ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale della legge 27 dicembre
1997,  n. 449,  recante  "Misure per la stabilizzazione della finanza
pubblica",  promossi  con ricorsi delle Regioni Piemonte, Lombardia e
Veneto,  notificati  il  29 (r. ric. n. 12 ) e il 28 gennaio 1998 (r.
ric.  nn. 13  e 14), depositati in cancelleria il 6 (r. ric. n. 12) e
il 7 febbraio successivi (r. ric. nn. 13 e 14) ed iscritti ai nn. 12,
13 e 14 del registro ricorsi 1998.
    Visti  gli  atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
Ministri, nonche' l'atto di intervento del comune di Lonato;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  23 maggio  2000  il  giudice
relatore Valerio Onida;
    Uditi  gli  avvocati  Gustavo  Romanelli per la Regione Piemonte,
Giuseppe  F.  Ferrari  per le Regioni Lombardia e Veneto e l'avvocato
dello  Stato  Giancarlo  Mando'  per  il Presidente del Consiglio dei
Ministri.

                          Ritenuto in fatto


    1. - Con  ricorso  notificato  il 29 gennaio 1998 e depositato il
6 febbraio  1998  (r.  ric.  n. 12  del 1998), la Regione Piemonte ha
sollevato  questione  di  legittimita' costituzionale, in riferimento
agli  artt. 9,  77,  terzo  comma,  117  e  118  della  Costituzione,
dell'art. 49,  comma 18, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure
per la stabilizzazione della finanza pubblica).
    La  disposizione  impugnata dispone che siano "considerati validi
gli   strumenti   urbanistici   gia'   intesi   approvati  a  seguito
dell'applicazione,  da  parte degli enti che li hanno adottati, delle
procedure   del   silenzio-assenso   previste   dai   decreti   legge
27 settembre 1994, n. 551, 25 novembre 1994, n. 649, 26 gennaio 1995,
n. 24,  27 marzo 1995, n. 88, 26 maggio 1995, n. 193, 26 luglio 1995,
n. 310,   20 settembre   1995,   n. 400,  25 novembre  1995,  n. 498,
24 gennaio  1996,  n. 30,  25 marzo  1996,  n. 154,  25 maggio  1996,
n. 285,  22 luglio  1996,  n. 388,  24 settembre  1996, n. 495, i cui
effetti  sono stati fatti salvi ai sensi dell'art. 2, comma 61, della
legge  23 dicembre  1996,  n. 662";  ed aggiunge che, a tal fine, "il
termine   di  centottanta  giorni  previsto  per  la  formazione  del
silenzio-assenso,  non  maturato  nel  periodo di vigenza del singolo
decreto  legge,  si  intende  raggiunto  nel  periodo  di vigenza dei
successivi decreti legge".
    La  Regione dapprima ricorda di avere gia' impugnato davanti alla
Corte  costituzionale  due dei decreti legge i cui effetti sono stati
fatti  salvi  dalla  legge  n. 662  del  1996;  e  che la Corte si e'
pronunciata sui due ricorsi con la sentenza n. 429 del 1997. Con tale
pronuncia   la  Corte  avrebbe  escluso,  richiamando  la  precedente
sentenza  n. 244  del  1997,  che la sanatoria comportasse violazione
della  sfera  regionale,  in quanto la legge ex art. 77, terzo comma,
della  Costituzione  potrebbe  avere  ad  oggetto  solo le situazioni
verificatesi  durante  il  periodo  di  vigenza dei decreti legge non
convertiti,  mentre la formazione del silenzio-assenso nel termine di
centottanta   giorni  avrebbe  potuto  verificarsi  soltanto  dopo  i
sessanta giorni di vigenza di ognuno dei decreti legge.
    Secondo   la   ricorrente,   la   norma  oggi  impugnata  sarebbe
incostituzionale  per  violazione  appunto dell'art. 77, terzo comma,
della  Costituzione,  in  quanto  corollario delle affermazioni delle
sentenze    costituzionali   nn. 244   e   429   del   1997   sarebbe
l'incostituzionalita'  di  una norma che faccia salvi effetti che non
si  erano  ancora  prodotti  al  momento  della decadenza per mancata
conversione dei decreti legge.
    Sarebbero   violati   anche   l'art. 9   della  Costituzione,  le
competenze  in  materia  di  tutela  dei beni ambientali e protezione
della  natura  attribuite alle Regioni dagli artt. 82 e 83 del d.P.R.
24 luglio  1977,  n. 616  e,  in  generale,  le  competenze regionali
legislative  e  amministrative  in materia di urbanistica di cui agli
artt. 117 e 118 della Costituzione. Sarebbe infatti incostituzionale,
secondo  la  stessa  giurisprudenza  costituzionale,  il  ricorso  al
silenzio-assenso    per   le   attivita'   amministrative   ad   alta
discrezionalita',  quali le attivita' di pianificazione territoriale,
che  finiscono  per  incidere  sull'essenza  stessa  della competenza
regionale: e, in un ambito di competenza normativa della Regione, non
potrebbe  che  essere  una  legge regionale ad attribuire al silenzio
della Pubblica Amministrazione, in ipotesi specifiche, un significato
concludente,   come   l'approvazione   o   il   rifiuto.   La   Corte
costituzionale,    ricorda    la    Regione,   ha   gia'   dichiarato
incostituzionale  la  previsione  dell'art. 12,  comma 3, del decreto
legge  12 gennaio  1988,  n. 2,  in riferimento alla disciplina posta
dall'art. 32  della  legge  28 febbraio  1985, n. 47, in quanto essa,
spostando  la  decorrenza  del  termine stabilito per il parere delle
autorita'  preposte  alla  tutela del paesaggio, avrebbe inciso sulle
competenze  normative  ed  amministrative  delle  Regioni  a  statuto
ordinario,  fino  a  svuotarle in pratica di ogni contenuto (sentenza
n. 302 del 1988).

    2. - Non  si  e'  costituito  il  Presidente  del  Consiglio  dei
Ministri,  mentre  ha  depositato atto di intervento fuori termine il
comune  di  Lonato,  svolgendo  diverse  considerazioni,  depositando
alcuni  documenti e conclusivamente chiedendo che la Corte rigetti il
ricorso  della  Regione  Piemonte,  considerando  "la  gravita' della
situazione in cui versano i comuni italiani che, in piena buona fede,
hanno "inteso approvati i propri strumenti urbanistici generali dando
ad essi attuazione".

    3. - Con  ricorso  notificato  il 28 gennaio 1998 e depositato il
7 febbraio  1998  (r.  ric.  n. 13 del 1998), la Regione Lombardia ha
sollevato  questione  di  legittimita' costituzionale, in riferimento
agli  artt. 2,  3,  5, 32, 81, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione,
degli  artt. 32,  commi  2,  4, 5; 34, comma 1; 37; 39, comma 19; 41,
comma 1; 43; 44, comma 4; 47, comma 1; 48, commi 1, 4 e 5 della legge
n. 449 del 1997.
    La   Regione   ricorrente  sostiene  che  tutte  le  disposizioni
impugnate   comprimono   l'autonomia  legislativa,  amministrativa  e
finanziaria regionale.
    Con  riguardo all'art. 32, commi 2, 4 e 5, la Regione denuncia la
violazione   degli   artt. 2,  3,  32,  97,  117,  118  e  119  della
Costituzione.  In  particolare,  quanto al comma 2, che disciplina le
conseguenze  dell'eventuale inadempimento in relazione agli obiettivi
di risparmio sulla spesa per la acquisizione di beni e servizi di cui
al  comma  1  dello  stesso  articolo,  essa  lamenta  che tale comma
equipari,  sul  piano  delle fattispecie da sanzionare da parte dello
Stato,  l'inadempienza delle Regioni e quella delle "relative aziende
unita'  sanitarie  locali  e  aziende  ospedaliere"; conseguentemente
consenta  una  sanzione  a  carico  della  Regione  e del suo sistema
sanitario  complessivo  in  relazione  ad  un eventuale inadempimento
localizzato  anche  in  una  sola  azienda,  fattispecie che dovrebbe
competere   alla   Regione   sanzionare,   sul  piano  istituzionale,
finanziario    e    disciplinare,    e   non   allo   Stato;   faccia
irragionevolmente  gravare,  senza  necessita'  di  tutela  di  alcun
interesse costituzionalmente meritevole, conseguenze sanzionatorie su
soggetti  pubblici ed utenti che non avrebbero in alcun modo concorso
al  fatto  ritenuto lesivo; consenta l'intervento statale sul sistema
sanitario  regionale,  in  funzione  sanzionatoria  e,  nel  caso  di
omissione  di singole aziende, sostitutiva dell'intervento regionale,
senza   che   sia   contemplata  alcuna  procedimentalizzazione  (non
sarebbero  previsti  preavvisi, diffide, termini per provvedere e non
sussisterebbe  alcuno  scrupolo di rispetto delle esigenze del metodo
della  leale  collaborazione);  demandi  allo  Stato,  e  per esso al
Ministro  della  sanita',  una  discrezionalita' illimitata, salva la
soglia  massima  del 3%, e salvo il parere della Conferenza unificata
Stato-Regioni-Citta',  nel dosare la sanzione finanziaria, in assenza
di   parametri   che   consentano   di   proporzionare   la  sanzione
all'inadempimento.
    Il  comma  4  dello stesso art. 32, poi, applica alle Regioni che
entro  il 31 marzo 1998 non abbiano dato attuazione agli strumenti di
pianificazione  riguardanti  la  tutela  della  salute mentale di cui
all'art. 1,  comma 20, della legge n. 662 del 1996, e che non abbiano
provveduto  alla  completa istituzione delle residenze territoriali e
alla  chiusura  degli ospedali psichiatrici, le sanzioni previste dal
comma  23  dello  stesso  articolo. Secondo la ricorrente, il termine
sarebbe  di  irragionevole  brevita',  a  motivo  degli  investimenti
immobiliari  e  degli interventi edilizi, di grande complessita' e di
significativa lunghezza, da porre in atto; e l'inosservanza eventuale
del  termine  sarebbe  sanzionata  in forma irragionevolmente grave e
priva   di   proporzionalita'   rispetto  all'entita'  dell'eventuale
inadempimento,  oltre  che  rimessa  nell'an  e  nel  quomodo  ad una
eccessiva discrezionalita' dell'autorita' statale.
    Il   comma   5  dello  stesso  articolo,  infine,  disciplina  il
riutilizzo delle disponibilita' finanziarie derivanti dalle riduzioni
di  cui  al  comma  2,  devolvendole  al  finanziamento  di azioni di
sostegno  volte  alla  rimozione  degli ostacoli che hanno dato luogo
all'inadempienza  o  a  progetti  speciali  a favore di fasce sociali
deboli;  e  destina  le  risorse  derivanti dalle riduzioni di cui al
comma  23  dell'art. 1 della legge n. 662 del 1996 e al comma 4 dello
stesso  art. 32  alla  realizzazione di un progetto-obiettivo "Tutela
della  salute  mentale",  nonche', a titolo incentivante, a favore di
aziende  unita'  sanitarie  locali  e aziende ospedaliere che abbiano
attuato  i  programmi  di chiusura dei residui ospedali psichiatrici.
Tale  disciplina, secondo la ricorrente, prevederebbe la possibilita'
di  assegnazione  di  risorse  non direttamente alle Regioni, ma alle
singole  aziende, da parte del Ministro, con aggiramento non solo del
sistema  di  finanziamento  del  Servizio  sanitario  regionale  come
disciplinato  dalla legge n. 833 del 1978 e successive modificazioni,
e  dunque  della  autonomia  finanziaria  regionale,  ma  anche della
capacita'   di   governo   della  sanita'  da  parte  della  Regione;
rimetterebbe  al Ministro della sanita' la determinazione della quota
di  fondi  da  assegnare  alle Regioni con il solo vincolo del parere
della Conferenza Stato-Regioni, salvo l'avvalimento dell'Osservatorio
nazionale  sulla  salute  mentale  e  dell'Istituto  superiore  della
sanita',   che  sarebbero  peraltro  meri  organi  statali  centrali;
concederebbe  al  Ministro  una  irragionevole discrezionalita' nella
riassegnazione   dei   fondi,   non  significativamente  correlata  a
parametri   legislativamente   disciplinati  e  caratterizzati  dalla
necessaria  correlazione  con  finalita'  di  interesse  pubblico,  a
rilevanza   costituzionale,   nella  cui  individuazione  e  nel  cui
perseguimento   le   Regioni   abbiano   parte;   contemplerebbe   la
attivazione,   pur  limitatamente  alla  psichiatria,  di  un  potere
sostituivo  ibrido,  comportante  la  nomina  di  commissari  ad acta
definiti  "regionali",  ma  nominati  dal  Consiglio  dei Ministri su
proposta   del  Ministro  della  sanita',  d'intesa  con  la  Regione
interessata.
    Con  riguardo all'art. 34, comma 1, che prescrive l'inquadramento
progressivo   in   ruolo   come  dirigenti  di  primo  livello  degli
specialistici ambulatoriali in regime convenzionale, medici e non, in
aree   di  attivita'  specialistica  individuate  dalla  Regione,  la
ricorrente denuncia la violazione degli artt. 3, 32, 81, 97, 117, 118
e  119 della Costituzione. L'inquadramento ingenererebbe, rispetto al
rapporto  convenzionale,  un significativo aggravio di spesa a carico
del  SSN,  a  cui  non  farebbe riscontro alcuna messa a disposizione
delle   risorse  necessarie,  con  conseguente  pregiudizio  sia  per
l'autonomia  finanziaria regionale, sia per la capacita' regionale di
governo  del sistema sanitario, e cio' nello stesso momento in cui si
impone  un'ulteriore  riduzione  della spesa complessiva, nelle forme
del  gia'  impugnato  art. 32,  ed  in  violazione  del principio del
parallelismo  tra  responsabilita'  di  disciplina  e  di controllo e
responsabilita' finanziaria.
    Con  riguardo  all'art. 37 della legge, che consente la fornitura
gratuita  a  carico del SSN della protesi mammaria alle assistite che
abbiano   subito  un  intervento  di  mastectomia,  senza  mettere  a
disposizione  delle  Regioni nessuna risorsa sanitaria aggiuntiva, la
Regione denuncia la violazione degli artt. 2, 3, 32, 81, 97, 117, 118
e 119 della Costituzione. Secondo la ricorrente, l'articolo impugnato
pregiudicherebbe  l'autonomia  finanziaria  e il governo della spesa,
oltre  che  il  diritto  alla  salute,  a causa della scarsita' delle
risorse disponibili.
    Con  riguardo  all'art. 39, comma 19, che estende alle Regioni ed
alle  Province  autonome  la disciplina relativa alla riduzione delle
spese  di personale, la Regione denuncia la violazione degli artt. 3,
32,  97,  117, 118 e 119 della Costituzione. La disposizione, secondo
la  ricorrente,  protraendo  un'artificiosa  emergenza, equiparerebbe
indebitamente  le  Regioni  ad enti quali le camere di commercio, gli
enti   del   SSN   e   gli  enti  locali,  aventi  diversa  posizione
costituzionale;   e   reitererebbe,   prolungherebbe   nel   tempo  e
generalizzerebbe  misure  di  contenimento dell'utilizzo di personale
che  la Corte costituzionale ha gia' statuito dover essere temporanee
e  preordinate  ad  instaurare  un regime transitorio in attesa della
riforma sanitaria o di un riassetto generale del settore.
    Con  riguardo  all'art. 41, comma 1, della legge, che detta norme
generali   relative   alla  revisione  degli  organi  collegiali,  la
ricorrente  denuncia  la  violazione degli artt. 117, 118 e 119 della
Costituzione.  La  norma, in difetto di una specifica esenzione delle
Regioni,   sarebbe   applicabile   anche   a   queste  ultime,  e  le
equiparerebbe cosi' a categorie di enti non munite di alcuna garanzia
costituzionale di autonomia; inoltre essa, attribuendo la competenza,
in   ordine   alla   revisione,  all'"organo  di  direzione  politica
responsabile",  invaderebbe il campo riservato alla Regione in ordine
alla    distribuzione   dei   compiti   all'interno   della   propria
organizzazione.  Non parrebbe, del resto, trattarsi di misure urgenti
e provvisorie volte al contenimento del disavanzo pubblico, quanto di
misure  organizzative  caratterizzate  da una scelta di principio non
provvisoria, ma a regime.
    Con  riguardo  all'art. 43,  che  ha  ad  oggetto  "contratti  di
sponsorizzazione   ed  accordi  di  collaborazione,  convenzioni  con
soggetti  pubblici  o  privati,  contributi dell'utenza per i servizi
pubblici   non   essenziali   e   misure   di   incentivazione  della
produttivita'",  la  Regione  denuncia la violazione degli artt. 117,
118  e  119  della  Costituzione. La ricorrente censura la disciplina
generale  (contenuta  nel  comma  3), ritenuta applicabile anche alle
Regioni  in  difetto  di  espressa  esenzione,  delle convenzioni con
soggetti  pubblici  e  privati  per  la fornitura a titolo oneroso di
consulenze  o servizi aggiuntivi, col vincolo di destinazione del 50%
dei  ricavi  delle convenzioni stipulate ai fini di cui al comma 1 ad
economie di bilancio. Tali misure, ritenute dalla ricorrente a regime
e   non   transitorie,   sarebbero   incompatibili   con  l'autonomia
finanziaria   regionale,   oltre   che   con  quella  legislativa  ed
amministrativa,  autonomia  che  esigerebbe  che  le  Regioni possano
conformare  liberamente  gli  strumenti operativi in questione, cosi'
come l'utilizzo dei loro ricavi.
    Quanto   all'art. 44,   comma   4,   della   legge,  che  estende
l'applicabilita'   dell'art. 14  della  legge  n. 59  del  1997  alle
amministrazioni  di  cui all'art. 1 del decreto legislativo n. 29 del
1993,  e  quindi  anche  alle  Regioni,  la  ricorrente  denuncia  la
violazione   degli  artt. 117,  118  e  119  della  Costituzione.  La
disposizione  consentirebbe  allo  Stato  di  imporre  soppressioni e
fusioni  di  enti,  trasformazioni  in  soggetti  di diritto privato,
nonche'  varie  altre  prescrizioni organizzative anche alle Regioni,
omettendo  qualunque  procedura di raccordo e comprimendo l'autonomia
organizzativa regionale; e sarebbe incostituzionale anche nel caso in
cui  il  suo  significato  stesse nell'estensione dei principi di cui
allo   stesso   art. 14   alle   Regioni,  in  qualita'  di  principi
fondamentali della legislazione statale.
    Quanto  infine  all'art. 47, comma 1, e all'art. 48, commi 1, 4 e
5,   che   dettano   disposizioni   concernenti   rispettivamente  le
limitazioni  ai  pagamenti a carico del bilancio dello Stato a favore
di  enti  caratterizzati  da  giacenze  di disponibilita' liquide, il
concorso  del  sistema delle autonomie regionali agli obiettivi della
finanza  pubblica mediante il blocco del fabbisogno finanziario, e la
sospensione  dei  pagamenti  "ad  eccezione  di  quelli  che  possono
arrecare  danni  patrimoniali all'ente o a soggetti che intrattengono
con  l'ente  rapporti  giuridici  e negoziali", la Regione ricorrente
denuncia   la  violazione  degli  artt. 97,  117,  118  e  119  della
Costituzione.
    La disciplina in questione sarebbe intrinsecamente irragionevole,
almeno  quanto al comma 5 dell'art. 48, poiche' non si comprenderebbe
quale  titolo  di  pagamento dovrebbe sussistere a favore di terzi in
assenza  di  rapporti  giuridici  e  negoziali, e quanto all'art. 47,
comma  1,  poiche' non si comprenderebbe quale sia la assegnazione di
competenza  delle  Regioni  sulla  cui  entita' il Tesoro con proprio
decreto determina l'importo minimo delle giacenze, compreso tra il 10
e  il  20%  delle assegnazioni stesse; demanderebbe, almeno quanto al
comma  1 dell'art. 47, al Ministro del tesoro la determinazione delle
categorie  di enti e del limite di giacenza che attiva la ripresa dei
pagamenti  statali,  in  violazione  della  riserva  di  legge di cui
all'art. 119 della Costituzione; equiparerebbe Regioni ed altri enti,
locali e non; non configurerebbe misure temporanee o di emergenza, ma
strutturerebbe   vincoli   permanenti;   limiterebbe   eccessivamente
l'autonomia  finanziaria  regionale, e con essa quella legislativa ed
amministrativa,    introducendo    fattori   di   incertezza   e   di
imprevedibilita' gestionale.

