IL TRIBUNALE REGIONALE DELLE ACQUE PUBBLICHE Pronuncia la seguente ordinanza nella causa, iscritta al n. 22/98 del ruolo generale, promossa da: 1) Nardi Claudio e da 2) Altra Riva S.r.l., in persona del legale rappresentante, arch. Claudio Nardi, con sede in Firenze; elettivamente domiciliati presso la persona e lo studio dell'avv. Iacopo Sforzellini, via Venezia, 8 - Firenze, che li rappresenta e difende per procura estesa a margine dell'atto introtuttivo del giudizio, attori; Contro: 1) Regione della Toscana, ufficio del genio civile, elettivamente domiciliata presso l'Avvocatura regionale, via Cavour, 18 - Firenze, rappresentata e difesa, per procura estesa in calce alla copia notificata del ricorso, dell'avv. G. Vincelli, dell'Avvocatura regionale di Firenze; 2) Ministero dei lavori pubblici, col patrocinio ex lege dell'Avvocatura dello Stato nel distretto di Firenze, via degli Arazzieri, n. 4; 3) Provveditorato alle opere pubbliche per la Toscana, col patrocinio ex lege dell'Avvocatura dello Stato nel distretto di Firenze, via degli Arazzieri, n. 4, convenuti, Causa avente ad oggetto: autorizzazione alla perforazione di un pozzo. Cenni allo svolgimento del processo Con l'atto introduttivo del giudizio gli attori esponevano che il Ministero dei lavori pubblici, provveditorato alle opere pubbliche per la Toscana, aveva (con provvedimento del 31 agosto 1998) loro negato l'autorizzazione alla perforazione di un pozzo in prossimita' dell'Arno sulla base dell'infondata motivazione che tale "perforazione, prevista sull'arginatura classificata in seconda categoria e quindi in zona di divieto assoluto - avrebbe costituito - un pericolo per la sicurezza della difesa idraulica"; essi lamentavano, inoltre, che, con provvedimento dell'8 ottobre 1998, anche l'ufficio del genio civile della Regione Toscana avesse rigettato l'analoga istanza ad esso proposta in riferimento "al parere negativo espresso con nota del 31 agosto 1998 dal Ministero dei lavori pubblici, provveditorato alle opere pubbliche per la Toscana". Premesso che, non essendovi, in loco, alcuna "arginatura di seconda categoria" e dovendo, quindi, essere rispettata, per la perforazione del pozzo in parola, solo la distanza minima di dieci metri dal ciglio di sponda, non vi era alcun motivo, di fatto o di diritto, che potesse giustificare i provvedimenti amministrativi de quibus, gli attori concludevano di conseguenza. Costituitesi in giudizio le amministrazioni convenute contrastavano la domanda in fatto e in diritto e ne chiedevano il rigetto. Disposta ed eseguita ctu, precisate, hinc et inde, le conclusioni, concessi i termini di cui all'art. 190 c.p.c., la causa veniva esaminata dal collegio, per la decisione, nella camera di consiglio del 19 aprile 2000. Sulla rilevanza della questione che si intende prospettare Prima di procedere all'esame del merito della controversia il collegio intende verificare la correttezza della propria costituzione. Essa e', infatti, certamente, presupposto del legittimo esercizio del potere giurisdizionale conferito dalla legge, non potendo dubitarsi che la valenza del dovere di ciascuno di rispettare le norme dell'ordinamento sia, in linea di principio, assoluta; mentre trovasi invece su di un diverso e distinto piano giuridico la scelta, che il legislatore puo' fare, di sottrarre ex post, all'ambito di ogni possibile quaerela nullitatis delle parti, determinate anomalie, anche relative alla costituzione del giudice, vericatesi nel processo. In sostanza, dunque, il collegio intende procedere all'emanazione della pronuncia di merito che qui e' richiesta solo dopo aver accertato di essere, a questo fine, regolarmente costituito. Va subito osservato, in proposito, che non e' per nulla dubbio che la costituzione del collegio sia avvenuta in conformita' a quanto disposto dall'art. 138 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 (del seguente tenore: "Presso ciascuna delle sottoindicate sedi di Corte di appello e' istituito un tribunale regionale delle acque pubbliche: 1) Torino: per le circoscrizioni delle Corti di appello di Torino e Genova; 2) Milano: per le circoscrizioni delle Corti di appello di Milano e Brescia; 3) Venezia: per le circoscrizioni delle Corti di appello di Venezia e Trieste; 4) Firenze: per le circoscrizioni delle Corti di appello di Bologna e Firenze; 5) Roma: per le circoscrizioni delle Corti di appello di Roma, L'Aquila ed Ancona; 6) Napoli: per le circoscrizioni delle Corti di appello di Napoli, Bari e Catanzaro; 7) Palermo: per le circoscrizioni delle Corti di appello di Palermo, Catania e Messina; 8) Cagliari: per la circoscrizione della Corte di appello di Cagliari. Il tribunale e' costituito da una sezione della Corte di appello designata dal primo presidente alla quale sono aggregati tre funzionari del genio civile designati dal presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici e nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro Guardasigilli. Essi durano in carica cinque anni e possono essere riconfermati ... (i puntini tengono luogo del quarto comma, relativo alle indennita' spettanti ai componenti, abrogato dall'art. 1 della legge 18 gennaio 1949, n. 18). I tribunali delle acque pubbliche decidono con intervento di tre votanti, uno dei quali deve essere funzionario del genio civile"); oggetto di esame deve essere, invece, a parere del tribunale, la conformita' della disposizione di cui trattasi, nella parte in cui prevede l'integrazione del collegio col componente laico, al disposto dell'art. 108 