Il  giudice  per  le  indagini  preliminari, dott. Andrea Vardaro
letti  gli  atti  del procedimento penale n. 11798/98 R.G. notizie di
reato (n. 1787/99 g.i.p.);
    Contro:   Mancuso   Filippo,  n. in  Palermo  l'11  luglio  1922,
elettivamente  domiciliato  presso lo studio del difensore di fiducia
avv.  Franco  Luberti,  via  Fiaminia n. 354, Roma; e Maiolo Tiziana,
n. in  Parma  il 23.6.1941, domiciliata in Milano, corso Italia n. 9,
difensore d'ufficio avv. Vincenzo Porfidia ed altri;
    Parte  civile:  Giancarlo  Caselli, n. ad Alessandria il 9 maggio
1939,  difeso  dall'avv.  Paola  Parise,  con  studio  in  Roma, v.le
Mazzini, 11;

                            O s s e r v a

    Con  querela  del  17  luglio  1998,  il dott. Giancarlo Caselli,
all'epoca procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo
esponeva  che nel corso di una conferenza stampa tenutasi a Roma il 9
luglio  1998  il  sen.  Roberto Centaro, l'on. Filippo Mancuso, l'on.
Gianfranco  Micciche'  e l'on. Tiziana Maiolo avevano pronunziato nei
suoi  confronti  "varie frasi - costellate di falsita' - pesantemente
diffamatorie",  diffuse a mezzo di lanci dalle agenzie Adnkronos, Agi
ed Ansa.
    Con  atto  depositato  il  16  luglio 1999, il pubblico ministero
presso  il  tribunale  di Roma chiedeva il rinvio a giudizio dell'on.
Mancuso,  dell'on.  Maiolo  e  del sen. Centaro per distinti reati di
diffamazione a mezzo stampa aggravata.
    In  particolare,  il  rinvio  a giudizio dell'on. Filippo Mancuso
veniva  chiesto  con riferimento al "delitto p. e p. dagli artt. 595,
primo  e  terzo comma codice penale e 13, legge 8 febbraio 1948 n. 47
per  avere, nel corso della conferenza stampa indetta da Forza Italia
e  tenutasi  a  Roma  il  9 luglio 1998, rilasciato dichiarazioni che
venivano  diffuse a mezzo di lanci dell'agenzia Adnkronos, Agi e Ansa
del  seguente  tenore:  "con  un  sistematico  autore  di  insulti al
Parlamento e a Forza Italia, come Gianfranco Caselli, noi non sediamo
nemmeno   in  un  convegno  scientifico  ...  autore  di  insulti  al
Parlamento  e' un soggetto politico a tutti gli effetti che pero' con
la  tecnica  del  manifesto  non  vuole  essere  oggetto  di critica"
(Adnkronos), "... quel personaggio che fino a ieri ha rivolto insulti
al  Parlamento,  si  comporta  come  soggetto  politico  a  tutti gli
effetti,  illegittimo  perche'  il suo ruolo pubblico non e' politico
questo  personaggio  e'  Giancarlo Caselli ..." (Agi), "... accanto a
personaggi  di  questo  tipo,  che sfruttano il potere di cattura che
hanno  e  ai  quali non si puo' replicare senza rischiare il reato di
oltraggio ... io non posso neanche sedere accanto ..." (Ansa), con le
quali offendeva la reputazione di Giancarlo Caselli procuratore della
Repubblica di Palermo. In Roma il 9 luglio 1998 querela del 17 luglio
1998".
    Nei  confronti  dell'on. Maiolo l'azione penale era esercitata in
ordine  al "delitto p. e p. dagli artt. 595 primo e secondo comma del
codice  penale e 13, legge 8 febbraio 1948 n. 47, per avere offeso la
reputazione  di  Caselli  Giancarlo  procuratore  della Repubblica di
Palermo  rilasciando  nel  corso  della conferenza stampa tenutasi in
Roma,  il  9  luglio  1998  e  indetta  da Forza Italia dichiarazioni
riprese  dall'agenzia  Ansa del seguente tenore: "Il convegno sarebbe
stato  un'ottima  occasione  per  continuare una sacrosanta battaglia
politica  contro  l'uso politico delle istituzioni giudiziarie che fa
il  procuratore  Caselli ... ... "esiste un'occasione a delinquere di
tipo  istituzionale,  pericolosa  quanto  Cosa  Nostra . In Roma il 9
luglio 1998, querela del 17 luglio 1998";
    La  Camera  dei  deputati,  con distinte votazioni avvenute nella
seduta  del  7  marzo 2000, approvava la proposta della giunta per le
autorizzazioni  a procedere (Doc. IV - quater, n. 112) di dichiarare,
sia  con  riferimento all'on. Mancuso che all'on. Maiolo, che i fatti
per  i  quali  era  in  corso  il  procedimento  penale  concernevano
"opinioni  espresse  da un membro del Parlamento nell'esercizio delle
sue   funzioni,   ai   sensi   dell'art.   68,   primo  comma,  della
Costituzione".