    5. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri,  chiedendo  di  dichiarare  non  fondate tutte le questioni
sollevate  dalla  Regione  Lombardia,  e  osservando  quanto segue in
relazione a ciascuna delle disposizioni impugnate.
    Con  riguardo  all'art. 32,  comma 2, la difesa erariale sostiene
che  il  legislatore  ha  soltanto  e  doverosamente  assunto  alcuni
parametri   di   comportamenti   che   evidenzierebbero   la  mancata
corrispondenza  delle  Regioni  alle  indicazioni per il contenimento
delle  spese  specificate  al comma 1: mancata corrispondenza da cui,
del  tutto ragionevolmente, si farebbe conseguire una riduzione della
quota  del Fondo sanitario regionale, per evitare la quale le Regioni
sarebbero state incentivate all'osservanza tempestiva di (necessarie)
regole di rigore. Ne' l'equiparazione, a tal fine, delle inadempienze
delle  Regioni  e  delle  relative aziende sanitarie locali e aziende
ospedaliere  potrebbe  essere  intesa come una menomazione del potere
sopraordinato delle Regioni sulle aziende, avendosi qui riguardo alle
conseguenze oggettive che le inadempienze comportano rispetto al fine
unitario  perseguito.  E  sarebbe proprio nel piu' incisivo controllo
sulle   aziende   da   parte  delle  Regioni  che  queste  potrebbero
corrispondere a quel dovere di leale collaborazione che incombe anche
su  di  esse.  Non  si  dovrebbe  minimizzare la portata del previsto
parere  della  Conferenza Stato-Regioni-Citta', di cui la legge n. 59
del 1997 ha introdotto una innovativa disciplina, gia' attuata con il
decreto  legislativo  n. 281 del 1997, pure richiamato dalla norma in
esame,  e  che  sarebbe  improntata  appunto  al  principio  di leale
collaborazione.
    Le  medesime osservazioni varrebbero, secondo la difesa erariale,
anche  per  le successive censure. Con riguardo all'art. 32, comma 4,
non sarebbe incoerente con l'esigenza della razionalizzazione e della
ottimizzazione   della   spesa   l'indicazione   di  un  termine  per
l'attuazione   degli   strumenti   di   pianificazione:   il  termine
corrisponderebbe  ad  una  funzione acceleratoria che con il medesimo
intento  di  evitare ulteriori dispersioni di risorse finanziarie, in
cui  spesso  proprio le Regioni sarebbero incorse e' stata di recente
perseguita in via generale in materia appunto di opere pubbliche.
    Ad  analogo intento corrisponderebbe anche l'art. 32, comma 5, in
base  al quale anche i recuperi di somme derivanti dalle riduzioni di
spesa  di  cui  al comma 2 verrebbero utilizzati in materia sanitaria
per  un  migliore  perseguimento  di finalita' non realizzate a causa
delle  inadempienze,  e comunque secondo un disegno di priorita' gia'
presente  nella  politica  sanitaria  adottata. Cio', quindi, non per
effetto  di  nuove e sovrapposte linee programmatiche dello Stato, ma
secondo  un  corretto  indirizzo  generale  da  cui  le  Regioni  non
sarebbero  state  ne'  saranno  escluse,  trovando  anzi esse il loro
organo  di  raccordo e di verifica nella Conferenza Stato Regioni, di
cui la ricorrente minimizzerebbe la funzione.
    Quanto  all'art. 34,  comma 1, la difesa erariale sostiene che la
Regione  non  dovrebbe dolersi nei confronti di tale disposizione, in
quanto  sarebbe  attribuito  proprio  alle  Regioni,  come  la stessa
ricorrente  riconosce,  il potere di individuare le aree di attivita'
specialistiche in cui operare gli inquadramenti.
    Quanto   all'art. 37,  disposizione  di  cui  la  stessa  Regione
riconoscerebbe  la  doverosita', l'Avvocatura afferma che la spesa da
essa  prevista andrebbe ricondotta al quadro finanziario complessivo,
nella   cui   composizione   le   Regioni   avrebbero   una  presenza
determinante.
    Quanto  all'art. 39, comma 19, la difesa erariale afferma che una
programmazione  del  fabbisogno  del  personale  compatibile  con  le
disponibilita'  di  bilancio  non  potrebbe  non essere richiesta per
tutti i settori fondamentali di spesa, come appunto quello sanitario,
e  che  tale  previsione,  data  la sua ratio, limitata nel tempo, si
ricondurrebbe all'ottica accolta dalla giurisprudenza costituzionale,
che  ne  riconosce  la legittimita' in vista di un riassetto generale
del  settore, sempre direttamente condizionato dal quadro finanziario
complessivo.  Ne', a questo fine, potrebbe avere alcuna rilevanza che
le Regioni siano indicate insieme ad altri soggetti di spesa.
    Quanto  all'art. 41,  comma  1,  parimenti non si vedrebbe in che
modo  tale  disposizione  possa incidere sui poteri decisionali delle
Regioni, ove pure la norma sia ad esse applicabile, del che la stessa
ricorrente dubiterebbe.
    Quanto   all'art. 43,   la   difesa   erariale   ne  sostiene  la
compatibilita'  con  l'autonomia  regionale,  in  quanto  in  esso si
prevede  soltanto  che  le  pubbliche  amministrazioni,  al  fine  di
favorire   l'innovazione   dell'organizzazione  amministrativa  e  di
realizzare maggiori   economie,   possono   stipulare   contratti  di
sponsorizzazione,  accordi  di  collaborazione,  etc.: nessun vincolo
verrebbe  imposto  ad  alcuno, salvo per una quota dei risparmi cosi'
(eventualmente) ottenuti.
    Quanto   all'art. 44,  comma  4,  l'Avvocatura  contesta  che  la
ricorrente, pur esprimendo dubbi interpretativi sul testo, ne dia una
lettura   particolarmente   forte,  ritenendolo  idoneo  a  sottrarre
direttamente   poteri   alle   Regioni;   al   contrario,   la  norma
richiamerebbe  ai fini dell'attuazione della delega della legge n. 59
del  1997,  relativa  alla  riorganizzazione  degli apparati centrali
l'obiettivo  di  una  complessiva riduzione dei costi amministrativi,
indicando  una  serie  di  principi  e  criteri direttivi idonei allo
scopo.  Secondo l'Avvocatura, dunque, la legge sulla finanza pubblica
era  la  sede  naturale  per tale richiamo; e l'allarme della Regione
Lombardia sarebbe ingiustificato, proprio di fronte ad una legge come
la n. 59 del 1997, ispirata ad un'evoluzione in senso federale, e non
centralistico, dell'ordinamento.
    Quanto  infine  agli  artt. 47,  comma  1,  e 48, commi 1 e 5, la
difesa  erariale  si  richiama  ancora una volta alla ragion d'essere
della  normativa in esame, diretta ad un contenimento della spesa che
spettava  allo  Stato  di  prevedere,  come responsabile primario del
bilancio.
    In  definitiva, secondo l'Avvocatura, rimarrebbero decisive anche
per  la  legge  in  esame  le  considerazioni  formulate  dalla Corte
costituzionale   ad   analogo   proposito,  secondo  cui  l'opera  di
risanamento  della finanza pubblica richiederebbe un impegno solidale
di tutti gli enti territoriali erogatori di spesa, di fronte al quale
la  garanzia  costituzionale dell'autonomia finanziaria delle Regioni
non  potrebbe fungere da impropria giustificazione per una esenzione.
La  finalita',  anche  nella  legge  n. 449  del  1997 perseguita dal
Governo  e dal Parlamento, di contenere il perdurante disavanzo della
spesa  pubblica giustificherebbe una manovra complessiva di riduzione
della spesa in tutti i settori e con specifico riferimento alla spesa
sanitaria,  mediante  misure  che  incidono  su  tutti  gli  enti  di
autonomia a statuto speciale e ordinario.

    6. - Con  ricorso  notificato  il 28 gennaio 1998 e depositato il
7 febbraio  1998  (r.  ric.  n. 14  del  1998),  la Regione Veneto ha
sollevato  questione  di  legittimita' costituzionale, in riferimento
agli  artt. 2,  3,  5,  24,  32,  77,  81,  97,  117, 118 e 119 della
Costituzione,  degli artt. 17, commi 10, 22 e 29; 18; 32, commi 2, 4,
5 e 15; 34, comma 1, 37; 39, comma 19; 41, commi 1 e 3; 43; 44, comma
4;  47,  comma  1; 48, commi 1 e 5; 49, comma 18; 55, comma 14, della
legge n. 449 del 1997.
    La  ricorrente  sostiene  che  tutte  le  disposizioni  impugnate
comprimono  l'autonomia  legislativa,  amministrativa  e  finanziaria
regionale.
    Con  riguardo  all'art. 17,  comma 10, la Regione Veneto sostiene
che  la  disposizione  impugnata,  che demanda alle Regioni a statuto
ordinario  la  riscossione,  l'accertamento, il recupero, i rimborsi,
l'applicazione   delle  sanzioni  ed  il  contenzioso  amministrativo
relativi  alle tasse automobilistiche non erariali, prevedendo che un
decreto   del   Ministro   delle   finanze,   sentita  la  Conferenza
Stato-Regioni, stabilisca le modalita' di queste operazioni e approvi
uno   schema   tipo   di   convenzione   per  l'affidamento  a  terzi
dell'attivita'  di  controllo  e  riscossione,  violerebbe l'art. 119
della  Costituzione,  in  quanto eccederebbe l'ambito delle "forme" e
dei "limiti" dell'autonomia tributaria regionale, e inciderebbe sugli
artt. 117  e  118  della  Costituzione,  interferendo  nella  materia
dell'ordinamento degli uffici regionali e compromettendo l'autonomo e
differenziato  esercizio  delle  funzioni  amministrative  regionali,
attraverso l'imposizione dello stesso identico modello di attivita' a
tutte  le Regioni. La scelta del legislatore statale sarebbe altresi'
irrazionale  (art. 3  della  Costituzione, in relazione agli artt. 5,
117,  118  e  119),  in  quanto  pretenderebbe  di  omogeneizzare per
l'intero  territorio  nazionale  le  modalita'  di esercizio di tutte
queste   attivita',   senza   alcuna   ragione  giustificativa.  Tale
irrazionalita'  sarebbe  particolarmente evidente per quanto concerne
la  previsione  della  convenzione  tipo  relativa  ai  rapporti  tra
Amministrazione    e   concessionari,   perche'   in   questo   caso,
contrariamente  a  quello  della  convenzione  con  i tabaccai per la
riscossione delle tasse automobilistiche, disciplinato dal successivo
comma  11, non verrebbero in gioco i rapporti fra l'Amministrazione e
gli  utenti, interessati ad un servizio ispirato a regole analoghe su
tutto  il  territorio  nazionale.  Ancora,  la  legge  censurata  non
delimiterebbe in alcun modo il potere discrezionale del Ministro, che
dunque  risulterebbe  carente  di idoneo fondamento legislativo, e le
Regioni  non  sarebbero  garantite  dalla  sola previsione del parere
della   Conferenza   Stato-Regioni.  Infine,  piu'  radicalmente,  la
disposizione  impugnata  contrasterebbe  con  le norme costituzionali
invocate, in quanto affiderebbe alle Regioni compiti onerosi senza la
previsione di copertura finanziaria.
    Con  riguardo  all'art. 17,  comma  22, che riduce "da lire 350 a
lire  242  per  ciascun  litro"  la  quota  dell'accisa sulla benzina
spettante  alle  Regioni  a statuto ordinario come tributo proprio ai
sensi  dell'art. 3, comma 12, della legge n. 549 del 1995, la Regione
denuncia  la  violazione  degli  artt. 5 e 119 della Costituzione, in
quanto   la   disposizione  comprometterebbe  gravemente  l'autonomia
finanziaria  della  ricorrente.  Il presupposto di questa unilaterale
riduzione  di  un  tributo proprio delle Regioni sarebbe una sorta di
compensazione   interna   del   carico   fiscale  nel  settore  della
circolazione  automobilistica:  tuttavia,  a  fronte di una riduzione
certa della capacita' impositiva delle Regioni, si contrapporrebbe un
riequilibrio  meramente eventuale, derivante dall'incremento di altre
entrate,  con conseguente impossibilita' per le Regioni di contare su
una previsione di entrata certa.
    Quanto  all'art. 17,  comma  29,  che  istituisce  la tassa sulle
emissioni  di  anidride solforosa e di ossidi di azoto, la ricorrente
deduce  la  violazione degli artt. 5, 32 e 119 della Costituzione. Si
tratterebbe  dell'istituzione  di  una tipica tassa "ambientale", che
tuttavia  non sarebbe regolata dalla disciplina tipica delle tasse di
questo   tipo,  poiche'  le  Regioni  non  vengono  qualificate  come
compartecipi del relativo gettito, al contrario di quanto avviene per
le tasse sui consumi di combustibili ai sensi dell'art. 6 della legge
n. 158  del  1990; e poiche' il gettito non e' destinato all'adozione
di   interventi  di  prevenzione  e  di  risanamento  ambientali,  in
contrasto  con l'esigenza costituzionale di tutela della salute della
collettivita'.
    Quanto  all'art. 18, che istituisce un'imposta erariale regionale
sulle  emissioni  sonore  degli  aeromobili,  la  Regione  deduce  la
violazione   degli   artt. 3,   5,   e  119  della  Costituzione.  La
disposizione, riservando allo Stato sia le modalita' di accertamento,
riscossione  e  versamento della nuova imposta, sia la determinazione
dell'aliquota, lederebbe il principio di ragionevolezza e l'autonomia
finanziaria  regionale,  in  quanto della "regionalita'" dell'imposta
resterebbe  traccia  solo  nel  nomen.  Infine, vi sarebbe violazione
della  riserva  di  legge  di cui all'art. 119 della Costituzione, in
quanto  il  regolamento ministeriale destinato a recare la disciplina
dell'imposta  (alla  cui formazione la Regione non sarebbe chiamata a
partecipare)   non   troverebbe   alcuna  delimitazione  nella  legge
censurata.
    Con  riguardo  all'art. 32,  commi 2, 4, 5 e 15 la Regione Veneto
denuncia la violazione degli artt. 2, 3, 32, 97, 117, 118 e 119 della
Costituzione.  Le  censure  relative ai commi 2, 4 e 5 sono svolte in
modo del tutto identico a quelle proposte dalla Regione Lombardia con
il  ricorso  iscritto  al  r. ric. n. 13 del 1998, di cui si e' detto
sopra.  Quanto  al comma 15, che facoltizza le Regioni ad autorizzare
spese   sanitarie   in   favore   di   categorie   di  non  cittadini
precedentemente  non  assistite dal Servizio sanitario, la ricorrente
afferma  che  tale norma non metterebbe a disposizione alcuna risorsa
aggiuntiva  destinata  a  coprire  le relative spese, con conseguente
compromissione  dell'autonomia  finanziaria  regionale  e del diritto
costituzionale alla salute.
    Con  riguardo  all'art. 34,  comma  1,  la  ricorrente  deduce la
violazione   degli  artt. 3,  32,  81,  97,  117,  118  e  119  della
Costituzione,  svolgendo  censure  identiche  a quelle proposte dalla
Regione  Lombardia con il ricorso iscritto al r. ric. n. 13 del 1998,
di  cui  si  e'  detto  sopra.  Lo  stesso  deve dirsi per le censure
relative all'art. 37, impugnato in relazione agli artt. 2, 3, 32, 81,
97,  117,  118  e  119  della  Costituzione;  all'art. 39,  comma 19,
impugnato  in  relazione  agli  artt. 3, 32, 97, 117, 118 e 119 della
Costituzione,  e  all'art. 41,  comma  1, impugnato in relazione agli
artt. 117, 118 e 119 della Costituzione.
    I  parametri da ultimo citati sostengono anche l'impugnazione del
comma  3  dello  stesso  art. 41  che, secondo la Regione ricorrente,
inciderebbe  sull'autonomia  regionale  in riferimento al trattamento
economico  del  proprio  personale  e  all'organizzazione  dei propri
uffici.
    Con  riguardo  all'art. 43,  la  ricorrente  deduce la violazione
degli  artt. 117,  118  e  119  della Costituzione, svolgendo censure
identiche  a  quelle  proposte dalla Regione Lombardia con il ricorso
iscritto  al  r.  ric.  n. 13  del 1998, di cui si e' detto sopra. Lo
stesso  deve  dirsi  per  le  censure  relative all'art. 44, comma 4,
impugnato  in relazione agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione;
e  agli  artt. 47, comma 1, e 48, commi 1 e 5, impugnati in relazione
agli artt. 97, 117, 118 e 119 della Costituzione.
    Con  riguardo all'art. 49, comma 18, la Regione ricorrente deduce
la  violazione  degli artt. 3, 24, e 77, in riferimento agli artt. 5,
117  e  118, della Costituzione, affermando che tale disposizione del
cui  contenuto  si e' riferito sopra, al paragrafo 1, a proposito del
ricorso  della  Regione Piemonte, sarebbe palesemente violativa delle
proprie attribuzioni.
    La  ricorrente  premette  che  gia' la previsione dell'ultimo dei
decreti  legge  a cui tale disposizione fa riferimento (art. 5, comma
3,  del  decreto legge n. 495 del 1996, non convertito, i cui effetti
sono  stati fatti salvi dall'art. 2, comma 61, della legge n. 662 del
1996)  nel prevedere che l'approvazione dello strumento urbanistico e
delle relative varianti da parte della Regione e, ove prevista, della
provincia o di altro ente locale, avviene entro 180 giorni dalla data
di  trasmissione, da parte dell'ente che lo ha adottato, dello stesso
strumento  urbanistico  corredato  della necessaria documentazione, e
che,  decorso  infruttuosamente  il  termine,  i  piani  si intendono
approvati - si sarebbe esposta gia' di per se' a "pesantissimi" dubbi
di   legittimita'   costituzionale  per  compressione  dell'autonomia
regionale, imponendo il silenzio-assenso in una materia di competenza
regionale   quale   e'  l'urbanistica.  La  norma  impugnata  avrebbe
confermato questi dubbi.
    Quanto alla dedotta violazione dell'art. 77, terzo comma, secondo
periodo, in relazione agli artt. 5, 117 e 118, della Costituzione, la
Regione  ricorda che di fatto i decreti legge reiterati non avrebbero
determinato alcuna lesione del potere regionale di approvazione degli
strumenti  urbanistici  locali,  perche' il termine di 180 giorni non
avrebbe  mai  potuto  utilmente  decorrere  nel  vigore  di alcuno, e
neanche  dell'ultimo, di tali decreti, non essendo mai intervenuta la
legge  di  conversione; e nota poi che la disposizione oggi impugnata
disporrebbe  cio' che non avrebbe potuto disporre neppure la legge di
conversione,  e  cioe', prevedendo l'utile decorso del termine per il
passato,  consentirebbe ai decreti legge di produrre oggi effetti che
non avevano potuto produrre ieri.
    Quanto  alla  dedotta  violazione dell'art. 77, secondo comma, in
relazione  agli  artt. 5,  117  e  118 della Costituzione, la Regione
afferma  che  la  disposizione  impugnata  avrebbe ignorato il limite
della  provvisorieta'  che  la  Costituzione impone ai decreti legge,
rendendo  continua  e  definitiva la disciplina disposta dalla catena
dei decreti legge.
    Quanto  alla  dedotta  violazione dell'art. 24, in relazione agli
artt. 5, 117 e 118 della Costituzione, ancora, la ricorrente si duole
della  violazione del diritto di agire in giudizio davanti alla Corte
costituzionale    per    la   difesa   delle   proprie   attribuzioni
costituzionalmente garantite, in quanto la Regione allora non avrebbe
avuto   interesse  ad  impugnare  nessuno  dei  decreti  legge,  data
l'impossibilita'        logico-costituzionale       dell'applicazione
dell'istituto  del  silenzio-assenso  da  essi  previsto; ma, d'altro
canto, oggi la disposizione impugnata le impedirebbe di dolersi anche
nei  confronti  dei decreti legge che essa resuscita, in quanto ormai
decaduti.
    Quanto  infine  alla  violazione  dell'art. 3,  in relazione agli
artt. 5,  117 e 118 della Costituzione, la ricorrente sostiene che la
disposizione  impugnata sarebbe intimamente contraddittoria, e dunque
viziata per irrazionalita' interna, e nello stesso tempo lesiva delle
attribuzioni costituzionali della ricorrente, quando afferma che sono
considerati  validi gli strumenti urbanistici "gia' intesi approvati"
a seguito dell'applicazione dei decreti legge non convertiti, poiche'
nessuno  dei  decreti  legge,  come  lo  stesso  legislatore  avrebbe
riconosciuto  quando  e'  intervenuto a saldare un decreto all'altro,
avrebbe    potuto    produrre    l'effetto    del   verificarsi   del
silenzio-assenso.
    Con  riguardo all'ultima disposizione impugnata, l'art. 55, comma
14,  che  secondo la Regione detterebbe un'analitica disciplina delle
attivita' agricole da attuarsi con decreto legislativo, la ricorrente
deduce  la violazione degli artt. 5, 117 e 118 della Costituzione: la
lesione  delle attribuzioni regionali nella materia dell'agricoltura,
di   competenza  regionale,  sarebbe  immediata,  e  precederebbe  la
prevista   emanazione   di  un  decreto  legislativo,  in  quanto  il
coinvolgimento  regionale sarebbe limitato al parere della Conferenza
Stato-Regioni,  e in nessun punto, fra i principi e criteri direttivi
indicati,  si  darebbe  conto  della  esigenza  di salvaguardia delle
attribuzioni regionali.
    7.  Si  e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri,  chiedendo che la Corte voglia dichiarare non fondate tutte
le  questioni  sollevate  dalla  Regione  Veneto, e osservando quanto
segue in relazione a ciascuna delle disposizioni impugnate.
    Quanto  all'art. 17,  comma 10, la difesa erariale afferma che il
conferimento  alle  Regioni  dei  poteri  relativi ai propri tributi,
quali  sono  le tasse automobilistiche non erariali, risponderebbe ai
principi  dell'autonomia,  per  cui  non  si  comprenderebbe  come la
ricorrente  possa  lamentarsi  che  per la amministrazione di proprie
entrate  le  Regioni  non  ricevano  adeguata  copertura finanziaria;
inoltre,   anche   in   considerazione   della   diffusione  e  della
specificita'  del  tributo,  sarebbe ragionevole la preoccupazione di
garantire l'omogeneita' dei procedimenti su tutto il territorio.
    Quanto  all'art. 17,  comma  22,  la  riduzione dell'accisa sulla
benzina     conseguirebbe    ad    un'operazione    di    complessiva
riorganizzazione  dell'imposizione  nel  settore  della  circolazione
automobilistica,  e  avrebbe  lo  scopo di mantenere il gettito nella
misura  vigente  al  31 gennaio  1994  (recte:  al 31 dicembre 1997).
Questa  operazione  non potrebbe essere ostacolata per l'interesse di
una  sola  Regione, tanto piu' che l'accisa sulla benzina non sarebbe
un vero tributo della Regione, anche se ad esso attribuito.
    Quanto  all'art. 17,  comma 29, non si comprenderebbe, afferma la
difesa  erariale,  perche'  la  ricorrente lamenti che le Regioni non
partecipino  al  reddito  della  tassa  sulle  emissioni  di anidride
solforosa e di ossido di azoto.
    Quanto  all'art. 18,  l'Avvocatura sostiene che, poiche' la nuova
imposta  sulle  emissioni  sonore  degli  aeromobili  non sarebbe una
entrata   a   beneficio   della   Regione,   in  quanto  quest'ultima
collaborerebbe  soltanto  alla  distribuzione  del  gettito,  non  vi
sarebbe ragione perche' essa sia abilitata ad esercitare sue potesta'
in materia.
    Passando  all'esame delle censure formulate sulle disposizioni in
materia  di  spesa, ed in particolare di quella relativa all'art. 32,
comma  2, l'Avvocatura afferma che non sarebbe illegittimo un sistema
sanzionatorio  che,  a  fronte di inadempienza oggettiva, utilizzi il
mezzo  della  riduzione  del  fondo a favore della Regione; peraltro,
proprio la Regione sarebbe chiamata ad individuare le responsabilita'
degli operatori e a graduare le sanzioni.
    Quanto all'art. 32, comma 4, non parrebbe violato alcun principio
costituzionale;  peraltro  la  materia oggetto della sanzione avrebbe
dovuto essere definita gia' da tempo.
    Quanto    all'art. 32,   comma   5,   secondo   l'Avvocatura   le
disponibilita'   del   fondo   sanitario  nazionale  derivanti  dalle
riduzioni  delle  quote spettanti alle Regioni inadempienti sarebbero
ragionevolmente  assegnate,  con  il  concorso  di  vari pareri, alle
aziende  che  hanno attuato i programmi, e non si potrebbe pretendere
che  il provento di sanzioni venga amministrato dallo stesso soggetto
sanzionato.
    Quanto  all'art. 32,  comma  15,  tale  disposizione,  secondo la
difesa  erariale,  prevederebbe la possibilita' ma non imporrebbe che
le  aziende  siano  autorizzate  ad  erogare  prestazioni a cittadini
extracomunitari.
    Quanto  all'art. 34,  comma  1, la regolarizzazione del personale
sanitario  a  rapporto convenzionale sarebbe stata da tempo attesa, e
la Regione non potrebbe ostacolarla.
    Quanto   all'art. 37,   l'Avvocatura  sostiene  che  non  sarebbe
necessario   che   ogni   singola  prestazione  trovi  una  specifica
copertura.
    Quanto  agli artt. 39, comma 19, e 41, commi 2 (recte: 1) e 3, la
difesa erariale osserva che la riduzione delle spese per il personale
prevista nel comma 1 dell'art. 39 per lo Stato si applica a tutti gli
enti  pubblici,  e  che sarebbe strano che la Regione fosse esente da
questo dovere.
    Quanto  all'art. 43,  trattandosi  di  norma  che  consente,  non
potrebbe profilarsi una violazione.
    Quanto   all'art. 44,  comma  4,  si  tratterebbe  di  una  norma
genericamente programmatica.
    Quanto   agli   artt. 47,  comma  1,  e  48,  commi  1  e  5,  la
partecipazione  delle  Regioni alle operazioni per la stabilizzazione
della finanza pubblica, nel particolare momento, sarebbe doverosa.
    Quanto  all'art. 49, comma 18, sul silenzio-assenso regionale per
l'approvazione   degli  strumenti  urbanistici,  la  difesa  erariale
osserva  che  la norma, che fa parte di un articolo la cui rubrica e'
"Norme  particolari  per  i  comuni e le province", non violerebbe le
prerogative   regionali,   ricollegandosi   a   numerose   altre  che
perseguono,   da   una   parte,   la   legittimazione  di  situazioni
urbanistiche   con   sanatorie   di   varia  natura,  dall'altra,  lo
snellimento delle procedure di approvazione con il mezzo del silenzio
- accoglimento.
    Quanto  infine  all'art. 55, comma 14, l'Avvocatura sostiene che,
trattandosi  di  legge  di  delega  mirante  a sostenere le attivita'
agricole  nel  confronto  con  i  costi  comunitari,  anche con varie
provvidenze  e  con  alleggerimento  degli  oneri  per  i servizi, si
sarebbe  al  di  fuori  della  competenza  regionale  in  materia  di
agricoltura.