c.p.v. della Costituzione, per il quale "la legge assicura l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di esse, e degli "estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia" (e' pacifico, in giurisprudenza e in dottrina che i tribunali regionali delle acque pubbliche siano sezioni specializzate delle Corti d'appello presso le quali siedono ed e', altresi', pacifico che la norma costituzionale ora ricordata si riferisca anche, proprio, ai componenti laici delle sezioni specializzate i quali, in armonia con la ulteriore previsione costituzionale di cui all'art. 102 c.p.v., sono, appunto, "estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia"); il tribunale ritiene, poi, che la valutazione della disciplina legislativa che viene in campo debba, inoltre, essere condotta alla stregua del disposto dell'art. 97, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui esso esige che le "disposizioni di legge - assicurino - il buon andamento dell'amministrazione" (ed e' pacifico, nella giurisprudenza costituzionale, che tale norma riguardi anche l'amministrazione della giustizia). La questione che il tribunale intende sottoporre alla Corte costituzionale e', in sintesi, quella della legittimita' costituzionale dell'art. 138 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, in riferimento agli artt. 108 cpv. e 97, primo comma, della Costituzione, limitatamente alla seguente, ultima parte: "alla quale sono aggregati tre funzionari del genio civile designati dal presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici e nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro Guardasigilli. Essi durano in carica cinque anni e possono essere riconfermati ... I tribunali delle acque pubbliche decidono con intervento di tre votanti, uno dei quali deve essere funzionario del genio civile"); poiche', se la Corte accogliesse la questione nei termini qui prospettati, sarebbe escluso il potere del collegio di decidere la presente controversia non puo' dubitarsi della rilevanza della questione sopra indicata nel presente procedimento. Sulla non manifesta infondatezza della questione che si intende prospettare 1. - Nell'affrontare il tema proposto e' d'uopo prendere le mosse dai precedenti specifici del tribunale superiore delle acque pubbliche e della SC che (quest'ultima a piu' riprese e anche a sezioni unite) hanno affermato la manifesta infondatezza di questioni analoghe, riferite piu' che altro alla corrispondente norma di cui all'art. 139 del regio decreto 11 dicembre 1993, n. 1775, relativa alla composizione del tribunale superiore delle acque pubbliche. Puo' rammentarsi, in particolare, che la SC, con la pronunzia, resa a sezioni unite, n. 5327 del 17 novembre 1978 (in Rass. Avv. Stato, 1980, I, 847), ha affermato, richiamando, sul punto, propri precedenti relativi al caso della partecipazione dei funzionari dell'ufficio tecnico erariale alle commissioni tributarie (ma la richiamata Cass. SU 10 giugno 1968, n. 1769, e', per il vero, specificamente relativa alla composizione del tribunale superiore delle acque pubbliche): "a) che i tecnici sono chiamati a portare negli organi giudicanti un contributo di conoscenza ed esperienza che difficilmente potrebbe essere dato da estranei all'amministrazione da cui provengono; b) che, allorquando partecipano all'attivita' di organi giudicanti, i tecnici sono liberi da vincoli, d'ordine gerarchico e simili, che possano far pensare a una limitazione della loro autonomia di decisione (sent. 10 giugno 1968, n. 1769); e' stato, altresi', precisato (sent. 22 dicembre 1964, n. 2950) che sia il procedimento di nomina dei tecnici (art. 139 del t.u. sulle acque pubbliche) sia la durata della carica sia la predisposizione di strumenti processuali a tutela dell'imparzialita' dei giudici (come l'istituto della ricusazione) costituiscono elementi idonei a garantire l'indipendenza dei tecnici rispetto all'amministrazione da cui provengono". A sua volta il tribunale superiore delle acque pubbliche ha affermato (pronunzia del 5 ottobre 1983, n. 26, in Cons. Stato, II, 1264), richiamando, come proprio precedente, la sentenza 8 novembre 1975, n. 22 (in Cons. Stato, 1976, II, 1263), la manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' dell'art. 138, secondo, terzo e quinto comma, e 139, secondo, terzo e quinto comma, t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, con riferimento agli artt. 101 e 108 della Costituzione. Il tribunale superiore delle acque pubbliche giungeva a tale conclusione pur dopo avere espressamente preso atto che "la Corte costituzionale, con la sentenza n. 25 del 1976, ripetendo un concetto gia' esposto nella sentenza n. 49 del 1968 - aveva - rilevato, con riguardo ai membri del Consiglio di giustizia amministrativa della Regione siciliana designati dalla giunta regionale, che la loro indipendenza era "sicuramente compromessa per effetto della disposizione che prevede, al termine del quadriennio, la possibilita' di riconferma nell'incarico, secondo il discrezionale apprezzamento del Governo regionale". Il tribunale superiore delle acque pubbliche argomentava, in proposito, che la Corte costituzionale aveva "corroborato tale avviso osservando che trattasi "di membri ... la cui nomina o conferma (ancorche' con decreto presidenziale) avviene, come per gli altri componenti dell'organo, su proposta del Presidente del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il presidente della regione: talche', proprio in rapporto alla prospettiva d'una eventuale conferma, l'indipendenza