IL TRIBUNALE

    All'udienza  del  28  luglio  2000, nel processo nei confronti di
  Asnicar Bruno, ha emesso la seguente ordinanza.
    Prima   del   compimento   delle   formalita'   di  apertura  del
  dibattimento,  l'imputato,  a  mezzo  difensore  munito  di procura
  speciale,  ha  formulato  richiesta  di  applicazione della pena in
  relazione  al  reato  di  cui  all'art. 590,  comma  1  e  3  c.p.,
  concordando col p.m., previa concessione di attenuati generiche, la
  pena  finale  di mesi due di reclusione, con conversione della pena
  detentiva;  pena che appare congrua in relazione all'incensuratezza
  dell'imputato ed alla ridotta gravita' del fatto.
    Va   quindi   osservato   che   il   presente  processo  consegue
  all'opposizone  proposta  dall'imputato,  in  data  successiva al 2
  giugno  1999  (data  di entrata in vigore degli artt. 223 e 224 del
  d.lgs.  n. 51/1998),  ma  antecedente  il  2  gennaio 2000 (data di
  entrata  in  vigore  delle  norme  processuali  penali innovate dal
  predetto d.lgs. e dalla legge n. 479/1999)avverso il decreto penale
  col  quale  il  g.i.p.  lo  aveva  condannato  a  pena pecunaria in
  relazione  al  reato  oggetto  del presente processo; con l'atto di
  opposizione  non  venne  formulata  contestuale  richiesta  di riti
  alternativi,  atteso  che  la  norma,  nella formulazione allora in
  vigore, non lo richiedeva.
    In mancanza di alcuna norma di attuazione per i processi pendenti
  dopo  la  data  del  2 giugno 1999 (per quelli pendenti a tale data
  trovano  applicazione  le  norme di cui agli artt. 223 e 224 d.lgs.
  n. 51/1998)  ma prima del 21 gennaio 2000, questo giudice, in forza
  del     principio    "tempus    regit    actum",    nel    decidere
  sull'ammissibilita'  del rito alternativo richiesto, e' chiamato ad
  applicare la normativa attualmente vigente.
    La norma attualmente vigente, introdotta dagli artt. 33, 37 comma
  4  e  44  della  legge  n. 479/1999, che hanno cosi' modificato gli
  artt.  446  comma 1, 464 comma 3 c.p.p. e l'intero libro ottavo del
  codice  di  procedura penale (dettando, tra l'altro, con l'art. 557
  c.p.p.,  per  il  rito  monocratico,  una  disciplina coincidente a
  quella   fissata   per   il   rito  davanti  al  collegio)  prevede
  l'impossibilita' di accedere a riti alternativi per l'imputato che,
  in  sede  di  opposizione  al decreto penale, non ne abbia compiuto
  espressa richiesta.
    Tale  disciplina,  applicata anche ai processi pendenti a seguito
  di  opposizione  proposta  prima  del  2 gennaio 2000, ma dopo il 2
  giugno  1999, appare illegittima costituzionalmente, per violazione
  degli artt. 3 e 24 della Costituzione.
    Sotto  il  primo profilo, non si comprende perche' il legislatore
  abbia  sottoposto  a  differenza  di disciplina situazioni in nulla
  differenziantesi sotto il profilo della necessita' di una normativa
  transitoria,  che  regoli il passaggio dalla previgente normativa a
  quella  introdotta  dalla  legge n. 479/1999. Ed invero, coloro che
  abbiano  proposto opposizione alla data del 2 giugno 1999, con tale
  momento  potendosi  farsi  coincidere  la pendenza del giudizio (il
  susseguente  decreto  di  citazione  essendo  un  mero automatismo,
  perche'  atto  dovuto  e  assolutamente  non discrezionale), godono
  della  possibilita'  di  accedere a riti alternativi ai sensi degli
  artt. 223  e  224  del d.lgs. n. 51/1998; coloro che invece abbiano
  proposto  opposizione  in  data  successiva  al  2  giugno 1999, ma
  anteriore  al  2  gennaio  2000,  e  quindi  pur  sempre  prima che
  entrassero   in  vigore  le  norme  attenenti  al  processo  penale
  introdotte   dal   medesimo   d.lgs.  n. 51/1998  (e  ulteriormente
  modificate  dalla predetta legge n. 479/1999), e quindi comunque in
  una  situazione  abbisognevole  di  disciplina  transitoria, vedono
  detta  possibilita'  preclusa  dalla  lettera degli artt. 223 e 224
  d.lgs. n. 51/1998.
    Per   l'imputato   interessato   a   definire   il  processo  con
  applicazione   di   pena,   la   sperequazione  e'  poi  accentuata
  dall'entrata in vigore dell'art. 4-ter della legge n. 144/2000, che
  ha  infine  comunque  consentito  il ricorso al rito abbreviato per
  tutti i processi pendenti all'entrata in vigore della legge (giugno
  2000)  e in relazione ai quali il termine per la proposizione della
  richiesta  di  rito  fosse,  in  base  ai  principi  ordinari, gia'
  scaduto;  ma  la  norma  nulla  ha  incongruamente  previsto per le
  richieste  di  definizione mediante applicazione di pena concordata
  tra le parti.
    Sotto  il secondo profilo, attinente alla violazione dell'art. 24
  della  Costituzione,  e' bene osservare che il diritto di difesa e'
  si'  variamente  disciplinabile dal legislatore, ma questi non puo'
  arbitrariamente  modificare  le norme che lo regolamentano in corso
  di  causa, allorche' cio' possa compromettere le facolta' difensive
  dell'imputato; e, tra queste, rientra senz'altro la possibilita' di
  accedere  a  riti alternativi che consentano di godere di sconti di
  pena od anche di pervenire ad esiti assolutori in tempi piu' rapidi
  di quelli propri del rito ordinario.
    Sicche',  la  limitazione  della  possibilita' del ricorso a riti
  alternativi   per   chi  proponga  opposizione  a  decreto  penale,
  introdotta con normativa successiva all'atto di opposizione, appare
  porsi in contrasto con l'art. 24 della Costituzione.
    La  questione,  per  le ragioni svolte, non appare manifestamente
  infondata,  ed  e'  di  lampante  rilievo,  atteso che incide sulla
  normativa  che questo giudice e' chiamato ad applicare in relazione
  alle  istanze  delle  parti;  la  stessa e' gia' stata sollevata in
  termini  pressoche'  identici in relazione ad altri procedimenti, e
  viene qui nuovamente proposta in quanto unico mezzo per sospendere,
  unitamente al processo, il decorso del termine prescrizionale.