    8. - Nell'imminenza  dell'udienza,  nel  giudizio  instaurato con
ricorso della Regione Piemonte (r. ric. n. 12 del 1998) ha depositato
memoria la ricorrente, insistendo per l'accoglimento della questione.
    In  relazione all'intervento in giudizio del comune di Lonato, la
Regione   ne  eccepisce  l'inammissibilita',  dovendosi  dubitare  in
generale  della  compatibilita'  con  il  carattere  del  giudizio di
legittimita' costituzionale in via principale della partecipazione di
soggetti  diversi  da  quelli che vi sono chiamati dalla legge; e non
ricorrendo   comunque,   nel   caso  di  specie,  i  presupposti  per
l'ammissibilita'  di  un  intervento,  poiche'  non sarebbe possibile
configurare  in  capo  al  comune interveniente, anche qualora questo
avesse  concretamente  inteso  come  approvato  il  proprio strumento
urbanistico  decorso  il  termine  previsto  dai  decreti  legge, una
situazione individualizzata, bensi' soltanto un interesse riflesso ed
eventuale all'esito del giudizio di legittimita' costituzionale.
    Quanto al merito, la Regione, prendendo posizione sugli argomenti
esposti nell'atto di intervento del comune di Lonato, e ricordando la
giurisprudenza  della  Corte  in  materia di limiti alla decretazione
d'urgenza,   sostiene   che   al   di  la'  dell'ipotesi  contemplata
dall'art. 77,  terzo  comma,  della Costituzione non sarebbe comunque
ipotizzabile  alcuna  disposizione  di salvaguardia degli effetti del
decreto  legge  non convertito, che sarebbe di per se' illegittima. E
aggiunge  che  la  possibilita'  di  far  salvi  gli effetti prodotti
durante  la  vigenza  interinale  del  decreto  legge sarebbe rimessa
esclusivamente  alla valutazione discrezionale del legislatore, fermo
restando   in   ogni   caso   il   rispetto   degli   altri  precetti
costituzionali:  condizione  che,  tuttavia,  nel  caso di specie non
risulterebbe  essere  stata  rispettata,  in  quanto il provvedimento
impugnato  sarebbe  stato adottato in violazione degli artt. 9, 117 e
118 della Costituzione.
    Non  potrebbe  neanche  escludersi,  prosegue  la memoria, che le
Regioni,   ricorrendo   in   via   principale   innanzi   alla  Corte
costituzionale,   lamentino   il   mancato   rispetto   delle   norme
costituzionali   regolanti  l'esercizio  del  potere  governativo  di
adozione  dei decreti legge, cosi' come delle regole per l'emanazione
di  una  disciplina  degli  effetti  di decreti legge non convertiti,
quanto meno nei limiti in cui ricorra altresi' la violazione di norme
costituzionali  che comportano la lesione della sfera di attribuzioni
costituzionalmente garantita.
    Dopo  essersi  soffermata  sulle  motivazioni  delle due sentenze
della Corte costituzionale, la n. 244 e la n. 429 del 1997, aventi ad
oggetto,  rispettivamente,  la clausola di salvezza degli effetti dei
decreti  legge non convertiti (l'art. 2, comma 61, della legge n. 662
del  1996),  e le disposizioni in ordine alla formazione del silenzio
assenso  regionale  contenute  in due dei decreti legge reiterati, la
memoria sostiene che l'illegittimita' costituzionale della norma oggi
impugnata   deriverebbe   dalla  circostanza  che  essa  andrebbe  ad
integrare  un  contenuto normativo di cui le due sentenze della Corte
avrebbero      implicitamente      riconosciuto      l'illegittimita'
costituzionale:  la  normativa impugnata avrebbe infatti disposto, in
contrasto   con   i   principi   dell'art. 77,   terzo  comma,  della
Costituzione,  cosi'  come  interpretati  appunto  dalle due sentenze
della  Corte, che il termine di decorrenza dei centottanta giorni per
la  formazione del silenzio-assenso dovesse essere computato, ove non
maturato  (come  non  poteva  maturare)  nel periodo di vigenza di un
singolo  decreto legge, sommando il periodo di vigenza dei successivi
decreti legge.
    Infine,  la  memoria ricorda come la Corte costituzionale avrebbe
gia'   in   passato   affermato  l'illegittimita'  di  previsioni  di
silenzio-assenso  con  riferimento  alle  attivita' amministrative ad
alta  discrezionalita',  da  ultimo  con  la sentenza n. 26 del 1996,
avente  ad  oggetto  una  legge  della ricorrente Regione Piemonte in
materia  di  programmi  integrati  di  riqualificazione  urbanistica,
edilizia e ambientale.

    9. - Nel  ricorso proposto dalla Regione Lombardia (r. ric. n. 13
del  1998),  in  prossimita' dell'udienza hanno depositato memoria la
Regione  ricorrente  e  il  Presidente  del  Consiglio  dei Ministri.
Entrambe  le  memorie  si  soffermano distintamente su ciascuna delle
disposizioni impugnate.
    La  memoria  della  Regione  Lombardia,  quanto all'art. 32 della
legge  n. 449  del  1997,  di  cui  sono  impugnati i commi 2, 4 e 5,
riassume  gli  argomenti  gia'  sviluppati  nel ricorso introduttivo,
insistendo  in  particolare  sulla  circostanza  che  le disposizioni
impugnate  sarebbero irragionevoli, oltre che incostituzionali, nella
parte  in  cui,  a  fronte delle ridottissime competenze riconosciute
alle  Regioni,  farebbero  tuttavia  carico  alle stesse di eventuali
disfunzioni  nel sistema, ancorche' si tratti di disfunzioni o errori
non  riconducibili  ad  una responsabilita' diretta delle medesime; e
sulla  circostanza  che  le  stesse  Regioni resterebbero escluse dal
procedimento  anche  nella  fase  successiva  di  assegnazione  delle
risorse   resesi   disponibili   in  seguito  all'applicazione  delle
sanzioni.
    Quanto  agli artt. 34, comma 1, e 37, essi si caratterizzerebbero
per  una  evidente  compromissione  del  diritto  costituzionale alla
salute,    oltre    che    delle    esigenze    di   buon   andamento
dell'amministrazione,  non  mettendo  a disposizione delle Regioni le
risorse necessarie per far fronte ai disposti aggravi di spesa.
    Quanto  all'art. 39,  comma 19, la memoria insiste sul fatto che,
secondo   la   giurisprudenza  costituzionale,  eventuali  misure  di
contenimento o di blocco delle assunzioni di personale, finalizzate a
riduzioni  di  spesa,  sarebbero  legittime  solo quando si tratti di
misure temporanee, preordinate ad instaurare un regime transitorio in
attesa  di un riassetto generale del settore; la misura impugnata non
realizzerebbe questa condizione.
    Quanto  all'art. 41,  comma  1,  la  memoria  ribadisce  che tale
disposizione,  non avente carattere meramente transitorio, violerebbe
l'autonomia  regionale, in quanto sottrarrebbe alle Regioni il potere
di  organizzare  i  propri  uffici, nonche' il dominio e il controllo
della distribuzione dei compiti all'interno di essi.
    La  memoria  si  sofferma quindi sull'art. 43, nella parte in cui
vincola l'utilizzo di una percentuale predeterminata dei ricavi netti
derivanti  dalle  consulenze o dai servizi aggiuntivi di cui al comma
3,  destinandola  ad  economie di bilancio. Tale disposizione sarebbe
anch'essa di carattere permanente, ed imporrebbe un doppio vincolo di
ordine  sostanziale,  qualitativo  e  quantitativo,  sottraendo  alla
Regione  ogni  liberta'  di  valutazione  e  di impiego delle proprie
risorse,  attraverso  una  irrazionale ed arbitraria omogeneizzazione
delle  situazioni  di  bilancio  di tutte le Regioni, con conseguente
lesione  della stessa autonomia politica della Regione, privata della
capacita' di decisione in ordine alle spese.
    Quanto  all'art. 44,  comma  4,  la memoria insiste sulle censure
gia' formulate nel ricorso, evidenziando l'impossibilita' di superare
il   dubbio   di   legittimita'   costituzionale   interpretando   la
disposizione impugnata come una mera norma di principio.
    Quanto all'art. 47, comma 1, la memoria ne ribadisce il contrasto
con l'art. 119 della Costituzione. La norma, da un lato, rinviando ad
un  decreto ministeriale la determinazione del limite di giacenza che
consente  la  ripresa  dei pagamenti dello Stato a favore delle varie
categorie  di  enti,  fra cui anche le Regioni, contrasterebbe con la
previsione  costituzionale secondo cui siffatti limiti possono essere
fissati solo da leggi della Repubblica di coordinamento della finanza
dello  Stato,  delle Province e dei comuni. Dall'altro lato la norma,
prevedendo   un   meccanismo   di   difficile,   se  non  impossibile
applicazione  (non  si  comprenderebbe  quale  sia  l'assegnazione di
competenza  di  ciascuna  Regione  in  relazione  alla cui entita' il
decreto   ministeriale   dovrebbe   procedere   alla   determinazione
dell'importo  minimo di tali giacenze), contrasterebbe con l'esigenza
di  certezza  dell'autonomia finanziaria regionale, presupposta dalla
Costituzione.  Ancora,  il meccanismo da essa previsto determinerebbe
incertezze  anche  sugli  equilibri  di  bilancio,  mirando a rendere
inesigibili  crediti  della  Regione verso lo Stato che, in base alle
fonti  giuridiche che li disciplinano, si presenterebbero invece gia'
liquidi ed esigibili.
    Quanto  all'art. 48,  commi 1, 4 e 5, la Regione ne sottolinea il
contrasto  con  lo stesso art. 119 della Costituzione, nella parte in
cui  introduce  il  blocco  dei  pagamenti delle Regioni, con la sola
esclusione di quelli che possono arrecare danni patrimoniali all'ente
e  a  terzi, fino a quando la Conferenza permanente Stato-Regioni non
abbia  definito  i criteri operativi per il computo del fabbisogno di
cui al comma 1, e nella parte in cui riconosce alla stessa Conferenza
permanente  e  alla  Conferenza  Stato-citta' la facolta' di proporre
l'introduzione  di  vincoli, con decreto ministeriale, sugli utilizzi
delle  disponibilita'  esistenti  sui conti della tesoreria unica, in
caso  di  accertata  incompatibilita'  del  fabbisogno  rispetto agli
obiettivi indicati dal comma 1.
    Sia  il  blocco  autoritativo dei pagamenti delle Regioni, sia la
previsione di vincoli di utilizzo delle disponibilita' finanziarie di
cui  al comma 4, lederebbero l'operativita' gestionale delle Regioni,
finendo   per   operare   alla  stregua  di  una  misura  coercitiva,
finalizzata   a  coartare  la  volonta'  delle  Regioni  in  sede  di
Conferenza  permanente,  al fine di far accettare alle stesse criteri
operativi  satisfattivi  delle  esigenze  dello  Stato; e lederebbero
l'autonomia  finanziaria  e  contabile  garantita dall'art. 119 della
Costituzione, limitando la disponibilita' e l'utilizzo delle giacenze
di  cassa presso la Tesoreria dello Stato, nonche' l'accreditamento a
favore  delle  Regioni  delle  somme ad esse spettanti ai sensi della
normativa   vigente.   Sul   punto,   la   memoria   ricorda  che  la
giurisprudenza   costituzionale   ha  affermato  che  il  sistema  di
tesoreria  unica non costituisce di per se' violazione dell'autonomia
regionale,  purche'  non  si  trasformi  in  un  anomalo strumento di
controllo  sulla  gestione  finanziaria  regionale:  al  contrario di
quello  che  accadrebbe con le norme impugnate, in base alle quali le
Regioni non potrebbero effettivamente disporre delle somme di propria
pertinenza  gia'  accreditate nei conti presso la Tesoreria statale o
da  accreditare  in  conformita'  delle  norme  vigenti. E questo con
possibile violazione, oltre che dell'autonomia finanziaria regionale,
dei  diritti  dei  creditori  e del principio di buon andamento della
pubblica amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione.