di questi giudici non puo' ritenersi assicurata dalla legge, sia nei confronti del Governo centrale sia, soprattutto, di quello regionale ": questa conclusione, sosteneva il tribunale superiore delle acque pubbliche, "certamente non vale per i membri non togati dei tribunali delle acque, in quanto, come si pose in luce gia' nella citata sentenza delle sezioni unite del 1964, l'art. 10, primo comma, n. 2, della legge 24 marzo 1958, n. 195, demanda al Consiglio superiore della magistratura anche la delibera sulla nomina e sulla revoca degli organi giurisdizionali specializzati; la posizione di assoluta indipendenza del Consiglio rispetto al potere esecutivo rende, infatti; inconfigurabile l'ipotesi di una condizionante ingerenza delle amministrazioni statali nella nomina e nella riconferma dei giudici della magistratura delle acque pubbliche". 3. - Gli argomenti supra ricordati, della SC e del tribunale superiore delle acque pubbliche, paiono al tribunale insufficienti a contrastare la tesi della possibile illegittimita' costituzionale della disciplina che viene in campo, soprattutto alla luce della giurisprudenza costituzionale relativa al valore e al significato dell'art. 108 della Costituzione. E' opportuno, a tal proposito, riportare testualmente, qui di seguito, le piu' interessanti affermazioni che la Corte costituzionale ha avuto, via via, occasione di fare nella materia in esame. Nella sentenza 21 dicembre 1961, n. 76 (oggetto della quale era la questione di legittimita' costituzionle dell'art. 7 della legge 4 agosto 1948, n. 1094 - istitutiva delle sezioni specializzate per la soluzione delle controversie relative a proroga dei contratti agrari parziari - limitatamente ai "precisi termini" in cui la questione stessa era stata proposta dall'ordinanza di rinvio e, pertanto, in relazione esclusiva alla prevalenza, ivi disposta, del numero degli estranei rispetto a quello dei magistrati componenti il collegio e all'ipotesi che tale prevalenza potesse alterare il carattere di sezione specializzata attribuito a tale organo, facendola cosi' rientrare tra le giurisdizioni speciali, oggetto di esplicito divieto da parte dell'art. 102 della Costituzione), si legge fra l'altro: "L'art. 102, secondo comma, della Costituzione, ... consente quelle sole sezioni specializzate che siano istituite "presso gli organi giudiziari ordinari: termine questo con il quale si e' voluto significare l'esistenza di un nesso organico, di una compenetrazione istituzionale tra le une e gli altri. Se la sezione specializzata deve essere considerata, come si desume dall'art. 102, non gia' un tertium genus fra la giurisdizione speciale e quella ordinaria, bensi' una species di quest'ultima, bisogna fare riferimento ai caratteri funzionali e strutturali che appaiono meglio indicati ad accostarla ad essa. Dal punto di vista della struttura ... le sezioni non possono essere sottratte alla sorveglianza dei capi degli uffici giudiziari ai quali sono collegate. Quanto alla loro composizione deve considerarsi elemento distintivo la presenza nel collegio di magistrati ordinari. Se anche e' vero che tale presenza puo' riscontrarsi pure in giurisdizioni speciali (come avviene, per es. nel tribunale superiore delle acque pubbliche allorche' decide come unica istanza), essa, tuttavia, rimane quale circostanza del tutto accidentale, mentre nelle sezioni specializzate non puo' mai mancare. Inoltre, l'autonomia che caratterizza la giurisdizione ordinaria nei confronti di poteri diversi dall'ordine della magistratura deve trovare espressione, per quanto riguarda i cittadini idonei, nel farne dipendere la preposizione alla carica da un atto proveniente da organi della medesima (secondo dispone l'art. 10, n. 1, della legge sul Consiglio superiore della magistratura, che l'affida, per delega da parte del Consiglio stesso, ai presidenti delle Corti di appello). (Omissis). La finalita' che ... giustifica la "partecipazione di cittadini alle sezioni specializzate non e' quella di farvi risonare la voce di una generica "coscienza sociale bensi' l'altra, di acquisire l'apporto di conoscenze tecniche o di particolari esperienze di vita, quando cio' sia riconosciuto utile ad una migliore applicazione della legge ai rapporti concreti. Che siffatta partecipazione sia stata prevista come meramente eventuale (sicche' puo' anche mancare senza che ne riesca alterato il carattere proprio della sezione in parola) e che in ogni caso essa e' meramente integrativa e complementare rispetto a quella dei magistrati si puo' argomentare dalla congiunzione "anche che precede il riferimento alla medesima". Nella sentenza 11 dicembre 1962, n. 108 (con la quale la Corte costituzionale dichiaro' la illegittimita' costituzionale dell'art. 5 della legge 18 agosto 1948, n. 1140, e dellart. 