LA CORTE DI ASSISE

    Ha emesso la seguente ordinanza in ordine alle richieste avanzate
  da  tutti  gli imputati di essere giudicati immediatamente ai sensi
  dell'art. 4-ter comma 2, legge 5 giugno 2000 n. 144;
    Sentite la parti;

                            O s s e r v a

    Le  richieste avanzate dagli imputati Pirrone Angelo (cl. 61), Di
  Gregorio  Giuseppe, Adelfio Serafino, Di Matteo Giuseppe, Di Maggio
  Salvatore,  Di  Matteo Mario Santo appaiono del tutto inammissibili
  poiche'  esse non rientrano nella previsione di cui all'art. 4-ter,
  comma 2,  della legge n. 144/2000, atteso che gli imputati predetti
  non  rispondono  in questo processo di delitti punibili con la pena
  dell'ergastolo;   ne'   ad  avviso  di  questa  Corte  ricorrono  i
  presupposti   per   l'applicazione   della  disciplina  transitoria
  introdotta dal richiamato art. 4-ter, comma 1.
    Per  quanto  concerne,  invece, le richieste avanzate dagli altri
  imputati   che   rispondono   di   delitti  punibili  con  la  pena
  dell'ergastolo, ritiene la Corte che sotto diversi profili la norma
  invocata  pone  questioni  di  legittimita'  costituzionale che non
  appaiono  manifestamente  infondate e sono certamente rilevanti per
  la definizione del presente giudizio.
    Gia'  la  Corte  costituzionale,  con la nota sentenza n. 277 del
  23 maggio  1990,  nel  motivare  l'infondatezza  della questione di
  costituzionalita'    che   era   stata   sollevata   nei   riguardi
  dell'art. 247  delle  disp.  di  attuazione del codice di procedura
  penale  - nella parte in cui precludeva la possibilita' di chiedere
  il  giudizio  abbreviato  dopo  il  compimento  delle formalita' di
  apertura  del  dibattimento  nei  procedimenti che proseguivano con
  l'applicazione  delle  norme  dell'abrogato  codice di rito - aveva
  sottolineato  l'inscindibile unita' finalistica che la disposizione
  in  quella  sede  impugnata  poneva  tra semplificazione del rito e
  riduzione della pena.
    Da cio' la Corte traeva la conseguenza che, divenuto impossibile,
  con  l'apertura  del  dibattimento, raggiungere le finalita' che il
  legislatore  si  prefigge,  "e'  conseguentemente  e  razionalmente
  impossibile  all'imputato realizzare il c.d. diritto alla riduzione
  della pena".
    In  altri  termini,  poiche'  lo scopo dell'istituto del giudizio
  abbreviato  e'  quello  di  consentire la sollecita definizione del
  giudizio,  escludendo  la  fase  dibattimentale, appariva del tutto
  razionale  che, per i procedimenti in corso alla data di entrata in
  vigore  del  nuovo  codice di procedura penale, tale istituto fosse
  applicabile  soltanto  quando  il  suo scopo era ancora interamente
  perseguibile  ("e cioe' soltanto quando non si sia ancora giunti al
  dibattimento").  Ma nella citata sentenza la Corte e' andata oltre,
  rilevando   che  "irrazionale  sarebbe  stata  un'applicazione  del
  giudizio  abbreviato  oltre  i suddetti limiti". Infatti, "se fosse
  possibile  all'imputato  chiedere il rito abbreviato anche nel caso
  che  il  dibattimento  sia  gia' iniziato, i benefici non sarebbero
  piu'  giustificati ne' dallo scopo (ormai impossibile) di eliminare
  la  fase  dibattimentale, ne' dal rischio assunto dall'imputato, il
  quale invece si troverebbe nella comoda situazione di decidere dopo
  che  il  pubblico ministero ha gia' offerto le sue prove e comunque
  dopo  aver  potuto valutare l'andamento del dibattimento stesso". E
  aggiunge  la Corte che, proprio per tale via, si sarebbe dato luogo
  ad  "una situazione ingiustificata ed irrazionale". Non e' pertanto
  conducente  "il  confronto fra imputati per i quali il dibattimento
  sia  stato o non sia stato ancora aperto, proprio perche' si tratta
  di situazioni oggettivamente diverse".
    La  Corte  concludeva  la  motivazione  sul  punto, ribadendo che
  l'intervenuta   apertura   del   dibattimento   "rende  irrazionale
  l'applicabilita' del giudizio abbreviato".
    Nella  medesima  sentenza  n. 277  del 1990 si osservava altresi'
  come neppure sarebbe invocabile, a sostegno della dedotta questione
  di  illegittimita'  costituzionale, il principio della applicazione
  della legge piu' favorevole all'imputato, giacche' tale principio -
  che  peraltro  e'  sancito dall'art. 2 del codice penale, ma non ha
  affatto  rango  costituzionale - opera soltanto quando vi sia stato
  un  mutamento,  favorevole  all'imputato, nella valutazione sociale
  del fatto tipico oggetto del giudizio, mentre nel caso del giudizio
  abbreviato non e' affatto mutata in melius la suddetta valutazione,
  dal  momento  che  la  riduzione della pena e' prevista soltanto al
  fine  di  incentivare,  nei  limiti  della  sua  esperibilita',  la
  richiesta  da  parte  dell'imputato  del  procedimento  speciale in
  questione.
    Orbene,  le considerazioni sopra richiamate, ribadite dalla Corte
  costituzionale  in  successive  pronunce,  con  le quali sono state
  dichiarate  manifestamente  infondate  analoghe questioni in ordine
  alla  ammissibilita'  esclusivamente  in  limine  litis  cosi'  del
  giudizio abbreviato come della applicazione della pena su richiesta
  delle  parti  (v.  le  ordinanze  n. 320, 355 e 420 del 1990), sono
  state  coerentemente  riprese  nelle  numerose ordinanze con cui le
  Corti  di merito di questo come di molti altri distretti giudiziari
  hanno    dichiarato   manifestamente   infondata   l'eccezione   di
  illegittimita'   costituzionale  con  la  quale  e'  stata  dedotta
  l'irrazionalita'   della   preclusione,  coincidente  con  l'inizio
  dell'istruzione  dibattimentale,  che  le  norme impugnate (e cioe'
  l'art. 27  legge  n. 479/1999  e l'art. 223 del decreto legislativo
  del  19 febbraio  1998,  n. 51,  nel  testo modificato dall'art. 53
  della legge del 16 dicembre 1999, n. 479, in relazione all'art. 442
  del  codice di procedura penale, come modificato dall'art. 30 della
  medesima  legge,  nella  parte  in cui non consente all'imputato di
  chiedere  il  giudizio  abbreviato quando sia iniziata l'istruzione
  dibattimentale) stabilivano per la richiesta da parte dell'imputato
  di essere giudicato con il rito abbreviato.
    Ed   invero,   anche   la   ratio  della  disposizione  contenuta
  nell'art. 223  del  decreto  legislativo  n. 51 del 1998 consisteva
  nella  finalita',  che  il  legislatore  delegato si prefiggeva, di
  evitare  la  fase  dibattimentale nel maggior numero di processi in
  corso  alla  data  di  efficacia del decreto istitutivo del giudice
  unico  di  primo  grado,  e  di  assicurare, per tal via, la rapida
  definizione dei processi stessi.
    La suddetta finalita', da un lato, non poteva dirsi attenuata - e
  deve  al  contrario a maggior titolo affermarsi - in considerazione
  delle   modifiche  apportate  dalla  disposizione  denunciata  alla
  disciplina del giudizio abbreviato (con l'esclusione del necessario
  consenso  del  pubblico ministero e con il rendere il rito speciale
  applicabile pur quando il giudice, ritenendo di non potere decidere
  allo stato degli atti, debba procedere alla necessaria integrazione
  probatoria nelle forme spedite prevista dall'art. 422 del codice di
  procedura  penale);  dall'altro,  non  poteva ritenersi interamente
  realizzabile  se  si  fosse consentita l'esperibilita' del giudizio
  abbreviato anche dopo l'inizio dell'istruzione dibattimentale.