    10. - La  memoria  del  Presidente  del  Consiglio  dei Ministri,
quanto  all'art. 32,  comma  2,  della  legge n. 449 afferma in primo
luogo l'inammissibilita' delle censure che non concernono una lesione
o   menomazione   della   sfera   costituzionale  delle  attribuzioni
regionali,  quali  in  particolare  quella  riferita all'art. 3 della
Costituzione.  In  relazione  alla disposta riduzione della quota del
Fondo  sanitario  nazionale  in  caso di accertata inadempienza delle
Regioni,  poi,  la  difesa  erariale  ribadisce  la  ragionevolezza e
l'adeguatezza  della misura, e osserva che la legge non precluderebbe
alla  Regione  di riversarne le conseguenze sugli enti (ASL e aziende
ospedaliere) che siano esclusivamente responsabili dell'inadempienza,
oltre  che sui dirigenti e sul personale, come espressamente previsto
dalla   norma   impugnata;  benche',  dati  i  penetranti  poteri  di
indirizzo,  controllo ed intervento correttivo spettanti alle Regioni
nei  confronti  delle  ASL  ed aziende ospedaliere, sarebbe difficile
ipotizzare  una  inadempienza  per  omissione  non  attribuibile alla
stessa Regione.
    D'altro   lato,   il  Ministro  della  sanita'  non  godrebbe  di
illimitata  discrezionalita'  nel  dosare  la  sanzione, in quanto la
legge fisserebbe l'ammontare massimo della sanzione e postulerebbe la
sua  motivata  graduazione  in  rapporto  alla gravita' e all'entita'
dell'inadempienza;  e  la  stessa  legge  delineerebbe  una procedura
proposta  del  Ministro,  previo  parere  della  Conferenza unificata
idonea  di  per  se'  alla  piena  rappresentazione  e  difesa  degli
interessi regionali.
    Anche  la  doglianza relativa all'art. 32, comma 4, presenterebbe
profili  di  inammissibilita'  e,  comunque,  sarebbe  infondata.  La
disposizione,  infatti, prevedendo una proroga (al 31 marzo 1998) del
termine  per  l'adempimento regionale, che ai sensi dell'art. 1 della
legge  n. 662  del  1996  sarebbe  scaduto  il  31 gennaio  1997, non
potrebbe ritenersi irragionevole per eccessiva brevita' del termine.
    Quanto  all'art. 32,  comma  5,  secondo periodo, il procedimento
delineato  dalla  legge  per la ripartizione e la utilizzazione delle
disponibilita'  aggiuntive  sarebbe  tale da assicurare, nel rispetto
del   principio   di  leale  cooperazione,  l'adeguata  tutela  degli
interessi  della  Regione,  dato  che  il necessario intervento della
Conferenza  Stato-Regioni  dovrebbe  rimuovere  qualsiasi sospetto di
irragionevole  discrezionalita' del Ministro nella riassegnazione dei
fondi.
    Quanto  all'art. 32,  comma  5, terzo periodo, la censura sarebbe
incomprensibile:   il   potere   sostitutivo   per  l'utilizzo  delle
disponibilita'  di  cui  all'art. 1, comma 23, della legge n. 662 del
1996  dovrebbe  essere inteso chiaramente nei confronti delle aziende
sanitarie,  e  non  gia'  della  Regione,  attraverso la nomina di un
commissario  ad acta con provvedimento del Consiglio dei Ministri, su
proposta  del  Ministro  della  sanita'  e  di  intesa con la Regione
interessata.
    Quanto  all'art. 34,  comma  1, della legge, esso dovrebbe essere
letto in correlazione con il comma 4, che attribuisce alle Regioni la
rideterminazione, tramite le ASL, delle ore da attribuire alla branca
specialistica  ambulatoriale,  in  modo  da  realizzare  nel 1998 una
riduzione  complessiva annua non inferiore al 10% dei costi sostenuti
per  detta  disciplina  nel  1997,  detratti  alcuni costi. L'ipotesi
avanzata  dalla  ricorrente, di un pregiudizio alla propria autonomia
finanziaria,  sarebbe  quindi  infondata,  in  quanto  la complessiva
manovra  sarebbe al contrario destinata a comportare una apprezzabile
economia di spesa, stimata, per il 1998, in circa 100 miliardi.
    Quanto  all'art. 39, comma 19, la disposizione non inciderebbe in
alcun  modo sulla autonomia normativa e finanziaria della Regione, in
quanto  il  principio  fondamentale  da  essa  enunciato mirerebbe ad
assicurare la razionalizzazione del costo del lavoro pubblico al fine
del  suo  ridimensionamento  entro i limiti del complessivo quadro di
riferimento  delle  compatibilita' finanziarie, a cui sono chiamate a
partecipare anche le Regioni.
    Quanto  all'art. 41,  comma  1, esso corrisponderebbe alle stesse
esigenze  di  razionalizzazione  della  spesa  pubblica, di cui si e'
appena  detto,  oltre  che  di recupero dell'efficienza dei tempi dei
procedimenti  amministrativi; d'altro lato, rimarrebbe riservata alle
Regioni   l'individuazione   degli   organismi   regionali   ritenuti
indispensabili per la realizzazione delle proprie finalita'.
    Quanto  all'art. 41,  comma  3,  in  realta'  non impugnato dalla
Regione  Lombardia,  la difesa erariale sostiene che il suo scopo sia
quello  di  eliminare,  dal  primo  rinnovo  contrattuale,  tutte  le
disposizioni  che  prevedano  automatismi  sui  trattamenti economici
settoriali  dei  pubblici  dipendenti,  al  fine  di  sostituirle con
corrispondenti  disposizioni da inserire in accordi collettivi, ferma
la  competenza  delle  Regioni; in cio' la disposizione rafforzerebbe
quanto  gia'  previsto dall'art. 49 del d.lgs. n. 29 del 1993, le cui
disposizioni   costituirebbero   principi   fondamentali  di  riforma
economico-sociale vincolanti per le Regioni.
    Quanto  all'art. 43,  comma  3,  l'Avvocatura  non  ne ravvisa il
contrasto  con l'art. 119 della Costituzione: il limite all'autonomia
regionale  sarebbe  ragionevole,  in  vista  della  realizzazione del
generalizzato contenimento del disavanzo pubblico.
    Quanto  all'art. 44,  comma 4, tale disposizione non sarebbe tale
da  incidere immediatamente e concretamente sull'autonomia regionale,
in  difetto  dell'emanazione  del  previsto  decreto  legislativo; e,
comunque,  essa si limiterebbe ad estendere alle trasformazioni delle
strutture    delle    amministrazioni   pubbliche   quanto   previsto
dall'art. 14  della legge n. 59 del 1997, articolo che andrebbe letto
in relazione al precedente art. 11, lettera b del quale costituirebbe
una specificazione.
    Quanto  all'art. 47,  comma  1, la difesa erariale in primo luogo
precisa  che  tale  disposizione  riguarda  solo  gli stanziamenti di
alcuni  capitoli  del  bilancio  statale,  quali individuati nel d.m.
16 gennaio   1998.  In  secondo  luogo,  le  censure  proposte  dalla
ricorrente  sarebbero  infondate, sia perche' al decreto ministeriale
sarebbe  rimessa  solo  la  concreta  determinazione  dei  limiti  di
giacenza  per  categorie  di  enti,  entro  la fascia (dal 10 al 20%)
prefissata  dalla  legge; sia perche', nonostante che l'erogazione da
parte  dello  Stato sia subordinata ad una condizione temporaneamente
sospensiva,  e  cioe'  all'ammontare  della  giacenza,  la  norma non
limiterebbe l'autonomia regionale, a cui verrebbe comunque assicurata
l'integrale attribuzione delle risorse spettanti.
    Infine,  di  nessun  fondamento  sarebbe  la  doglianza  riferita
all'art. 48,  comma  5, il quale conterrebbe esclusivamente una norma
di  salvaguardia,  provvisoriamente operante, nei limiti specificati,
in attesa delle indicazioni della Conferenza Stato-Regioni.

    11. - Nel  ricorso  proposto  dalla Regione Veneto (r. ric. n. 14
del  1998),  in  prossimita' dell'udienza hanno depositato memoria la
Regione  ricorrente  e  il  Presidente  del  Consiglio  dei Ministri.
Entrambe  le  memorie  si  soffermano distintamente su ciascuna delle
disposizioni impugnate.
    Quanto  agli artt. 32, commi 2, 4 e 5; 34, comma 1; 37; 39, comma
19;  41, comma 1; 43; 44, comma 4; 47, comma 1, e 48, commi 1 e 5, la
memoria  della ricorrente riproduce in modo del tutto identico quanto
affermato  dalla  memoria della Regione Lombardia, di cui si e' detto
sopra, al paragrafo 9.
    Quanto  invece  alle disposizioni impugnate in materia tributaria
(art. 17,  commi  10,  22  e 29, e art. 18), la memoria della Regione
Veneto complessivamente ne ribadisce l'illegittimita' costituzionale,
sia  la'  dove  gli  interventi non comportano l'istituzione di nuovi
tributi  ne'  l'elevazione  dell'aliquota di quelli esistenti, in cui
illegittima  sarebbe  la devoluzione allo Stato dei maggiori proventi
derivanti  dagli  interventi  previsti; sia nel caso dell'art. 18, in
cui si e' in presenza della istituzione di una nuova imposta, a causa
della  violazione  del principio di leale collaborazione insita nella
mancata  previsione  di forme di partecipazione e consultazione della
Regione sia a monte sia a valle del procedimento di riscossione, e in
ragione  della  totale  indifferenza  per  le peculiarita' di ciascun
ambito regionale, che tale norma rivelerebbe.
    In particolare, con riferimento all'art. 17, comma 10, la memoria
ribadisce   che   tale   norma   violerebbe  l'autonomia  finanziaria
regionale,   e   pretenderebbe   di   uniformare   la  disciplina  di
riscossione, accertamento, recupero, rimborsi, sanzioni e contenzioso
relativi  alle  tasse  automobilistiche non erariali, demandandone la
disciplina  ad  un  decreto  ministeriale,  senza  tenere conto delle
peculiarita'  di  ciascuna  Regione  e  delle  prerogative  a  queste
riconosciute nella materia degli uffici regionali.
    Quanto  all'art. 17,  comma  22, la compromissione dell'autonomia
finanziaria  della  Regione  ricorrente risulterebbe dalla violazione
del  principio  costituzionalmente garantito della libera ed autonoma
determinazione dell'aliquota dell'imposta regionale, la cui riduzione
ad opera del legislatore nazionale, peraltro, nella specie andrebbe a
vantaggio   dell'erario   dello   Stato,  il  quale  incasserebbe  la
differenza  esistente  tra  la precedente aliquota e quella ridotta a
seguito  dell'applicazione  della  disposizione contestata. Quanto al
comma  29  dello  stesso articolo e al successivo art. 18, la memoria
ripete le censure gia' mosse nel ricorso introduttivo.
    Quanto all'art. 32, comma 15, esso viene accomunato dalla memoria
regionale  agli  artt. 34, comma 1, e 37, di cui si e' detto sopra al
paragrafo  9,  a  proposito  della  memoria  depositata dalla Regione
Lombardia nel giudizio da essa instaurato.
    Quanto  all'art. 49,  comma  18,  la  memoria  si  sofferma sugli
effetti  concernenti  la  sua applicazione, affermando che durante il
periodo  di  vigenza  dei decreti legge che prevedevano la formazione
del  silenzio-assenso  della Regione decorsi centottanta giorni dalla
trasmissione  degli strumenti urbanistici, la Giunta regionale veneta
avrebbe  approvato  632  strumenti  urbanistici,  di cui solo 208 nel
termine   di  centottanta  giorni;  e  che  all'epoca  sarebbe  stato
pressoche'   unanime  l'orientamento,  avallato  dalla  stessa  Corte
costituzionale con le sentenze nn. 244 e 429 del 1997, secondo cui il
predetto  termine,  a  seguito della mancata conversione in legge dei
decreti,  non  potesse  mai  giungere  a compimento. Ne conseguirebbe
l'illegittimita'   della   norma   ora   impugnata,   per  violazione
dell'art. 77 della Costituzione, in quanto essa farebbe salvi effetti
di  decreti  legge  non  ancora  prodottisi  al  momento  della  loro
decadenza per mancata conversione.
    Per  provare  ulteriormente l'irragionevolezza della disposizione
impugnata,  di  carattere  interpretativo e di natura retroattiva, la
memoria   sostiene   infine   che  dalla  sua  applicazione  potrebbe
discendere  l'illegittimita'  derivata  dei  provvedimenti  regionali
diversi  da  quelli  di mera approvazione degli strumenti urbanistici
intervenuti  oltre  il  termine  di  centottanta  giorni,  e che tali
provvedimenti (approvazioni con modifiche d'ufficio, approvazioni con
proposte di modifica, e provvedimenti di restituzione degli strumenti
urbanistici)  sarebbero, per quanto riguarda la Regione Veneto, circa
345.
    Quanto  infine all'art. 55, comma 14, la memoria ribadisce che da
tale  disposizione  deriverebbe  una grave lesione delle attribuzioni
regionali in materia di agricoltura. In proposito, la Regione ricorda
che  con la legge n. 59 del 1997, ma ancor prima con il d.P.R. n. 616
del  1977,  il  legislatore  statale  avrebbe  seguito  la  logica di
mantenere  in  capo  allo  Stato,  e  per  esso  al  Ministero per le
politiche   agricole,  solo  compiti  di  disciplina  generale  e  di
coordinamento nazionale in materia di importazione ed esportazione di
prodotti  agricoli  ed  alimentari  e  di regolazione dei mercati. In
realta'   tuttavia,  la  decentralizzazione  delle  funzioni  sarebbe
mancata,  e la disposizione impugnata ne costituirebbe la riprova. La
memoria  insiste  nell'affermare che l'esigenza di fornire allo Stato
gli  strumenti  necessari  per  il perseguimento di una disciplina di
carattere  unitario nel settore della regolazione dei mercati e delle
politiche agricole in vista del generale interesse nazionale andrebbe
necessariamente  raccordata  con la contestuale previsione di momenti
di  cooperazione tra Stato e Regione, e che non sarebbe sufficiente a
sanare  l'illegittimita'  costituzionale della disposizione impugnata
la  mera  previsione  della consultazione della Conferenza permanente
Stato-Regioni;  del  resto,  conclude  la  Regione, tale disposizione
andrebbe   ben   oltre  l'attribuzione  allo  Stato  di  funzioni  di
coordinamento  del settore agricolo, sottraendo illegittimamente alle
Regioni funzioni ad esse costituzionalmente spettanti.

    12. - La  memoria  depositata  dal  Presidente  del Consiglio dei
Ministri,  in riferimento agli artt. 32, commi 2, 4 e 5; 34, comma 1;
39, comma 19; 41, commi 1 e 3; 43, comma 3; 44, comma 4; 47, comma 1,
e  48,  commi  1  e  5,  riproduce  in modo del tutto identico quanto
affermato  dalla  memoria  dello  stesso Presidente del Consiglio nel
giudizio instaurato con ricorso della Regione Lombardia, di cui si e'
detto sopra al paragrafo 10.
    Quanto  all'art. 17,  comma 10, la difesa erariale premette che i
decreti  ministeriali ivi previsti sono stati rispettivamente emanati
in  data 25 novembre 1998 - e l'art. 7 del decreto prevede che le sue
disposizioni  sono  destinate  ad applicarsi fino a quando le Regioni
non  provvedano  ad  emanare  un'autonoma  disciplina - e 10 novembre
1999.
    Venendo  alle censure formulate dalla Regione, la difesa erariale
osserva  che,  essendo le tasse automobilistiche non erariali tributi
propri  della  Regione  sulla base dell'art. 23 del d.lgs. n. 504 del
1992,  lo  Stato, nel trasferire le funzioni "strumentali" relative a
tale  tributo,  non  avrebbe  dovuto  assumersi  ne' direttamente ne'
indirettamente  gli  oneri  economici  connessi  al loro esercizio, i
quali  non  potrebbero  che  essere  a  carico  dell'ente  regionale,
titolare del tributo.
    Quanto  alla  contestata  previsione dei decreti ministeriali che
devono  emanarsi  sentita la Conferenza Stato-Regioni, per assicurare
che siano rappresentati gli interessi regionali, essa sarebbe dettata
dalla    ragionevole   necessita'   di   assicurare,   all'atto   del
trasferimento  di  tali  funzioni,  uno  schema normativo uniforme ed
omogeneo  per l'esercizio delle stesse da parte di tutte le Regioni a
statuto  ordinario,  anche  al  fine del coordinamento della relativa
disciplina  sia  tra  le  varie  Regioni  sia con le funzioni tuttora
esercitate  in  materia  dallo  Stato,  fra cui quelle attinenti alle
tasse  automobilistiche  nelle  Regioni  a  statuto speciale, oltre a
quelle  indicate  nell'art. 3,  comma  3,  e  nell'art. 5 del decreto
ministeriale  del  25 novembre  1998. Non ci sarebbe dunque contrasto
con  la  potesta'  legislativa attuativa in materia tributaria di cui
all'art. 119   della   Costituzione,  norma  che  consentirebbe,  nel
rispetto  degli  altri principi costituzionali, la determinazione con
legge  di  forme  e limiti all'autonomia regionale, in particolare in
funzione  di  coordinamento  anche con la finanza dello Stato; e, del
resto,  le  Regioni  avrebbero  la  possibilita'  di rappresentare le
proprie  valutazioni, in vista della predisposizione del regolamento,
in  sede  di Conferenza Stato-Regioni. Inoltre, la formulazione della
disposizione  impugnata  sembrerebbe  diretta  a  prevedere lo schema
regolamentare omogeneo in mancanza di norme autonomamente poste dalle
Regioni,  che la disposizione impugnata non intenderebbe escludere: e
in  tal  senso  la  norma  sarebbe  stata  correttamente interpretata
dall'art. 7  del decreto ministeriale del 25 novembre 1998, di cui si
e'  detto.  Ancora,  la  disposizione impugnata non inciderebbe sulla
materia   dell'ordinamento  degli  uffici  regionali,  limitandosi  a
prevedere   che  il  decreto  ministeriale  regoli  le  modalita'  di
svolgimento delle funzioni strumentali trasferite; come dimostrerebbe
lo  stesso  decreto  del  28 novembre,  il  quale si rimetterebbe, in
proposito,   in   tutte   le   sue  previsioni,  alle  scelte,  anche
organizzative  delle  Regioni  (art. 2,  comma  1;  art. 3,  comma 1;
art. 4, comma 2; art. 5, comma 7).
    Quanto  all'art. 17, comma 22, la riduzione della quota di accisa
sulla   benzina  sarebbe  strettamente  collegata  all'aumento  della
fiscalita'  disposta  nel  settore della circolazione automobilistica
dallo  stesso art. 17, in modo da garantire comunque alle Regioni una
effettiva,  e non gia' meramente sperata ed eventuale, invarianza dei
proventi.
    Quanto  all'art. 17,  comma  29, la difesa erariale ribadisce che
nessun   principio  costituzionale  imporrebbe  la  compartecipazione
regionale  alla  tassa  di  nuova  istituzione,  spettando  invece al
legislatore  statale  fissare  se ed in che limiti le Regioni possono
partecipare  al relativo gettito; ne' si potrebbe dire che tale tassa
sia  correlata  ai  singoli  ambiti  territoriali regionali, anziche'
all'intero  territorio nazionale, in quanto il rischio ambientale non
rispetta   i   confini   regionali,  e  difettando,  del  resto,  una
destinazione legislativa dei proventi ad una specifica finalita'.
    Quanto    all'art. 18    della   legge,   anche   a   prescindere
dall'inammissibilita'   della   censura   in   assenza  del  previsto
regolamento,  secondo l'Avvocatura non sarebbe profilabile alcuna pur
potenziale   menomazione  dell'autonomia  finanziaria  regionale,  in
quanto  la  nuova imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili non
sarebbe  un  tributo  regionale,  ma avrebbe chiara natura di tributo
erariale  (statale), con mero conferimento agli assessorati regionali
della  funzione  di  destinazione  ai  beneficiari del gettito di una
imposta statale (comma 3).
    Quanto   all'art. 32,  comma  15,  i  compiti  di  erogazione  di
prestazioni ad alta specializzazione a cittadini extracomunitari, nel
quadro   di   programmi   assistenziali   approvati   dalla  Regione,
troverebbero  copertura  nella  quota  del  fondo sanitario nazionale
attribuita  a  ciascuna  Regione, nell'ambito della quale spetterebbe
comunque  alla  Regione valutare discrezionalmente, in relazione alle
disponibilita'  esistenti,  l'eventuale  esercizio di queste forme di
assistenza.
    Quanto  all'art. 37,  tale  disposizione  comporterebbe  un onere
estremamente  contenuto,  e non comprometterebbe di fatto l'autonomia
finanziaria  e  gestionale  della  Regione;  del  resto, la fornitura
gratuita  di protesi mammarie sarebbe gia' stata prevista nel decreto
ministeriale  28 dicembre  1992,  per  cui  la norma non prevederebbe
alcun onere aggiuntivo ne' a carico del Servizio sanitario nazionale,
ne' a carico della Regione.
    Quanto  all'art. 49,  comma  18,  la  difesa  erariale  eccepisce
preliminarmente  l'inammissibilita'  dei  profili  che  invocano come
parametro   norme  costituzionali  le  cui  asserite  violazioni  non
inciderebbero  sulle attribuzioni costituzionali della Regione, ed in
particolare  l'art. 77,  terzo comma, della Costituzione. Nel merito,
afferma  che  la  disposizione  impugnata  costituirebbe  l'esercizio
sostantivo   di   ulteriore   ed   innegabile  potesta'  legislativa,
nell'ambito  della quale il Parlamento avrebbe autonomamente regolato
situazioni  pregresse  senza  incidere  sulla  sfera  di attribuzioni
regionali,  riprendendo  da  un  lato la previsione dei decreti legge
decaduti,  nella parte in cui configuravano il termine di centottanta
giorni    per    la   formazione   del   silenzio-assenso   regionale
sull'approvazione  degli strumenti urbanistici, dall'altro lato dando
rilievo  anche al tempo eventualmente maturato nel periodo di vigenza
dei  decreti legge reiterati. La Regione, inoltre, solo genericamente
lamenterebbe  la  lesione  delle  proprie attribuzioni, senza dedurre
alcuna specifica doglianza.
    Quanto   infine   all'art. 55,  comma  14,  della  legge  n. 449,
l'Avvocatura,  dopo avere ricordato che in attuazione della delega e'
stato  emanato il d.lgs. 30 aprile 1998, n. 173, osserva, da un lato,
che  la  mancata  espressa  riserva  delle  competenze  regionali non
potrebbe  essere  intesa  come implicante la lesione delle stesse, il
cui   rispetto   andrebbe   invece   inteso  come  presupposto,  come
confermerebbe  anche la previsione del previo parere della Conferenza
Stato-Regioni nella emanazione del decreto legislativo. D'altro lato,
la maggior  parte  delle  materie  implicate  dalla  delega gli oneri
fiscali  e  previdenziali, i costi energetici e del denaro, i servizi
assicurativi  all'esportazione  e  le procedure di utilizzo dei fondi
strutturali,   pur   riguardando   l'agricoltura,   esulerebbe  dalla
competenza regionale.