1 della legge 3 giugno 1950, n. 392, sostitutivo del testo dell'art. 2 della legge 25 giugno 1949, n. 353, in relazione agli artt. 102, secondo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione), si legge ancora: "La Corte, nella ... sua precedente sentenza n. 76 del 1961, ebbe a ritenere che le sezioni specializzate, per corrispondere all'intento che mosse il Costituente nel consentirne l'istituzione, debbono essere configurate non gia' come un istituto intermedio fra le soppresse giurisdizioni speciali e la giurisdizione ordinaria, bensi' quale sottospecie di quest'ultima, con la conseguente esigenza di strutturarle adottando le modalita' meglio idonee ad accostarle, per quanto possibile, ad essa. Una conferma di tale esigenza puo' dedursi anche dalla legge n. 195 del 1958 che attribuisce, come si e' visto, il potere di nominare e revocare gli esperti proprio all'organo istituito per garantire l'esercizio indipendente della funzione giurisdizionale ordinaria. Non si vuole, cosi' dicendo, affermare che per gli estranei alla magistratura siano da richiedere requisiti analoghi a quelli prescritti per gli appartenenti a quest'ultima, riuscendo, se cosi' fosse, frustrata la stessa ratio che ebbe ad ispirare l'istituto delle sezioni specializzate, consistente nell'assicurare ad esse - data la specialita' della materia affidata alla loro competenza - il contributo che si pensa possa provenire da coloro che, pur mancando di cognizioni giuridiche, siano tuttavia in possesso di nozioni, attitudini, esperienze concrete, idonee a meglio adeguare, nell'esercizio dell'attivita' decisoria, l'esatta interpretazione del precetto normativa con le reali situazioni e rapporti ai quali essa ha riguardo. Ed in questo senso deve interpretarsi l'eliminazione dal testo della Costituzione dell'inciso "secondo le norme dell'ordinamento giudiziario che era contenuto nel progetto a proposito dell'organizzazione delle sezioni specializzate. Si vuole, invece, mettere in rilievo l'esigenza che, nell'istituire le sezioni specializzate, la legge non possa dispensarsi da una precisa e puntuale determinazione tanto dei requisiti dai quali possa presumersi il possesso da parte dei cittadini estranei all'ordine giudiziario di quella idoneita' richiesta dall'art. 102 (idoneita' da intendere nel senso prima indicato, e quindi variabile con il variare della materia oggetto della competenza di ciascun tipo di sezione), quanto di un minimo almeno di garanzie necessarie a conferire agli esperti medesimi quella posizione super partes, che e' attributo connaturale all'esercizio della funzione giurisdizionale e che si concreta, appunto, nel requisito dell'indipendenza, richiesto testualmente, proprio pel personale di cui si parla, dall'art. 108. Ora, le norme impugnate si astengono da ogni anche approssimativa e sommaria specificazione nel senso indicato. Cio' appare evidente nei riguardi del requisito dell'idoneita'. A differenza di quanto avviene per altri organi che possono assimilarsi alle sezioni specializzate (tribunali per i minorenni, tribunali regionali per le acque pubbliche, Corti di assise), per i quali tale requisito o e' oggetto di apposite disposizioni legislative, oppure risulta esplicitamente presupposto in quanto inerente all'ufficio ricoperto (come avviene per gli ingegneri del genio civile designati a far parte del tribunale regionale delle acque), nulla e' disposto dalle leggi in esame in ordine alla capacita' dei membri estranei, tanto se questa sia da intendere in senso generico, quanto nel senso specifico del possesso di determinate attitudini tecniche. (Omissis). Anche per quanto attiene all'indipendenza non e' dato rinvenire alcuna predisposizione che valga a farla ritenere assicurata. Non puo' accedersi all'opinione adombrata nelle deduzioni dell'Avvocatura che interpretano il precetto costituzionale nel senso dell'affidamento al legislatore di un'assoluta discrezionalita' nella disciplina delle sezioni e vedono nella "riserva di legge di cui all'art. 108 la sola garanzia voluta stabilire. Non si scorge, infatti, il fondamento su cui possa poggiare la differenza di trattamento che si vorrebbe porre fra questa e le altre "riserve stabilite dalla Costituzione, le quali, anche se, come l'attuale, non siano "rinforzate , sono ritenute suscettibili di dar vita al sindacato rivolto ad accertare se vi sia una qualche, anche minima, corrispondenza fra la legge emessa nella materia riservata e l'interesse che la Costituzione ha inteso tutelare sancendo la riserva. Non e' contestabile che il requisito dell'indipendenza e' difficilmente configurabile in termini precisi, perche' la sua regolamentazione propone problemi diversi secondo la diversita' delle strutture statali e le epoche storiche, e non consente uniformita', dovendo adeguarsi alla varieta' dei tipi di giurisdizione. Cosi', se puo' ammettersi che, fra gli scopi cui si vuole soddisfino le sezioni specializzate, sia compreso quello di far risuonare nel seno del collegio giudicante la voce di determinate esigenze sociali, appare giustificato, nei casi in cui da esse siano state espresse apposite organizzazioni, consentire che da queste ultime provengano i membri estranei. Ma quando cio' accada non puo' prescindersi dal richiedere che costoro, una volta assunti alla carica, pur se chiamati a riflettere gli interessi generali del settore rappresentato, siano tuttavia sottratti ad una situazione di passiva obbedienza di fronte all'associazione di provenienza, cosi' da consentire loro di procedere all'applicazione della legge sulla base di una obbiettiva considerazione degli elementi emergenti dalla causa. In modo piu' particolare poi non puo' prescindersi dall'esigere che, nell'ordinamento delle sezioni specializzate, sia resa possibile la costante osservanza, anche nei riguardi dei membri estranei, del principio generale della precostituzione del giudice, nonche' l'applicazione di quegli istituti (come per es. quelli dell'astensione e della ricusazione) necessari ad assicurare la loro estraneita' all'interesse delle parti fra cui verte la controversia. Ora ritiene la Corte che per quanto riguarda le sezioni agrarie facciano difetto le condizioni rilevate. Infatti, da una parte, la nomina degli esperti, se pure affidata ai capi