ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 6 del d.P.R.
16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e
la  elezione  degli  organi delle Amministrazioni comunali), promosso
con  ordinanza  emessa  il 17 novembre 1999 dalla Corte di appello di
Genova,  iscritta  al  n. 39 del registro ordinanze 2000 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 8, 1a serie speciale,
dell'anno 2000.
    Visto l'atto di costituzione di Del Vigo Carlo;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 5 luglio 2000 il Giudice
relatore Valerio Onida.

                          Ritenuto in fatto


    1. - Nel   corso   del   giudizio  d'appello  nell'ambito  di  un
procedimento  instaurato  per la dichiarazione di ineleggibilita' del
sindaco  di  un  comune  ligure,  la  Corte  d'appello di Genova, con
ordinanza  emessa il 17 novembre 1999 e pervenuta il 24 gennaio 2000,
ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in riferimento
agli   artt. 3  e  51  della  Costituzione,  dell'art. 6  del  d.P.R.
16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e
la  elezione  degli  organi  delle  amministrazioni comunali), "nella
parte  in cui prevede come ostativo alla nomina a sindaco (e, quindi,
come  causa  di  ineleggibilita') il fatto di trovarsi in rapporto di
parentela  o  affinita'  entro  il  secondo grado con persona che sia
appaltatore di lavori o di servizi comunali".
    Osserva  la  Corte  remittente che l'art. 6 del d.P.R. n. 570 del
1960,  in  vigore  pur  dopo  l'avvento  della nuova disciplina delle
ineleggibilita'  e  delle incompatibilita' alla carica di consigliere
comunale  e  di  quella  relativa  all'elezione  diretta del sindaco,
prevede che non possa "essere nominato" sindaco, fra l'altro, "chi ha
ascendenti  o  discendenti  ovvero  parenti  o affini fino al secondo
grado,  che  coprano  nell'amministrazione  del  comune  il  posto di
segretario comunale, di esattore, collettore o tesoriere comunale, di
appaltatore  di  lavori o di servizi comunali, o in qualunque modo di
fideiussore";  che il tenore letterale di tale norma indicherebbe che
l'avere  parenti  o affini entro il secondo grado titolari di appalti
per  il  comune  costituirebbe  una  causa  di  ineleggibilita', come
sarebbe  confermato  anche dal richiamo dell'art. 9-bis ottavo comma,
dello  stesso  d.P.R.  n. 570 del 1960 alle "cause di ineleggibilita'
alla  carica"  previste  dall'art. 6;  che  pertanto  non si potrebbe
pervenire  in via interpretativa a considerare tale situazione - come
invece  ha  ritenuto  il  giudice di primo grado, il quale ha percio'
dato  rilievo  alla  successiva  intervenuta  rimozione  della  causa
ostativa  -  come  causa  di  incompatibilita',  rimovibile  dopo  la
presentazione della candidatura.
    Il giudice a quo rileva poi che, dopo l'abrogazione dell'art. 15,
n. 7,  del  d.P.R.  n. 570  del  1960  e  l'entrata  in  vigore della
disciplina  di  cui  alla  legge  23 aprile 1981, n. 154, costituisce
causa di incompatibilita', e non piu' di ineleggibilita', alla carica
di  consigliere  comunale  (e  quindi  non  costituisce piu' causa di
ineleggibilita'  alla  carica  di  sindaco,  in  relazione alla quale
l'art. 6  -  primo alinea - del d.P.R. n. 570 del 1960 si richiama ai
soli  casi  di  ineleggibilita' a consigliere comunale previsti dalla
legge)  l'aver  parte  in  appalti nell'interesse del comune (art. 3,
n. 2,  della legge n. 154 del 1981), dal che conseguirebbe che per il
sindaco    quest'ultima    situazione    costituirebbe    causa    di
incompatibilita',  mentre  sarebbe  causa  di  ineleggibilita' quella
della  quale  si  discute;  e  osserva  che non si vedrebbe per quale
ragione  l'impedimento  derivante  dal  fatto di avere un rapporto di
parentela  o affinita' con un appaltatore sia piu' grave del fatto di
essere,  in  proprio, appaltatore, e che anzi l'impedimento derivante
da tale rapporto apparirebbe, semmai, meno grave.
    Ad  avviso  del  remittente,  con  riferimento  all'art. 3  della
Costituzione,  non  risponderebbe  al  principio di ragionevolezza il
prevedere come causa di ineleggibilita' un impedimento oggettivamente
meno  grave di quello che, per lo stesso soggetto, comporta oggi solo
l'esistenza  di  una  causa di incompatibilita'. Ne' la previsione di
ineleggibilita' potrebbe dirsi conseguenza ineluttabile del fatto che
l'impedimento  non possa essere rimosso dall'interessato, poiche', al
contrario,   la  causa  ostativa  potrebbe  venir  meno  prima  della
convalida  delle elezioni o addirittura prima della stessa elezione a
seguito  della  chiusura  del rapporto d'appalto, o per la perdita da
parte  del  parente  o affine della qualita' che rileva ai fini della
causa ostativa in questione.
    In  questi  casi  dunque,  secondo il giudice a quo, l'esclusione
dall'elettorato  passivo  apparirebbe  irragionevolmente  lesiva  del
diritto all'accesso alle cariche pubbliche sancito dall'art. 51 della
Costituzione,   comportandone  una  limitazione  non  necessaria  ne'
ragionevolmente proporzionata.
    La  questione  sarebbe  rilevante  in  quanto la norma denunciata
imporrebbe  di  riformare  la  sentenza appellata, e di non annettere
rilievo  al  fatto  che  la  causa  ostativa  sia venuta meno dopo la
presentazione della candidatura.