    Si e' detto quindi (e si e' scritto nelle ordinanze predette), in
  conformita'    alla    persuasiva    giurisprudenza   della   Corte
  costituzionale,  che,  contrario  al canone della ragionevolezza, e
  quindi  causa  di  una  sostanziale  e ingiustificata disparita' di
  trattamento,   sarebbe   piuttosto  un  trattamento  normativo  che
  ignorasse  l'irriducibile  diversita'  delle situazioni processuali
  considerate,  in  rapporto  alle  finalita'  dichiarate  di un rito
  espressamente   previsto   come   alternativo   al  dibattimento  e
  funzionale   ad  una  piu'  sollecita  e  spedita  definizione  del
  giudizio,  con  un  considerevole risparmio di mezzi e di attivita'
  processuali;  e  che paradossalmente consentisse ad alcuni imputati
  di   far   dipendere   la   scelta  del  rito  alternativo  proprio
  dall'andamento    o    addirittura    dall'esito    dell'istruzione
  dibattimentale.
    E  si  e'  concluso  altresi' che il differimento fino all'inizio
  dell'istruzione  dibattimentale  del  termine utile per avanzare la
  richiesta   di  giudizio  abbreviato  rappresentava  quindi,  nella
  valutazione  del  legislatore,  la massima concessione, compatibile
  con  le  finalita'  di  tale  rito  (e  dei  connessi  benefici per
  l'imputato), alle ragioni di equita' che sollecitavano l'estensione
  agli  imputati  dei  procedimenti  in  corso  della possibilita' di
  avvalersi  della  nuova  disciplina  del giudizio abbreviato, nella
  parte  in  cui  questo  era  reso accessibile (senza necessita' del
  consenso  da  parte del pubblico ministero e senza possibilita' che
  il  giudice  sindacasse l'ammissibilita' della richiesta) anche per
  gli imputati di delitti punibili con l'ergastolo.
    Ebbene,   con   l'inserimento  nella  legge  di  conversione  del
  decreto-legge  del  7 aprile  2000, n. 82 della disposizione di cui
  all'art. 4-ter, commi 2 e seguenti, il legislatore ha evidentemente
  mutato  indirizzo. Egli ha ritenuto cioe' di doversi spingere oltre
  sulla  via  di  un  equo trattamento, estendendo la possibilita' di
  accedere ad un rito modellato sul nuovo giudizio abbreviato anche a
  quegli  imputati  (di reati puniti con la pena dell'ergastolo) che,
  in  pratica, non erano stati nella condizione di poterne fruire per
  cause  indipendenti  dalla  loro volonta': e cioe' per il fatto che
  "alla  data  di  entrata  in  vigore  della legge 16 dicembre 1999,
  n. 479,  era scaduto il termine per la proposizione della richiesta
  di  giudizio abbreviato", come recita testualmente il secondo comma
  del citato art. 4-ter.
    E'  di  tutta  evidenza  che  si tratta di una norma transitoria,
  perche'   applicabile  solo  ai  processi  (per  reati  puniti  con
  l'ergastolo)  "in  corso alla data di entrata in vigore della legge
  di  conversione  del  presente decreto"; ed applicabile una tantum,
  perche'  l'imputato che voglia beneficiarne deve avanzare richiesta
  "nella  prima  udienza  utile  successiva  alla  data di entrata in
  vigore della legge di conversione del presente decreto".
    Occorre  allora stabilire - tenendo presente pero' che al giudice
  di  merito  non  compete  una  decisione  nel  merito  di eventuali
  questioni   di   costituzionalita',  ma  solo  una  delibazione  di
  manifesta  o non manifesta infondatezza - se i predetti presupposti
  limitativi  dell'applicabilita'  di  questa  normativa  transitoria
  valgano  a  fugare  i dubbi di incostituzionalita' che si addensano
  nei   riguardi  di  una  soluzione  normativa  che  sembra  essersi
  inoltrata  lungo  una  via  che  gia' la Corte costituzionale aveva
  virtualmente reputato impraticabile per manifesta irragionevolezza.
    La  prima considerazione da fare e' che, salvo restando l'afflato
  equitativo   che,   nelle  intenzioni  del  legislatore  giustifica
  l'inserimento  di  queta  norma  transitoria,  le  finalita'  della
  relativa   disciplina   non   si  discostano  da  quelle  che  sono
  connaturate  alla  logica  e  agli  scopi  essenziali  del giudizio
  abbreviato:  promuovere  una  sollecita  definizione  del giudizio,
  attraverso  una  semplificazione  del  rito che assicuri una rapida
  conclusione  del  processo,  appunto  in  quanto la scelta del rito
  abbreviato  comporta  la rinunzia all'istruzione dibattimentale (in
  tutto o nella parte ancora da compiersi), con conseguente e congruo
  risparmio di attivita' processuale.
    Tali   finalita'   si  rispecchiano  pienamente  nella  soluzione
  adottata  dalla  disciplina  ordinaria  del giudizio abbreviato che
  pone come termine preclusivo per la proposizione della richiesta di
  essere   giudicati   con   il  rito  abbreviato  il  momento  della
  precisazione  delle  conclusioni  all'udienza  preliminare; e cosi'
  pure nella disciplina transitoria di cui al comma 1 dell'art. 4-ter
  che   estende  la  possibilita'  di  scelta  per  l'imputato  e  il
  conseguente  diritto  alla  riduzione  della  pena, sino all'inizio
  dell'istruzione  dibattimentale, (con riferimento allo stato in cui
  versa  il  processo  alla  data di entrata in vigore della legge di
  conversione del decreto-legge n. 82/2000). Ma le medesime finalita'
  di  economia  processuale  sono altresi' alla base della disciplina
  transitoria che, per ragioni di equita' nei riguardi degli imputati
  che  non  avevano  potuto  fruire  di questa possibilita' in quanto
  l'istruzione  dibattimentale era gia' in corso alla data di entrata
  in  vigore  della  disposizione transitoria di cui all'art. 223 del
  decreto  legislativo  n. 51 del 1998, ha esteso l'esperibilita' del
  rito  abbreviato  oltre il limite preclusivo segnato dall'effettivo
  inizio  dell'istruzione  dibattimentale  (e  sempre con riferimento
  allo  stato in cui versa il processo alla data di entrata in vigore
  della legge di conversione del citato decreto-legge).
    Lo  conferma del resto la scelta di consentire il rito abbreviato
  anche  in  grado  di appello, ma solo qualora sia stata disposta la
  rinnovazione   dell'istruzione   dibattimentale   e   "prima  della
  conclusione  dell'istruzione  stessa";  e  persino  nel giudizio di
  rinvio,  ma solo "se ricorrono le condizioni di cui alle lettere a)
  e  b",  ossia se comunque l'istruzione dibattimentale e' in corso e
  non ancora chiusa.
    Conseguentemente,  nessuna  violazione del fondamentale canone di
  ragionevolezza puo' ravvisarsi nella scelta operata dal legislatore
  di  precludere,  agli  imputati  di processi che versino nella fase
  della   discussione,   la   possibilita'  di  optare  per  il  rito
  abbreviato,  o,  piu'  esattamente,  per  lo speciale rito previsto
  dalla  disciplina  transitoria  introdotta  dall'art. 4-ter comma 2
  della  legge  30 maggio  2000 e regolato dai commi terzo e seguenti
  dello stesso art. 4-ter.
    Tale  scelta  infatti  e'  del  tutto  coerente  e  consona  alle
  finalita'  dichiarate  del giudizio abbreviato di cui agli articoli
  n. 438  e  segg,  codice di procedura penale (come modificati dalla
  legge  n. 479/1999)  che  sono  anche  quelle  dello  speciale rito
  introdotto  dalla  disciplina  transitoria  qui  in  esame.  Ed  e'
  evidente  che  nessun  risparmio  di attivita' processuale potrebbe
  derivare  dalla  scelta del rito abbreviato nell'ambito di processi
  che  versino gia' in fase di discussione. D'altra parte, l'imputato
  non  rinunzierebbe  ad alcuna attivita' istruttoria e la scelta del
  rito  abbreviato  si  risolverebbe  per  lui  esclusivamente  in un
  ingiustificato sconto di pena.