                       Considerato in diritto


    1. -   I  tre  ricorsi  proposti  dalla  Regione  Piemonte, dalla
Regione  Lombardia e dalla Regione Veneto investono disposizioni solo
parzialmente coincidenti della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure
per   la   stabilizzazione  della  finanza  pubblica).  Precisamente,
l'art. 49,  comma  18,  e' impugnato dalle Regioni Piemonte e Veneto;
gli  articoli 32, commi 2, 4, e 5, 34, comma 1, 37, 39, comma 19, 41,
comma  1,  43,  44,  comma  4,  47,  comma  1,  48, commi 1 e 5, sono
impugnati  dalle  Regioni  Lombardia e Veneto; gli articoli 17, commi
10,  22  e  29,  18, 32, comma 15, 41, comma 3, e 55, comma 14, dalla
sola   Regione   Veneto;  l'art. 48,  comma  4,  dalla  sola  Regione
Lombardia.
    Stante la connessione oggettiva, i giudizi debbono essere riuniti
per essere decisi con unica pronunzia.

    2. - In  via  preliminare,  deve  essere dichiarato inammissibile
l'intervento  spiegato  dal  comune di Lonato nel giudizio instaurato
con  il ricorso della Regione Piemonte, dal momento che la memoria e'
stata depositata oltre il termine previsto dall'art. 23, terzo comma,
delle   Norme   integrative   per   i   giudizi  davanti  alla  Corte
costituzionale.

    3. - Un  primo  gruppo  di  questioni  riguarda  disposizioni  in
materia tributaria.
    L'art. 17,   comma   10,  nello  stabilire  che  la  riscossione,
l'accertamento, nonche' il recupero, i rimborsi, l'applicazione delle
sanzioni   ed  il  contenzioso  amministrativo  relativi  alle  tasse
automobilistiche   non   erariali   (oggetto   di   nuova  disciplina
sostanziale  contenuta  nei  commi  5,  6, 7, 9, 15 e 16 dello stesso
articolo)  sono  demandati  alle Regioni a statuto ordinario, prevede
altresi' che essi "sono svolti con le modalita' stabilite con decreto
del  Ministro  delle  finanze"  sentita la Conferenza Stato-Regioni e
previo parere delle commissioni parlamentari competenti; e che con lo
stesso  o  con  separato  decreto  "e'  approvato  lo  schema tipo di
convenzione  con  la  quale  le  regioni  possono  affidare  a terzi,
mediante  procedure  ad evidenza pubblica, l'attivita' di controllo e
riscossione  delle  tasse  automobilistiche",  mentre  la riscossione
coattiva e' svolta a norma della disciplina statale sulla riscossione
delle  entrate  patrimoniali dello Stato e di altri enti pubblici, di
cui  al  d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43 (ora abrogato dall'art. 68 del
d.lgs. 14 aprile 1999, recante "Riordino del servizio nazionale della
riscossione   in   attuazione   della  delega  prevista  dalla  legge
28 settembre 1998, n. 337").
    La  ricorrente  Regione  Veneto  afferma  che  tale disposizione,
pretendendo  di  imporre  "un  modello  standardizzato  di disciplina
dell'esercizio   dell'autonomia  tributaria  regionale",  eccederebbe
l'ambito  delle  "forme"  e  dei  "limiti" dell'autonomia finanziaria
regionale  determinati,  ai  sensi  dell'art. 119, primo comma, della
Costituzione, dalla legge della Repubblica, e violerebbe altresi' gli
articoli  117  e  118  della  Costituzione  disciplinando  la materia
dell'ordinamento  degli  uffici  regionali  e  compromettendo,  senza
ragioni  giustificative,  l'autonomo  e differenziato esercizio delle
funzioni    amministrative    regionali.    L'illegittimita'    della
disposizione  sarebbe aggravata dal fatto che la discrezionalita' del
Ministro  non  sarebbe  in  alcun  modo  delimitata, e discenderebbe,
ancora,  dalla  circostanza  che  con essa si sarebbero affidati alla
Regione   compiti   onerosi   senza  la  previsione  della  copertura
finanziaria,  in  violazione  degli  articoli 5, 117, 118 e 119 della
Costituzione.

    4. - La questione e' solo parzialmente fondata.
    Non e' illegittimo che il legislatore statale, nel momento in cui
trasferisce  alle  sole  Regioni  a  statuto  ordinario  le  funzioni
amministrative    di   accertamento   e   riscossione   delle   tasse
automobilistiche,  soltanto  di  recente  attribuite interamente alle
Regioni  stesse  (cfr.  art. 23  del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504,
contenente  "Riordino  della finanza degli enti territoriali, a norma
dell'articolo  4  della legge 23 ottobre 1992, n. 421") funzioni gia'
svolte dallo Stato (cfr. art. 25, comma 1, del medesimo d.lgs. n. 504
del 1992) e nel momento in cui prevede nuove modalita' di riscossione
di  detti  tributi (cfr. commi 11 e 12 dello stesso articolo 17 della
legge  n. 449  del  1997),  assicuri la continuita' dell'attivita' di
riscossione,  il  raccordo  dell'attivita'  regionale  con  le  nuove
modalita' di riscossione disciplinate dalla legge, e il coordinamento
con  l'attivita'  di  riscossione  delle  stesse  tasse che rimane di
pertinenza  statale  (quanto  alle  Regioni  speciali),  mediante una
regolamentazione  uniforme,  destinata  a valere peraltro solo fino a
quando  non sopravvenga un'autonoma disciplina delle singole Regioni,
sempre   rispettosa   delle   predette  esigenze  di  raccordo  e  di
coordinamento.  In  tal  senso in effetti dispone il d.m. 25 novembre
1998,  n. 418,  emanato  in  attuazione della disposizione impugnata:
l'art. 7  del  decreto  stabilisce  che  le disposizioni dello stesso
regolamento  "trovano  applicazione  fino  a  quando  le  regioni non
provvedono  ad  emanare  un'autonoma  disciplina, che dovra' comunque
tenere  conto  delle  esigenze  di  coordinamento  con l'attivita' di
competenza  dello  Stato  nella  stessa  materia", attribuendo dunque
un'efficacia  "cedevole"  alle  altre disposizioni del regolamento. E
tale  significato  di  autorizzazione all'emanazione di una normativa
statale  transitoria  e  "cedevole"  nei  confronti  della successiva
normativa  regionale  deve  essere  attribuito all'art. 17, comma 10,
primo  periodo,  della legge n. 449 del 1997, il quale, cosi' inteso,
si sottrae alle prospettate censure di legittimita' costituzionale.

    5. - E' costituzionalmente illegittima, invece, la previsione del
secondo  periodo  dello  stesso  comma,  che  demanda  ad  un decreto
ministeriale  anche  la definizione di uno schema tipo di convenzione
per  l'affidamento a terzi, da parte della Regione, dell'attivita' di
controllo e riscossione delle tasse automobilistiche.
    La   disciplina   di   tali  rapporti  convenzionali  si  colloca
interamente   entro   l'ambito   dell'organizzazione   degli   uffici
regionali,  materia affidata alla competenza delle Regioni: in ordine
a  tale disciplina, nessuna ragione unitaria o di coordinamento esige
l'imposizione  di  una  normativa  statale  uniforme, ferma restando,
ovviamente,  l'applicabilita'  dei  principi  e  delle norme generali
sull'attivita'  contrattuale  delle  Regioni.  La  previsione  di uno
schema  tipo  di  convenzione  invade,  pertanto,  la sfera riservata
all'autonomia regionale.

    6. - L'art. 17,  comma  22,  dopo  avere stabilito che le tariffe
delle  tasse  automobilistiche destinate ad essere fissate, con nuovi
criteri,  ai sensi del precedente comma 16 "devono fornire un gettito
equivalente  a  quello delle stesse tasse automobilistiche vigenti al
31 dicembre    1997",   comprese   le maggiorazioni   gia'   disposte
dall'art. 3,   comma   154,   della   legge   n. 549   del   1995,  e
ulteriormente maggiorato  di un importo pari a quello delle soppresse
addizionali   e   tasse   speciali,   del   canone   di   abbonamento
all'autoradiotelevisione e relativa tassa di concessione, della tassa
sulle  concessioni  governative  per  le  patenti  di  guida, nonche'
dell'importo  delle  riduzioni  di  tariffa  previste  dal  comma  5,
dispone,  "corrispondentemente",  la riduzione da lire 350 a lire 242
per  litro  della  quota  dell'accisa  sulla  benzina attribuita alle
Regioni ordinarie dall'art. 3, comma 12, della legge n. 549 del 1995.
    Secondo   la   Regione  Veneto  tale  ultima  previsione  sarebbe
illegittima  in quanto mancherebbe la certezza delle maggiori entrate
compensative della riduzione della quota regionale dell'accisa.

    7. - La questione non e' fondata.
    Le   nuove   tariffe   delle   tasse  automobilistiche,  devolute
interamente alle Regioni ordinarie, sono disciplinate in modo tale da
assicurare  alle  Regioni  stesse  un  gettito  superiore al passato,
perche'  compensativo anche del gettito di imposte soppresse, gia' di
pertinenza  statale: e cio' anche senza tener conto della facolta' di
incremento  delle  stesse  tasse,  prevista  a  favore  delle Regioni
dall'art. 24,  comma  1,  del d.lgs. n. 504 del 1992, e confermata, a
decorrere  dall'anno 1999, dal comma 16, ultimo periodo, dello stesso
impugnato  art. 17.  A  questo  incremento  di entrate corrisponde la
riduzione  della quota della accisa sulla benzina, di spettanza delle
medesime Regioni ordinarie.
    La  censura  di  pretesa  incertezza delle entrate a favore della
Regione  non  si  fonda  su  alcun  elemento  oggettivo; i margini di
variabilita'  e  di  imprevedibilita' dell'andamento del gettito sono
fisiologici  in  ogni  tributo,  e  del resto sussistono anche per il
tributo   l'accisa  sulla  benzina  cui  si  riferisce  la  riduzione
disposta;  ma  non  si  puo'  dire  che  la  disciplina  dettata  dal
legislatore  statale  sia  configurata  in  modo  tale  da esporre le
Regioni  al  rischio  di una perdita di gettito. Senza dire che, come
questa Corte piu' volte ha statuito (cfr. sentenze nn. 123 del 1992 e
370  del  1993),  la  Costituzione  non  garantisce  alle Regioni una
determinata  quantita'  di  risorse, ma solo il diritto a disporre di
risorse  finanziarie  che  risultino  complessivamente non inadeguate
rispetto   ai   compiti   loro  attribuiti;  e,  nella  specie,  tale
inadeguatezza certamente non si verifica.

    8. - L'art. 17, comma 29, istituisce una tassa sulle emissioni di
anidride  solforosa e di ossidi di azoto prodotte dai grandi impianti
di  combustione  (che vengono definiti nel terzo periodo dello stesso
comma).
    La   Regione   lamenta   che,   pur   trattandosi  di  una  tassa
"ambientale",  le  Regioni  non  siano  chiamate  a compartecipare al
relativo  gettito,  e  che  questo non sia destinato ad interventi di
prevenzione  o  risanamento  ambientale,  in violazione dell'esigenza
costituzionale di tutela della salute della collettivita'.

    9. - La   questione   e'   in   parte   non   fondata,  in  parte
inammissibile.
    L'esistenza  di  una  competenza  non  esclusiva delle Regioni in
materia di tutela e di gestione dell'ambiente non ostacola, dal punto
di   vista   costituzionale,  l'istituzione  da  parte  dello  Stato,
nell'esercizio  della  sua  generale  potesta' impositiva, di tributi
che,  per  la  materia  imponibile  colpita e per la loro disciplina,
possano  definirsi  "ambientali"  nel  senso  che  essi abbiano anche
effetti  di  incentivo  o  disincentivo  di condotte, rispettivamente
favorevoli  o  pregiudizievoli per l'ambiente; ne' il gettito di tali
tributi  deve  necessariamente  essere devoluto, in tutto o in parte,
alle Regioni.
    Le  censure  mosse  dalla  Regione  in  ordine alla devoluzione e
all'impiego  del  gettito  della nuova tassa si risolvono pertanto in
una critica politica alle scelte del legislatore statale, irrilevanti
nella sede del giudizio di costituzionalita'.
    Quanto  infine  al profilo concernente la violazione dell'art. 32
della  Costituzione,  la questione risulta inammissibile, non essendo
le  Regioni  legittimate  a  lamentare,  nel giudizio di legittimita'
costituzionale   in   via   principale,   la   violazione   di  norme
costituzionali che non riguardino la propria sfera di competenza.

    10. - L'art. 18  anch'esso  impugnato  dalla  sola Regione Veneto
istituisce un'imposta, definita "erariale regionale", sulle emissioni
sonore  derivanti dal traffico aereo, imposta che si aggiunge ai gia'
previsti   diritti   aeroportuali;  la  disciplina  dell'entita'  del
tributo,  commisurata  alla rumorosita' degli aeromobili, e della sua
riscossione  e'  demandata  ad  un  regolamento  (peraltro non ancora
emanato).   Il   gettito   dell'imposta   sara'  assegnato  nell'anno
successivo  "allo stato di previsione degli assessorati regionali per
essere destinato, con modalita' stabilite dagli stessi assessorati, a
sovvenzioni e indennizzi alle amministrazioni e ai soggetti residenti
nelle zone limitrofe agli aeroscali".
    La  Regione  lamenta  che la disciplina del tributo, pur definito
"regionale", sia interamente rimessa allo Stato, e che la Regione non
sia  coinvolta  nemmeno  nel  procedimento  di  adozione del previsto
regolamento.

    11. - La questione non e' fondata.
    Il  nuovo  tributo - fra l'altro incidente in materia, quella del
traffico  aereo,  di  competenza  statale  e'  istituito come imposta
statale (cfr. sentenza n. 348 del 2000), e pertanto legittimamente se
ne demanda la disciplina ad atti normativi statali. La definizione di
imposta "regionale" sta solo ad indicare che il suo gettito, riscosso
nell'ambito  della  Regione  in  relazione  al  traffico  aereo negli
aeroscali  compresi  nel  rispettivo  territorio,  e'  devoluto  alla
Regione  medesima,  per  essere impiegato con vincolo di destinazione
alle  finalita'  indicate  dalla legge, ma con modalita' rimesse alla
stessa   Regione   (il   riferimento   improprio   agli  "assessorati
regionali",  nonche' ai relativi "stati di previsione", non rileva in
questa sede, in quanto non e' oggetto di specifica censura).