    2. - Si e' costituita in giudizio la parte appellata nel giudizio
a quo, chiedendo l'accoglimento della questione.
    In  prossimita' della data fissata per la camera di consiglio, la
difesa  della  parte  costituita  ha  segnalato alla Corte l'avvenuto
decesso  della stessa parte (senza che, peraltro, cio' possa produrre
effetti  sul  presente giudizio, non trovando in esso applicazione le
norme   sulla   interruzione   del   processo:  art. 22  delle  norme
integrative   per  i  giudizi  davanti  alla  Corte  costituzionale),
richiamando   tuttavia  adesivamente  le  considerazioni  in  diritto
dell'ordinanza di rinvio.

    3. - Non e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri.

                       Considerato in diritto


    1. -   La  questione  sollevata  dalla  Corte d'appello di Genova
investe l'art. 6 del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle
leggi   per   la  composizione  e  la  elezione  degli  organi  delle
Amministrazioni  comunali),  nella  parte  in  cui, al quarto alinea,
prevede  che  non  possa  essere nominato sindaco chi abbia parenti o
affini  entro  il secondo grado i quali siano appaltatori di lavori o
di servizi comunali.
    Secondo  il  giudice a quo la norma - che sancirebbe una causa di
ineleggibilita',  non  rimovibile dopo la scadenza del termine per la
presentazione  delle candidature, e non una causa di incompatibilita'
-  sarebbe  in  contrasto  con  gli  artt. 3 e 51 della Costituzione,
perche'    configurerebbe    irragionevolmente    come    causa    di
ineleggibilita'  una situazione di impedimento meno grave di quella -
che  costituisce  causa  di  incompatibilita',  ai sensi dell'art. 3,
n. 2,  della  legge n. 154 del 1981 - del candidato che sia parte, in
proprio, in appalti del comune; e perche', in tal modo, comporterebbe
una limitazione non necessaria, ne' ragionevolmente proporzionata, al
diritto  di  accedere  alle cariche pubbliche, garantito dall'art. 51
della Costituzione.

