ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 9, terzo comma,
della   legge  1o dicembre  1970,  n. 898  (Disciplina  dei  casi  di
scioglimento  del  matrimonio),  come  sostituito  dall'art. 13 della
legge  6 marzo  1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di
scioglimento   di  matrimonio),  promosso  con  Ordinanza  emessa  il
11 giugno  1999  dalla  Corte  di  appello di Genova nel procedimento
civile  vertente tra Bonanese Giuseppina e giudicelli Nelia ed altro,
iscritta  al  n. 282  del  registro ordinanze 2000 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale   della  Repubblica  n. 23,  1a serie  speciale,
dell'anno 2000.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio dell'11 ottobre 2000 il giudice
relatore Annibale Marini.
    Ritenuto  che  nel  corso di un procedimento avente ad oggetto la
determinazione  delle  quote  della  pensione  di  reversibilita'  di
spettanza del coniuge divorziato e del coniuge superstite la Corte di
appello  di  Genova,  con  Ordinanza  emessa  il  11 giugno  1999, ha
sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 9,  terzo  comma, della legge
1o dicembre  1970,  n. 898  (Disciplina  dei casi di scioglimento del
matrimonio),  come  sostituito dall'art. 13 della legge 6 marzo 1987,
n. 74  (Nuove  norme  sulla  disciplina  dei  casi di scioglimento di
matrimonio),  nella  parte in cui, ai fini della determinazione delle
quote  anzidette,  non  esclude dal computo della durata del rapporto
matrimoniale  il  periodo  di  separazione personale e non include il
periodo  di  convivenza  more  uxorio  precedente la celebrazione del
secondo matrimonio;
        che,   ad  avviso  del  giudice  rimettente,  la  durata  del
matrimonio,    fissata   dalla   norma   impugnata   quale   criterio
determinativo  delle quote della pensione di reversibilita', dovrebbe
essere  intesa,  in  conformita' del resto al significato proprio del
termine e alla giurisprudenza della Corte di cassazione, quale durata
legale  del  rapporto  matrimoniale e, quindi, verrebbe da un lato ad
includere   lo   stato  di  separazione  antecedente  il  divorzio  e
dall'altro ad escludere l'eventuale convivenza more uxorio precedente
la celebrazione del secondo matrimonio;
        che  cosi'  interpretata  la  norma  impugnata  risulterebbe,
tuttavia,   lesiva   dell'art. 3   della   Costituzione   in   quanto
disciplinerebbe  allo  stesso  modo situazioni differenti (convivenza
matrimoniale e stato di separazione) e in modo diverso situazioni tra
loro  assimilabili  (quali la famiglia di fatto e la famiglia fondata
sul matrimonio);
        che  nel  giudizio  davanti  alla  Corte  e'  intervenuto  il
Presidente   del  Consiglio  dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale dello Stato, chiedendo che la questione sia
dichiarata inammissibile e comunque manifestamente infondata;
        che,  in  particolare,  secondo l'Avvocatura, deve escludersi
nella  specie, in relazione al profilo riguardante la convivenza more
uxorio  la  violazione  dell'art. 3  della  Costituzione  poiche'  il
giudice  a  quo pone come termini di paragone situazioni non omogenee
tra loro;
        che  in  proposito l'Avvocatura richiama la giurisprudenza di
questa Corte nella quale sarebbe affermata la diversita' tra famiglia
legittima  e  famiglia  di  fatto  e  la non estensione alla seconda,
proprio  sulla  base  della  libera determinazione delle parti, delle
regole che il legislatore ha fissato in dipendenza del matrimonio.
    Considerato   che   la  questione  di  costituzionalita'  risulta
sollevata  sulla  base  di  una  asserita  diversita'  tra convivenza
matrimoniale  e  stato  di  separazione  e di una egualmente asserita
omogeneita' tra famiglia di fatto e famiglia fondata sul matrimonio;
        che  in  relazione  al  primo  assunto  quel che si tratta di
valutare e' se, sotto il profilo della durata del rapporto coniugale,
sia   costituzionalmente   legittima  l'assimilazione  che  la  norma
impugnata fa del periodo di separazione alla convivenza coniugale;
        che,  sotto  tale  aspetto,  costituendo  la  separazione, in
conformita'  alla  sua  natura  ed  alle  sue  origini  storiche, una
semplice  fase  del  rapporto  coniugale,  non  puo'  certo ritenersi
manifestamente  irragionevole  una disciplina, come quella impugnata,
che accomuna convivenza coniugale e stato di separazione;
        che,  contrariamente  a  quanto  affermato dal rimettente, la
diversita'  tra  famiglia  di fatto e famiglia fondata sul matrimonio
rappresenta,   poi,   un  punto  fermo  di  tutta  la  giurisprudenza
costituzionale  in  materia ed e' basata sull'ovvia constatazione che
la prima e' un rapporto di fatto, privo dei caratteri di stabilita' e
certezza  e  della  reciprocita' e corrispettivita' dei diritti e dei
doveri  che  nascono  soltanto  dal  matrimonio  e  sono propri della
seconda (ex plurimis sentenza n. 127 del 1997);
        che,  pertanto,  in  relazione ad entrambi i profili presi in
considerazione  dal  rimettente,  la  questione sollevata deve essere
dichiarata manifestamente infondata;
        che, infine, e' appena il caso di rilevare come gli eventuali
riflessi  negativi del criterio della durata del matrimonio possano e
debbano essere superati mediante l'applicazione di altri e differenti
criteri  concorrenti,  ed  in primis di quello relativo allo stato di
bisogno   degli   aventi  titolo  alla  pensione  di  reversibilita',
realizzandosi   in  tal  modo  la  giusta  esigenza,  richiamata  dal
rimettente,  di tutelare tra le due posizioni confliggenti quella del
soggetto economicamente piu' debole (sentenza n. 419 del 1999).
    Visti  gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
innanzi la Corte costituzionale.