    12. - Un   secondo  gruppo  di  disposizioni  impugnate  concerne
l'organizzazione   del   Servizio  sanitario  nazionale  e  la  spesa
sanitaria.
    L'art. 32 della legge reca "interventi di razionalizzazione della
spesa"  sanitaria.  In particolare, il comma 1 (non censurato) fissa,
in  termini  di  percentuale  della  spesa degli anni precedenti, gli
obiettivi  di  risparmio  sulla  spesa  per  l'acquisizione di beni e
servizi  da  parte  delle  aziende  sanitarie per il 1998. Il comma 2
prevede,  nel  caso  di  inadempimento da parte delle Regioni e delle
aziende  sanitarie  degli  obblighi imposti per il contenimento della
spesa  sanitaria,  una  riduzione,  in  misura non superiore al 3 per
cento, della quota di riparto del Fondo sanitario nazionale spettante
alla  Regione. Le riduzioni sono proposte dal Ministro della sanita',
previo    parere   della   Conferenza   unificata   Stato-Regioni   e
Stato-citta'.  Spetta  alle  Regioni  individuare  "le  modalita' per
l'attribuzione  delle  diverse responsabilita' ai direttori generali,
ai  dirigenti  e  al  restante  personale,  per  l'adempimento  degli
obblighi  derivanti  alle aziende sanitarie" dalle disposizioni dello
stesso comma. Il comma 4 stabilisce che analoghe riduzioni, in questo
caso gia' previste dall'art. 1, comma 23, della legge n. 662 del 1996
nella   misura  dello  0,50  per  cento  della  quota  spettante,  si
applichino  a  titolo  di sanzione alle Regioni che entro il 31 marzo
1998  non  abbiano  dato  attuazione agli strumenti di pianificazione
previsti  dalla legge in materia di tutela della salute mentale e non
abbiano  provveduto  alla  realizzazione delle strutture residenziali
necessarie  per la definitiva chiusura degli ospedali psichiatrici. A
sua  volta,  il  comma  5  prevede  che  le  disponibilita' del Fondo
derivanti  dalle  riduzioni  effettuate  ai  sensi  del  comma 2 sono
utilizzate  per  il  finanziamento  di  azioni  di  sostegno volte al
superamento  degli  ostacoli che hanno dato luogo alla inadempienza o
di  progetti  speciali  di  innovazione organizzativa e gestionale di
servizi  per  la  tutela  delle fasce deboli; e che le disponibilita'
derivanti  dalle  riduzioni  cui  si  riferisce  il comma 4, ed altre
derivanti  da  minore spesa, siano utilizzate per la realizzazione di
quanto previsto dal progetto obiettivo "Tutela della salute mentale",
nonche',  a  titolo  incentivante,  a favore di aziende sanitarie che
abbiano  attuato i programmi di chiusura degli ospedali psichiatrici.
Per le disponibilita' derivanti dalle riduzioni di cui al comma 4, si
prevede  che  il  Consiglio  dei  ministri,  d'intesa  con la Regione
interessata, attivi un potere sostitutivo con la nomina di commissari
regionali  ad  acta  al fine di realizzare quanto previsto dal citato
progetto  obiettivo. La quota dei fondi da attribuire alle Regioni ai
sensi  di  tale  comma  e'  determinata  dal  Ministro della sanita',
sentita la Conferenza Stato-Regioni.
    I commi 2, 4 e 5 sono impugnati dalle Regioni Lombardia e Veneto.
In  relazione  al  comma  2  i ricorsi lamentano che siano equiparate
l'inadempienza  della  Regione  e quella delle aziende sanitarie; che
conseguentemente  si  preveda una sanzione finanziaria a carico della
Regione  anche  per  l'inadempimento  di  una  singola  azienda, e si
facciano  gravare  irragionevolmente conseguenze negative su soggetti
pubblici  e  utenti  incolpevoli;  che non si preveda un procedimento
garantista  e  collaborativo  per  l'applicazione delle riduzioni, la
determinazione  della  cui  entita'  sarebbe lasciata alla illimitata
discrezionalita'  del  Ministro,  salva  la  soglia massima del 3%, e
salvo  il parere della Conferenza unificata. In relazione al comma 4,
si  lamenta  che  il  termine  per  gli  adempimenti  imposti sarebbe
irragionevolmente  breve, e la sanzione irragionevolmente grave e non
proporzionata  all'entita'  dell'inadempimento,  ma  rimessa  ad  una
determinazione eccessivamente discrezionale. In relazione al comma 5,
infine,   si   lamenta   che   si  preveda  l'assegnazione  di  fondi
direttamente  alle aziende, saltando il livello della Regione; che si
attribuisca  al  Ministro  una  eccessiva  discrezionalita'  in detta
assegnazione  di  fondi;  che  si  istituisca  un  potere sostitutivo
"ibrido",  del  quale non sarebbe chiaro se si eserciti nei confronti
dell'azienda o della stessa Regione.

    13. - Le questioni sono infondate.
    Regioni  e  aziende  sanitarie  sono, a diverso titolo, coinvolte
nella  responsabilita'  per  il  conseguimento  degli obiettivi della
programmazione  sanitaria e anche degli obiettivi di risparmio che il
legislatore  statale  - senza peraltro che su questo punto le Regioni
ricorrenti  muovano  alcuna contestazione - legittimamente stabilisce
nel  quadro  della politica di bilancio. Le aziende sono responsabili
della  gestione  dei  rispettivi servizi e strutture; le Regioni sono
chiamate  a  programmare,  fra l'altro, l'impiego delle risorse anche
attraverso  la  ripartizione  del  fondo  sanitario  regionale,  ed a
esercitare poteri di indirizzo e di controllo sulle aziende.
    Poiche'  lo  Stato,  dal  punto di vista finanziario, intrattiene
rapporti  diretti  solo  con  la  Regione, e' logico che i meccanismi
sanzionatori  sul  piano  finanziario volti ad incentivare un miglior
impiego  delle  risorse  a  livello  locale si traducano in riduzioni
della quota regionale del fondo sanitario nazionale, restando in capo
alla  Regione  il  compito  e  la responsabilita' di utilizzare a sua
volta  i  propri  poteri  di  riparto  per trasferire la "sanzione" a
livello   delle   singole   aziende,   oltre   che  per  azionare  le
responsabilita'  dei direttori generali, dei dirigenti e del restante
personale, come espressamente e' previsto dal comma 2 in esame.
    Ne'  si puo' dire che l'applicazione delle riduzioni sia lasciata
ad  una totale discrezionalita' del Ministro. In realta', non solo le
proposte  di riduzione delle quote del fondo sanitario sono formulate
dal  Ministro  previo  parere della Conferenza unificata, nella quale
sono rappresentate sia le Regioni, sia le autonomie locali alle quali
le aziende sanitarie si collegano dal punto di vista territoriale: ma
le  riduzioni  debbono  essere  decise  in  sede di riparto del Fondo
sanitario  nazionale,  e quindi con il procedimento all'uopo previsto
dalla  legge,  che  contempla  una  delibera del CIPE su proposta del
Ministro della sanita', sentita la Conferenza Stato-Regioni (art. 12,
comma 3, del d.lgs. n. 502 del 1992, come sostituito dall'art. 14 del
d.lgs.  n. 517  del  1993;  si  tratta  peraltro  di un meccanismo di
riparto  destinato  a  venir  meno a decorrere dall'anno 2001, con la
prevista  cessazione  dei  trasferimenti  erariali  in  favore  delle
Regioni  a  statuto  ordinario: art. 1, comma 1, lettera d del d.lgs.
18 febbraio  2000, n. 56). Nell'ambito di tale procedura partecipata,
gli  inadempimenti  ai  quali  il  Ministro  intenda  far  seguire le
riduzioni  in  parola  dovranno  essere  individuati specificamente e
contestati   alla   Regione   interessata,   affinche'  questa  possa
eventualmente  far  valere  le  proprie  ragioni  e  giustificazioni.
L'entita'  della  riduzione,  a sua volta, non puo' essere decisa con
totale  discrezionalita',  poiche' non solo deve essere rispettato il
limite  massimo del 3 per cento, fissato dalla disposizione in esame,
ma,  entro  questo limite, deve essere commisurata al tipo e al grado
dell'inadempimento accertato.
    Quanto  alle  riduzioni  previste  dal  comma  4,  a  conferma ed
integrazione  di  quanto  gia' stabilito dall'art. 1, comma 23, della
legge  n. 662  del 1996, l'apparente brevita' del termine imposto per
gli  adempimenti  (31 marzo  1998) si giustifica tenendo conto che si
tratta   dell'osservanza   di   obblighi   fondamentali   quelli   di
sostituzione  delle  vecchie  strutture  manicomiali  con strutture e
servizi  territoriali idonei a far fronte alle esigenze dei malati di
mente  al  di fuori di una logica di segregazione gia' previsti dalla
legge, a partire dalla riforma recata con la legge n. 180 del 1978, e
in  parte  articolati  anche  temporalmente  dal  progetto  obiettivo
"Tutela della salute mentale" approvato, per il triennio 1994-96, con
d.P.R.  7 aprile  1994,  dall'art. 3, comma 5, della legge n. 724 del
1994,  che stabiliva la scadenza del 31 dicembre 1996 per la chiusura
dei  residui  ospedali  psichiatrici,  e successivamente dall'art. 1,
comma  20,  della legge n. 662 del 1996, che stabiliva il termine del
31 gennaio   1997   per   l'adozione   di   appositi   strumenti   di
pianificazione.
    In  questo  caso,  poi,  l'entita' della riduzione non e' affatto
lasciata   alla   discrezione  dell'esecutivo  statale,  poiche',  al
contrario,  essa e' fissata dall'art. 1, comma 23, della legge n. 662
del  1996, cui il comma qui impugnato fa rinvio, nello 0,50 per cento
della quota del Fondo. Ne' ha pregio la censura di sproporzione della
sanzione   rispetto   alla   possibile  gravita'  dell'inadempimento,
trattandosi,  come  si  e'  detto, di obiettivi da gran tempo imposti
alle  Regioni, e potendosi d'altra parte applicare la riduzione, come
e' ovvio, solo ad inadempimenti sostanziali e significativi.
    Quanto  al comma 5, deve precisarsi che le assegnazioni dei fondi
tratti  dalle  disponibilita'  in questione dovranno essere fatte non
gia',  direttamente, a favore delle aziende, ma sempre a favore delle
Regioni  interessate  alle  quali  sono  assegnate le quote del Fondo
sanitario  nazionale  -  perche'  esse a loro volta le destinino, con
vincolo  finalistico,  alle  aziende  sanitarie,  volta a volta, dove
debbono  attuarsi  le  azioni  di  sostegno, o i progetti speciali, o
debba trovare realizzazione quanto previsto dal progetto obiettivo, o
si verifichino le condizioni previste dalla disposizione in esame per
i  finanziamenti a titolo incentivante, e cioe' siano stati attuati i
programmi  di  chiusura  degli ospedali psichiatrici. Cosi' dovendosi
intendere  la  disposizione  denunciata, essa si sottrae alle censure
mosse dalle ricorrenti.
    I  criteri  imposti  dalla  legge per le predette assegnazioni di
fondi  sono  d'altra parte sufficientemente precisi, cosi' da non dar
luogo  a  determinazioni  arbitrarie  o  eccessivamente discrezionali
degli organi centrali.
    In  relazione,  infine, al potere sostitutivo, mediante la nomina
di  commissari  ad  acta  per la realizzazione del progetto obiettivo
"Tutela  della  salute  mentale",  si  deve osservare che esso, da un
lato,  riguarda  chiaramente  solo  le  aziende  sanitarie,  e non la
Regione;  ed  e'  attivato,  dall'altro  lato, mediante intesa fra il
Ministro  e  la Regione interessata, della quale, pertanto, risultano
salvaguardate  le  attribuzioni, tenendo anche conto che si tratta di
adempimenti   (quelli  previsti  dal  progetto  obiettivo)  da  tempo
stabiliti  su  base  nazionale in vista della tutela del diritto alla
salute nel campo, particolarmente delicato e importante, della salute
mentale.

    14. - E'  impugnato, dalla sola Regione Veneto, anche il comma 15
dell'art. 32, ai sensi del quale "le regioni, nell'ambito della quota
del   Fondo  sanitario  nazionale  ad  esse  destinata,  autorizzano,
d'intesa  con il Ministero della sanita', le aziende unita' sanitarie
locali  e le aziende ospedaliere ad erogare prestazioni che rientrino
in  programmi  assistenziali approvati dalle regioni stesse, per alta
specializzazione",  a  favore  di  "cittadini  provenienti  da  Paesi
extracomunitari   nei  quali  non  esistono  o  non  sono  facilmente
accessibili  competenze  medico-specialistiche  per il trattamento di
specifiche   gravi   patologie  e  non  sono  in  vigore  accordi  di
reciprocita'   relativi   all'assistenza   sanitaria",   nonche'   di
"cittadini  di  Paesi  la  cui particolare situazione contingente non
rende  attuabili,  per ragioni politiche, militari o di altra natura,
gli   accordi  eventualmente  esistenti  con  il  Servizio  sanitario
nazionale per l'assistenza sanitaria".
    Secondo la ricorrente si attribuirebbero cosi' nuovi compiti alla
Regione    senza    corrispondente   aumento   di   risorse,   e   si
pregiudicherebbe  il  diritto  costituzionale  alla  salute.  Sarebbe
violato altresi' il principio di cui all'art. 97 della Costituzione.