    Resta  pero'  da  vedere se la soluzione adottata dal legislatore
  non  sia  manifestamente  incongrua,  rispetto  alle pur dichiarate
  finalita' di economia processuale che pervadono anche la disciplina
  transitoria  in  esame.  E  se,  nella  prospettiva  di  un  equo e
  razionale  bilanciamento  di valori costituzionali in conflitto, il
  vantaggio  che  puo' derivarne in termini di risparmio effettivo di
  attivita'  processuali e sollecita definizione dei giudizi pendenti
  per i delitti piu' gravi, quali sono quelli puniti con l'ergastolo,
  non  sia  manifestamente  irrisorio,  avuto  riguardo alla deroga a
  principi fondamentali e al sacrificio o alla compressione di valori
  e  diritti  costituzionalmente garantiti che sicuramente conseguono
  ad  una  soluzione  che estende la possibilita' di accedere al rito
  abbreviato, a semplice richiesta dell'imputato, non sindacabile dal
  giudice, anche quando l'istruzione dibattimentale e' in pieno corso
  o addirittura ormai prossima a concludersi.
    E  cio'  con  particolare  riguardo  all'esigenza  di  tenuta  di
  principi  come quello del contraddittorio, della parita' tra accusa
  e   difesa,   dell'oralita'   e  immediatezza  intesi  come  canoni
  fondamentali  del  giudizio  in fase dibattimentale; ma anche delle
  garanzie connesse ai principi di obbligatorieta' dell'azione penale
  e  di  indefettibilita'  della  giurisdizione  (articoli 112,  101,
  secondo  comma  e 102, primo comma Cost); ed ancora con riferimento
  alla  garanzia  dello  stesso  diritto  di  difesa (art. 24) e alle
  disparita'  di  trattamento (art. 3) che inevitabilmente conseguono
  per  chi  accetti di essere giudicato secondo il rito abbreviato, e
  che  appaiono tanto piu' manifeste tra imputati dello stesso reato,
  dei  quali  solo  uno  o  solo alcuni optino per il rito abbreviato
  (questi  ultimi,  infatti  saranno  giudicati  anche sulla base del
  materiale   istruttorio   contenuto   nel  fascicolo  del  pubblico
  ministero ed elevato ope iuris a dignita' di prova utilizzabile per
  la decisione).
    Sul  punto  relativo al sacrificio del diritto di difesa - che si
  verifica  anche  nella disciplina ordinaria del giudizio abbreviato
  perche' anche qui l'imputato rinunzia non solo all'assunzione delle
  prove  a  discarico, ma anche all'assunzione di quelle a carico con
  la  garanzia  del  contraddittorio - e' appena il caso di segnalare
  che  il  beneficio  della riduzione della pena e' un incentivo alla
  scelta  del rito abbreviato, ma non costituisce certo il fondamento
  giustificativo  della  compressione  che  ne  deriva  al diritto di
  difesa,   quasi   che   fosse   ammissibile  barattare  un  diritto
  fondamentale   della  persona  (e  in  quanto  tale  indisponibile,
  relativamente  almeno  alle  garanzie  che  lo  assistono)  con  un
  beneficio  individuale,  seppur di rilevante entita'. In realta', a
  giustificare quell'obbiettiva compressione del diritto di difesa e'
  l'interesse  pubblico alla semplificazione del rito come veicolo di
  accelerazione nella definizione dei processi; e il vantaggio che la
  complessiva  efficienza  del servizio giustizia puo' ricavare da un
  risparmio  di attivita' processuale, in quanto questo si traduce in
  un risparmio di risorse, di tempi e di costi.
    Sotto  questo profilo, ma anche in rapporto alla compressione del
  principio  di  obbligatorieta' dell'azione penale, del principio di
  indefettibilita'   della   giurisdizione   e   del   principio  del
  contraddittorio, le maggiori perplessita' nascono dal fatto che, in
  base  alla  disciplina  transitoria - che riproduce pedissequamente
  sul  punto  la  nuova  disciplina  del  giudizio  abbreviato  -  la
  richiesta  dell'imputato  non  solo  non necessita del consenso del
  pubblico  ministero,  ma non e' sindacabile dal giudice, neppure in
  relazione  allo  stato del processo: e segnatamente, all'istruzione
  dibattimentale gia' compiuta e a quella ancora da compiersi.
    Ora,  non  si vede quale risparmio di attivita' processuale possa
  derivare  dalla  scelta  del  rito  abbreviato  nell'ambito  di  un
  processo che versi gia' nella fase c.d. del "507": la fase cioe' in
  cui,  terminata  l'assunzione  delle  prove chieste dalle parti, il
  giudice  dispone  ulteriori attivita' istruttorie o di integrazione
  probatoria  per  acquisire  elementi  che  reputi  necessari per la
  decisione.  E'  di  tutta evidenza che in questo caso la scelta del
  rito abbreviato non fara' venire meno la necessita' delle attivita'
  istruttorie   gia'   disposte   d'ufficio  in  quanto  ritenute  (e
  dichiarate)  indispensabili  per  la  decisione. E infatti anche in
  base  al  rito  modellato  sul  giudizio  abbreviato,  con espresso
  richiamo  tra gli altri anche dell'art. 441 del codice di procedura
  penale,   gli   ulteriori   accertamenti   gia'   disposti  restano
  ammissibili a titolo di integrazione probatoria.
    La  scelta  del rito abbreviato non avra' allora altro effetto se
  non   quello   di   realizzare   a   beneficio   dell'imputato   un
  ingiustificato  sconto di pena: e non e' questo lo scopo perseguito
  dalla  stessa  disciplina  transitoria. Ne segue anche la manifesta
  violazione  degli  articoli  3  e 27 della Costituzione. Viene meno
  infatti la correlazione tra il beneficio della riduzione della pena
  e   la   semplificazione  del  rito;  e  con  essa  quella  residua
  giustificazione  del  beneficio concesso agli imputati dei processi
  che rientrano nella previsione di cui al comma 2 dell'art. 4-ter. E
  non  si  comprende  piu' perche' tale beneficio debba essere negato
  agli  imputati  di processi che alla stessa data versino in fase di
  discussione.  Ne'  si  comprende  per  quale ragione il legislatore
  abbia  mantenuto  fermo,  nella  norma  transitoria di cui al primo
  comma  del  medesimo  art. 4-ter il limite invalicabile dell'inizio
  dell'istruzione dibattimentale.
    Ma   a   conclusioni   analoghe   deve  pervenirsi  anche  quando
  l'istruzione  dibattimentale  di un processo con decine e decine di
  imputati sia formalmente aperta, ma in realta' gia' chiusa di fatto
  per  molti  imputati  e  rispetto  a tutti i reati di cui essi sono
  chiamati a rispondere.
    Ed  appare piu' che fondato il dubbio che manifestamente inisorio
  sia  il  risparmio di attivita' processuale conseguente alla scelta
  del  rito abbreviato nell'ambito di un processo la cui istruzione -
  che  magari  si  era  protratta  per  anni  -  e'  assai prossima a
  concludersi, in quanto resta da assumere un solo teste o poco piu'.
  (Piu'  in  generale  va  rilevato  che  in  tutti  i  casi  in  cui
  l'istruzione dibattimentale e' prossima a concludersi, le prove non
  ancora  assunte  e sulle quali le parti richiedenti insistano, sono
  verosimilmente  prove necessarie per la decisione, poiche', in caso
  contrario,  il  giudice  le  revocherebbe. E quindi esse potranno e
  dovranno ugualmente assumersi a titolo di integrazione probatoria).