    La proposta della giunta era cosi' motivata: "... Nel corso della
sua  audizione,  l'onorevole  Mancuso  ha  fatto  presente che le sue
dichiarazioni  alla  stampa  traevano  origine  da una manifestazione
promossa  dalla  Commissione  antimafia  a  Palermo, alla quale egli,
nella  sua  qualita' di vice presidente della Commissione, ritenne di
non  aderire  per  alcuni  aspetti  del programma che non condivideva
pienamente.  Tra essi, in particolare, la presenza del dott. Caselli,
del  quale  aveva  avuto  piu' volte modo di criticare, anche in atti
parlamentari   tipici,   l'eccessivo  presenzialismo  e  le  opinioni
critiche   manifestate  nei  confronti  delle  decisioni  del  potere
legislativo.  Tali riserve egli aveva espresso anche nel corso di una
lettera  al  Presidente  della  Commissione  nella  quale esponeva le
ragioni  della  sua mancata presenza al convegno. La decisione di non
aderire  al  convegno fu condivisa dal suo intero gruppo politico che
ritenne di convocare sul punto una conferenza stampa, nel corso della
quale furono rese le dichiarazioni delle quali si e' doluto il dottor
Caselli. L'onorevole Maiolo, dal canto suo, ha precisato che ella non
aveva  condiviso la decisione di non partecipare al convegno ed aveva
scritto  un'apposita lettera, sul punto, al presidente del suo gruppo
parlamentare.  Ella  non  aveva  neppure  partecipato alla conferenza
stampa,  ma  aveva  diffuso,  nella  sala  stampa di Montecitorio, il
contenuto  della  lettera sopra ricordata. Per sintesi giornalistica,
dunque,   i   lanci   d'agenzia   avevano  fatto  riferimento  a  sue
dichiarazioni,  che  formalmente, tuttavia, non erano tali. Nel corso
del  dibattito l'opinione unanime della giunta e' stata nel senso che
le  frasi  proferite  dai  deputati  in  questione costituiscono, con
chiara evidenza, un giudizio ed una critica di natura sostanzialmente
politica  su  fatti  e  circostanze  che  all'epoca  erano  al centro
dell'attenzione   dell'opinione   pubblica   nonche'   del  dibattito
politico-parlamentare. E' apparsa, inoltre, evidente la connessione e
anzi  l'identificabilita'  delle  frasi  riportate  nel  dispaccio di
agenzia  con  l'attivita'  parlamentare  in  quanto  esse erano state
pronunciate  o  comunque  diffuse  per illustrare le posizioni emerse
nell'ambito  di  un gruppo politico con riferimento ad una iniziativa
adottata da un organo della Camera" (Doc IV - quater n. 112)
    Il pubblico ministero, con memoria pervenuta in cancelleria il 28
marzo,  chiedeva  che  fosse  sollevato conflitto di attribuzione nei
confronti   della   Camera   dei  deputati.  Nel  corso  dell'udienza
preliminare del 31 marzo, il difensore dell'On. Mancuso produceva una
memoria  con documentazione allegata. Il difensore della parte civile
chiedeva un rinvio dell'udienza per poter esaminare la documentazione
prodotta.  All'udienza  del  2  giugno, l'elevazione del conflitto di
attribuzione era sollecitata, oltre che dal pubblico ministero, anche
dal  difensore  di  parte civile. I difensori degli imputati, invece,
chiedevano  una  pronuncia  di  non  luogo  a procedere nei confronti
dell'on.  Mancuso  e  dell'on.  Maiolo  in  ordine  ai  reati  a loro
rispettivament ascritti.
    Premesso  quanto  sopra,  si  osserva  che il giudice ordinario a
fronte  della  deliberazione  di insindacabilita' delle dichiarazioni
asseritamente  diffamatorie  rese  da  parlamentare,  "non  puo'  che
prendere    atto   della   valutazione   espressa   dal   Parlamento,
adeguandovisi  e  quindi  dichiarando  la  non  punibilita' del fatto
perche'  commesso  nell'ambito  delle  funzioni  parlamentari, ovvero
sollevare    conflitto    di    attribuzioni   davanti   alla   Corte
costituzionale,  ove  ritenga  contestabili  le concrete modalita' di
esercizio del potere del Parlamento "per vizi del procedimento ovvero
per  omessa  o  erronea valutazione dei presupposti di volta in volta
richiesti " (Cass. sez. V, 12 febbraio 1999, Della Valle).
