IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza sul ricorso n. 8564/1999
  reg.  gen. proposto da Tirri Giuseppe, rappresentato e difeso dagli
  avv.  Paolo  Di  Martino  e  Luigi Adinolfi presso il cui studio in
  Napoli,   via   Riviera   di   Chiaia,   n. 180,  e'  elettivamente
  domiciliato;
    Contro  la  Seconda Universita' degli studi di Napoli, in persona
  del  rettore  pro-tempore,  rappresentato  e difeso dall'Avvocatura
  distrettuale dello Stato di Napoli, presso cui ope legis, domicilia
  alla  via  Diaz  n. 11;  l'azienda  universitaria  Policlinico;  in
  persona del direttore pro-tempore, non costituitosi in giudizio per
  l'annullamento (previa sospensione):
        a) del  decreto  del  presidente  dell'azienda  universitaria
  Policlinico  n. 689  del  21  settembre  1999  a mezzo del quale il
  ricorrente   e'   stato   posto   in   quiescenza   dalle  funzioni
  assistenziali  svolte  presso  il  rispettivo dipartimento, nonche'
  dalla direzione delle strutture assistenziali;
        b) se ed in quanto possa occorrere, delle successive note del
  22  settembre 1999 a firma del medesimo presidente di comunicazione
  del decreto di cui sub-a);
    Visto il ricorso ed i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione in giudizio delle amministrazioni
  intimate;
    Visti gli atti tutti di causa;
    Relatore il primo referendario, dott. Arcangelo Monaciliuni;
    Uditi, nella pubblica udienza del 23 febbraio 2000, i procuratori
  delle parti, come da verbale di udienza;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

                              F a t t o

    Con  ricorso  notificato  il  21  ottobre  1999  e  depositato il
  successivo  giorno 27 dello stesso mese, il ricorrente - professore
  ordinario  di prima fascia inserito nei ruoli del personale docente
  della  Seconda  Universita'  degli  studi  di  Napoli - facolta' di
  medicina e chirurgia e titolare della cattedra di reumatologia - ha
  impugnato  il  provvedimento in epigrafe segnato che dispone la sua
  cessazione,  a  decorrere  dal  1o novembre 1999, dallo svolgimento
  delle  ordinarie  attivita'  assistenziali, nonche' dalla direzione
  del dipartimento.
    Il  gravame  e'  affidato a quattro mezzi di impugnazione volti a
  denunciare la violazione dell'art. 7 della legge n. 241/1990 (primo
  mezzo);  la  violazione  dell'art.  15-nonies  d.lgs.  n. 502/1999,
  dell'art. 3 della Costituzione e l'eccesso di potere per sviamento,
  perplessita' e contraddittorieta' (secondo mezzo); l'illegittimita'
  costituzionale  dell'art.  13 del d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229 per
  violazione  dell'art.  76  della  Costituzione  (terzo  mezzo);  la
  violazione degli articoli 3 e 36 della Costituzione con riferimento
  allo status di professore universitario (quarto mezzo).
    L'amministrazione  universitaria  intimata  si  e'  costituita in
  giudizio   per   resistere   alla   pretesa   attorea,  depositando
  documentazione   e   concludendo   (a  mezzo  di  enunciazione  non
  sviluppata)   per   l'improponibilita'   e  l'inammissibilita'  del
  ricorso.
    Con  ordinanza  collegiale  della  seconda  sezione del tribunale
  n. 4264   del   4   novembre  1999  la  richiesta  sospensione  del
  provvedimento impugnato e' stata accolta nella ritenuta sussistenza
  dei  presupposti  di  cui  all'art. 21 della legge 6 dicembre 1971,
  n. 1034.

                            D i r i t t o

    1.  - Il provvedimento impugnato e' stato emanato - per esplicito
  e  pacifico richiamo - in applicazione del disposto di cui all'art.
  15-nonies,  comma  2,  del  d.lgs.  30 dicembre 1992, n. 502, quale
  introdotto dall'art. 13 del d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229.