    Le   finalita'   di   economia  processuale  appaiono  ugualmente
  smentite,  ed  anzi il contrasto diviene eclatante, nei processi in
  cui  solo  alcuni  degli imputati optino per il rito abbreviato: in
  questi   casi,   infatti,  il  processo  originariamente  unico  si
  sdoppiera',  perche' un troncone proseguira' con il rito ordinario,
  con  possibile  duplicazione  anche delle attivita' istruttorie che
  appaiono comunque indispensabili per la decisione. Inoltre, per non
  incorrere  in una situazione di incompatibilita', il giudice dovra'
  spogliarsi  di  uno  dei  due  tronconi,  verosimilmente quello che
  prosegue  con  il rito ordinario, che dovra' essere deciso da altro
  giudice, previa rinnovazione del dibattimento: in altri termini, il
  processo,  sottratto  al giudice naturale per effetto di una scelta
  unilaterale  e non sindacabile di un imputato o di alcuni imputati,
  ripartira' dall'inizio.
    E'  proprio questo il caso del presente processo che, nel caso di
  adozione del rito abbreviato, si frantumerebbe in due tronconi, uno
  dei  quali proseguirebbe con le forme del rito ordinario investendo
  la posizione di ben nove imputati su diciannove. I nove imputati in
  questione  (Pirrone  Angelo  cl. 61,  Di Gregorio Giuseppe, Adelfio
  Serafino,  Di Matteo Giuseppe, Di Maggio Salvatore, Di Matteo Mario
  Santo,  Genovese Salvatore, Migliore Stefano e Migliore Baldassare)
  rispondono  -  taluni - degli stessi reati c.d. "minori" contestati
  anche  agli  altri  dieci  imputati  che  avrebbero diritto al rito
  abbreviato  e  tutti,  comunque,  di reati strettamente connessi ai
  piu' gravi delitti ascritti agli stessi dieci imputati.
    Il contrasto con le finalita' di economia e celerita' processuale
  appare  tanto  piu'  evidente nella misura in cui lo stralcio delle
  posizioni processuali darebbe luogo ad inevitabili incompatibilita'
  del collegio giudicante.
    Esiste altresi' un profilo generale e assorbente di contrasto con
  gli  articoli  3  e 27 della Costituzione che riguarda tutti i casi
  che  rientrano  nella  disciplina  transitoria  in  esame, lambendo
  peraltro  la  stessa  disciplina  ordinaria del giudizio abbreviato
  come innovata dalla legge c.d. "Carotti".
    Al riguardo va premesso quanto segue.
    La   definizione  in  concreto  della  pena  rientra  nel  potere
  discrezionale del giudice ex art. 132 del codice penale, ma poiche'
  e'  un atto indefettibilmente giurisdizionale esso assume rilevanza
  costituzionale ai sensi dell'art. 102 Cost.
    A  sua  volta, l'art. 27 Cost., nella parte in cui afferma che la
  responsabilita'  e' personale, sembra esigere anche che la pena sia
  in concreto ragguagliata alla gravita' del fatto e alla capacita' a
  delinquere del colpevole.
    Pertanto,  il  principio della discrezionalita' del giudice nella
  determinazione  in  concreto della pena, previsto dall'art. 132 del
  codice  penale,  trova  un  sicuro  fondamento  in  alcuni principi
  costituzionali,  e segnatamente nel principio della responsabilita'
  personale  (art. 27);  e nel principio di eguaglianza (art. 3), che
  impone  parita'  di trattamento per situazioni uguali; ma impone di
  trattare  in  modo  differente  situazioni obbiettivamente diverse,
  avuto riguardo alla ratio della norma da applicare.
    Il  principio generale di proporzionalita' della pena rappresenta
  poi  un limite logico, prima che equitativo, alla potesta' punitiva
  dello  Stato  (almeno  in  uno  Stato  di diritto) ed e' insito nel
  concetto  retributivo  di  pena  non  meno  che  nella sua funzione
  rieducativa, a norma dell'art. 27, terzo comma Cost.
    Orbene,  non  e'  in  discussione  la  scelta  del legislatore di
  consentire agli imputati (compresi quelli chiamati a rispondere dei
  delitti  puniti  con  le massime pene) di ottenere, a loro semplice
  richiesta,  non  sindacabile  dal  giudice  sotto  il profilo della
  congruita'  del  trattamento  sanzionatorio  finale,  una riduzione
  nella  misura  fissa di un terzo della pena determinata in concreto
  dal  giudice.  La deroga ai principi anzidetti e' attenuata proprio
  dal  fatto  che  la  riduzione  e'  predeterminata per legge in una
  misura    fissa,   finendo   cosi'   per   rispettare   una   certa
  proporzionalita'  rispetto  alla  pena  determinata dal giudice. Ne
  soffre   la   funzione   rieducativa  della  pena,  perche'  se  e'
  considerata  rieducativa  la  pena  fissata in una certa misura, in
  relazione  ad  un  determinato  reato  commesso  da  un determinato
  imputato,  parrebbe  non  essere  piu'  rieducativa  la stessa pena
  diminuita  ex  lege  di  un  terzo; e d'altra parte se questa fosse
  nondimeno  ritenuta  congrua, non lo sarebbe piu' (per quel reato e
  per  quell'imputato) una pena maggiorata di un terzo in conseguenza
  del rito ordinario.
    Ma  qui e' troncante la considerazione che la riduzione correlata
  alla  scelta  del  rito  alternativo  non  e' un'attenuante, ma una
  diminuente  di carattere squisitamente processuale, che non involge
  la  valutazione  di merito del, giudice in ordine alla gravita' del
  fatto  o  alla  congruita' della pena. Ed e' voluta dal legislatore
  come  mero  incentivo  alla  deflazione dei processi che pervengono
  alla fase dibattimentale.
    Il  problema posto dalla nuova legge e aggravato dalla disciplina
  transitoria qui in esame e', pero', un altro.
    L'art. 30  lettera  B) della legge n. 479 del 16 dicembre 1999 ha
  modificato  l'art. 442  del codice di procedura penale introducendo
  nel  comma  2  il  seguente  periodo:  "alla pena dell'ergastolo e'
  sostituita  quella della reclusione di anni trenta". E' stata cosi'
  ripristinata   una   previsione   inserita   nell'originario  testo
  dell'art. 442   del   codice   di  procedura  penale  e  dichiarata
  costituzionalmente  illegittima, per eccesso di delega, dalla Corte
  costituzionale con sentenza n. 176 del 23 aprile 1991. Tale recente
  modifica  normativa  si  colloca  all'interno  di una piu' generale
  riforma  che  ha  rimesso  alla  semplice  scelta  dell'imputato la
  possibilita'  di  procedere  con  il rito abbreviato, escludendo la
  necessita' del consenso del pubblico ministero e stabilendo che, in
  presenza  di  una  richiesta  dell'imputato  non subordinata ad una
  integrazione  probatoria,  necessariamente "il giudice provvede con
  ordinanza con la quale dispone il giudizio abbreviato". II giudice,
  quindi, deve applicare la riduzione di pena conseguente al giudizio
  abbreviato  anche  qualora  ritenga  che la pena cosi' irrogata sia
  inadeguata rispetto alla gravita' del fatto (diversamente da quanto
  avviene  nell'ipotesi del "patteggiamento", in cui il giudice ha il
  potere  di respingere la richiesta delle parti se ritiene incongrua
  la pena da loro indicata).
    Qualora  in  sede  di giudizio abbreviato l'imputato sia ritenuto
  responsabile   di   piu'  reati  per  ciascuno  dei  quali  sarebbe
  astrattamente  irrogabile  la  pena dell'ergastolo, la pena massima
  complessiva  che  puo'  essere  applicata rimarra' sempre quella di
  anni  30  (suscettibile  di  ridursi  ad  anni  24  in virtu' della
  liberazione    anticipata):    infatti    la   riduzione   prevista
  dall'art. 442  del codice di procedura penale si applica sulla pena
  unica  determinata dal giudice ai sensi dell'art. 73 codice penale.