delle Corti di appello, rimane vincolata alla scelta di uno dei due nomi designati dalle associazioni, e dall'altra fa difetto ogni determinazione della durata in carica dei medesimi, il che accresce di fatto il potere delle associazioni di richiedere in ogni momento la sostituzione dei membri in carica con altri (deficienze queste che appaiono tanto piu' gravi quando si tenga presente la prevalenza numerica nelle sezioni di primo grado dei membri predetti rispetto ai giudici togati). (Omissis). Pertanto, il contrasto della vigente organizzazione delle sezioni agrarie specializzate con esigenze fondamentali di ogni giurisdizione non puo' non farla considerare incostituzionale". Nella sentenza 9 aprile 1968, n. 33 (con la quale fu statuita la illegittimita' costituzionale di alcune delle disposizioni del d.l.c.p.s. 15 novembre 1946, n. 367, ratificato con legge 17 aprile 1956, n. 561, concernente l'istituzione della giunta giurisdizionale amministrativa della Valle d'Aosta), si legge poi: "La prima e fondamentale censura che investe la composizione in sede giurisdizionale della giunta della Valle d'Aosta e' fondata. Evidente e' l'analogia tra la questione ora in esame e quelle proposte in ordine alla composizione in sede giurisdizionale dei consigli di prefettura e delle giunte provinciali amministrative, decise rispettivamente con sentenze n. 55 del 1966 e n. 30 del 1967. Anche nei riguardi dei componenti della giunta della Valle indicati nei nn. 2 e 3 dell'impugnato art. 1 sono ravvisabili motivi validi per escludere che l'organo giurisdizionale cui appartengono (non diversamente da quanto la Corte ebbe ad affermare nelle richiamate sentenze) possa essere considerato indipendente. Trattasi infatti di funzionari: consigliere di prefettura - ora direttore di sezione - designato dal prefetto di Torino e intendente di finanza di Aosta, la cui nomina, sebbene avvenga per la durata di un biennio (con decreto del Presidente della Repubblica, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 1 modificato dall'art. 3 della legge 1o marzo 1949, n. 76) resta pur sempre basata sul presupposto di un titolo particolare, quale appunto l'appartenenza del primo alla prefettura di Torino e la destinazione del secondo alla direzione dell'intendenza di finanza di Aosta. Il potere esecutivo, rispetto al quale detti funzionari si trovano in posizione di dipendenza gerarchica, ha quindi la possibilita', assolutamente discrezionale di far venire meno tale presupposto disponendo il trasferimento in altra sede di detti funzionari con conseguente loro decadenza dalla nomina a componenti della giunta anche prima della scadenza del termine fissato nel decreto presidenziale. La rinnovazione, sia pure parziale, del consesso giurisdizionale, dipenderebbe in definitiva dal potere spettante all'amministrazione centrale in ordine alla carriera ed ai trasferimenti dei funzionari in questione. Vero e' che essi - a differenza di quanto osservato per le giunte provinciali amministrative - non rappresentano la maggioranza dei componenti dell'organo giurisdizionale in esame. Ma, a parte che ne costituiscono i due quinti, sta di fatto che la partecipazione ad un organo giurisdizionale di un solo componente non indipendente e' sufficiente a minare l'imparzialita' dell'organo". Nella sentenza 9 maggio 1968, n. 49 (con cui fu dichiarata l'illegittimita' costituzionale della legge 23 dicembre 1966, n. 1147, recante modificazioni alle norme sul contenzioso elettorale amministrativo, e inoltre, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni sulla procedura davanti alla giunta provinciale amministrativa in sede giurisdizionale, contenute nel titolo II del r.d. 26 giugno 1924, n. 1058, recante l'approvazione del t.u. delle leggi sulle giunte provinciali amministrative in sede giurisdizionale, la Corte costituzionale ebbe modo di affermare fra l'altro: "Fondato e' ... il terzo motivo che, richiamandosi agli artt. 101 e 108, nega alla composizione del collegio giudicante l'idoneita' ad assicurare la indipendenza dei giudici e l'imparzialita' del giudizio. Infatti due dei cinque componenti sono funzionari statali (prefetti o vice prefetti) e vengono scelti e nominati su proposta del Presidente del Consiglio con decreto del Capo dello Stato. La nomina governativa di per se' non sarebbe ragione di illegittimita' costituzionale (sentenza n. 1 del 1967) se i funzionari, appena nominati, acquistassero indipendenza rispetto al Governo e alla pubblica amministrazione. Essi, invece, sebbene collocati fuori ruolo, continuano ad appartenerle, beneficiano dei miglioramenti o avanzamenti di carriera, ritornano nei ruoli allo scadere del quinquennio o, eventualmente, col proprio consenso, anche prima: situazione di dipendenza del Governo che innegabilmente e' accentuata dal possibile o sperato rinnovo della nomina. Solo la definitiva rottura del rapporto di servizio e l'assunzione dello status professionale di giudici renderebbe indipendenti i funzionari nominati dal Governo. Percio' la norma impugnata viola l'art. 108, secondo comma, della Costituzione. Gli altri tre componenti sono designati, con votazione a maggioranza, dal consiglio regionale o dall'assemblea dei consiglieri provinciali della regione. Questo tipo di scelta di per se' non sarebbe illegittimo (come s'e' visto che non sarebbe illegittima la nomina governativa), anche perche' il legislatore, non consentendo piu' d'una designazione per votante, si e' preoccupato di evitare che delle designazioni disponessero le sole