    La  cennata  disciplina  e'  stata  censurata  dal ricorrente per
  violazione, da un canto, degli articoli 76 e 77 (eccesso di delega)
  e,  d'altro  canto,  degli  articoli  3,  36 e 9 della Costituzione
  (illegittima  compressione  delle funzioni docenti e dell'autonomia
  universitaria  demandata  peraltro a futuri protocolli d'intesa fra
  regioni ed universita').
    2. - Va premesso, ai fini della rilevanza della questione, che la
  pretesa  azionata  potrebbe  trovare  soddisfazione  solo all'esito
  dell'eventuale  declaratoria  della  illegittimita'  costituzionale
  della  norma  in  quanto  il  primo  mezzo di impugnazione, volto a
  censurare  il  provvedimento  di  cessazione  di  che  trattasi per
  violazione  dell'art.  7  della legge n. 241/1990, non puo' trovare
  ingresso.  Alcuna  previa comunicazione o ulteriore giustificazione
  oltre l'indicazione della norma applicata andava infatti effettuata
  nel   caso   di  specie,  laddove  la  cessazione  dalle  attivita'
  assistenziali  e  dalla  direzione  della  struttura  scattava come
  effetto ex lege al maturare della data fissata dalla legge stessa.
    3.  -  Cio'  posto,  ritiene  il  tribunale  che  la questione di
  costituzionalita' della indicata previsione normativa, nei sensi di
  cui appresso, non sia manifestamente infondata.
    Va  osservato  al  riguardo in via generale che l'inscindibilita'
  delle  prestazioni  afferenti all'assistenza da quelle di ricerca e
  di didattica o, comunque, la indispensabilita' di un livello minimo
  di  supporto "assistenziale" all'attivita' didattica (e di ricerca)
  risponde  ad  un principio pacificamente accolto dalla legislazione
  di  settore  fin dalla legge fondamentale 17 luglio 1890, n. 6972 e
  poi  ribadito  dal  r.d.l. 10 febbraio 1924, n. 549 (trasfuso negli
  articoli  27-35  del  t.u.  delle  leggi sull'istruzione superiore,
  approvato  con  r.d. 31 ottobre 1933, n. 1592) e dal regolamento di
  esecuzione   approvato  con  r.d.  24  maggio  1925,  n. 1144,  che
  trasformarono   gli  ospedali  siti  in  citta'  sedi  di  facolta'
  medico-chirurgiche  in  "ospedali  clinici  a  seconda  dei bisogni
  dell'insegnamento" (da ultimo, art. 27 del r.d. n. 1592), affidando
  al  personale  sanitario  universitario  la  direzione  tecnica dei
  singoli reparti, ferma la loro dipendenza dall'universita' (art. 29
  seguente).
    Congiunzione  di  fini  riconosciuta  poi  dalla legge n. 132 del
  1968,   recante   la   riforma   ospedaliera,   che   chiama  anche
  l'universita'   (art.   1   della   legge)  a  concorrere  al  fine
  assistenziale, in presenza di funzioni (didattica ed assistenziale)
  suscettibili    "di    ottimale    collegamento    o    addirittura
  compenetrazione"  (C.C.  sent. 103 del 1977 e, poi, in termini, 126
  del 1981 e 136 del 1997).
    Collegamenti  e  compenetrazione  di  fini  ancora  confermati  e
  sviluppati  dalla  legge  23  dicembre 1978, n. 833 e dal d.lgs. 30
  dicembre  1992, n. 502 di riordino e razionalizzazione del servizio
  sanitario nazionale.
    Del  resto,  lo  stesso  legislatore  qui  in  commento (legge 30
  novembre  1998,  n. 419  e  d.lgs.  19 giugno 1999, n. 229), cui va
  aggiunto  quello  delegato  ex  art.  6  stessa  legge,  di  cui al
  sopravvenuto    d.lgs.    21   dicembre   1999,   n. 517   (recante
  specificamente  la  disciplina  dei rapporti fra servizio sanitario
  nazionale ed universita'), non perde occasione, nel dettare criteri
  direttivi e porre previsioni attuative, per richiamare "il rispetto
  dello  stato  giuridico" dei docenti universitari di medicina e "la
  coerenza fra attivita' assistenziale e le esigenze della formazione
  e  della  ricerca" (articoli 2 e 6 legge n. 419/1998; art. 5 d.lgs.
  n. 517/1999). Richiamo, quest'ultimo, connesso a quello secondo cui
  "le attivita' assistenziali svolte dai professori e dai ricercatori
  universitari  si  integrano  con  quelle di didattica e di ricerca"
  (art. 5, comma 2, quarto periodo d.lgs. n. 517/1999 cit.).