  Si  vanifica  in  tal  modo  la  ratio dell'art. 73, comma secondo,
  codice  penale,  volta  ad  "evitare  che possano le pene piu' alte
  costituire  pel  condannato  una specie di viatico alla delinquenza
  reiterata" (secondo quanto si specificava nella Relazione al Codice
  Rocco).
    L'art.   4-ter  del  decreto-legge  7  aprile  2000  n. 82,  come
  modificato  dalla  legge  di  conversione  5  giugno  2000  n. 144,
  stabilisce che:
      1. Salvo quanto previsto dai commi seguenti, le disposizioni di
  cui  agli  articoli  438  e seguenti del codice di procedura penale
  come  modificate o sostituite dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479,
  si  applicano  ai  processi  nei  quali,  ancorche'  sia scaduto il
  termine per la proposizione della richiesta di giudizio abbreviato,
  non  sia  ancora  iniziata l'istruzione dibattimentale alla data di
  entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

      2. Nei   processi   penali   per   reati  puniti  con  la  pena
  dell'ergastolo, in corso alla data di entrata in vigore della legge
  di conversione del presente decreto e nei quali prima della data di
  entrata in vigore della legge 16 dicembre 1999, n. 479, era scaduto
  il   termine  per  la  proposizione  della  richiesta  di  giudizio
  abbreviato,  l'imputato,  nella prima udienza utile successiva alla
  data  di  entrata in vigore della legge di conversione del presente
  decreto,   puo'   chiedere   che   il  processo,  ai  fini  di  cui
  all'art. 442,  comma  secondo,  del codice di procedura penale, sia
  immediatamente  definito, anche sulla base degli atti contenuti nel
  fascicolo di cui all'art. 416, comma, del medesimo codice.
      3. La  richiesta  di  cui  al  comma  secondo  e' ammessa se e'
  presentata:
        a) nel  giudizio  di  primo  grado  prima  della  conclusione
  dell'istruzione dibattimentale;
        b) nel  giudizio  di  appello,  qualora sia stata disposta la
  rinnovazione  dell'istruzione  ai sensi dell'art. 603 del codice di
  procedura penale, prima della conclusione della istruzione stessa;
        c) nel  giudizio di rinvio, se ricorrono le condizioni di cui
  alle lettere a)e b).

      4. La  volonta'  dell'imputato  e' espressa personalmente o per
  mezzo  di  procuratore  speciale e la sottoscrizione e' autenticata
  nelle   forme  previste  dall'art. 583,  comma  3,  del  codice  di
  procedura penale.
      5. Sulla   richiesta   il   giudice   provvede  con  ordinanza,
  disponendo  l'acquisizione del fascicolo di cui all'art. 416, comma
  2, del codice di procedura penale.

      6. Ai fini della deliberazione, il giudice utilizza, oltre agli
  atti contenuti nel fascicolo di cui al comma 5, le prove assunte in
  precedenza.

      7. Per  quanto non previsto nel presente articolo, si applicano
  le disposizioni di cui agli articoli 441, escluso il comma 3, e 442
  del codice di procedura penale, nonche' l'articolo 443 del medesimo
  codice se la sentenza e' pronunciata nel giudizio di primo grado.
    La  liberazione  anticipata,  che  (secondo il disposto dell'art.
  4-bis  dell'ordinamento  penitenziario)  puo'  trovare applicazione
  anche  nei  confronti dei detenuti per delitti commessi avvalendosi
  delle  condizioni  previste  dall'art. 416-bis  del  codice  penale
  ovvero  al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni di tipo
  mafioso,     e'    disciplinata    dall'art. 54    dell'ordinamento
  penitenziario. Quest'ultima norma prevede che "al condannato a pena
  detentiva   che   ha   dato   prova  di  partecipare  all'opera  di
  rieducazione    e'   concessa,   quale   riconoscimento   di   tale
  partecipazione, e ai fini del suo piu' efficace reinserimento nella
  societa',  una detrazione di 45 giorni per ogni singolo semestre di
  pena  scontata".  Tale  disposizione  rimane priva di significativa
  rilevanza  pratica  per  i  soggetti condannati all'ergastolo per i
  delitti    commessi    avvalendosi    delle   condizioni   previste
  dall'art. 416-bis  del  codice  penale  ovvero al fine di agevolare
  l'attivita'  delle  associazioni  di  tipo mafioso, poiche' costoro
  sono  soggetti  ad  una  pena  perpetua.  La medesima disposizione,
  invece,  vale  a ridurre (nella misura di tre mesi per ogni anno di
  detenzione) la durata della pena temporanea inflitta per i suddetti
  delitti in sede di giudizio abbreviato.
    Cio'  posto,  la  possibilita'  di  beneficiare  di  un'ulteriore
  riduzione  della  pena,  attraverso il meccanismo della liberazione
  anticipata,  e  di  scendere  cosi'  al  di  sotto  del  limite dei
  trent'anni (fino a 24 anni), anche in favore di soggetti condannati
  in  primo grado all'ergastolo per stragi o per aver commesso decine
  di  omicidi,  non  puo'  non  riproporre  in  termini  eclatanti il
  problema  della  congruita' della pena, ovvero della sindacabilita'
  sotto  questo  profilo  specifico, della richiesta dell'imputato di
  essere  giudicato  ai  sensi  dell'art. 4-ter, comma 2, e seguenti.
  Troppo  stridente  appare  la  forbice tra l'effetto di sostanziale
  vanificazione  della  funzione rieducativa della pena effettiva che
  residua  all'esito  dei benefici cumulabili dall'imputato che abbia
  optato  per  il  rito  abbreviato; nonche' l'evidente disparita' di
  trattamento  che  sotto  questo  profilo  ne  consegue  rispetto ai
  condannati  per  reati  anche  meno  efferati;  e l'effetto davvero
  modesto  o addirittura irrisorio di semplificazione delle attivita'
  processuali conseguente alla scelta del rito abbreviato.
    Ma  si  adombrano  ulteriori  e ancora piu' stringenti profili di
  incostituzionalita'   della   normativa   transitoria   sempre  per
  contrasto con gli articoli 3 e 27 Cost.
    Infatti,  quando  la  legge sostituisce automaticamente alla pena
  dell'ergastolo   quella  della  reclusione  nella  misura  fissa  e
  predeterminata di 30 anni, implicitamente statuisce che tale misura
  costituisce  un  limite  inderogabile,  ossia  la pena finale al di
  sotto  della  quale  non  si  puo'  scendere,  per  i  delitti  che
  dovrebbero   essere  (altrimenti)  puniti  con  l'ergastolo,  anche
  all'esito dell'applicazione del beneficio correlato alla scelta del
  rito abbreviato.
    Ma  che  dire  dei  casi  in  cui l'imputato che opta per il rito
  abbreviato  sia  riconosciuto  colpevole di piu' omicidi, ovvero di
  stragi e omicidi?