maggioranze. Preclusioni costituzionali all'uno o all'altro modo di scelta non sussistono, una volta stabilito che si tratta di giurisdizioni speciali, mentre il concorso e' prescritto per i soli giudici ordinari (art. 106 della Costituzione), e tenuto conto del fatto che i giudici scelti secondo la legge denunciata non coprono tutta l'area del collegio. Ne' si puo' dimenticare che, per una parte, i giudici della stessa Corte costituzionale e del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana sono eletti e, rispettivamente, designati da organi politici, la garanzia essendo data, nell'uno e nell'altro caso, non dalla fonte della scelta, ma dall'indipendenza del collegio e del giudice. Senonche' l'indipendenza degli "estranei designati dai consigli provinciali non e' del tutto assicurata dall'art. 2 della legge 1966 n. 1147: e cio', non perche' essi siano in certo senso giudici "in causa propria (infatti sono persone estranee ai consigli che li hanno designati e portano la volonta' di tutta la popolazione regionale); ma perche', al cessare del quinquennio, la designazione puo' essere rinnovata: la sola prospettiva del reincarico basta a escludere l'indipendenza di costoro dai consigli provinciali o regionali. Come dire che la legge, pur volendoli normalmente inamovibili, e' in contrasto con gli artt. 108 e 101 della Costituzione". Nella sentenza 25 marzo 1970, n. 53 (con la quale la Corte costituzionale dichiaro' non fondata la questione di legittimita' costituzionale concernente gli artt. 3, quarto comma, e 4 della legge 2 marzo 1963, n. 320, sulla composizione delle sezioni specializzate agrarie, sollevata in riferimento agli artt. 104, 105, 108 della Costituzione), e' stato ancora, affermato: "Le ordinanze imputano agli articoli che si sono prima ricordati della legge 2 marzo 1963, n. 320, la violazione degli artt. 104, 105 e 108 della Costituzione, nella considerazione che le modalita' dai medesimi fissate per la nomina degli esperti i quali entrano a comporre le sezioni specializzate agrarie non garantiscono ne' l'indipendenza ne' l'imparzialita' dei loro giudizi. Deve anzitutto essere osservato come del tutto estraneo e inconferente alla questione sollevata sia il richiamo fatto dalle ordinanze stesse agli artt. 104 e 105 della Costituzione, dato che questi hanno riguardo esclusivamente ai componenti la magistratura, intesa questa nel nucleo ben delimitato risultante solo da quella parte degli appartenenti all'ordine giudiziario costituita dai giudici ordinari, rispetto ai quali solamente sono previste particolari forme di garanzie, come quella che affida i provvedimenti di stato ad essi relativi ad uno speciale organo, qual e' il Consiglio superiore della magistratura. E poiche' nella specie e' in contestazione il rispetto delle condizioni di indipendenza di "estranei partecipanti all'amministrazione della giustizia , alle quali si riferisce l'art. 108, l'indagine deve essere compiuta (contrariamente a quanto ritiene l'ordinanza del tribunale di Roma, secondo cui sarebbe da riservare all'esclusiva competenza del Consiglio superiore della magistratura l'accertamento dei requisiti oltre che la nomina degli esperti medesimi) alla stregua solo di quest'ultima disposizione. Da essa risulta che il costituente si e' limitato a disporre solamente un rinvio alla legge, sicche' il giudizio di costituzionalita' deve essere circoscritto ad accertare se la disciplina stabilita da quella denunciata prescriva almeno un minimo di requisiti che rendano ragionevole la presunzione della loro corrispondenza all'imperativo della Costituzione. Cio' non diversamente da quanto prescritto per i componenti le giurisdizioni speciali: dal che si desume la infondatezza della tesi secondo cui sussisterebbe l'obbligo pel legislatore di differenziare le garanzie in parola secondo che si riferiscano ai componenti dell'una o dell'altra delle due categorie di organi ora menzionati. Nella specie le garanzie predisposte con la legge denunciata sono da ritenere sufficienti. (Omissis). Accertato ... che agli ispettorati compartimentali e' demandata una funzione esclusivamente preparatoria e non gia' decisionale per quanto attiene alla preposizione degli esperti, diviene irrilevante indagare se le sezioni siano, come si assume, chiamate effettivamente a giudicare su atti predisposti dagli ispettorati medesimi. Pertanto deve ritenersi che la legge denunciata abbia pienamente soddisfatto quelle esigenze di assicurare tanto l'idoneita' degli esperti alle funzioni loro attribuite quanto la loro indipendenza dalle parti e dalla pubblica amministrazione, secondo quanto era stato richiesto con le precedenti pronunce di questa Corte n. 76 del 1961 e 108 del 1962, anche per quanto riguarda quel particolare aspetto dell'imparzialita', che trova soddisfazione nella possibilita' del ricorso, nei congrui casi, agli istituti dell'astensione e della ricusazione". Infine, nella sentenza 15 gennaio 1976, n. 25 (con la quale e' stata, fra l'altro, dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, secondo comma, del decreto legislativo 6 maggio 1948, n. 654, nella parte in cui esso disponeva che i membri del Consiglio di giustizia amministrativa della Regione siciliana in sede giurisdizionale, designati dalla giunta regionale, potessero essere riconfermati la Corte costituzionale ha affermato: "L'indipendenza dei membri del Consiglio di giustizia amministrativa della Regione siciliana designati dalla giunta regionale e' sicuramente compromessa per effetto della disposizione che prevede, al