Il  g.i.p. Andrea Vardaro, letti gli atti del procedimento penale
R.G. notizie di reato n. 11798/98R (n. 1787/99 g.i.p.) contro Centaro
Roberto,  nato  a  Siracusa il 21 novembre 1953, elett. te dom. to in
Siracusa,  v.le  Tunisi  n. 29,  presso  lo  studio  dell'Avv. Ettore
Randazzo   ed   altri,  parte  civile:  Caselli  Giancarlo,  nato  ad
Alessandria il 9 maggio 1939, elett. te dom. to in Roma, v.le Mazzini
n. 11, presso lo studio dell'avv. Paola Parise.

                            O s s e r v a

    Con  querela  del  17  luglio  1998  il  dott. Caselli, all'epoca
procuratore  presso il tribunale di Palermo, ha esposto che nel corso
di  una  conferenza stampa tenutasi in Roma il 9 luglio 1998, il sen.
Roberto  Centaro, l'on. Filippo Mancuso, l'on. Tiziana Maiolo e l'on.
Gianfranco  Miccicche'  avevano pronunciato nei suoi confronti "varie
frasi - costellate di falsita' - pesantemente diffamatorie" diffuse a
mezzo di lanci dalle agenzie Ansa, Agi, Adnkronos.
    A  seguito  della  querela il p.m. presso il tribunale di Roma ha
richiesto  il  rinvio  a  giudizio dei parlamentari Centaro, Maiolo e
Mancuso per distinti reati di diffamazione a mezzo stampa aggravata:
        in particolare il rinvio a giudizio del sen. Centaro e' stato
chiesto  per il "delitto p. e p. dagli artt. 595 primo e terzo comma,
c.p.  e  13, legge 8 febbraio 1948, n. 47, per avere, nel corso della
conferenza  tenutasi  a Roma il 9 luglio 1998 a seguito della mancata
partecipazione   di   Forza   Italia   al  convegno  sul  riciclaggio
organizzato  in  Palermo  dalla  Commissione  parlamentare antimafia,
rilasciato  dichiarazioni  che  venivano  diffuse  a  mezzo  di lanci
dall'agenzia    Adnkronos,   Agi   e   Ansa   del   seguente   tenore
"sull'intollerabile metodo di indagine con cui la procura siciliana e
di  Milano  operano  nei  confronti  di  Silvio  Berlusconi  con  una
strategia  di delegittimazione e di epurazione politica attraverso lo
strumento  giudiziario  ...  e  le  indagini  di  Palermo proprio sul
riciclaggio  che  si fondano su dichiarazioni de relato dimostrano un
settarismo  di  stampo ideologico" (Adnkronos) con le quali offendeva
la  reputazione di Giancarlo Caselli, procuratore della Repubblica di
Palermo".
    Il Senato della Repubblica, con votazione in data 27 gennaio 2000
ha  approvato la proposta della giunta per le elezioni e le immunita'
parlamentari  di  dichiarare  che  "il fatto oggetto del procedimento
concerne opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio
delle  sue  funzioni  e ricade nell'ipotesi di cui all'art. 68, primo
comma, della Costituzione".
    La  giunta  ha  motivato  la  proposta  di insindacabilita' delle
opinioni  espresse  dal  Sen.  Centaro  rilevando  che il convegno di
Palermo  era  stato  indetto  dalla  Commissione  antimafia  e quindi
costituiva  un'attivita' inerente i compiti della Commissione stessa,
per  cui  la  partecipazione  al  medesimo "concretava innegabilmente
un'attivita'  parlamentare,  e  reciprocamente  la non partecipazione
dell'intero  gruppo  (di  Forza  Italia)  esprimeva  a  sua  volta un
comportamento  rilevante sul piano parlamentare", che il sen. Centaro
aveva  inviato  al presidente della Commissione antimafia una lettera
con cui spiegava le motivazioni della decisione di non prendere parte
al convegno in qualita' di responsabile del gruppo di Forza Italia in
seno alla commissione; che la comunicazione della decisione integrava
"un  atto  di conseguente rilievo istituzionale compiuto dal soggetto
qualificato  a  realizzarlo", che "il rendere noto, in una conferenza
stampa immediatamente successiva, sia la decisione sia le motivazioni
che   la   sorreggono,  integra  quella  divulgazione  dell'attivita'
parlamentare che, pur non potendo costituire funzione parlamentare in
senso tecnico, e' a questa legata dal nesso funzionale", che, infine,
le  dichiarazioni  rese  dal  sen.  Centaro,  sia  pure  connotare da
"asprezza  di  toni e perentorieta' di conclusioni, non travalicano i
limiti ricostruiti dall'elaborazione giurisprudenzale per il concetto
di opinione".