    3.1 - Conferma della insopprimibilita' della cennata correlazione
  si  rinviene  peraltro  nella  normativa  comunitaria  di  settore.
  Questa,  nell'introdurre  il  reciproco  riconoscimento negli Stati
  membri dei titoli di studio universitari, richiede criteri uniformi
  di formazione, prescrivendo standard minimi a garanzia che i titoli
  medesimi   attestino   il   possesso   effettivo  delle  conoscenze
  necessarie all'esercizio delle attivita' corrispondenti.
    Fra  dette  prescrizioni  vi  e'  quella che gli studi teorici si
  accompagnino  necessariamente  ad  esperienze  pratiche,  acquisite
  attraverso  attivita'  cliniche  o, in genere, operative, nel corso
  del  periodo  di  formazione  (direttive  CEE  nn. 686 e 687 del 25
  luglio  1978;  nn.  1026 e 1027 del 18 dicembre 1978; n. 384 del 10
  giugno  1985;  n. 594 del 30 ottobre 1989; n. 16 del 5 aprile 1993,
  recepite con decreti legislativi 27 gennaio 1992, n. 129 e 2 maggio
  1994, n. 353).
    In  particolare, la direttiva 93/16 richiede testualmente che gli
  Stati  membri  subordinino  l'accesso  alle  attivita' di medico al
  possesso  di apposita certificazione comprovante, fra l'altro, che,
  nel  corso  dell'intero  ciclo  di  formazione, l'interessato abbia
  acquisito,  sul  campo,  "le  conoscenze  dei problemi e dei metodi
  clinici   sotto   opportuno  controllo"  (art.  23),  dettando  poi
  previsioni ancor piu' stringenti in riferimento alla formazione del
  medico specialista (art. 24).
    Ed   il  legislatore  nazionale,  in  sede  di  attuazione  della
  direttiva,  recepita di recente nell'ordinamento interno con d.lgs.
  17  agosto  1999, n. 368, ha quantizzato "in un minimo di 5.500 ore
  di  insegnamento teoriche e pratiche impartite in una universita' o
  sotto  il  controllo  di  una universita'" il necessario periodo di
  formazione  del  medico  chirurgo  (art.  18)  ed ha poi ancor piu'
  dettagliatamente   disciplinato,   sempre  insistendo  sul  profilo
  dell'insegnamento  pratico,  le  modalita'  formative,  in medicina
  generale (art. 26) e dei medici specialisti (articoli 37 e 38).

    4.  - Orbene, sulla base di tali premesse, venendo allo specifico
  esame   dei   profili   di  costituzionalita'  della  normativa  in
  questione,   sembra  evidente  innanzi  tutto  che  il  legislatore
  delegante  non solo abbia fatta propria questa impostazione - lo si
  e' gia' rilevato - ma abbia anche ritenuto di dover far propria una
  valutazione  di  ordine  generale  circa la indispensabilita' di un
  pieno   inserimento   funzionale   dei   docenti   nella  struttura
  assistenziale.
    Ma  se cio' e' vero, la disciplina poi in concreto delineata, che
  impone   la  "cessazione  dall'attivita'  assistenziale  ordinaria,
  nonche'    dalla    direzione    delle   strutture   assistenziali"
  anticipatamente   al   raggiungimento  dell'eta'  pensionabile  dei
  docenti  non  appare  coerente  con il principio del buon andamento
  (art. 97 Cost.) sia dell'insegnamento e della ricerca universitaria
  che del sistema sanitario.
    Cio'  anzitutto  in  quanto  l'insegnamento  ed i risultati della
  ricerca  del  docente universitario che abbia raggiunto i limiti di
  eta'  diminuirebbero  di  efficacia  in  presenza di una scelta che
  inevitabilmente si connota come una sostanziale emarginazione dalle
  funzioni assistenziali.
