IL TRIBUNALE Letti gli atti del procedimento n. 294/1999 r. trib., a carico di Sicignano Emilio + 11; Premesso: che il processo e' pervenuto alla fase conclusiva ed avrebbe dovuto essere deciso in data odierna; che all'udienza del 7 aprile 2000, sono state acquisite, senza il preventivo consenso dei difensori, le dichiarazioni rese nella fase investigativa dalle sorelle Anna e Maria Rosaria Orlandese, imputate in procedimento connesso e gia' giudicate con rito abbreviato; che l'acquisizione e' avvenuta attraverso il sistema delle contestazioni previsto dall'art. 513 c.p.p., come modificato dalla sentenza della Corte cost. n. 361/1998, avendo le interessate rifiutato di sottoporsi all'esame; che la procedura seguita dal tribunale deve ritenersi erronea, alla luce delle disposizioni introdotte con legge n. 35 del 25 febbraio 2000, che ha convertito con modificazioni il d.l. n. 2 del 7 gennaio 2000, attuativo dell'art. 2, legge Costituzionale 23 novembre 1999, n. 2; che, infatti la norma, per i processi in corso alla data della sua entrata in vigore (1o marzo 2000), consente la valutazione delle dichiarazioni di chi si e' sottratto all'esame dell'imputato o del suo difensore solo "se gia' acquisite al fascicolo del dibattimento"; che, dunque, un'acquisizione, come nella specie, successiva, ove non giustificata da condotte illecite attuate nei confronti del dichiarante (comma 3 della norma predetta), dal consenso dell'imputato o da sopravvenuta impossibilita' oggettiva (quinto comma, art. 111 Cost.), e' ora da considerarsi preclusa; che dall'istruttoria dibattimentale espletata e' emerso come le dichiarazioni illegittimamente acquisite - e dunque inutilizzabili - siano in realta' centrali nell'economia della decisione che il tribunale e' chiamato a prendere, avendo le dichiaranti complessivamente ricostruito l'attivita' illecita oggetto del procedimento ed i rapporti tra gli imputati; che, infatti, proprio sulla base delle dichiarazioni rese nella fase investigativa dalle sorelle Orlandese, e' stata emessa, nei confronti di alcuni degli imputati, un'ordinanza di custodia cautelare in carcere tuttora in corso di esecuzione; che, tuttavia, il tribunale, pur consapevole della inutilizzabilita' delle dichiarazioni in questione, dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 210 c.p.p., nella parte in cui garantisce il diritto al silenzio all'imputato in procedimento connesso che abbia gia' reso dichiarazioni erga alios; O s s e r v a La questione che il tribunale intende sollevare d'ufficio e' innanzitutto rilevante nell'ambito del presente processo; poiche' non e' lecito presumere, da parte delle dichiaranti, una scelta processuale contra ius, occorre ritenere che, ove mai il loro silenzio non fosse stato tutelato, ma anzi penalmente sanzionato, come avviene per i testimoni, esse non avrebbero rifiutato l'esame. Per altro verso, la questione e' anche non manifestamente infondata. L'art. 111 Cost., come novellato, ha travolto la possibilita' di recuperare al patrimonio di conoscenze processuali, mediante il meccanismo delle contestazioni come ampliato dalla citata sentenza della Corte costituzionale, le dichiarazioni rese nella fase investigativa di chi abbia poi rifiutato l'esame al dibattimento. Fissando il principio secondo cui la "colpevolezza dell'imputato non puo' essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi per libera scelta si e' sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore", la norma costituzionale ha reso non solo illegittima, ma anche inutile, in quanto inutilizzabile, qualsiasi acquisizione avvenuta in violazione del principio medesimo. In linea generale sono evidenti i valori a cui la novella si ispira: sembra al tribunale che la tutela costituzionale sia rivolta non tanto, o non soltanto, all'inviolabilita' del diritto di difesa, gia' espressamente garantito dall'art. 24 Cost., quanto piuttosto alla salvaguardia di un metodo. Premesso infatti che non puo' ritenersi modificato il principio generale secondo il quale il processo penale deve tendere all'accertamento della verita' materiale (v. sentenze Corte costituzionale nn. 254 e 255 del 1992), la novella costituzionale impone il metodo dialettico come strumento di elezione nel perseguimento di quel fine, rendendo esplicita la scelta secondo cui il contraddittorio tra le parti e' da considerarsi come il solo metodo probatorio idoneo ad eruendarm veritatem. Se cosi' e', peraltro, non sono compatibili con la scelta operata regole che limitino la pienezza e l'effettivita' del contraddittorio, laddove si tratti di limitazioni non giustificate da principi a loro volta di rango costituzionale; in particolare, non ha alcuna ragionevole legittimazione il diritto al silenzio dell'imputato in procedimento connesso che abbia gia' reso dichiarazioni in rapporto alle posizioni processuali altrui, proprio in quanto suscettivo di impedire la formazione della prova in modo dialettico e non giustificato da principi di pari valore costituzionale. E' pur vero che l'obiettivo cui tende l'art. 210 c.p.p. nell'attuale formulazione si identifica nel diritto di difesa dell'imputato in procedimento connesso, che potrebbe essere pregiudicato anche dall'obbligo di deporre su posizioni altrui, quando inscindibilmente connesse con quella del dichiarante. Tuttavia, il fatto che l'art. 513, comma 1, c.p.p., tuttora in vigore e non in contrasto con l'art. 111 Cost., consenta di acquisire ed utilizzare in dibattimento dichiarazioni anche autoaccusatorie rese dall'imputato nella fase investigativa, dimostra che il diritto di difesa non si estende fino al punto da impedire la valutazione delle dichiarazioni provenienti da chi abbia volontariamente scelto di non avvalersi della facolta' di non rispondere nella fase investigativa. In un sistema processuale cosi' strutturato, non puo' ritenersi legittima ne' ragionevole la indiscriminata tutela del diritto al silenzio di colui che, avendo gia' reso dichiarazioni nel processo che lo riguarda, ha anche subito, grazie al meccanismo previsto dal richiamato art. 513, una compressione del proprio diritto di difesa, diritto che non puo' essere dunque invocato per garantirne il silenzio nel procedimento connesso. In definitiva, sembra dunque al tribunale che l'art. 210 c.p.p, sia in contrasto con l'art 111 e con l'art. 3 Cost., nella parte in cui garantisce il diritto al silenzio dell'imputato in procedimento connesso che abbia gia' reso dichiarazioni nella fase delle indagini, e non prevede che il rifiuto dell'esame, quanto alle dichiarazioni eteroaccusatorie, sia penalmente sanzionato, al pari del rifiuto opposto dal testimone.