    Questo  giudice  ritiene  che,  nel caso di specie, la Camera dei
deputati  abbia  erroneamente valutato la sussistenza dei presupposti
necessari  per  poter  considerare  le  dichiarazioni  rese  dall'on.
Filippo  Mancuso  e dall'on. Tiziana Maioio ricollegabili all'ipotesi
prevista dall'art. 68, primo comma, della Costituzione.
    La  connessione  tra  le  opinioni  espresse  dal  parlamentare e
l'esercizio  delle  relative  funzioni  costituisce  "l'indefettibile
presupposto   di   legittimita'   della   deliberazione  parlamentare
d'insindacabilita'" (sentenza n. 329/1999 della Corte cost.).
    La  Corte di cassazione ha rilevato che gli atti c.d. di funzione
-  quegli  atti,  cioe',  che compiuti da parlamentari in relazione a
tale  specifica  qualita',  si  rendono  insindacabili anche da parte
dell'autorita'    giudiziaria    perche'   espressione   della   loro
indipendenza   ed   autonomia   -   sono   soltanto  quelli  relativi
all'esercizio delle funzioni proprie di membro del Parlamento, vale a
dire  gli  atti  tipici  del  mandato  parlamentare (presentazione di
disegni   di   legge,  interpellanze  ed  interrogazioni,  relazioni,
dichiarazioni),    compiuti    nei   vari   organi   parlamentari   o
paraparlamentari,  con  l'esclusione  di  quelle  attivita'  che, pur
latamente connesse con l'esercizio di tali funzioni, ne sono tuttavia
estranee,  quale  l'attivita'  politica  extraparlamentare  esplicata
all'interno dei partiti. (Cass. sez. V, 16.12.1997, Sgarbi).
    Secondo    la   piu'   recente   giurisprudenza   costituzionale,
costituiscono   opinioni   espresse   nell'esercizio  della  funzione
parlamentare  quelle "manifestate nel corso dei lavori della Camera e
dei suoi vari organi, in occasione dello svolgimento di una qualsiasi
fra  le  funzioni svolte dalla Camera medesima, ovvero manifestate in
atti,  anche  individuali, costituenti estrinsecazione delle facolta'
proprie   del   parlamentare   quale  membro  dell'assemblea.  Invece
l'attivita'  politica  svolta  dal parlamentare al di fuori di questo
ambito  non  puo'  dirsi  di  per  se'  esplicazione  della  funzione
parlamentare  nel  senso  preciso  cui  si riferisce l'art. 68, primo
comma,   della  Costituzione.  Nel  normale  svolgimento  della  vita
democratica e del dibattito politico, le opinioni che il parlamentare
esprima  fuori  dai  compiti e dalle attivita' propri delle assemblee
rappresentano  piuttosto  esercizio  della  liberta'  di  espressione
comune  a  tutti  i  consociati:  ad  esse non puo' estendersi, senza
snaturarla, una immunita' che la Costituzione ha voluto, in deroga al
generale  principio  di  legalita' e di giustiziabilita' dei diritti,
riservare  alle  opinioni  espresse  nell'esercizio  delle  funzioni"
(sentenza   n. 10/2000   della  Corte  costituzionale).  "Si  debbono
pertanto  ritenere,  in  linea di principio, sindacabili tutte quelle
dichiarazioni  che  fuoriescono  dal  campo  applicativo del "diritto
parlamentare   e   che   non  siano  specificamente  collegabili  con
specifiche  forme  di  esercizio  di  funzioni parlamentari, anche se
siano  caratterizzate  da  un asserito "contesto politico o ritenute,
per il contenuto delle espressioni o per il destinatario o la sede in
cui  sono  state  rese, manifestazioni di sindacato ispettivo. Questa
forma  di  controllo  politico  rimessa  al singolo parlamentare puo'
infatti  aver  rilievo  ...  soltanto  se  si  esplica  come funzione
parlamentare, attraverso atti e procedure specificamente previsti dai
regolamenti    parlamentari"   (sentenza   n. 11/2000   della   Corte
costituzionale).