    Quanto  al  sistema  sanitario,  poi,  la violazione dell'art. 97
  Cost.  consegue  al  fatto  che  esso  non  potrebbe  piu' giovarsi
  dell'apporto  di soggetti ai quali non e' possibile non riconoscere
  una  qualificazione  -  se  non  particolare,  in quanto arricchita
  dall'esperienza  - certamente non inferiore; e cio' alla stregua di
  una  valutazione  che  e' implicita nella disciplina generale della
  docenza.
    5.  -  Se,  peraltro,  il  fondamento  delle  censure  dedotte va
  ricercato  nell'ambito  di un quadro pubblicistico, non puo' essere
  neanche  tralasciato  il vulnus al principio di eguaglianza, di cui
  all'art. 3 della Cost., che conseguirebbe dalla nuova disciplina.
    E'  evidente,  infatti,  che  il  legislatore,  sia delegante che
  delegato,    nell'intento   di   privilegiare   l'omogeneita'   dei
  trattamenti  del  personale  del  servizio sanitario nazionale e di
  quello  universitario  ha  creato una discriminazione fra i docenti
  che  appare  non  giustificata,  laddove  si introducono differenze
  cosi'  marcate di stato giuridico in funzione dell'eta' nell'ambito
  di  una categoria indubbiamente unitaria. Differenze che comportano
  una  menomazione  funzionale a danno dei docenti "strutturati" allo
  scoccare  di  un'eta'  in  cui  tutti  gli altri sono pacificamente
  ritenuti  idonei  pleno iure, di talche' il loro stato giuridico e'
  delineato  in  modo  unitario e coerente in tutto lo sviluppo della
  carriera con esclusione di qualsiasi frattura legata all'eta'.
    Del  resto  che  esista  un  problema  di  "rispetto  dello stato
  giuridico"  e'  questione  ben  presente  al legislatore che, non a
  caso,  tiene  ferme  sia pur transitoriamente differenti anzianita'
  per  i docenti rispetto agli altri sanitari e quindi non ritiene di
  poter spingere fino in fondo la logica della omogeneita'.
    6.  -  Ove  poi avesse a ritenersi che la scelta di fondo operata
  sia  costituzionalmente  corretta,  verrebbe in evidenza la mancata
  predeterminazione  nella  norma  di  delega  dei  criteri  idonei a
  definire  le  "modalita' ed i termini" del nuovo assetto funzionale
  dell'attivita'   assistenziale.   E  cio'  comporta  la  violazione
  dell'art. 76 della Costituzione.
    7.  -  Tale  carenza  si  e' in fatto manifestata in tutta la sua
  portata   con   l'emanazione  della  normativa  delegata,  che  nel
  sostanziale  vuoto  di  principi  cui  attenersi  si e' limitata ad
  operare  un  ulteriore  rinvio,  il quale presenta a sua volta - ad
  avviso del collegio - una ancora piu' palese lacuna.
    Se pur vero, infatti, che la previsione costituzionale di riserva
  di  legge  consente  che  il precetto espresso dalla norma primaria
  possa  essere  integrato da atti di normazione secondaria, tuttavia
  cio'  e'  possibile  solo  previa  determinazione  di  una serie di
  criteri  idonei ad indirizzare e vincolare la normazione secondaria
  entro  confini  ben delineati o, quanto meno, previa determinazione
  delle  linee  essenziali  della  disciplina stessa (C.C. 5 febbraio
  1986, n. 34 e giurisprudenza ivi richiamata, nonche', da ultimo, in
  una  questione  in  cui  a venire in rilievo era proprio la portata
  dell'autonomia  delle  universita'  in  relazione  alla potesta' di
  introdurre  il  numero  chiuso per l'accesso a determinati corsi di
  laurea, C.C. 27 novembre 1998, n. 383).
    Se  ne  deve  dedurre  che  le linee essenziali della disciplina,
  ovvero  quanto meno l'indicazione di uniformi requisiti minimi, non
  potevano  che  essere previsti in sede legislativa, e dunque se non
  gia' nella legge delega di certo nella normativa delegata.