    Ove tra i delitti per cui e' condanna si ravvisi il vincolo della
  continuazione,  dovra'  procedersi,  in conformita' ad una pacifica
  giurisprudenza  di  legittimita', all'applicazione della diminuente
  per   il   rito   solo  dopo  l'applicazione  dell'aumento  per  la
  continuazione, calcolato sul delitto piu' grave. Ma se la pena base
  per il computo della pena da infliggere per il reato continuato sia
  gia'   quella  dell'ergastolo,  l'aumento  della  continuazione  si
  tradurra' in un inasprimento del trattamento sanzionatorio ai sensi
  dell'art. 72   del   codice   penale:   la   pena  detentiva  resta
  l'ergastolo,  aggravato  pero' dalla misura dell'isolamento diurna,
  da  applicarsi appunto a titolo di aumento per la continuazione. Su
  questo  trattamento  sanzionatorio  andra'  pero'  ad  incidere  la
  diminuente per il rito che si traduce nella sostituzione automatica
  della pena detentiva di trent'anni, senza che residui alcuno spazio
  per   l'aumento   che   doveva   essere   applicato   a  titolo  di
  continuazione.    Non   e'   corretto   parlare   di   assorbimento
  dell'aumento,  perche' anche quando la pena per il reato continuato
  venga  ridotta  in applicazione di una diminuente per il rito (come
  nelle   altre   ipotesi  di  giudizi  abbreviato  o  in  quelle  di
  patteggiamento),  la  riduzione  opera proporzionalmente sulla pena
  finale   e   complessiva   determinata  per  il  reato  continuato,
  comprensiva dell'aumento per la continuazione, che quindi non resta
  irrilevante,  ne' subisce alcun assorbimento (Neppure l'art. 78 del
  codice  penale,  che in caso di cumulo di pene detentive temporanee
  fissa  il  tetto  massimo  di  trent'anni  di  reclusione  e che e'
  pacificamente  ritenuto  applicabile  anche  nell'ipotesi  di reato
  continuato, determina un integrale assorbimento dell'aumento dovuto
  ex  art. 81,  comma  secondo  del  codice  penale: l'osservanza del
  principio  enucleabile dall'art. 78 postula piuttosto che l'aumento
  per  la continuazione sia contenuto e non assorbito entro il limite
  dei trent'anni).
    Se  cosi'  non  fosse,  i reati satelliti, o comunque considerati
  tali  ai  fini  del  computo  della  pena,  resterebbero  del tutto
  impuniti e questo e' un effetto inammissibile.
    Ma proprio questo effetto si verifica attraverso il meccanismo di
  riduzione   ope  iuris  innescato  dalla  richiesta  unilaterale  e
  insindacabile   dell'imputato   che  si  avvalga  dell'opportunita'
  concessagli  dalla  disciplina transitoria di cui all'art. 4-ter. E
  si  tratta  a ben vedere di un effetto che esula dalle finalita' di
  quella  disciplina  o addirittura si pone in contrasto con essa, se
  e'  vero  che,  sia  pure  implicitamente, il legislatore ha inteso
  porre  i  trent'anni  come  limite  di  pena  inderogabile in luogo
  dell'ergastolo,  e  all'esito,  dell'  applicazione  del  beneficio
  concesso  all'imputato  effettivamente reo di un delitto punito con
  l'ergastolo.
    Ancora  piu'  eclatante appare il contrasto con gli articoli, 3 e
  27  della  Costituzione  nell'ipotesi di concorso materiale di piu'
  reati  puniti con l'ergastolo. Anche qui, si procedera' nel caso di
  condanna    inflitta    nell'ambito    del    medesimo    processo,
  all'applicazione  della  diminuente  per  il  rito solo dopo che il
  giudice  avra'  applicato tutte le norme di diritto sostanziale che
  regolano  la  determinazione  della  pena,  ivi comprese quelle che
  disciplinano  il  cumulo  (delle pene da infliggere con la medesima
  sentenza).  Si  applichera'  dunque  l'art. 72 codice penale e solo
  successivamente   la  diminuente  per  il  rito,  che,  sostituendo
  all'ergastolo  la  pena  di  trent'anni  di reclusione, finisce per
  azzerare   anche   l'inasprimento   del  trattamento  sanzionatorio
  previsto  dall'art. 72  appunto  nel  caso  di  concorso di delitti
  parimenti  puniti  con  l'ergastolo. Pertanto, l'imputato che abbia
  commesso  un  solo  omicidio  soggiacera'  alla  stessa pena e allo
  stesso  trattamento  sanzionatorio complessivo inflitto a chi abbia
  commesso  decine  di  omicidi,  oppure  piu'  omicidi  e  stragi. E
  l'imputato che abbia commesso decine di omicidi ovvero piu' omicidi
  e  stragi  rispondera'  in  pratica  di  uno  solo di tali delitti,
  restando   gli   altri  del  tutto  impuniti.  Effetto  palesemente
  contrario,   come   gia'   rilevato,   alla  ratio  che  ispira  la
  disposizione  di  cui  all'art. 73, comma secondo. Non solo, ma chi
  risponda  di  due  omicidi,  per  nessuno di quali siano contestate
  aggravanti  che  lo  rendano passibile della pena dell'ergastolo, e
  sia  riconosciuto  colpevole  di  entrambi, non potendo fruire (per
  cause  ovviamente  indipendenti  dalla sua volonta') della speciale
  normativa   transitoria   di   cui  all'art. 4-ter,  dovra'  essere
  condannato all'ergastolo, in applicazione delle norme sul cumulo di
  pena,  ove  non  riporti,  per almeno uno dei due omicidi, una pena
  inferiore a 24 anni.
    Ma  c'e'  di piu'. L'applicazione della norma di cui all'art. 73,
  comma  secondo,  sostanzialmente  inibita o comunque vanificata dal
  meccanismo di operativita' della diminuente per il rito - nel senso
  che  questa  si applica una sola volta per ciascun imputato, e dopo
  che  si e' determinata la pena complessiva da infiggergli per tutti
  i  delitti  per  cui  e'  condanna  -  continua  invece  a  trovare
  applicazione  in sede di esecuzione, con ulteriore e ingiustificata
  disparita'   di  trattamento  tra  gli  imputati  che  siano  stati
  giudicati  e  riconosciuti  colpevoli  di  piu'  delitti puniti con
  l'ergastolo,  nell'ambito  del  medesimo  processo;  e gli imputati
  riconosciuti  colpevoli dei medesimi reati, ma in separati processi
  (che,    a    differenza   dei   primi,   non   potranno   sfuggire
  all'applicazione    dell'art. 73,   comma   secondo,   pur   avendo
  beneficiato, come loro, della diminuente per il rito).
    Possono  dunque riassumersi come segue i profili di contrasto che
  la  normativa  in esame pone, ad avviso di questa Corte rispetto ai
  parametri costituzionali.
    Art. 112  Cost.,  nella  parte  in  cui  impone  all'organo della
  pubblica  accusa  di  dare  impulso alla formazione della prova per
  verificare la sussistenza dei presupposti sostanziali della pretesa
  punitiva   dello   Stato:  il  contrasto  e'  evidente  laddove  la
  disciplina   transitoria   consente   all'imputato,   con  una  sua
  unilaterale  manifestazione di volonta' e senza alcuna possibilita'
  di  sindacato  da  parte  del  giudice, di espungere dal novero del
  materiale  utilizzabile  per  la decisione le prove gia' ammesse su
  richiesta del pubblico ministero e non ancora assunte.
    Articoli 101,  comma  secondo,  e  102,  comma primo Cost., nella
  parte   in  cui  sanciscono  che  la  funzione  giurisdizionale  e'
  esercitata  dai  giudici  ordinari, che sono soggetti soltanto alla
  legge:    il   disposto   costituzionale   implicitamente   postula
  l'illegittimita' di qualunque forma, anche mediata, di interferenza
  e di condizionamento da parte di soggetti diversi.
    Ebbene,  il contrasto si delinea quando, come nel caso di specie,
  si  consente  all'imputato, con una propria decisione unilaterale -
  che  la  legge  pudicamente  definisce richiesta - di modificare il
  rito di un giudizio che si era gia' instaurato nelle forme del rito
  ordinario,  optando  per  il  giudizio  abbreviato;  e senza alcuna
  possibilita'  per  il  giudice  di  valutare la congruita' del rito
  richiesto  (rectius,  imposto  dall'imputato),  sia  rispetto  agli
  interessi  delle altre parti in causa, sia rispetto all'esigenza di
  un armonico esercizio della giurisdizione.
    Infatti,  il controllo del processo (e sul processo) da parte del
  giudice,  e'  un  elemento essenziale e inderogabile della funzione
  giurisdizionale,  a  garanzia  di tutte le parti (comprese le parti
  civili).  E una volta che il giudizio si sia instaurato nelle forme
  del  rito  ordinario, con la conseguente attivazione di quel potere
  di  controllo,  esso  non appare compatibile con il conferimento ad
  una  sola  delle  parti  di un cosi' rilevante potere sulla forma e
  sulle  modalita'  di definizione del processo (tanto piu' che dalla
  scelta  insindacabile di una sola parte dipendono conseguenze tanto
  rilevanti anche su piano del trattamento sanzionatorio).