    Con  riferimento alla divulgazione delle opinioni manifestate dai
parlamentari  la  Corte  costituzionale  ha  precisato  che  " ... la
semplice comunanza di argomento fra la dichiarazione resa ai mezzi di
comunicazione  o in dibattiti pubblici e le opinioni espresse in sede
parlamentare non basta ad estendere alla prima l'insindacabilita' che
copre   le  seconde  ...  Deve  esservi,  dunque,  un  preciso  nesso
funzionale fra la dichiarazione e l'attivita' parlamentare: nesso che
puo'  legittimamente  essere  affermato  dalle Camere anche quando le
dichiarazioni   siano   sostanzialmente   riproduttive  dell'opinione
sostenuta in sede parlamentare. La prerogativa costituzionale rileva,
infatti,  non soltanto per l'occasione specifica in cui l'opinione e'
espressa  in ambito parlamentare, ma riguarda il contenuto storico di
essa,  pure  quando ne sia realizzata la diffusione pubblica. Perche'
la  pubblicita' accompagna l'attivita' parlamentare, necessariamente,
assicurando   il   ruolo   fondamentale  delle  Camere  nella  libera
dialettica  politica.  L'insindacabilita' si estende, quindi, a tutte
le  altre sedi, e occasioni, in cui l'opinione sia riprodotta nel suo
contenuto    sostanziale"    (sentenza    n. 56/2000    della   Corte
costituzionale).
    Deve  ritenersi,  dunque,  che  costituiscono  opinioni  espresse
nell'esercizio della funzione parlamentare quelle manifestate durante
il  compimento di atti tipici della funzione, nonche' quelle che, pur
non  essendo  state  manifestate in sede parlamentare, riproducano il
contenuto sostanziale delle prime.
    Le dichiarazioni dell'onorevole Mancuso sono state rese nel corso
di  una  conferenza  stampa indetta da "Forza Italia e, quindi, al di
fuori dell'esercizio di funzioni parlamentari.
    La  partecipazione ad una conferenza stampa indetta da un partito
politico   non   puo'   farsi   rientrare,  infatti,  tra  i  compiti
istituzionali del parlamentare.
    Le  dichiarazioni  dell'onorevole Mancuso non risultano, inoltre,
sostanzialmente   riproduttive   di   un'opinione  espressa  in  sede
parlamentare.
    Gli  interventi  dell'on.  Mancuso  nel  corso delle sedute della
Camera   e  della  commissione  antimafia,  riportati  nei  resoconti
allegati alla memoria difensiva, non hanno che un generico e parziale
collegamento tematico con il contenuto delle dichiarazioni rilasciate
dal  parlamentare  ed  in  alcuni  casi  si riferiscono ad un periodo
successivo a quello in cui si e' tenuta la conferenza stampa.
    In  particolare  le  dichiarazioni  rese  dall'on.  Mancuso nella
seduta dell'11 marzo 1998 (relativamente ad interpellanza sullo stato
della  giustizia)  non riguardano i temi dell'intervista e contengono
solo  un  generico  richiamo alla procura della Repubblica di Palermo
(non  direttamente  al  dott.  Caselli)  indicata  quale "sede ove si
commettono delitti nello stesso modo in cui li si perseguono".
    La  replica  dell'on. Mancuso per la sua interpellanza n. 200967,
nella seduta del 15 aprile 1998, riguarda la procura della Repubblica
di  Milano  e  vi  e'  solo  un  accenno a quella di Palermo definita
"fomite di illegalita'".
    Nella   dichiarazione   di   voto  del  10  giugno  1998  non  e'
individuabile  alcun  riferimento  diretto  al  dott.  Caselli o alla
procura della Repubblica di Palermo.
    Nella  dichiarazione  di  voto del 9 luglio 1998, che riguarda un
procedimento  penale  per  diffamazione  a mezzo stampa aggravata nel
quale il dott. Giancarlo Caselli riveste la qualita' di parte offesa,
l'on. Mancuso indica il querelante, tra l'altro, come un soggetto che
si  e' espresso "in termini di valenza, anzi di plusvalenza politica"
e  che  e'  "il  punto  di  riferimento  di  un  comportamento che e'
sostanzialmente,  e  adesso  anche  formalmente,  politico".  Tra  il
contenuto  della  dichiarazione  di  voto,  tuttavia,  e quello della
conferenza   stampa,  si  individua  solo  un  collegamento  tematico
generico e parziale.
    Negli  interventi  dell'on.  Mancuso  nelle  sedute  del  5  e 17
febbraio   1997  della  commissione  parlamentare  antimafia  non  e'
ravvisabile  alcuna  identita'  di  contenuto  con  le  dichiarazioni
rilasciate  nel  corso  della conferenza stampa (nel primo intervento
l'on. Mancuso si limita a sollevare un'eccezione per poi allontanarsi
dall'aula;  nel  secondo  intervento  formula alcune domande al dott.