    15. - La   questione   e'   in   parte   non  fondata,  in  parte
inammissibile.
    Le  prestazioni  in discorso, a favore di cittadini stranieri che
non  avrebbero altrimenti titolo all'assistenza da parte del Servizio
sanitario  nazionale,  non  solo  debbono  essere comprese fra quelle
rientranti  in  programmi  assistenziali  approvati dalla Regione, ma
sono  oggetto  di  specifica autorizzazione della stessa Regione, sia
pure  rilasciata  d'intesa  con  il  Ministro:  cio' significa che la
semplice determinazione ministeriale non basta, se non vi e' anche il
consenso  della  Regione.  Autorizzazione  che,  peraltro, la Regione
rilascia  "nell'ambito  della quota del Fondo sanitario nazionale" ad
essa   spettante,   e  dunque  avendo  riguardo  anche  alle  risorse
disponibili.
    Si   puo'  inoltre  ricordare  che,  in  base  all'art. 34  della
(sopravvenuta)   legge  6 marzo  1998,  n. 40,  in  seguito  trasfuso
nell'art. 36  del  testo  unico  approvato con d.lgs. 25 luglio 1998,
n. 286,  le  spese  sostenute  dalle  aziende  sanitarie  a favore di
stranieri  cui  viene  rilasciato  il  permesso di soggiorno per cure
mediche   nell'ambito  dei  programmi  umanitari  definiti  ai  sensi
dell'art. 12,  comma  2,  lettera  c del d.lgs. n. 502 del 1992, come
modificato  dal  d.lgs.  n. 517  del  1993, previa autorizzazione del
Ministero  della  sanita',  d'intesa  con  quello  degli esteri, sono
rimborsate  "tramite  le  Regioni"  e fanno carico al Fondo sanitario
nazionale:  i  relativi trasferimenti a favore della Regione sono fra
quelli esclusi dalla cessazione prevista dall'art. 1 del d.lgs. n. 56
del 2000 (cfr. art. 1 cit., comma 2).
    Quanto infine ai profili concernenti la violazione degli artt. 2,
32  e  97 della Costituzione, la questione risulta inammissibile, non
essendo   le   Regioni  legittimate  a  lamentare,  nel  giudizio  di
legittimita' costituzionale in via principale, la violazione di norme
costituzionali che non riguardino la propria sfera di competenza.
    16.   Le   Regioni  Lombardia  e  Veneto  impugnano  il  comma  1
dell'art. 34,   che   prevede   l'inquadramento   nel  primo  livello
dirigenziale   degli  specialisti  ambulatoriali  gia'  operanti  con
rapporto  convenzionale,  e  che  siano  in  possesso  di determinati
requisiti  di  eta'  e di durata oraria dell'incarico gia' ricoperto.
Secondo  le  ricorrenti  tale  norma  sarebbe  illegittima  in quanto
genererebbe  un  aggravio  di spesa a loro carico, senza provvedere a
porre  a  loro  disposizione le risorse necessarie. Sarebbero violati
altresi' i principi di cui agli artt. 32 e 97 della Costituzione.
    17.   -   La   questione  e'  in  parte  non  fondata,  in  parte
inammissibile.
    Premesso  che  rientra  nell'ambito  dei principi stabiliti dalla
legislazione  statale definire il regime dei rapporti con il Servizio
sanitario  nazionale  degli  specialisti  che  in esso operano, e che
della  relativa  spesa si tiene conto in sede di determinazione della
misura  del  Fondo  sanitario  nazionale,  va  osservato che la norma
impugnata  affida  alle  Regioni  il  compito di individuare "aree di
attivita'  specialistica  con  riferimento  alle  quali,  ai fini del
miglioramento  del  servizio",  si  prevedono  gli  inquadramenti  in
questione: onde non e' sottratta alle Regioni stesse - che dispongono
inoltre   di   ampi  poteri  sull'organizzazione  dei  servizi  -  la
possibilita'  di  decidere  in  ordine  all'entita'  e al tempo degli
inquadramenti  medesimi.  Ne', del resto, le Regioni ricorrenti hanno
dato  dimostrazione  adeguata  della  formazione,  per  effetto della
stessa   norma,  di  un  onere  supplementare  eccedente  le  risorse
attribuite al Servizio.
    Quanto  ai  profili concernenti la violazione degli artt. 32 e 97
della  Costituzione,  la questione risulta inammissibile, non essendo
le  Regioni  legittimate  a  lamentare,  nel giudizio di legittimita'
costituzionale   in   via   principale,   la   violazione   di  norme
costituzionali che non riguardino la propria sfera di competenza.
    18.  -  L'art. 37,  anch'esso censurato dalle Regioni Lombardia e
Veneto,  stabilisce  che  il Servizio sanitario nazionale "fornisce a
titolo  gratuito  la  protesi  mammaria esterna alle assistite che ne
facciano  richiesta,  dietro  presentazione  di idonea documentazione
dell'intervento  di  mastectomia  sia  monolaterale  che bilaterale".
Anche  in  questo  caso la censura si fonda sull'assunto che verrebbe
imposto  un  nuovo  onere  senza  prevedere  le relative risorse, con
pregiudizio  del  diritto  alla  salute.  Sarebbe violato altresi' il
principio di cui all'art. 97 della Costituzione.
    19. - La questione e' in parte infondata, in parte inammissibile.
    Stabilire quali siano le prestazioni minime cui hanno diritto gli
assistiti dal Servizio sanitario nazionale e' compito specifico della
legislazione e della programmazione statali, ed e' in rapporto a tali
prestazioni che viene determinata la dimensione finanziaria del Fondo
sanitario   nazionale  (cfr.  artt. 1  e  12,  comma  3,  del  d.lgs.
30 dicembre  1992,  n. 502).  Del  resto  la  fornitura della protesi
mammaria   alle   assistite   mastectomizzate   era   gia'  prevista,
nell'ambito  della  disciplina  delle  protesi  "dirette  al recupero
funzionale  e  sociale  dei  soggetti affetti da minorazioni fisiche,
psichiche  e  sensoriali"  (cfr. art. 2, numero 1, e allegato A, voce
30.,  "Protesi  fisiognomiche", del d.m. 28 dicembre 1992, in seguito
sostituito dal regolamento approvato con d.m. 27 agosto 1999, n. 332:
cfr.  l'art. 2,  lettera  d),  onde  la  portata della norma in esame
appare essenzialmente quella di affermare il diritto delle assistite,
che  hanno  subito  l'intervento, alla fornitura della protesi, anche
indipendentemente    dalle    procedure   di   riconoscimento   della
invalidita'.
    Da  ultimo,  peraltro,  il  comma 7 dell'art. 8-sexies del d.lgs.
n. 502  del  1992, introdotto dall'art. 8 del d.lgs. n. 229 del 1999,
affida la disciplina delle modalita' di erogazione e di remunerazione
dell'assistenza   protesica,   compresa  nei  livelli  essenziali  di
assistenza  di  cui  all'art. 1  dello  stesso  d.lgs.  n. 502, ad un
decreto del Ministro della sanita' emanato d'intesa con la Conferenza
Stato-Regioni.
    Quanto infine ai profili concernenti la violazione degli artt. 2,
32  e  97 della Costituzione, la questione risulta inammissibile, non
essendo   le   Regioni  legittimate  a  lamentare,  nel  giudizio  di
legittimita' costituzionale in via principale, la violazione di norme
costituzionali che non riguardino la propria sfera di competenza.
    20.  -  Un  terzo  gruppo di questioni investe disposizioni della
legge   impugnata   in   materia   di   personale   e  di  disciplina
dell'attivita' amministrativa.
    L'art. 39  della  legge  prevede,  al  comma 1, che gli organi di
vertice    delle   amministrazioni   pubbliche   sono   tenuti   alla
programmazione  triennale  del  fabbisogno di personale. I successivi
commi  dal  2  al  18  dello  stesso  articolo dettano una disciplina
specifica,   valida  per  le  amministrazioni  statali,  in  tema  di
assunzioni  e  di  passaggio  di  personale  a determinati servizi ed
uffici.
    Le  Regioni Lombardia e Veneto impugnano il comma 19 dello stesso
art. 39,  il  quale stabilisce che le Regioni e gli enti del Servizio
sanitario   nazionale   (nonche'  altri  enti  dotati  di  autonomia)
"adeguano  i  propri  ordinamenti  ai  principi  di  cui  al  comma 1
finalizzandoli alla riduzione programmata delle spese di personale".
    Secondo  le  ricorrenti, tale norma sarebbe illegittima in quanto
equiparerebbe  indebitamente le Regioni ad enti con diversa posizione
costituzionale,   e   generalizzerebbe  misure  di  contenimento  del
personale  ammesse  in  passato  dalla giurisprudenza di questa Corte
solo in quanto temporanee e transitorie.
    21. - La questione non e' fondata.
    Stabilire   che   anche   le  amministrazioni  regionali  debbano
conformare  la propria attivita' ai principi della programmazione del
fabbisogno  di  personale e del contenimento della spesa di personale
rientra  certamente  nella  potesta' del legislatore statale ai sensi
del  primo  comma dell'art. 117 della Costituzione. E la disposizione
in  questione non va al di la' di siffatta statuizione, limitandosi a
richiedere  alle  Regioni di adeguarsi a tali principi, senza imporre
modalita'   o   misure  specifiche  ne'  obiettivi  quantitativamente
determinati.
    Ne'  ha  pregio  la  censura  secondo  cui  le  Regioni sarebbero
indebitamente  equiparate  ad  enti  diversamente  considerati  dalla
Costituzione.   Cio'   che  conta  e'  che  il  legislatore  statale,
nell'imporre  obblighi  alle  Regioni,  non  varchi  i limiti ad esso
consentiti  dalla  Costituzione stessa, in particolare dagli articoli
117  e 119. Non e' certo vietato al legislatore statale attribuire ad
amministrazioni   diverse   da   quelle  regionali,  nell'ambito  dei
rispettivi  ordinamenti, forme di autonomia simili a quelle garantite
alle  Regioni  dalle  norme  costituzionali, ne' fissare in proposito
principi comuni vincolanti.
    22.  -  L'art. 41,  comma 1, della legge impugnata stabilisce che
"al fine di conseguire risparmi di spesa e recuperi di efficienza nei
tempi dei procedimenti amministrativi, l'organo di direzione politica
responsabile, con provvedimento da emanare entro sei mesi dall'inizio
di  ogni esercizio finanziario, individua i comitati, le commissioni,
i   consigli   ed   ogni   altro   organo   collegiale  con  funzioni
amministrative  ritenuti indispensabili per la realizzazione dei fini
istituzionali   dell'amministrazione   o  dell'ente  interessato";  e
aggiunge che "gli organismi non identificati come indispensabili sono
soppressi   a   decorrere  dal  mese  successivo  all'emanazione  del
provvedimento"  e  "le  relative funzioni sono attribuite all'ufficio
che riveste preminente competenza nella materia".
    Secondo  le  Regioni  ricorrenti  si avrebbe ancora una volta una
indebita  equiparazione delle Regioni ad enti non dotati di autonomia
costituzionalmente  garantita;  inoltre, attribuendo la competenza ad
adottare  il  provvedimento  in  questione  all'organo  di  direzione
politica  responsabile, si violerebbe l'autonomia organizzativa della
Regione.
    23. - La questione non e' fondata.
    La  disposizione  in esame va intesa nel senso che essa opera nei
confronti   delle  Regioni  solo  come  principio  direttivo  per  la
legislazione   regionale,   vincolandole   a   prevedere   forme   di
semplificazione  dell'organizzazione  e  in ispecie a provvedere alla
soppressione  degli  organismi  superflui,  con  quelle  finalita' di
risparmio  e  di efficienza che legittimamente il legislatore statale
puo'  imporre  alle  Regioni. Non si applica dunque direttamente alle
amministrazioni  regionali  la  previsione  secondo  la quale sono di
diritto  soppressi  gli  organismi  diversi da quelli individuati con
apposito provvedimento, essendo la conservazione o la soppressione di
organismi  ed  uffici  della  Regione rimessa alla disciplina dettata
dalla legge regionale.
    Cosi' intesa, la disposizione non e' dunque lesiva dell'autonomia
delle  Regioni. Quanto poi alla lamentata equiparazione delle Regioni
ad  altri  enti,  vale  quanto  si  e'  appena  osservato a proposito
dell'art. 39,  comma  19; mentre l'indicazione della competenza dell'
"organo   di  direzione  politica  responsabile"  solo  genericamente
individuato  non  eccede l'ambito del principio, vincolante anche per
le  Regioni, di distinzione fra organi di direzione politica e organi
di  gestione, definito dall'art. 3 del d.lgs. n. 29 del 1993, e ancor
prima  dall'art. 2,  comma  1, lettera g numero 1, della legge n. 421
del 1992.
    24.  -  La  sola Regione Veneto impugna altresi' il comma 3 dello
stesso art. 41, ai cui sensi "l'attribuzione di trattamenti economici
al  personale  contrattualizzato puo' avvenire esclusivamente in sede
di  contrattazione  collettiva.  Dall'entrata  in  vigore  del  primo
rinnovo  contrattuale  cessano  di avere efficacia le disposizioni di
leggi,   regolamenti   o  atti  amministrativi  generali  che  recano
incrementi  retributivi al personale contrattualizzato. I trattamenti
economici  piu'  favorevoli  in godimento sono riassorbiti dai futuri
miglioramenti  nella  misura  prevista  dai  contratti  collettivi. I
risparmi   di   spesa  che  ne  conseguono  incrementano  le  risorse
disponibili  per  i  contratti  collettivi.  Il presente comma non si
applica al personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e dei
Vigili del fuoco".
    Secondo    la    ricorrente    tale    disposizione   inciderebbe
sull'autonomia  della  Regione  in  ordine al trattamento del proprio
personale  e  all'organizzazione  dei  propri  uffici, con una misura
organizzativa priva dei caratteri di urgenza e di provvisorieta'.
    25. - La questione non e' fondata.
    La  norma in esame non fa che trarre le conseguenze del principio
legislativo  costituente  principio  fondamentale  vincolante  per le
Regioni  (cfr.  in  proposito sentenza n. 352 del 1996) secondo cui i
rapporti  di lavoro del personale delle pubbliche amministrazioni con
le sole eccezioni stabilite dalla legge dello Stato sono disciplinati
dalle  disposizioni codicistiche e dalle leggi sul lavoro subordinato
nel settore privato, e i rapporti individuali di lavoro sono regolati
contrattualmente  (art. 2,  commi  2 e 3, del d.lgs. n. 29 del 1993):
onde,  in  particolare,  il trattamento economico, che e' materia non
riservata  alla  legge ai sensi dell'art. 2, comma 1, lettera c della
legge  n. 421  del 1992, e' disciplinato esclusivamente dai contratti
collettivi e da quelli individuali.
    Non  si  tratta  dunque  di  sancire una impropria prevalenza del
contratto  collettivo  sulla  legge regionale nell'ambito del sistema
delle  fonti,  ma  della  piana  e  logica  conseguenza  del sistema,
stabilito  con  efficacia  anche  nei  confronti  delle  Regioni  dal
legislatore  statale,  del  rapporto  di lavoro pubblico assimilato a
quello  privato  e  contrattualizzato. Se la legge regionale potesse,
cio'  nonostante,  continuare a disporre l'attribuzione ai dipendenti
delle  Regioni di trattamenti economici, che verrebbero a sovrapporsi
o ad aggiungersi a quelli previsti dai contratti collettivi, l'intero
sistema  in questione verrebbe evidentemente compromesso con riguardo
al comparto dei dipendenti regionali.
    La  regola,  secondo  cui il trattamento economico e' definito in
modo  vincolante  in sede di accordi collettivi, e le disposizioni di
legge  preesistenti,  recanti  attribuzione di trattamenti economici,
cessano di operare a seguito della stipulazione dei medesimi accordi,
era  gia'  stata  sancita dal legislatore statale allorquando, con la
legge  quadro  sul pubblico impiego, si era definito il sistema della
disciplina  "in  base  ad accordi" (cfr. art. 3 della legge n. 93 del
1983).  Essa  e'  stata  ripresa dal legislatore statale allorche' ha
realizzato  la  cosiddetta  privatizzazione e la contrattualizzazione
dei  rapporti  di impiego pubblico. Gia' nell'art. 2, comma 2-bis del
d.lgs.  n. 29  del  1993, nel testo sostituito dall'art. 2 del d.lgs.
n. 546  del  1993,  si  stabiliva  che  nelle  materie non soggette a
riserva di legge (e quindi anche in materia di trattamenti economici)
"eventuali  norme  di  legge,  intervenute  dopo  la  stipula  di  un
contratto collettivo, cessano di avere efficacia, a meno che la legge
[statale]  non disponga espressamente in senso contrario, dal momento
in  cui  entra in vigore il successivo contratto collettivo". Piu' di
recente,  successivamente  alla legge impugnata, tale regola e' stata
sancita,  in  termini pressoche' identici a quelli della disposizione
qui  in  esame,  dal  nuovo  comma 3 dell'art. 2 del d.lgs. n. 29 del
1993, come sostituito dall'art. 2 del d.lgs. n. 80 del 1998.
    26.  -  E'  impugnato altresi', dalle Regioni Lombardia e Veneto,
l'art. 43.  Piu'  specificamente (e in questo senso la questione deve
essere precisata), e' censurato il comma 3 di tale articolo, ai sensi
del quale, ai fini di cui al comma 1 vale a dire "al fine di favorire
l'innovazione     dell'organizzazione     amministrativa     e     di
realizzare maggiori  economie,  nonche'  una  migliore  qualita'  dei
servizi  prestati",  "le  amministrazioni pubbliche possono stipulare
convenzioni  con  soggetti  pubblici  o  privati dirette a fornire, a
titolo  oneroso,  consulenze  o  servizi aggiuntivi rispetto a quelli
ordinari.  Il  50  per cento dei ricavi netti, dedotti tutti i costi,
ivi comprese le spese di personale, costituisce economia di bilancio.
Le disposizioni attuative del presente comma, che non si applica alle
amministrazioni  dei beni culturali ed ambientali e dello spettacolo,
sono  definite  ai  sensi  dell'articolo  17,  comma  1,  della legge
23 agosto 1988, n. 400", cioe' con regolamenti governativi.
    Ad  avviso  delle ricorrenti tale norma sarebbe incompatibile con
l'autonomia finanziaria, legislativa ed amministrativa regionale.
    La  disposizione in esame risulta ora abrogata dall'art. 6, comma
5,   lettera   m  della  legge  31 marzo  2000,  n. 78,  a  decorrere
dall'entrata  in  vigore  dei  regolamenti previsti dal comma 4 dello
stesso articolo: abrogazione di cui, peraltro, non e' chiaro se abbia
portata  generale,  atteso  che  tale  articolo 6 contiene unicamente
"disposizioni  per  l'Amministrazione  della pubblica sicurezza e per
alcune attivita' delle Forze di polizia e delle Forze armate".
    27. - La questione non e' fondata.
    Anche  la  disposizione  in oggetto deve intendersi nel senso che
essa  trova  applicazione  nei confronti delle Regioni solo in quanto
pone  un  principio,  peraltro  di  contenuto  facoltizzante,  per la
legislazione   regionale.  Essa  non  si  applica  direttamente  alle
amministrazioni   regionali,   che   sono  disciplinate  dalle  leggi
regionali,   e  non  sono  soggette,  in  linea  di  principio,  alla
disciplina  dettata  con  i  regolamenti  governativi  cui  ivi si fa
rinvio;  in  particolare  non si applica alle Regioni la clausola per
cui  il  50  per  cento  dei ricavi netti delle prestazioni di cui e'
parola "costituisce economia di bilancio".
    Intesa  in  questi  termini,  la  disposizione impugnata non puo'
ritenersi lesiva dell'autonomia regionale.
    28.  -  L'articolo 44 della legge, al comma 4, stabilisce che "le
disposizioni  dell'articolo  14  della legge 15 marzo 1997, n. 59, si
applicano  altresi'  alle  trasformazioni  delle  strutture,  anche a
carattere   aziendale,   delle   amministrazioni   pubbliche  di  cui
all'articolo  1,  comma  2,  del decreto legislativo 3 febbraio 1993,
n. 29".
    Tra  queste  ultime  sono  comprese le amministrazioni regionali.
L'art. 14  della  legge n. 59, a sua volta, detta i criteri direttivi
cui   doveva   attenersi   il  Governo  nell'esercitare  la  potesta'
legislativa  delegata  ai  fini  del  riordino  degli enti nazionali,
prevista  dall'art. 11,  comma  1, lettera b della stessa legge n. 59
del  1997: criteri che prevedono la fusione o la soppressione di enti
con  finalita'  omologhe  o  complementari, o la trasformazione degli
enti  per  i  quali  l'autonomia  non sia necessaria o funzionalmente
utile;  la  trasformazione in associazioni o in persone giuridiche di
diritto  privato  degli  enti  per  i  quali  non  e'  necessaria  la
personalita'  di  diritto pubblico, e in enti pubblici economici o in
societa'  di  diritto  privato di quelli "ad alto indice di autonomia
finanziaria";  nonche'  l'adozione  di  principi  di  omogeneita'  di
organizzazione,  di  razionalizzazione ed omogeneizzazione dei poteri
di  vigilanza,  di  contenimento  delle  spese  di  funzionamento, di
programmazione.
    Secondo  le  ricorrenti  lo  Stato  potrebbe  in tal modo imporre
soppressioni,   fusioni   o   trasformazioni,  o  altre  prescrizioni
organizzative,   nei  confronti  di  strutture  regionali,  omettendo
procedure   di  raccordo,  e  comprimendo  l'autonomia  organizzativa
regionale.  Cio' varrebbe anche se si dovesse intendere la norma come
recante principi fondamentali di legislazione.
    29. - La questione non e' fondata.
    La disposizione in esame non estende ne' rinnova alcuna delega al
Governo, diversa da quella, per il riordino degli enti nazionali, per
la  quale  l'art. 14  della  legge n. 59 del 1997 dettava i criteri e
principi  direttivi. Nei confronti delle Regioni essa dunque non puo'
avere  altro  senso  se  non  quello  di  stabilire  principi  per la
rispettiva  legislazione,  alla  quale  spetta  disciplinare la sorte
degli enti e delle strutture regionali.
    Intesa  la  disposizione  in  questo  senso, non ne deriva alcuna
lesione  dell'autonomia  regionale,  poiche'  i  criteri in questione
hanno  portata  generale e non valicano la sfera di cio' che la legge
statale  puo' stabilire come principio fondamentale vincolante per le
Regioni.
    30.  -  Un quarto gruppo di questioni investe talune disposizioni
della legge impugnata in materia di disciplina dei flussi finanziari.
    L'art. 47,  comma  1,  stabilisce  che,  "al  fine  di ridurre le
giacenze  degli enti soggetti all'obbligo di tenere le disponibilita'
liquide  nelle  contabilita'  speciali  o  in  conto  corrente con il
Tesoro,  i  pagamenti  a  carico  del  bilancio  dello  Stato vengono
effettuati   al  raggiungimento  dei  limiti  di  giacenza  che,  per
categorie  di  enti,  vengono  stabiliti con decreto del Ministro del
tesoro,  del  bilancio  e  della  programmazione  economica in misura
compresa  tra  il 10 e il 20 per cento dell'entita' dell'assegnazione
di  competenza" (seguono alcune previsioni specifiche concernenti gli
enti locali).
    Secondo le Regioni ricorrenti sarebbe violata la riserva di legge
di   cui   all'art. 119  della  Costituzione;  le  Regioni  sarebbero
indebitamente  equiparate ad altri enti, e si limiterebbe l'autonomia
regionale  introducendo  elementi di incertezza e di imprevedibilita'
nella gestione. Infine, non sarebbe chiaro quale sia la "assegnazione
di  competenza"  delle  Regioni sulla quale si commisura il limite di
giacenza.
    31. - La questione non e' fondata.
    Le  Regioni,  come  altri  enti  pubblici,  sono  assoggettate al