    In  questa  chiave la fissazione di detta disciplina, quanto meno
  nelle  sue  cogenti  linee  essenziali,  non  puo'  che  costituire
  l'essenza  della  pur scarna delega conferita e in particolare, del
  previsto   obbligo   per   il  delegato  di  rispettare  "lo  stato
  giuridico", del personale universitario "strutturato".
    Va  infatti  avuto  presente che qui si tratta di intervenire per
  disciplinare, sotto i profili sia quantitativi che qualitativi, non
  gia'   i   parametri   per   la   formazione  dei  medici  o  degli
  specializzandi  in  una situazione di pieno impiego del docente, ma
  per  individuare  quale  sia la parte di attivita' assistenziale da
  lasciarsi  affidata,  ai  fini  didattici  e di ricerca, al docente
  "dimidiato"  e/o  la  possibilita'  di  utilizzo,  a  tali fini, di
  reparti dei quali il docente stesso non ha piu' la direzione.
    Trattasi,  quindi, di materia che involge i principi fondamentali
  relativi  all`istruzione  con  riferimento  sia  all'organizzazione
  scolastica  (art.  33 Cost.), della quale le universita' sono parte
  (C.C.  sentenze  n. 195 del 1972 e n. 383 del 1998), sia ai diritti
  di  accedervi e di usufruire delle prestazioni che essa e' chiamata
  a   fornire   (art.   34   Cost.).   E  cio'  avendo  presente  che
  organizzazione  e  diritti  sono  aspetti  speculari  della  stessa
  materia,   l'una   e   gli  altri  implicandosi  e  condizionandosi
  reciprocamente.
    Alla stregua di quanto sopra considerato, deve concludersi per la
  violazione   della   riserva  di  legge  prevista  dalla  normativa
  richiamata.
    8. - Va soggiunto che lo strumento convenzionale prescelto per la
  definizione della disciplina esecutiva presenta l'ulteriore difetto
  di  non  essere  idoneo  a  garantirne  la  uniformita' sull'intero
  territorio  nazionale,  poiche'  in  ogni caso si resta nell'ambito
  delle  singole  realta' in cui si opera: realta' condizionate dalle
  scelte  anche  finanziarie  delle  singole  regioni.  E cio' appare
  sufficiente  a far dubitare della legittimita' costituzionale della
  norma  con  riferimento  sia  alla riserva di legge esistente nella
  materia universitaria, sia, ancora una volta, all'art. 97 Cost.
    Ne'  in  questa  prospettiva  puo'  aver  rilievo determinante la
  circostanza   che   i   protocolli   d'intesa  vanno  stipulati  in
  conformita' alle linee guida fissate (oggi) dal Governo.
    Se  pur  vero,  infatti,  che il sopravvenuto decreto legislativo
  n. 517/1999  -  uniformandosi  al  dettato  del giudice delle leggi
  secondo  cui  l'esercizio  in via non legislativa della funzione di
  indirizzo e coordinamento nei confronti delle regioni deve far capo
  all'organo  collegiale  di Governo (C.C. 14 dicembre 1998, n. 408 e
  poi,  in  termini, 15 febbraio 2000, n. 63) - ha abrogato i commi 1
  degli  articoli 6 e 6-bis del d.lgs. n. 502/1992 (che affidavano ai
  decreti   ministeriali   l'emanazione  delle  linee  guida  per  la
  stipulazione   dei  ripetuti  protocolli)  ed  ha  individuato  nel
  Consiglio dei ministri l'organo a tanto competente, ancora vero che
  i  "criteri  ed  i  principi direttivi" recati dalla norma delegata
  (art.  1,  comma  2) appaiono privi di quei contenuti definiti e di
  quella  diretta  ed  immediata  incisivita'  invece richiesti dalla
  ripetuta  portata  della  materia  -  istruzione universitaria - di
  pertinenza  dello Stato. Mancano, cioe' "quelle norme specifiche di
  legge   che  delimitino  sostanzialmente  il  potere  governativo",
  indicando  l'oggetto  degli  atti  di indirizzo e dettando "criteri
  sufficienti  a indirizzarne a loro volta il contenuto", in tal modo
  violandosi  il  principio  di legalita' sostanziale affermato dalla
  giurisprudenza del giudice delle leggi (C.C. sentenza n. 408 cit. e
  restanti ivi richiamate).