    2. - La questione e' fondata.
    L'art. 6  del  testo  unico  del  1960  stabiliva  le  condizioni
ostative  alla  nomina  alla  carica  di  sindaco  ("Non  puo' essere
nominato  sindaco  ..."),  e  fra  di esse enumerava quella derivante
dall'avere  "ascendenti o discendenti ovvero parenti o affini fino al
secondo  grado,  che coprano nell'amministrazione del comune il posto
(...)  di  appaltatore  di  lavori  o di servizi comunali..." (quarto
alinea).
    Oggi  il contenuto di tale disposizione, applicabile nel giudizio
a  quo  e'  trasfuso,  senza  sostanziali  mutamenti  (salva  la  sua
estensione  al  presidente  della  provincia) nell'art. 61, n. 2, del
nuovo  testo  unico  delle  leggi sull'ordinamento degli enti locali,
approvato  con  decreto  legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ai sensi
del  quale  "non  puo'  essere  eletto  alla  carica  di sindaco o di
presidente  della  provincia" chi ha prossimi congiunti che rivestano
la  qualita'  di  appaltatore  di  lavori  o  di  servizi  comunali o
provinciali.
    Quando  la  disposizione impugnata fu dettata, la legge prevedeva
che  il  sindaco fosse eletto dal consiglio comunale nel proprio seno
(art. 5  dello stesso testo unico n. 570 del 1960): onde, da un lato,
tutte  le  cause  ostative  all'elezione  alla  carica di consigliere
comunale si traducevano anche in cause di ineleggibilita' alla carica
di  sindaco  (come,  d'altra  parte,  ribadiva espressamente il primo
alinea  dello  stesso art. 6); dall'altro lato, la stessa distinzione
fra  cause di ineleggibilita' e cause di incompatibilita' alla carica
di  sindaco  assumeva  scarso  rilievo, in assenza di un procedimento
elettorale   che   prevedesse  termini  per  la  presentazione  delle
candidature,  campagna  elettorale,  votazione  da  parte  del  corpo
elettorale.
    Per  altro  verso,  all'epoca,  il  legislatore aveva configurato
quasi   tutte  le  cause  ostative  all'assunzione  della  carica  di
consigliere comunale come cause di ineleggibilita' (art. 15 del testo
unico   n. 570   del   1960:   "Non  sono  eleggibili  a  consigliere
comunale ..."),  senza  distinzione  fra quelle fondate sul timore di
distorsione  della volonta' degli elettori a causa dell'influenza che
su  di  essi  poteva  essere  esercitata da chi ricopriva determinati
uffici,  o  comunque  fondate  su  elementi  personali  che lo stesso
legislatore   riteneva   tali   da  dover  condurre  alla  privazione
dell'elettorato passivo, e quelle fondate sull'esistenza di conflitti
di  interessi  o  comunque  di  elementi  suscettibili  di perturbare
l'esercizio  della  carica,  ma  non di viziare l'elezione. Le uniche
situazioni   configurate   da   detto   testo  unico  come  cause  di
incompatibilita'  con  la carica di consigliere comunale erano quelle
contemplate   dagli   artt. 16   e   17   (divieto   di   far   parte
contemporaneamente  dello  stesso consiglio comunale per ascendenti e
discendenti,  affini in primo grado, adottante e adottato, affiliante
e  affiliato,  e  rispettivamente  divieto  per i membri della giunta
provinciale  amministrativa  di far parte di alcun consiglio comunale
compreso nella provincia).
    Da  cio',  fra  l'altro,  era  discesa  una serie di questioni di
legittimita'  costituzionale, nonche' una serie di pronunce di questa
Corte  che dichiararono la illegittimita' dell'art. 15 nella parte in
cui  considerava  ineleggibili  anche  coloro per i quali determinate
cause  ostative  fossero cessate prima della convalida delle elezioni
(cfr.  sentenza  n. 46  del 1969, e sentenza n. 45 del 1977, relativa
quest'ultima  a due diverse cause ostative): in tal modo trasformando
di  fatto  quelle  che  il  legislatore aveva configurato come vere e
proprie cause di ineleggibilita' in cause di incompatibilita' (cosi',
esplicitamente, sentenza n. 171 del 1984), poiche' quella che restava
impedita  non  era  piu'  l'elezione,  bensi' solo l'assunzione della
carica o la permanenza in essa dopo l'elezione, ove la causa ostativa
non venisse tempestivamente rimossa.
    In   questo   quadro,   restava   contemplata   come   causa   di
ineleggibilita'  alla  carica  di  consigliere  comunale (e non diede
luogo a pronunce di questa Corte) quella prevista dall'art. 15, n. 7,
relativa   alla   situazione  di  coloro  i  quali,  "direttamente  o
indirettamente,   hanno   parte  in  servizi,  esazioni  di  diritti,
somministrazioni  ed appalti nell'interesse del comune, o in societa'
ed imprese aventi scopo di lucro, sovvenzionate in qualsiasi modo dal
medesimo".  A  tale  causa  di ineleggibilita' - operante, come si e'
detto,  anche  per  la  carica  di sindaco - l'art. 6, quarto alinea,
aggiungeva  la  ulteriore causa ostativa - avente lo stesso effetto -
consistente  nell'avere  "ascendenti  o  discendenti ovvero parenti o
affini  fino  al  secondo grado, che coprano nell'amministrazione del
comune  il  posto  di  segretario comunale, di esattore, collettore o
tesoriere comunale, di appaltatore di lavori o di servizi comunali, o
in  qualunque  modo  di  fideiussore".  In sostanza, per la carica di
sindaco  la  causa  di  ineleggibilita'  si estendeva dalla personale
titolarita'  in capo al candidato della qualita' di appaltatore anche
alla  titolarita'  della  stessa  qualita'  in  capo  ad  uno stretto
congiunto. Cio' pero' non dava luogo ad alcuna contraddizione, stante
la maggiore importanza e delicatezza della carica di sindaco rispetto
a   quella  di  consigliere  comunale,  che  poteva  giustificare  la
previsione piu' severa e piu' restrittiva della legge.