sistema  della  cosiddetta  tesoreria unica, previsto dal legislatore
statale  (legge  29 ottobre  1984,  n. 720,  e successive modifiche e
integrazioni)  al  fine  di  evitare  la  necessita' per il Tesoro di
accrescere  il  livello  di indebitamento per procurarsi risorse che,
trasferite  ad  altri  enti  del  c.d.  settore  pubblico  allargato,
potrebbero  restare in giacenza presso le rispettive tesorerie, prima
che  gli  enti medesimi le utilizzino per erogare le proprie spese. A
tale  scopo  gli  enti autonomi sono soggetti a limitazioni in ordine
alle  disponibilita'  liquide  che  essi  possono  detenere presso il
sistema  bancario,  e  la  facolta'  di effettuare nuovi prelievi dai
conti presso il Tesoro e' subordinata al rispetto di detti limiti.
    Questa  Corte  ha  gia' avuto occasione di esaminare tale sistema
sotto  il  profilo  della legittimita' costituzionale, affermando che
esso  non  e' lesivo dell'autonomia costituzionalmente garantita alle
Regioni  sino a quando esso non si trasformi in un mezzo improprio di
controllo  sulla  spesa  regionale: cio' non accade se resta fermo il
diritto  delle  Regioni  di disporre delle risorse loro assegnate per
effettuare  le  spese  autonomamente  da  esse  decise (cfr. sentenze
nn. 412  del  1993  e  171  del  1999).  Il  sistema e' ora in via di
parziale   superamento,   anche   attraverso   l'attuazione   di  una
sperimentazione,  mirandosi  ad  escludere  gradualmente  le  entrate
proprie  degli  enti  dall'obbligo  di versamento nei conti presso il
Tesoro,  ma  stabilendo l'obbligo per gli enti di utilizzare, ai fini
delle  rispettive  esigenze  di  spesa,  dette  entrate  proprie  con
priorita'  rispetto alle risorse trasferite dal bilancio dello Stato,
e prevedendo la modulazione dei pagamenti statali a favore degli enti
in relazione all'esaurimento delle disponibilita' esistenti sui conti
presso  il  Tesoro  (cfr.  artt. 7,  8  e 9 del d.lgs. 7 agosto 1997,
n. 279).
    La  disposizione qui impugnata non innova sostanzialmente a detto
sistema,   limitandosi   a   prevedere   limiti   di  giacenza  delle
disponibilita'  nei conti presso il Tesoro, cui vengono subordinati i
pagamenti  a  carico  del  bilancio dello Stato e a favore degli enti
autonomi,  comprese  le  Regioni:  senza che da cio' derivino vincoli
impropri  a carico delle Regioni quanto all'utilizzo delle risorse ad
esse assegnate.
    Non  e'  violata  la  riserva  di legge di cui all'art. 119 della
Costituzione,  poiche'  la disposizione in esame detta una disciplina
precisa  e  fissa i limiti, minimo e massimo, delle giacenze, entro i
quali  il  Ministro del Tesoro e' abilitato a stabilire la soglia cui
e'   subordinata   l'erogazione   dei   pagamenti  statali:  onde  la
discrezionalita'    del    Ministro   si   esercita   entro   confini
ragionevolmente delimitati.
    Ne'  puo'  dirsi che si introducano cosi' elementi di incertezza:
al contrario il decreto del Ministro deve stabilire un limite preciso
di giacenza (fissato per il 1998 e per il 1999 nel 14 per cento: cfr.
art. 1  del  d.m.  Tesoro  16 gennaio  1998, e art. 1 del d.m. Tesoro
4 marzo  1999). Del pari non sussiste incertezza circa la base cui si
commisura   il  limite  di  giacenza:  la  legge  si  riferisce  alla
"assegnazione  di  competenza",  cioe'  all'importo complessivo delle
somme assegnate alla Regione e destinate ad essere trasferite ad essa
dal  bilancio  dello  Stato  (cfr. infatti l'art. 1, comma 2, dei due
decreti  ministeriali  citati,  che  precisa  i capitoli del bilancio
dello Stato cui le assegnazioni si riferiscono).
    Nemmeno  infine,  per  le ragioni gia' dette (sopra, n. 21), puo'
costituire fondato motivo di censura la circostanza che la disciplina
in esame riguardi le Regioni al pari di altri enti dotati di autonomo
bilancio,  ed  egualmente destinatari di trasferimenti da parte dello
Stato.
    32.  -  Dell'art. 48  sono  impugnati  i  commi  1, 4 (solo dalla
Regione Lombardia), e 5.
    Il comma 1 stabilisce che "il sistema delle autonomie regionali e
locali   concorre  alla  realizzazione  degli  obiettivi  di  finanza
pubblica  per  il  triennio  1998-2000  garantendo  che il fabbisogno
finanziario   da   esso   complessivamente  generato  nel  1998,  non
considerando  la  spesa  sanitaria  nonche' la spesa relativa a nuove
funzioni  acquisite  a  seguito di trasferimento o delega di funzioni
statali  nel  corso  degli  anni 1997 e seguenti, non sia superiore a
quello  rilevato  a  consuntivo per il 1997 e che per gli anni 1999 e
2000  non  sia  superiore a quello dell'anno precedente maggiorato in
misura  pari  al  tasso  programmato  di  inflazione.  Per  la  spesa
sanitaria il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione
economica,  d'intesa  con  il  Ministro  della  sanita',  procede  al
monitoraggio  dei relativi pagamenti allo scopo di verificare che gli
stessi   non   eccedano   quelli   effettuati   nell'anno  precedente
incrementati  del  tasso  programmato  d'inflazione; dell'esito viene
data  informazione  alla  Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano".
    I   commi   2  e  3  affidano  alle  Conferenze  Stato-Regioni  e
Stato-citta'  e  autonomie  locali  il compito di stabilire i criteri
operativi  per  il  computo  del  fabbisogno  e  le  procedure per il
monitoraggio  degli  andamenti  mensili del medesimo, rispettivamente
per le Regioni e per gli enti locali.
    Il comma 4 prevede che, "nel caso che si sviluppino andamenti del
fabbisogno  incompatibili  con  gli  obiettivi di cui al comma 1", la
Conferenza  Stato-Regioni  e  la  Conferenza Stato-citta' e autonomie
locali,  secondo  le rispettive competenze, "propongono le iniziative
da  assumere, ivi compresa la eventuale introduzione di vincoli sugli
utilizzi  delle disponibilita' esistenti sui conti di tesoreria unica
da disporre con decreti del Ministro del tesoro, del bilancio e della
programmazione economica".
    Il  comma  5,  a  sua  volta,  stabilisce  che  "in  attesa delle
indicazioni delle predette Conferenze e della adozione delle relative
misure,  le  regioni  e  gli  enti  locali  interessati  sospendono i
pagamenti   ad   eccezione  di  quelli  che  possono  arrecare  danni
patrimoniali  all'ente  o  a  soggetti  che  intrattengono con l'ente
rapporti giuridici e negoziali".
    Anche  queste disposizioni sono censurate in quanto inciderebbero
sull'autonomia  regionale ed equiparerebbero indebitamente le Regioni
ad  altri  enti. Si lamenta, poi, l'intrinseca irragionevolezza della
disciplina:   a  proposito  del  comma  5,  in  particolare,  non  si
capirebbe,  secondo  le  ricorrenti,  quale titolo di pagamento possa
sussistere  a  favore  di terzi in assenza di un rapporto giuridico o
negoziale.
    33.  -  E'  infondata la questione relativa al comma 1. Stabilire
obiettivi globali di contenimento del fabbisogno finanziario generato
dalla spesa regionale, nell'ambito e ai fini degli obiettivi generali
di  finanza  pubblica  fissati  dagli  strumenti della programmazione
finanziaria   nazionale,   rientra   nell'ambito   dei   compiti   di
coordinamento   della   finanza   pubblica   che   l'art. 119   della
Costituzione attribuisce alla legge della Repubblica.
    Del  pari  infondata  e'  la questione che investe il comma 4. Il
potere,  nel  caso  di  andamenti incompatibili con gli obiettivi, di
proporre misure di ordine finanziario per assicurare il conseguimento
di questi ultimi, e' infatti demandato alla Conferenza Stato-Regioni,
e  cioe'  alla  massima sede di coordinamento fra Governo nazionale e
Governi  regionali: ad essa e' demandato anche di stabilire i criteri
per  la rilevazione dell'andamento del fabbisogno, a cui si collegano
le  eventuali  misure  nel  caso  di  andamenti incompatibili con gli
obiettivi.  Le  Regioni  non  sono  dunque  soggette  a provvedimenti
unilaterali,  ma  concorrono  responsabilmente  con  il  Governo alla
definizione  delle  misure  necessarie. Il contenuto di queste ultime
non  e' precisato, se non col riferimento alla eventuale introduzione
di vincoli sugli utilizzi delle disponibilita' esistenti sui conti di
tesoreria unica. Tali vincoli inciderebbero bensi' sulla capacita' di
spesa  delle  Regioni:  tuttavia,  dato  il  carattere  generale  dei
medesimi,  e  lo  stretto  collegamento  con gli obiettivi globali di
finanza   pubblica   e   col   rispetto   del  limite  di  fabbisogno
espressamente   stabilito  dal  comma  1  del  medesimo  art. 48,  la
previsione  in  esame  appare rispettosa dei principi costituzionali;
mentre  l'imposizione  eventuale di altre misure, che fossero, per il
loro contenuto, lesive dell'autonomia finanziaria regionale, potrebbe
sempre essere contrastata dalle Regioni interessate con gli opportuni
strumenti, ivi compreso il conflitto di attribuzioni.
    34.  - Fondata e' invece la questione che investe il comma 5. Una
misura  drastica  quale l'obbligatoria sospensione dei pagamenti, sia
pure   con   l'eccezione   (la  cui  portata  non  appare  facilmente
precisabile)  di  quelli  la  cui  omissione  potrebbe  causare danni
patrimoniali   all'ente   o   ad   altri  soggetti,  incide  in  modo
irragionevolmente severo sull'autonomia di spesa degli enti, operando
su  procedimenti di spesa gia' avviati: mal si concilia dunque con lo
status costituzionale delle Regioni.
    Il  comma  5  deve  pertanto essere dichiarato costituzionalmente
illegittimo nella parte riguardante le Regioni e le Province autonome
di Trento e Bolzano.
    35.  -  Sono,  infine,  impugnate  due  disposizioni  concernenti
materie specifiche: l'art. 49, comma 18, in materia di urbanistica, e
l'art. 55, comma 14, in materia di agricoltura.
    L'art. 49,  comma 18, e' impugnato dalle Regioni Piemonte (il cui
ricorso  ha  per  oggetto  solo  questa  disposizione) e Veneto. Esso
stabilisce  che  "sono  considerati  validi gli strumenti urbanistici
gia'  intesi  approvati  a  seguito dell'applicazione, da parte degli
enti  che  li  hanno  adottati,  delle procedure del silenzio assenso
previste" da una serie di decreti legge (non convertiti in legge), "i
cui  effetti  sono  fatti  salvi  ai sensi dell'articolo 2, comma 61,
della  legge 23 dicembre 1996, n. 662"; e che "ai fini della presente
disposizione,  il termine di centottanta giorni previsto [dai decreti
legge  predetti] per la formazione del silenzio assenso, non maturato
nel  periodo  di  vigenza  del  singolo  decreto  legge,  si  intende
raggiunto nel periodo di vigenza dei successivi decreti legge".
    La  disposizione  in esame violerebbe anzitutto, secondo entrambe
le Regioni ricorrenti, l'art. 77, terzo comma, secondo periodo, della
Costituzione,  perche'  pretenderebbe  di  estendere la portata della
sanatoria degli effetti dei decreti legge non convertiti al di la' di
quanto  previsto da detta norma costituzionale; e, secondo la Regione
Veneto,   l'art. 77,  secondo  comma,  della  Costituzione,  perche',
pretendendo  di  "saldare"  a  posteriori tra di loro i decreti legge
succedutisi  nel  tempo, contrasterebbe con il limite temporale della
provvisoria efficacia del decreto legge in attesa di conversione.
    Inoltre,  secondo la Regione Piemonte, sarebbero violati l'art. 9
della  Costituzione e le competenze regionali in materia urbanistica,
in  particolare  perche'  al  silenzio in siffatta materia, spettante
alla  competenza  della  Regione  solo  la  legge  regionale potrebbe
attribuire   un   significato  concludente,  quale  si  verifica  col
silenzio-assenso.
    La  Regione  Veneto,  a sua volta, lamenta altresi' la violazione
dell'art. 24  della  Costituzione, in riferimento agli artt. 5, 117 e
118,  perche'  la  Regione  che  non  aveva  a suo tempo interesse ad
impugnare  i  decreti  legge,  per  l'impossibilita' che l'effetto di
approvazione     degli    strumenti    urbanistici,    proprio    del
silenzio-assenso,  si  producesse  entro  il termine di efficacia, di
sessanta  giorni,  proprio  di  ciascuno dei decreti si vedrebbe oggi
preclusa  la  possibilita' di dolersi nei confronti dei decreti legge
medesimi,  ormai  decaduti,  ma  che  verrebbero  "resuscitati" dalla
disposizione  in  esame;  nonche'  la  violazione  dell'art. 3  della
Costituzione,  sempre  in  riferimento  agli  artt. 5, 117 e 118, per
l'irrazionalita'  interna  che  si  manifesterebbe nell'affermare che
sono  considerati  validi  gli  strumenti  urbanistici  "gia'  intesi
approvati"   a   seguito  dell'applicazione  dei  decreti  legge  non
convertiti,  riconoscendo  contemporaneamente  la  necessita'  di una
"saldatura"  fra  i decreti, proprio al fine di determinare l'effetto
dell'approvazione per silenzio-assenso.
    36. - La questione e' fondata.
    I  decreti legge in questione, succedutisi con continuita' fra il
1994  e  il  1996,  e  tutti  decaduti, stabilivano, con disposizioni
pressoche' identiche, che l'approvazione da parte della Regione degli
strumenti  urbanistici  fosse  da intendersi avvenuta - in base ad un
meccanismo  di  silenzio-assenso  -  alla  scadenza  del  termine  di
centottanta   giorni  dalla  loro  trasmissione  da  parte  dell'ente
territoriale  che  li aveva adottati. L'art. 2, comma 61, della legge
n. 662  del  1996,  dopo la decadenza dell'ultimo decreto legge della
"catena",  non  piu'  reiterato,  e senza riprendere la norma da essi
provvisoriamente  introdotta, ha fatto salvi gli effetti prodotti dai
decreti non convertiti.
    Questa  Corte,  investita da due ricorsi della Regione Piemonte e
da un ricorso della Regione Lazio, relativi rispettivamente a due dei
decreti  non  convertiti,  ma i cui effetti erano stati oggetto della
sanatoria,  e  alla  stessa  clausola  di  sanatoria,  ha  gia' avuto
occasione  di  pronunciarsi  (sentenze  nn. 429 e 244 del 1997) sugli
effetti  della  predetta  clausola  di sanatoria, escludendo che essa
potesse    aver    prodotto    l'effetto    di    approvazione,   per
silenzio-assenso,  degli strumenti urbanistici a suo tempo adottati e
trasmessi  alla  Regione,  senza  che questa si pronunciasse. Infatti
ciascun  decreto  ha  avuto  efficacia  solo per sessanta giorni, e i
rispettivi periodi di provvisoria efficacia non potevano sommarsi fra
di  loro  (decaduto  un  decreto  e  ad  esso  succedutone  un altro,
l'efficacia del primo e' venuta meno, e solo il secondo e' operante),
e  dunque  tra  gli  effetti  dei decreti decaduti, consolidati dalla
disposizione  di  sanatoria,  non poteva ritenersi compreso quello di
approvazione degli strumenti, che avrebbe richiesto, per prodursi, il
decorso  del  piu'  ampio  termine  di  centottanta  giorni  sotto il
permanente vigore della stessa disposizione provvisoria. Ne', come e'
evidente,   potrebbe   attribuirsi   alla   clausola   di   sanatoria
un'efficacia  diversa  e  ulteriore rispetto a quella che si dispiega
nel  confermare  o  ripristinare  gli  effetti e quelli soltanto gia'
prodottisi   nel   vigore   dei   singoli   decreti  legge  (restando
"impregiudicato  ovviamente  l'ulteriore  potere  del  legislatore di
regolare  autonomamente  situazioni  pregresse,  nei limiti in cui e'
ammissibile  una legge retroattiva": sentenza n. 244 del 1997). Sulla
base  di  questi  presupposti la Corte ha dichiarato inammissibili le
questioni allora proposte dalla Regione Piemonte, aventi ad oggetto i
decreti  legge  non  convertiti,  ed  infondata la questione proposta
dalla  Regione  Lazio  in  relazione  agli artt. 115, 117 e 118 della
Costituzione   (mentre   la  stessa  questione  e'  stata  dichiarata
inammissibile con riferimento all'art. 77 della Costituzione), avente
ad oggetto la clausola di sanatoria.
    La  disposizione  qui  impugnata,  la  quale stabilisce che "sono
considerati  validi",  in forza di un silenzio-assenso che si sarebbe
formato,  gli  strumenti  urbanistici  adottati  sotto  il vigore dei
decreti  legge  decaduti,  e  che  il  termine  di centottanta giorni
previsto  per  la formazione del silenzio-assenso, non maturato sotto
il  vigore di alcuno dei singoli decreti legge, "si intende raggiunto
nel periodo di vigenza dei successivi decreti legge", pretende dunque
di  far  luogo  ad  un  effetto diverso e ulteriore rispetto a quello
derivante  dalla  clausola  di sanatoria contenuta nell'art. 2, comma
61,  della  legge  n. 662  del  1996;  e  di  disporre,  con  effetto
retroattivo, che un silenzio-assenso mai formatosi si debba intendere
oggi  ora per allora, perfezionato, convalidandosi cosi' a posteriori
l'efficacia  di  strumenti  urbanistici  che  in realta' non sono mai
stati approvati dalla Regione.
    Ora,  indipendentemente  dai  limiti  generali  che, dal punto di
vista  costituzionale,  debbono ritenersi operanti per il legislatore
che   intenda   attribuire   efficacia   retroattiva   alle   proprie
disposizioni,  e'  evidente che, nella specie, al legislatore statale
non  puo' ritenersi consentito disporre con efficacia retroattiva che
l'approvazione  espressa  degli  strumenti urbanistici da parte della
Regione,  richiesta  dalla  legge regionale, deve intendersi come non
necessaria,  e  che  strumenti  non  approvati  dalla Regione debbono
intendersi ciononostante operanti. In tal modo infatti il legislatore
statale,  lungi  dallo  stabilire,  nell'ambito della sua competenza,
principi  fondamentali  per  la successiva legislazione regionale, ai
sensi  dell'art. 117,  primo  comma,  della  Costituzione,  viene  ad
invadere  la  sfera  della competenza legislativa regionale, e anzi a
vanificare,  per il passato, l'efficacia della legislazione regionale
a suo tempo validamente in vigore.
    La   disposizione   impugnata   deve   dunque  essere  dichiarata
costituzionalmente  illegittima  per  violazione  dell'art. 117 della
Costituzione, restando assorbito ogni ulteriore profilo di censura.
    37. - L'ultima disposizione impugnata, dalla sola Regione Veneto,
e'  l'art. 55, comma 14. Esso stabilisce che "gli interventi pubblici
nel  settore  agricolo  e  forestale  e  le  azioni  di sostegno alle
attivita' produttive agricole si esplicano nel quadro degli obiettivi
prioritari     fissati     dal     Documento     di    programmazione
economico-finanziaria,  con particolare riferimento al contenimento e
all'armonizzazione   con   i  costi  medi  comunitari  dei  costi  di
produzione   delle   imprese  agricole,  al  fine  di  accrescere  la
competitivita',  favorire l'innovazione tecnologica e l'imprenditoria
giovanile  e  garantire  la  sicurezza  alimentare".  La disposizione
prosegue  prevedendo  una  delega  al Governo ad emanare, sentita fra
l'altro  la  Conferenza  Stato-Regioni,  disposizioni legislative con
l'osservanza  di  principi  e  criteri  direttivi  che  vengono cosi'
indicati:  "a)  contenimento ed armonizzazione rispetto ai costi medi
europei   dei  fattori  di  produzione,  dei  costi  dei  fattori  di
produzione  delle  imprese agricole, con particolare riferimento agli
oneri  fiscali, contributivi e previdenziali, ai costi energetici, ai
costi  di  trasporto  e  al  costo del denaro; b) accrescimento delle
capacita'  concorrenziali  del  sistema  agro-alimentare  nel mercato
europeo   ed  internazionale,  anche  con  l'estensione  del  credito
specializzato   e   dei  servizi  assicurativi  all'esportazione  dei
prodotti   verso   i   Paesi   extracomunitari;   c)   adeguamento  e
modernizzazione  del  settore, favorendo il rafforzamento strutturale
delle  imprese  agricole  e  l'integrazione  economica  della filiera
agro-industriale;  d)  accelerazione  delle procedure di utilizzo dei
fondi strutturali riservati al settore agricolo e razionalizzazione e
adeguamento  del  sistema  dei  servizi  di interesse pubblico per lo
stesso settore".
    Secondo  la  Regione  ricorrente  si  verificherebbe, gia' con la
disposizione  di delega, una lesione delle attribuzioni regionali, in
quanto  si prevede una analitica disciplina delle attivita' agricole,
da  attuarsi  con  decreto  legislativo,  con  il  solo  parere della
Conferenza  Stato-Regioni,  senza  che  sia  indicata  fra  i criteri
direttivi la salvaguardia delle competenze regionali in materia.
    38. - La questione non e' fondata.
    La  prima  parte  della  disposizione  impugnata  si riferisce ad
obiettivi   generali   della   programmazione  nazionale,  come  tali
suscettibili  di costituire il "quadro" nel quale si inscrivono anche
le politiche regionali di settore.
    La  delega  legislativa prevista dalla seconda parte del comma 14
esercitata  dal Governo con il d.lgs. 30 aprile 1998, n. 173, che non
risulta essere stato impugnato dalla Regione ricorrente non e' di per
se'  lesiva  delle  competenze  regionali, e non modifica ne' tende a
modificare  l'esistente riparto delle competenze fra Stato e Regioni.
Essa  deve  essere  intesa  nel  senso  che riguarda la disciplina di
oggetti  rientranti  nella  competenza  dello  Stato  come  del resto
suggerisce   il  riferimento,  nell'ambito  dei  principi  e  criteri
direttivi,  a  materie  sicuramente  tali,  quali gli oneri fiscali e
contributivi,   il   costo   del   denaro,   i  servizi  assicurativi
all'esportazione   e   per   il  resto  consente  solo  di  stabilire
eventualmente   disposizioni   di  principio,  nell'ambito  dei  piu'
generali   principi   enunciati  nella  stessa  norma  di  delega,  o
disposizioni  di  coordinamento.  Ne'  puo' trascurarsi il fatto che,
tenendo   conto  delle  interferenze  con  la  materia  di  spettanza
regionale,   la   disposizione   in  esame  prevede  che  il  decreto
legislativo sia emanato sentita la Conferenza Stato-Regioni.
    Resta  ovviamente  impregiudicata  la  possibilita'  di sindacato
sulle norme legislative delegate, anche sotto il profilo del rispetto
delle competenze regionali.
    39. - Le Regioni Lombardia e Veneto censurano altresi' l'art. 32,
commi  2,  4  e  5,  della legge n. 449 del 1997, in riferimento agli
artt. 2,  32  e  97  della  Costituzione;  l'art. 39,  comma  19,  in
riferimento  agli  artt. 32,  97 e 128 della Costituzione; l'art. 47,
comma  1,  in  riferimento all'art. 97 della Costituzione; l'art. 48,
comma  1,  in  riferimento  all'art. 97 della Costituzione; mentre la
sola  Regione  Lombardia  censura  l'art. 48, comma 4, in riferimento
all'art. 97  della  Costituzione. Tali censure, tuttavia, non sono in
alcun  modo  argomentate  ne'  nei  ricorsi  introduttivi  ne'  nelle
successive memorie, sicche', sotto questi profili, le questioni vanno
dichiarate inammissibili.