termine del quadriennio, la possibilita' di riconferma nell'incarico, secondo il discrezionale apprezzamento del Governo regionale. Questa Corte ha gia' avuto occasione di affermare, a proposito dei componenti della giunta provinciale amministrativa estranei all'amministrazione, che "la sola prospettiva del reincarico basta a escludere l'indipendenza di costoro dai consigli provinciali o regionali (sentenza n. 49 del 1968); e cio' appare ancor piu' evidente nel caso di specie, trattandosi di membri designati dalla giunta regionale, e la cui nomina o conferma (ancorche' con decreto presidenziale) avviene, come per gli altri componenti dell'organo, su proposta del Presidente del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il presidente della regione: talche', proprio in rapporto alla prospettiva d'una eventuale conferma, l'indipendenza di questi giudici non puo' ritenersi assicurata dalla legge, sia nei confronti del Governo centrale sia soprattutto di quello regionale con aperta violazione dei precetti contenuti negli artt. 100, 101 e 108 della Costituzione. E non occorre avvertire che, di fronte ai principi della indipendenza ed imparzialita' dei giudici, ordinari, amministrativi o speciali, cede il principio generale della ammissibilita' agli incarichi ed uffici pubblici, che comporta di regola anche la possibilita' di riconferma o rielezione: possibilita' che deve essere fermamente esclusa per i membri laici del C.G.A. quale organo di tutela della giustizia nell'amministrazione, a cui l'art. 23 dello Statuto della Regione siciliana attribuisce le stesse funzioni spettanti alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato". 4. - Si considerino, ora, le seguenti caratteristiche dei membri laici dei tribunali regionali delle acque pubbliche: a) essi, una volta nominati, non solo rimangono nei ruoli degli uffici statali di cui fanno parte (ora: provveditorati regionali alle opere pubbliche), ma continuano a prestare in essi servizio con vincolo gerarchico nei confronti dei loro superiori; b) la loro scelta, pur se la nomina deve intendersi, ora, riservata al C.s.m. per effetto dell'entrata in vigore dell'art. 10, primo comma, n. 2, della legge 24 marzo 1958, n. 195 (in tal senso v. la gia' citata pronunzia del tribunale superiore delle acque pubbliche 5 ottobre 1983, n. 26, che richiama, in proposito, la sentenza delle sezioni unite 22 dicembre 1964, n. 2950, pure citata), e', comunque, ristretta all'esiguo ambito dei funzionari idonei che prestino servizio nella sede del tribunale; c) l'art. 139 del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, consente espressamente che essi siano riconfermati nell'incarico giurisdizionale; d) non puo' dubitarsi, in conformita' a quanto osservato, in proposito, dalla dottrina, del potere dell'amministrazione di appartenenza di far cessare in ogni momento dalle loro funzioni i membri laici del tribunale regionale delle acque pubbliche in forza di provvedimenti discrezionali di trasferimento ad altra sede; e) essi sono, per usare l'efficace espressione contenuta nella sentenza costituzionale 9 maggio 1968, n. 49 (supra ricordata) "giudici in causa propria" in quanto l'oggetto del loro giudizio puo' ricomprendere (ed anzi, in relazione all'ambito di competenza stabilito dall'art. 140 del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, e' normale che cio' avvenga; cio' avviene, comunque, nel presente caso) la questione della legittimita' di provvedimento dell'ufficio alla cui appartenenza consegue, ope legis, la loro designazione all'incarico giurisdizionale. 5. - Poiche' l'indipendenza che la Costituzione intende assicurare - sia pure in forme e modi diversi - a tutti i giudici (compresi quelli speciali e aggregati) non puo', evidentemente (in relazione al concetto di indipendenza del giudice che si e' affermato nella storia e nella dottrina del diritto costituzionale), essere ridotto al mero dato normativo dell'assenza di ogni vincolo gerarchico che abbia come oggetto giuridico l'esercizio dell'attivita' giurisdizionale (che' altrimenti dovrebbe dirsi indipendente anche quel giudice che, in un dato ordinamento, possa - sia pure in via di mero fatto - fondatamente temere il proprio, indesiderato trasferimento ovvero persino il proprio licenziamento quale reazione a una sua sgradita pronunzia) ma si estende a quelle misure istituzionali che, in un dato contesto storico, siano, ragionevolmente, da reputarsi necessarie e sufficienti a proteggere, per quanto e' possibile, il giudice stesso da indebite pressioni (anche di puro fatto) idonee a perturbare la retta formazione del suo giudizio, non appare manifestamente infondata la tesi che la disciplina legislativa dettata pei membri aggregati dei tribunali regionali delle acque pubbliche non sia conforme, per i motivi sopra passati in rassegna, all'esigenza costituzionale di indipendenza richiamata (sia pure implicitamente) dall'art. 108 cpv. della Costituzione, cosi' come interpretata dalla giurisprudenza costituzionale. 6. - Il tribunale non vuole, in tal modo, affermare che il rischio di indebite pressioni sia, in concreto, per i membri laici dei tribunali regionali delle acque pubbliche, nell'attuale momento, di notevole rilievo statistico e tuttavia anche la semplice - pur se, in ipotesi, remota - possibilita' che tali pressioni si verifichino perche' non impedite da una migliore disciplina costitutiva dei tribunali e' idonea a legittimare il sospetto dell'illegittimita' costituzionale della disciplina stessa. 