    3. - Il contesto normativo e' pero' profondamente cambiato, da un
lato,  con  la  legge  n. 154 del 1981 (oggi trasfusa nel testo unico
approvato  con  d.lgs.  n. 267  del  2000),  che  disciplino' ex novo
l'intera   materia  delle  ineleggibilita'  e  incompatibilita'  alle
cariche  elettive  locali;  dall'altro,  con  la legge 25 marzo 1993,
n. 81  (a  sua  volta  oggi in parte confluita nel citato testo unico
n. 267 del 2000), che sanci' l'elezione popolare diretta del sindaco.
    La  legge  n. 154  del 1981 accolse e sviluppo' esplicitamente la
distinzione  fra cause di ineleggibilita', che impediscono l'elezione
e  la  viziano  se essa avviene, le quali debbono essere rimosse, per
evitare  tale conseguenza, entro la data fissata per la presentazione
delle  candidature  (cfr.  art. 2,  secondo  e  terzo  comma;  e oggi
art. 60,   comma   3,  del  d.lgs.  n. 267  del  2000);  e  cause  di
incompatibilita',  che  impediscono  semplicemente  di  "ricoprire la
carica  di consigliere" (art. 3; e oggi art. 63 del d.lgs. n. 267 del
2000),   per  le  quali  e'  previsto  un  apposito  procedimento  di
contestazione,  al  cui  termine  soltanto  esse danno luogo, ove non
siano  state  rimosse,  a decadenza dalla carica (cfr. artt. 6 e 7; e
oggi  artt. 68 e 69 del d.lgs. n. 267 del 2000). Di conseguenza venne
abrogato,  fra  l'altro,  l'art. 15  del  testo unico n. 570 del 1960
(cfr. art. 10, n. 2, della legge n. 154 del 1981).
    In  questo  quadro,  la titolarita' della qualita' di appaltatore
del  comune,  gia'  prevista dall'art. 15, n. 7, del testo unico come
causa   di   ineleggibilita',   fu  invece  prevista  come  causa  di
incompatibilita'  (art. 3,  n. 2, della legge n. 154 del 1981; e oggi
art. 63, comma 1, n. 2, del d.lgs. n. 267 del 2000).
    Non  venne  invece  modificato ne' abrogato l'art. 6 dello stesso
testo  unico,  relativo  alle cause ostative alla nomina a sindaco. E
tuttavia  la disarmonia fra tale immutato art. 6, che prevedeva cause
di  ineleggibilita'  alla  carica  di  sindaco, e la nuova disciplina
delle  cause  di  ineleggibilita'  e  incompatibilita' alla carica di
consigliere  comunale  non veniva in evidenza, perche' l'elezione del
sindaco  era  ancora  affidata  al  consiglio  comunale:  onde  nulla
impediva,  in  ipotesi, al consiglio comunale che intendesse eleggere
sindaco  un  soggetto eleggibile alla carica di consigliere comunale,
ma  non a quella di sindaco (cosi', per esempio, a motivo della causa
di  ineleggibilita'  prevista  dal  quarto  alinea  dell'art. 6),  di
attendere  o  sollecitare  la  rimozione  della  causa ostativa, e di
procedere  successivamente  all'elezione  o  alla  nuova elezione del
candidato.  Non  si  verificava,  infatti,  alcun definitivo ostacolo
all'assunzione  della  carica  di  sindaco. L'effetto pratico non era
dunque lontano da quello che si sarebbe verificato in presenza di una
semplice  causa di incompatibilita', la quale, una volta rimossa, non
impedisce l'assunzione della carica.
    Le   cose   sono   cambiate   radicalmente,   invece,  a  seguito
dell'entrata  in  vigore  della  legge n. 81 del 1993. Logica avrebbe
voluto  che,  prevedendo  per  la  prima volta l'elezione diretta del
sindaco,  la legge disciplinasse altresi' le cause di ineleggibilita'
e   di   incompatibilita'   rispetto  a  tale  carica.  Viceversa  il
legislatore   lascio'  ancora  una  volta  immutata  la  disposizione
dell'art. 6   del   testo   unico  del  1960,  dettato  per  regolare
l'eleggibilita'  del  sindaco  nel precedente sistema, caratterizzato
dall'elezione di secondo grado.
    Mentre  il  rinvio alle cause di ineleggibilita' stabilite per la
carica  di  consigliere comunale, contenuto nel primo alinea di detto
art. 6, consentiva un adeguamento automatico alla disciplina prevista
a tale proposito dalla legge n. 154 del 1981, che aveva eliminato una
serie   di  cause  di  ineleggibilita'  trasformandole  in  cause  di
incompatibilita',  e  mentre  la qualita' di componente del consiglio
comunale,  che continua ad essere propria del sindaco, consentiva, in
via  interpretativa,  di  applicare  anche  al  sindaco  le  cause di
incompatibilita'  previste per i consiglieri comunali, fra cui quella
relativa  all'aver  parte  in appalti del comune (cfr. sentenza n. 44
del 1997; e cfr. oggi, per tale estensione, espressamente, l'art. 63,
comma  1,  del  d.lgs.  n. 267 del 2000), la causa di ineleggibilita'
discendente  dalla  circostanza che un prossimo congiunto abbia parte
in  appalti del comune (art. 6, quarto alinea, del testo unico n. 570
del  1960,  e,  oggi, art. 61, n. 2, del testo unico n. 267 del 2000)
da' luogo ormai ad una contraddizione palese. Il candidato che sia in
proprio   titolare  di  un  appalto  del  comune  e',  infatti,  solo
incompatibile in quanto perduri tale situazione, onde la rimozione di
essa   prima   della   convalida   dell'elezione,  o  anche  dopo  la
contestazione  della stessa, nei termini all'uopo fissati dalla legge
(art. 9-bis dello stesso testo unico, applicabile - doveva intendersi
-  anche  al sindaco direttamente eletto; e cfr. oggi, espressamente,
l'art. 69  del  d.lgs.  n. 267  del  2000),  consente  di  evitare la
decadenza. L'essere solo prossimo congiunto del titolare dell'appalto
continua  invece  a dar luogo ad una non rimediabile ineleggibilita',
con conseguente perdita della carica conseguita e inevitabile rinnovo
dell'intero  procedimento  elettorale,  anche  nel  caso in cui detta
situazione  venga  meno  (ad esempio, per esaurimento del rapporto di
appalto)  prima  della  convalida  dell'elezione  o addirittura prima
dell'elezione stessa.

