento  sia adottato "nei casi e modi stabiliti dalla legge"
  e dunque impone una compiuta disciplina legislativa delle ipotesi e
  modalita'  di  limitazione  dell'inviolabilita'  del  domicilio  ed
  intrusione nei luoghi di privata dimora.
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
  legittimita'  costituzionale  degli  artt. 189 e 266- 271 c.p.p. e,
  segnatamente,  dell'art. 266,  secondo comma c.p.p., in riferimento
  agli  artt. 3  e  14  della  Costituzione,  nella  parte in cui non
  estendono  la  disciplina delle intercettazioni delle comunicazioni
  tra  presenti  nei  luoghi indicati dall'art. 614 c.p. alle riprese
  visive o videoregistrazioni effettuate nei medesimi luoghi;
    Sospende il giudizio in corso;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
  costituzionale;
    Ordina  che  a  cura  della cancelleria la presente ordinanza sia
  notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai
  Presidenti delle due Camere del Parlamento;
    Manda alla cancelleria per gli adempimenti.
      Alba, addi' 5 luglio 2000.
                       Il giudice: Nannipieri
00C1118