7. - Inoltre va aggiunto che, a parere del collegio, la perdurante appartenenza dei membri laici dei tribunali delle acque pubbliche all'apparato amministrativo preposto al governo delle stesse acque pubbliche e alla tutela degli interessi pubblici a tale materia riconnessi mina l'indipendenza del giudice non tanto perche' il componente aggregato possa avere personalmente avuto una veste ufficiale, quale amministratore, nella questione che a lui, giudice, viene sottoposta (ad evitare questo rischio dovrebbero bastare le norme processuali sull'astensione e la ricusazione) ne', solo, perche' possano temersi quelle indebite pressioni alle quali sopra s'e' fatto cenno quanto perche', in molte delle vicende che concretamente, vengono all'esame del tribunale, il semplice fatto dell'appartenenza stessa e', in realta', di per se', obiettivamente idoneo a creare disagio al membro aggregato: dovendo, questi, infatti, prendere spesso posizione (come, del resto, anche nel presente caso accade) riguardo alla soluzione ritenuta giusta e opportuna dal suo ufficio, costringerlo, in certo modo, a prendere partito nei confronti del corpo amministrativo di cui egli e' parte attiva, a votare, per cosi' dire, a favore o contro di esso appare elemento sufficiente a perturbare (non importa in qual senso) la necessaria serenita' del suo giudizio. Ne' si dica che la situazione e' simile a quella nella quale viene a trovarsi qualunque giudice quando debba decidere se revocare o meno, per esempio, un provvedimento, denunciato come erroneo, emesso dall'amico o dal maestro: occorre dire che, in verita', situazioni del genere non sono da alcuno sentite come un attentato alla serenita' del giudizio e cio' perche' l'istituzione giudiziaria non ha altro, intrinseco legame che quello consistente nell'essere unitariamente volta alla funzione giudiziaria: esercitando, per il resto, ogni giudice appartenente all'istituzione, un solitario potere neutro, a null'altro - istituzionalmente - diretto che all'affermazione della volonta' della legge. Non e' cosi' per l'apparato di cui fanno parte i membri laici dei tribunali delle acque trattandosi, in tal caso, di un corpo amministrativo che e', di fatto e per dovere istituzionale, portatore - sia pure, come e' logico, nel rispetto della legalita' - di specifici, concreti interessi (di natura, ovviamente, pubblica). Questi stessi interessi concreti debbono pero' essere valutati, nell'ambito del processo e del giudizio (teso alla semplice, neutrale attuazione della norma), come interessi "di parte", di guisa che il repentino cambio di prospettiva richiesto, per lo stesso oggetto, al funzionario divenuto - provvisoriamente - giudice non pare idoneo viatico alla serenita' - e dunque alla corretta formazione - del giudizio stesso e cio' senza dovere in alcun modo ipotizzare ne' alcuna mala fede del funzionario-giudice ne' alcuna forma positiva di pressione da parte dei suoi colleghi funzionari. 8. - Quand'anche non si reputassero obiettivamente fondati i rilievi che si sono fin qui esposti circa la possibile illegittimita' costituzionale della disciplina in discorso per violazione dell'art. 108 cpv. della Costituzione rimarrebbe pur sempre da considerare, a parere del collegio, un ulteriore profilo di possibile illegittimita' costituzionale della normativa in questione. 9. - Va ricordato, a questo riguardo, che l'indipendenza dei giudici rappresenta un valore talmente importante che, come e' stato, assai autorevolmente, detto e ribadito, occorre che, non solo essa esista nella sostanza, ma pure che il popolo sia convinto della sua esistenza (da qui la ricorrente - e giusta - esortazione ai giudici ad essere indipendenti ed anche ad apparire tali): si tratta, in sostanza, di far si' che il popolo possa avere fiducia nelle proprie istituzioni consistendo proprio in tale fiducia la base civile e politica dell'ordinamento costituzionale democratico. Da questo punto di vista - e considerando che nel concetto di buon andamento dell'amministrazione, di cui all'art. 97, primo comma, della Costituzione, sembra doversi ricomprendere anche la cura dell'efficacia che direttamente deriva, all'azione pubblica, dalla fiducia che in essa i cittadini di fatto ripongono - appare sospetta di violazione della norma costituzionale predetta la disposizione legislativa che, istituendo come giudici coloro stessi che, per analoghi oggetti, sono, normalmente, parti, diminuisce, in tal modo, agli occhi del popolo, la credibilita' dell'istituzione stessa. 10. - Poiche' la questione della legittimita' costituzionale dell'art. 138 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, limitatamente alla seguente, ultima parte: "alla quale sono aggregati tre funzionari del genio civile designati dal presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici e nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro Guardasigilli. Essi durano in carica cinque anni e possono essere riconfermati ... I tribunali delle acque pubbliche decidono con intervento di tre votanti, uno dei quali deve essere funzionario del genio civile", non appare, in riferimento agli artt. 108 cpv. e 97, primo comma, della Costituzione, manifestamente infondata; non potendo, il presente giudizio, essere definito indipendentemente dalla risoluzione di tale questione, esso, ex art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, va sospeso mentre, ai sensi della stessa norma, va disposta l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e va ordinato che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.