    4. - Tale   contraddizione   si   traduce   in   un   profilo  di
illegittimita'  costituzionale,  per  contrasto  con  il principio di
eguaglianza-ragionevolezza.  Dal  momento  che  la  situazione di chi
abbia  parte  in appalti del comune e' oggi configurata come semplice
causa  di  incompatibilita',  non puo' ragionevolmente ammettersi che
dia luogo invece ad una causa di ineleggibilita', non rimovibile dopo
l'elezione,  la  circostanza,  analoga ma meno grave sotto il profilo
della   ratio  della  causa  ostativa  all'assunzione  della  carica,
consistente  nell'essere  prossimo congiunto di chi abbia parte in un
appalto del comune.
    In  altri termini, cio' che nell'originario contesto normativo si
configurava  come  un  plausibile  aggravamento  delle  condizioni di
eleggibilita' del sindaco rispetto a quelle previste per la carica di
consigliere comunale, oggi appare come un irrazionale, diverso e piu'
gravoso  trattamento  giuridico  di una circostanza impediente non di
uguale,  ma addirittura di minor peso rispetto a quella - consistente
nell'essere lo stesso sindaco eletto titolare di un appalto per conto
del   comune   -   che  da'  luogo  ad  una  semplice  situazione  di
incompatibilita'.   E   cio',  si  noti,  indipendentemente  da  ogni
considerazione  che  si  volesse  fare circa la idoneita' di siffatte
situazioni  di  conflitto  di  interessi  ad essere considerate dalla
legge come cause di ineleggibilita' anziche' di incompatibilita'.

    5. - La  disposizione  impugnata  deve pertanto essere dichiarata
costituzionalmente   illegittima,   restando   assorbito  ogni  altro
profilo,  nella parte in cui stabilisce una causa di ineleggibilita',
anziche' di incompatibilita', rispetto alla carica di sindaco.

    6. - La  stessa  norma,  come si e' detto, si trova oggi trasfusa
nell'art. 61, n. 2, del nuovo testo unico approvato con d.lgs. n. 267
del  2000.  Pertanto anche tale disposizione sopravvenuta deve essere
dichiarata,    nella    parte    corrispondente,   costituzionalmente
illegittima, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87.