    Ne  segue  che  e' violato anche il principio di uguaglianza, per
  l'irragionevole  privilegio  accordato nei termini suesposti ad una
  sola delle parti del processo.
    Articoli 102, 3 e 24 della Costituzione: corollario del principio
  del  controllo  deputato  al  giudice  sul  processo,  a  sua volta
  connaturato   all'esercizio   della   funzione  giurisdizionale  ex
  art. 102  Cost.,  e'  anche  il principio di indisponibilita' delle
  fonti  di  prova,  che,  una  volta  ammesse,  non  possono  essere
  sottratte   per   decisione  del  solo  imputato  (o  del  pubblico
  ministero)  all'assunzione ad iniziativa delle parti che vi abbiano
  interesse.  Anche  sotto questo profilo si delinea il contrasto con
  l'art. 102,  ma  anche  con gli articoli, 3 e 24 Cost., soprattutto
  con  riferimento  alla  posizione delle parti civili. Inibendosi il
  diritto  alla  prova  di  queste ultime, infatti, se ne vanifica di
  fatto  la partecipazione al giudizio penale e il diritto a ottenere
  tutela per i propri diritti in quella sede.
    Art. 111  Cost.,  nella  parte  in  cui ammette che la formazione
  della  prova  possa non aver luogo in contraddittorio, per consenso
  dell'imputato.
    Ed invero, non sembra proprio che la previsione costituzionale si
  spinga  fino  al  punto  di  tollerare  che l'imputato, con propria
  richiesta  unilaterale  e  non soggetta ad alcuna verifica da parte
  del  giudice, possa impedire l'assunzione delle prove gia' ammesse.
  Infatti,  l'art. 111  si limita a stabilire che la formazione della
  prova  puo',  se  l'imputato lo consenta, non avvenire nel rispetto
  del  principio  del  contraddittorio,  e  cio'  nei  casi  all'uopo
  regolati con legge ordinaria. Ma nulla dispone in ordine alle prove
  che  sono  state gia' ammesse e debbono ancora essere assunte. E se
  e' ancora tollerabile che l'imputato interessato al rito abbreviato
  possa  rinunziare  alle  prove  che  lui  stesso  aveva  chiesto di
  assumere, non si vede come possa altresi' impedire alle altre parti
  di assumere le prove gia' ammesse su loro richiesta, senza con cio'
  violare  il  disposto  dell'art. 111  Cost. - nella parte in cui la
  norma   eleva   il  contraddittorio  a  strumento  privilegiato  di
  accertamento  della  verita'  processuale,  oltre che indefettibile
  garanzia  per  i  diritti  della  difesa  -  e senza determinare al
  contempo  un'ingiustificata  disparita' di trattamento nei riguardi
  delle altre parti (pubblico ministero e parti civili).
    In  realta',  l'art. 111,  comma  quinto Cost., guarda proprio ai
  riti alternativi nella loro disciplina "ordinaria", che non prevede
  in  effetti  alcuna commistione tra rito ordinario e rito speciale,
  mentre  la  disciplina introdotta dal secondo comma dell'art. 4-ter
  della  legge  di  conv. del decreto-legge del 7 aprile 2000, n. 82,
  crea  una  sorta di ibrido tra le forme del rito ordinario e quelle
  dello speciale rito proprio del giudizio abbreviato. Motivo di piu'
  per  dubitare della compatibilita' di tale normativa con l'art. 111
  Cost., commi quarto e quinto.
    Art. 111  Cost.,  nella  parte in cui stabilisce che "il processo
  penale   e'   regolato  dal  principio  del  contraddittorio  nella
  formazione della prova".
    Il  nuovo art. 111 assume invero tale principio nella sua duplice
  valenza:
      da  un  lato,  come  istituto  fondamentale  di  garanzia per i
  diritti  della  difesa; dall'altro strumento altrettanto essenziale
  per garantire un giusto ed efficace accertamento della verita'.
    Infatti,  accertamento  della  verita' e giusto processo sono due
  facce  della  stessa  medaglia, nel senso che, affinche' vi sia una
  giusta  decisione, il giudice deve essere posto nelle condizioni di
  poter  pervenire  alla  piena  conoscenza per quanto possibile) del
  fatto  oggetto  del  giudizio; e la via migliore per garantire (per
  quanto  possibile)  una  piena  cognizione  dei  fatti,  e'  quella
  assumere   le  prove  nel  contraddittorio  delle  parti,  e  cioe'
  attraverso  il  dialettico  confronto  delle  rispettive  ragioni e
  difese.
    La  scelta  del rito abbreviato comporta quindi un sacrificio che
  non  puo'  essere  bilanciato  e  reso  legittimo solo dal consenso
  dell'imputato,  poiche' e' in gioco un interesse indisponibile qual
  e'  quello  di  pervenire all'accertamento della verita', che resta
  uno degli scopi fondamentali del processo.
    E  infatti,  nella  logica  dell'istituto, e tra le sue finalita'
  dichiarate,  spicca  proprio  l'interesse pubblico ad una sollecita
  definizione  del  procedimento,  attraverso  l'adozione  di un rito
  semplificato  che  implica  la  rinunzia  alla fase dell'istruzione
  dibattimentale,  e  fatta  salva  la  possibilita'  di una limitata
  integrazione  probatoria  (limitata  cioe'  all'acquisizione  degli
  elementi  che il giudice reputi indispensabili per la decisione); e
  fatta   salva  altresi'  l'ipotesi,  contemplata  dalla  disciplina
  ordinaria  del  giudizio  abbreviato, di una richiesta condizionata
  all'assunzione di talune prove: ma in questo caso il richiedente si
  espone  al  rischio  di  vedere  rigettata la richiesta, appunto in
  quanto incompatibile con le peculiarita' del rito richiesto.
    Ma questa finalita' di economia processuale appare contraddetta o
  vanificata  nei  processi  che  versano  gia'  in  fase avanzata di
  istruzione dibattimentale.
    Richiamando  quanto  precedentemente  osservato  in  ordine  alle
  complicazioni  che scaturirebbero da un frazionamento del processo,
  riflettentisi  negativamente  sulla  economicita' e celerita' della
  sua definizione, va anche segnalato che in questi casi il vantaggio
  che  dovrebbe  discendere dall'adozione del rito abbreviato ai fini
  di una sollecita definizione del procedimento e' pressocche' nullo,
  tenuto  conto, oltretutto, della possibilita' (o necessita') che il
  giudice  disponga d'ufficio un'attivita' di integrazione probatoria
  che,  per  la  sua  complessita',  potrebbe  risultare  assai  poco
  compatibile   con   l'obbiettivo  di  una  rapida  conclusione  del
  processo.
    Ne'  va  trascurata,  per la sua negativa incidenza sull'economia
  processuale,   la   necessita'  che  l'intero  collegio  giudicante
  (composto,  per  quanto concerne le Corti d'assise, anche da almeno
  sei   giudici   popolari)  proceda  all'esame  di  tutti  gli  atti
  precedentemente non portati alla sua cognizione (ossia tutti quelli
  contenuti   nel   fascicolo   del   pubblico   ministero);  con  la
  possibilita'  che  si  ravvisi  proprio all'esito di tale esame, la
  necessita' di procedere ad una congrua integrazione probatoria.
    Si  aggiunga  poi  che  quando il processo e' in fase avanzata di
  istruzione  dibattimentale,  le  prove  gia'  ammesse, ma ancora da
  assumersi,  sono presumibilmente necessarie ai fini della decisione
  (con  la  conseguenza  che  andrebbero  indefettibilmente assunte a
  titolo   di   integrazione   probatoria   anche  in  caso  di  rito
  abbreviato);  ovvero, se superflue, il giudice ne potrebbe revocare
  l'ammissione.  Infatti, quando l'istruzione e' in fase avanzata, il
  giudice  possiede  ormai gli elementi necessari per una valutazione
  in  ordine alla rilevanza o meno delle prove da assumere molto piu'
  penetrante  rispetto  a  quella  che egli poteva operare all'inizio
  dell'istruzione stessa.