    Nel  corso  dell'udienza  preliminare  il  pubblico  ministero ha
sollecitato  questo  giudice a sollevare il conflitto di attribuzioni
innanzi  alla  Corte  costituzionale,  mentre  il  difensore del sen.
Centaro ha chiesto una pronuncia di non luogo a procedere.
    Cio'  premesso  si  osserva che il giudice ordinario, in presenza
della dichiarazione di insindacabilita' delle opinioni espresse da un
parlamentare,  "deve  prendere  atto  della  valutazione espressa dal
Parlamento  adeguandovisi e quindi dichiarando la non punibilita' del
fatto  perche'  commesso  nell'esercizio delle funzioni parlamentari,
ovvero   sollevare  conflitto  di  attribuzioni  innanzi  alla  Corte
costituzionale,  ove  ritenga  contestabili  le concrete modalita' di
esercizio  del  potere  del  Parlamento"  per vizi in procedendo, per
omessa  o  erronea  valutazione  dei  presupposti  richiesti,  o  per
l'arbitrarieta'  o  non  plausibilita'  della  valutazione  del nesso
funzionale  tra le espressioni ritenute diffamatorie e le prerogative
parlamentari  (cfr.  Cass. Sez. V 12 febbraio 1999, Della Valle-Corte
cost. n. 443/1993; Cass. sez. V 8 luglio 1999, Sgarbi).
    Questo  giudice  ritiene  che, nel caso in esame, il Senato abbia
erroneamente  valutato  la  sussistenza dei presupposti necessari per
poter   considerare   le   dichiarazioni   rese   dal   sen.  Centaro
insindacabili ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.
    La  connessione  tra  le  opinioni  espresse  dal  parlamentare e
l'esercizio  delle  relative  funzioni  costituisce  "l'indefettibile
presupposto  di  legittimita'  della  deliberazione  parlamentare  di
insindacabilita'" (sentenza n. 329/1999 della Corte costituzionale).
    La  Corte di Cassazione ha rilevato che gli atti c.d. di funzione
-  quegli  atti,  cioe', che, compiuti da parlamentari in relazione a
tale  specifica  qualita',  si  rendono  insindacabili anche da parte
dell'autorita'    giudiziaria    perche'   espressione   della   loro
indipendenza   ed   autonomia   -   sono   soltanto  quelli  relativi
all'esercizio delle funzioni proprie di membro del Parlamento, vale a
dire  gli  atti  tipici  del  mandato  parlamentare (presentazione di
disegni   di   legge,  interpellanze  ed  interrogazioni,  relazioni,
dichiarazioni),    compiuti    nei   vari   organi   parlamentari   o
paraparlamentari,  con  l'esclusione  di  quelle  attivita'  che, pur
latamente connesse con l'esercizio di tali funzioni, ne sono tuttavia
estranee,  quale  l'attivita'  politica  extraparlamentare  esplicata
all'interno dei partiti. (Cass. sez. V, 16 dicembre 1997, Sgarbi).
    Secondo    la    piu'   recente   giurisprudenza   costituzionale
costituiscono   opinioni   espresse   nell'esercizio  della  funzione
parlamentare  quelle "manifestate nel corso dei lavori della Camera e
dei suoi vari organi, in occasione dello svolgimento di una qualsiasi
fra  le  funzioni svolte dalla Camera medesima, ovvero manifestate in
atti,  anche  individuali, costituenti estrinsecazione delle facolta'
proprie   del   parlamentare   quale  membro  dell'assemblea.  Invece
l'attivita'  politica  svolta  dal parlamentare al di fuori di questo
ambito  non  puo'  dirsi  di  per  se'  esplicazione  della  funzione
parlamentare  nel  senso  preciso  cui  si riferisce l'art. 68, primo
comma,   della  Costituzione.  Nel  normale  svolgimento  della  vita
democratica e del dibattito politico, le opinioni che il parlamentare
esprima  fuori  dai  compiti e dalle attivita' propri delle assemblee
rappresentano  piuttosto  esercizio  della  liberta'  di  espressione
comune  a  tutti  i  consociati:  ad  esse non puo' estendersi, senza
snaturarla, una immunita' che la Costituzione ha voluto, in deroga al
generale  principio  di  legalita' e di giustiziabilita' dei diritti,
riservare  alle  opinioni  espresse  nell'esercizio  delle  funzioni"
(sentenza   n. 10/2000   della  Corte  costituzionale).  "Si  debbono
pertanto  ritenere,  in  linea di principio, sindacabili tutte quelle
dichiarazioni  che  fuoriescono  dal  campo  applicativo del "diritto
parlamentare   e   che   non  siano  specificamente  collegabili  con
specifiche  forme  di  esercizio  di  funzioni parlamentari, anche se
siano  caratterizzate  da  un asserito "contesto politico o ritenute,
per il contenuto delle espressioni o per il destinatario o la sede in
cui  sono  state  rese, manifestazioni di sindacato ispettivo. Questa
forma  di  controllo  politico  rimessa  al singolo parlamentare puo'
infatti  aver  rilievo  ...  soltanto  se  si  esplica  come funzione
parlamentare, attraverso atti e procedure specificamente previsti dai
regolamenti    parlamentari"   (sentenza   n. 11/2000   della   Corte
costituzionale).
