TRIBUNALE All'udienza del 22 maggio 2000, pronuncia la seguente ordinanza nel procedimento n. 426/97/16 contro Dada' Alberto imputato dei reati ascritti come nel decreto del g.u.p. del tribunale di La Spezia del 27 gennaio 1993. Premesso che all'odierna udienza il difensore dell'imputato, dopo aver riproposto la questione della utilizzabilita' ai fini della contestazione delle dichiarazioni spontanee rese dal coimputato, gia' formulata e decisa alla precedente udienza del 3 marzo 2000, ha sollevato la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 513, secondo comma, c.p.p. con riferimento all'art. 111 Costituzione, nella parte in cui prevede che, qualora il dichiarante rifiuti o ometta, in tutto o in parte, di rispondere sui fatti concernenti la responsabilita' di altri imputati, gia' oggetto delle sue precedenti dichiarazioni, in mancanza di accordo delle parti alla lettura, si applichi l'art. 500, secondo comma bis e quarto c.p.p., indipendentemente dal verificarsi di uno dei casi previsti dall'art. 111, quinto comma, Costituzione; Il p.m. si e' associato alla richiesta subordinata del suddetto difensore; O S S E R V A Il collegio con l'ordinanza del 3 marzo 2000 ha gia' ritenuto che la contestazione riguardi anche le dichiarazioni spontanee, ai sensi dell'art. 350 comma 7, e tale motivazione deve essere ribadita. La questione di legittimita' costituzionale, sollevata dalla difesa in linea subordinata, e' rilevante nel presente giudizio, posto che non e' possibile definirlo senza aver previamente stabilito se il collegio possa utilizzare quale elemento di prova il contenuto dei verbali di spontanee dichiarazioni rese il 22 aprile 1992 al commissariato di Sarzana, gia' contestati a Bernardini Alessandro, ex coimputato esaminato ai sensi dell'art. 210 c.p.p. e che si e' avvalso della facolta' di non rispondere alle domande. La questione di leggittimita' costituzionale prospetta non e' manifestamente infondata. Invero, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 361 del 2 novembre 1998, l'art. 513, secondo comma, c.p.p. consente l'applicabilita', anche nel caso di persona esaminata ai sensi dell'art. 210 c.p.p., della contestazione disciplinata per i testimoni dell'art. 500, secondo comma bis e quarto, c.p.p.. Non pare superabile il tenore letterale dell'art. 500, quarto comma, c.p.p., secondo cui le dichiarazioni utilizzate per la contestazione sono acquisite nel fascicolo per il dibattimento e sono valutate come prova dei fatti in essa affermati, se sussistono altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilita'. Non appare manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata, posto che la disciplina di cui all'art. 513 secondo comma c.p.p., cosi' come delineata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 361/98, appare in contrasto con il dettato costituzionale di cui all'art. 111 Cost. introdotto dalla legge costituzionale n. 2/1999, da cui peraltro traspare la specifica volonta' del legislatore di porre nel nulla la sentenza interpretativa di accoglimento della Corte costituzionale sopra citata. Ed invero, la possibilita' - introdotta col meccanismo delle contestazioni - di acquisire ed utilizzare contra alios le dichiarazioni in precedenza rese dalla persona esaminata ex art. 210 c.p.p., che si sia avvalsa in dibattimento della facolta' di non rispondere, pare inconciliabile: 1) con il quarto comma dell'art. 111 novellato, risultando violato il principio costituzionale del contraddittorio nella formazione della prova e ricorrendo, peraltro, la specifica ipotesi di soggetto che si e' sottratto volontariamente all'esame da parte dell'imputato e del suo difensore in relazione alla propria posizione processuale; 2) con il quinto comma dell'art. 111 Cost., non ricorrendo nessuna delle ipotesi in cui e' consentita la formazione della prova al fuori del contraddittorio (consenso dell'imputato, accertata impossibilita' di natura oggettiva, provata condotta illecita).