    Di   conseguenza,   l'adozione   del   rito   abbreviato,  almeno
  teoricamente,  non  si  tradurrebbe in un risparmio apprezzabile di
  attivita' processuale.

    Articoli 3, 24 e 97 Cost.
    Di  contro,  si  profila un elevato rischio di ingolfamento nella
  definizione  dei  procedimenti, almeno nell'ipotesi in cui taluno o
  piu' degli imputati di uno stesso processo non opti per il giudizio
  abbreviato  (il  che  puo'  accadere anche perche' l'imputato o gli
  imputati  non  siano  chiamati  a  rispondere, in quel processo, di
  delitti  puniti  con la pena dell'ergastolo, ma di reati connessi a
  quelli  ascritti  agli altri coimputati). In tal caso, se ne dovra'
  stralciare  la  posizione, ovvero si dovra' stralciare la posizione
  di  quanti  hanno  invece  optato per il rito abbreviato, E per gli
  imputati  che  non  abbiano  optato  per  l'abbreviato, il giudizio
  proseguira'   nelle  forme  del  rito  ordinario,  con  conseguente
  duplicazione  di  una  parte almeno delle attivita' processuali (in
  particolare,  quelle  che  dovranno disporsi, anche nell'ambito del
  giudizio  abbreviato,  a  titolo  di  integrazione  probatoria). Ma
  soprattutto,  si  innesca  una  situazione  di incompatibilita' nei
  riguardi del giudice originario, che dovra' spogliarsi del troncone
  di  processo destinato a proseguire nelle forme del rito ordinario:
  questo   sara'   quindi   definito  da  altro  giudice,  ma  previa
  rinnovazione del dibattimento.
    Si  profila  dunque,  in  questi casi, una sorta di partenogenesi
  processuale  per  cui  l'originario unico procedimento si scinde in
  due  distinti tronconi. Con l'ulteriore aggravante che due imputati
  che  rispondano  dello  stesso  fatto potrebbero trovarsi ad essere
  giudicati  da  due giudici diversi (con sottrazione peraltro di uno
  degli  imputati  alla  giurisdizione del suo giudice naturale; cosa
  che  non si verifica invece nella disciplina ordinaria del giudizio
  abbreviato)  e sulla base di un materiale probatorio oggettivamente
  diverso e diversamente formato.
    Non  e'  difficile  prevedere  a quale aggravio di tempi di costi
  energie  e  risorse il servizio Giustizia possa andare incontro per
  processi  del  genere  di  quelli  trattati dalle Corti d'assise di
  questo  distretto,  che  hanno spesso ad oggetto decine e decine di
  imputazioni per delitti in materia di criminalita' organizzata, con
  la  necessita'  di  esaminare imputati collaboratori di giustizia o
  imputati  di  reato  connesso  di  regola  in  video  conferenza; e
  disponendo  di  un  numero  esiguo  di  aule  attrezzate per questo
  servizio.
    Da  qui  il sospetto di incostituzionalita' per contrasto con gli
  articoli  3  e  24;  ma anche 97 della Costituzione. Tale contrasto
  sarebbe  tollerabile  solo  se ne derivasse, come e' peraltro nella
  disciplina  ordinaria  del  giudizio  abbreviato,  un  apprezzabile
  vantaggio  in termini di economia processuale: vantaggio che invece
  e' di fatto inesistente nei casi sopra esaminati.

    Art. 3 Cost.: violazione del principio di uguaglianza.
    Si   profila  un'ingiustificata  disparita'  di  trattamento  nei
  riguardi  degli  imputati  che  soggiacciono,  quanto  ai limiti di
  esperibilita'   del   rito   abbreviato,  alla  disciplina  di  cui
  all'art. 438 del codice di procedura penale, e a quella transitoria
  di cui all'art. 4-ter, comma primo.
    Si  procura  infatti  un vantaggio del tutto ingiustificato, o la
  cui  giustificazione  appare manifestamente incongrua: il vantaggio
  consiste  nel  poter  optare  per  il  rito abbreviato in base alla
  conoscenza  di  quello  che  e'  stato  fino  ad allora l'andamento
  dell'istruzione dibattimentale o addirittura in base al prevedibile
  esito  delle  prove ancora da assumere (e la cui assunzione sarebbe
  inibita  o preclusa dalla volonta' unilaterale dell'imputato, anche
  quando  si  tratti  di prove chieste dal pubblico ministero o dalle
  parti  civili,  o  da  altri  imputati che abbiano una posizione di
  contrasto).    E   la   valutazione   di   non   congruita'   della
  giustificazione  in  termini  di  economia processuale e' implicita
  nella  stessa  legge, laddove mantiene come limite invalicabile per
  la   proposizione  della  richiesta  di  rito  abbreviato  l'inizio
  dell'istruzione  dibattimentale,  o  addirittura,  nella disciplina
  ordinaria  del  giudizio  abbreviato, il momento della precisazione
  delle conclusioni all'udienza preliminare.
    Ed  invero  delle  due l'una: o l'adozione del rito abbreviato in
  qualsiasi   momento   dell'istruzione  dibattimentale  conserva  un
  apprezzabile  interesse  pubblico  sotto  il  profilo dell'economia
  processuale  che puo' discenderne; oppure, questo tipo di vantaggio
  non  e' apprezzabile, o almeno non fino al punto da giustificare la
  deroga a principi fondamentali e la compressione o il sacrificio di
  valori e diritti costituzionalmente garantiti.
    Nel  primo  caso,  non si vede perche' non si debba generalizzare
  questa  facolta' di scelta a tutti gli imputati di processi che non
  versino  gia'  in fase di discussione. Nel secondo caso, invece, il
  beneficio  accordato agli imputati dei processi che rientrano nella
  previsione  di  cui  al  secondo  comma dell'art. 4-ter della legge
  5 giugno   2000   si  risolverebbe  in  un  privilegio  tanto  piu'
  ingiustificato   perche'  contrario  alle  finalita'  (di  economia
  processuale) perseguite dalla stessa legge.
    La  violazione  del principio di uguaglianza si profila anche nei
  riguardi  degli  imputati  di  processi  che  pendano  in  fase  di
  discussione,  alla  data  di  entrata  in  vigore  della  legge  di
  conversione del decreto-legge n. 82/2000.
    Tutte  le  volte  che  il  beneficio della riduzione di pena (con
  conseguente  sostituzione  della  reclusione  temporanea  alla pena
  dell'ergastolo)   sia   sganciato   da   un'effettiva  correlazione
  funzionale  con un concreto risparmio di attivita' processuale, non
  si  vede perche' lo stesso beneficio dovrebbe negarsi agli imputati
  che,  per  ragioni  del  tutto  accidentali,  hanno visto chiudersi
  l'istruzione  dibattimentale dei processi a loro carico appena poco
  prima della data predetta.
    In  realta', e' del tutto ragionevole, perche' coerente e consono
  sia  alla  disciplina  ordinaria  del  giudizio abbreviato che alle
  finalita'  dichiarate anche del piu' recente intervento legislativo
  in  materia,  negare  il  beneficio  agli imputati dei processi che
  versino  gia'  in  fase  di  discussione. Irragionevole e', semmai,
  estenderlo  agli  imputati  dei  processi  in  fase  di  istruzione
  dibattimentale gia' in corso.
    Alla  luce  delle  considerazioni  che precedono, va sollevata di
  ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4-ter
  commi   2  e  seguenti  della  legge  n. 144/2000  con  conseguente
  sospensione   del  processo  nelle  more  della  definizione  della
  questione da parte della Corte costituzionale cui, ex art. 23 legge
  11 marzo 1953, n. 87, vanno trasmessi gli atti.