Tinebra,  procuratore  della  Repubblica  di  Caltanisetta, in ordine
all'esistenza   di   procedimenti   penali  in  cui  siano  coinvolti
magistrati  del  distretto  di  Palermo  e in ordine ad uno specifico
episodio,  riferito  dall'avv.  Coppi,  riguardante  il comportamento
tenuto  dal  dott.  Caselli  e  dal  dott.  Lo Forte nei confronti di
Salvatore Cancemi nel corso di un'udienza).
    Le  altre  dichiarazioni  rese  dall'on.  Mancuso  nel  corso  di
interventi  in  sedute della Camera o della Commissione parlamentare,
riportate   nei  resoconti  allegati  alla  memoria  difensiva,  sono
successive  a  quelle  rilasciate  nella  conferenza  stampa.  Queste
ultime, dunque, non possono ritenersi riproduttive delle prime.
    Il  c.d.  nesso  funzionale non puo' essere ravvisato neanche con
riferimento  alla  missiva inviata dall'on. Mancuso all'on. Ottaviano
Del  Turco.  La  comunicazione  dell'onorevole  Mancuso al presidente
della  Commissione  delle  ragioni  per  le quali aveva deciso di non
partecipare   al   convegno   di  Palermo  non  costituiva  attivita'
parlamentare  (in quanto non compiuta in occasione di atti tipici nel
corso dei lavori della commissione parlamentare) e, conseguentemente,
le   dichiarazioni   rese   nella   conferenza  stampa  non  potevano
considerarsi divulgative di attivita' parlamentare.
    Tra  le  dichiarazioni  rese  nella  conferenza  stampa  e quelle
contenute  nella  lettera  all'on.  Del  Turco,  peraltro, vi era una
corrispondenza di contenuto solo parziale, oltre che generica.
    Analoghe   osservazioni  possono  essere  fatte  con  riferimento
all'onorevole  Maiolo.  La  diffusione  del  contenuto  della missiva
inviata da quest'ultima al presidente del suo gruppo parlamentare non
e'  riconducibile  ad  alcun  atto  tipico  di  funzione.  Il  "nesso
funzionale"   in  particolare,  non  e'  ravvisabile  nella  semplice
circostanza  che  la  comunicazione  del  contenuto  della lettera ai
giornalisti  sia  avvenuta  nella  sala  stampa di Montecitorio. Deve
escludersi, infatti, che quanto affermato nei locali delle Camere, al
di  fuori di specifiche attivita' parlamentari, sia di per se' sempre
insindacabile (anche in assenza di un collegamento con atti tipici di
funzione),  come del resto deve escludersi che sia sempre sindacabile
dall'autorita'  giudiziaria  ordinaria quanto dichiarato extra moenia
dal parlamentare.
    Si appalesa arbitraria, dunque, la deliberazione della Camera dei
deputati   che   ha   accolto   la   proposta  della  giunta  per  le
autorizzazioni  a  procedere  di  affermare  l'insindacabilita' delle
dichiarazioni  rese dall'on. Mancuso e dall'on. Maiolo pur difettando
un  collegamento diretto delle esternazioni dei parlamentari con atti
tipici di funzione.
    La considerazione, contenuta nella relazione della giunta, che le
frasi  proferite  costituivano  un  giudizio ed una critica di natura
sostanzialmente  politica  su fatti e circostanze che all'epoca erano
al   centro   dell'attenzione   dell'opinione  pubblica  nonche'  del
dibattito parlamentare, contenuta nella relazione della giunta per le
autorizzazioni   a   procedere,  attiene  alla  compatibilita'  delle
affermazioni  dei  parlamentari  con il diritto di critica e non alla
prerogativa prevista dall'art. 68, primo comma, della Costituzione.
    La  giunta  nel  porre a fondamento della sua proposta (approvata
dall'assemblea)  la  circostanza  che  le  dichiarazioni dei deputati
"erano  state pronunciate o comunque diffuse all'interno delle Camere
per  illustrare le posizioni emerse nell'ambito di un gruppo politico
con riferimento ad una iniziativa adottata da un organo della Camera"
ha  individuato  il  c.d.  nesso  funzionale  non  con  riferimento a
specifici  atti  parlamentari  compiuti  dagli  onorevoli  Mancuso  e
Maiolo,  bensi' con riferimento alle attivita' svolte all'interno del
loro gruppo politico.
    La deliberazione di insindacabilita' e' stata, pertanto, adottata
dalla  Camera  dei  deputati sulla base di un'erronea valutazione dei
presupposti   richiesti   dall'art.   68   Cost.,   con   conseguente
illegittimita'   interferenza   nelle   attribuzioni   dell'autorita'
giudiziaria.