    Con  riferimento alla divulgazione delle opinioni manifestate dai
parlamentari  la  Corte  costituzionale  ha  precisato  che  "...  la
semplice comunanza di argomento fra la dichiarazione resa ai mezzi di
comunicazione  o in dibattiti pubblici e le opinioni espresse in sede
parlamentare non basta ad estendere alla prima l'insindacabilita' che
copre  le  seconde  ....  Deve  esservi,  dunque,  un  preciso  nesso
funzionale fra la dichiarazione e l'attivita' parlamentare: nesso che
puo'  legittimamente  essere  affermato  dalle Camere anche quando le
dichiarazioni   siano   sostanzialmente   riproduttive  dell'opinione
sostenuta in sede parlamentare. La prerogativa costituzionale rileva,
infatti,  non soltanto per l'occasione specifica in cui l'opinione e'
espressa  in ambito parlamentare, ma riguarda il contenuto storico di
essa,  pure  quando ne sia realizzata la diffusione pubblica. Perche'
la  pubblicita' accompagna l'attivita' parlamentare, necessariamente,
assicurando   il   ruolo   fondamentale  delle  Camere  nella  libera
dialettica  politica.  L'insindacabilita' si estende, quindi, a tutte
le  altre sedi, e occasioni, in cui l'opinione sia riprodotta nel suo
contenuto    sostanziale"    (sentenza    n. 56/2000    della   Corte
costituzionale).
    Deve  ritenersi,  dunque,  che  costituiscono  opinioni  espresse
nell'esercizio della funzione parlamentare quelle manifestate durante
il  compimento di atti tipici della funzione, nonche' quelle che, pur
non  essendo  state  manifestate in sede parlamentare, riproducano il
contenuto sostanziale delle prime.
    A  parere  di  questo  giudice, contrariamente, a quanto ritenuto
dalla giunta, la missiva inviata dal sen. Centaro al presidente della
Commissione  antimafia per comunicare la decisione di Forza Italia di
non  prendere  parte  al  convegno di Palermo non puo' ritenersi atto
tipico  di funzione parlamentare, ne' presupposto o conseguenziale ad
un   atto  tipico.  Si  tratta  infatti  di  atto  non  previsto  dai
regolamenti  parlamentari,  che  fuoriesce  dal campo applicativo del
diritto  parlamentare  per  assumere una connotazione ed un contenuto
squisitamente  politico.  Il  ruolo  di  capogruppo  di  Forza Italia
all'interno  della commissione rivestito dal senatore non implica che
l'atto  di esternazione della decisione adottata dai componenti dello
stesso  partito  sia annoverabile tra gli atti funzionali e come tale
scriminato.  La  stessa  giunta  del  resto  lo  definisce  "atto  di
conseguente rilievo istituzionale" e non atto funzionale.
    La   riproduzione  del  contenuto  della  comunicazione  dell'on.
Centaro  al  presidente  della Commissione antimafia nella successiva
conferenza  stampa, conseguentemente, non costituisce divulgazione di
opinione  espressa  in  sede  parlamentare,  e  non gode quindi della
relativa immunita'. Seppure si individua nelle dichiarazioni ritenute
diffamatorie  un  intento divulgativo di una scelta o di un'attivita'
precedente, quella attivita' presupposta, - consistita nell'esprimere
le  ragioni  della  mancata  partecipazione  degli esponenti di Forza
Italia ad un convegno al quale avrebbe presenziato il dott. Caselli -
esula dall'esercizio di funzioni parlamentari.
    Ritiene,  in  conclusione,  questo  giudice,  che il Senato abbia
erroneamente  valutato  i presupposti richiesti per la adozione della
delibera  di  insindacabilita'  delle  dichiarazioni  rese  dal  sen.
Centaro,  interferendo  illegittimamente  nella sfera di attribuzioni
riservata all'autorita' giudiziaria.