    Nell'ottica  ermeneutica di questo giudice, qui tesa a verificare
  il   rispetto   del   buon   andamento  dell'amministrazione  e  la
  sussistenza  delle  condizioni  di  salvaguardia  dell'insegnamento
  quali  richieste  nell'interesse  dei discenti, non puo' convenirsi
  con  la replica della difesa erariale secondo cui l'incisione sullo
  status  del  personale  docente  sanitario  di  che trattasi e' dal
  legislatore  riferita  alla  "preminente  esigenza  di tutela della
  salute pubblica e non invece rispetto al miglior espletamento della
  funzione,  docente".  L'affermazione, oltre a non apparire coerente
  con  il quadro generale tracciato, e' intimamente contraddittoria e
  fondata  su  di  una  visione  riduttiva  della stessa tutela della
  salute  pubblica, collocata in un ambito concettuale contingente ed
  immediato   che   non  considera  come  questa  presupponga  medici
  idoneamente  formati ed in possesso gia' all'atto del conseguimento
  del   diploma   universitario,   ed   ancor   piu'   di  quello  di
  specializzazione,   della   formazione   sia  teorica  che  pratica
  necessaria   per   l'espletamento  della  professione,  ovvero  per
  tutelare la salute pubblica.
    9. - Resta infine fermo, in via ulteriormente subordinata, che un
  vulnus   all'art.  97  Cost.  appare  residuare  in  ogni  caso  in
  riferimento  alla previsione di immediata cessazione dall'attivita'
  assistenziale in difetto comunque della previa regolamentazione del
  residuo di attivita' assistenziale a svolgersi ai fini di didattica
  (e  di  ricerca)  che  viene  cosi' rinviata ad un termine incertus
  quando.
    La  difesa  erariale  nega  ogni  frattura temporale nell'assunto
  della  vigenza,  nelle  more,  di  un  idoneo  regime  transitorio,
  costituito  dalle  linee  guida dettate dai decreti ministeriali 31
  luglio  1997  (recante  le  linee guida per la stipula dei ripetuti
  protocolli);  17  dicembre  1997  (recante i requisiti di idoneita'
  delle   strutture  per  le  scuole  di  specializzazione  dell'area
  medica);  24 settembre 1997 (recante i requisiti di idoneita' delle
  strutture per i diplomi universitari dell'area medica).
    L'assunto  non convince il collegio per la evidente ragione che i
  contenuti  dei  cennati decreti (e dei protocolli attuativi vigenti
  allo  stato) non disciplinano - ne' l'avrebbero potuto - l'utilizzo
  dei  docenti  universitari per le attivita' di che trattasi, stante
  la  loro  preesistenza  rispetto  all'introduzione nell'ordinamento
  della norma che detto utilizzo e' sopravvenuta a prevedere.
    Ne'  ai  fini  invocati potrebbe soccorrere la considerazione che
  l'art.  1,  comma  5,  del  decreto  legislativo  21 dicembre 1999,
  n. 517,   ha   previsto   la   ultravigenza   dei  cennati  decreti
  ministeriali  fino  alla  data  di  entrata  in vigore dell'atto di
  indirizzo  e  di  coordinamento  previsto  dal comma 2 dello stesso
  articolo,  attesa  la  inidoneita'  anche di questi sotto i profili
  gia' indicati.
    Peraltro,  il  d.m. 31 luglio 1997, recante le linee guida per la
  stipula  dei  protocolli  di  intesa,  prevede testualmente che "le
  attivita'    assistenziali   del   personale   universitario   sono
  inscindibili da quelle di didattica e di ricerca. Non e' consentito
  al    personale    universitario    di    recedere   dall'attivita'
  assistenziale". (art. 5, comma 3).
    10.  -  In conclusione, il collegio, rinviata ex art. 279, quarto
  comma,  c.p.c.,  alla  sede  del  merito  le complessive definitive
  statuizioni,  ritiene  di  dover  investire la Corte costituzionale
  delle questioni di costituzionalita' innanzi precisate, disponendo,
  in  conseguenza,  la  sospensione  del presente giudizio nella more
  della pronuncia a rendersi dal giudice delle leggi.