IL TRIBUNALE Il giudice, a scioglimento della riserva e visti gli atti del procedimento n. 64/P RGB-2000, relativo a ricorso ex art. 647 c.p.c. presentato dalla S.r.l. Italprint, visti altresi' gli atti relativi al fascicolo n. 5394/1999 nonche' al fascicolo n. 5382/RGA/1999, aventi entrambi ad oggetto un'opposizione a decreto ingiuntivo; Rilevato che le questioni all'esame di questo giudice traggono origine da una vicenda processuale che si puo' riassumere nel modo seguente: la Italprint chiedeva ed otteneva decreto ingiuntivo nei confronti della Banda musicale citta' di Staffolo; l'ingiunta presentava opposizione, con atto di citazione notificato il 29 ottobre 1999, trascurando peraltro di depositare l'originale dell'atto di citazione che non veniva depositato insieme al fascicolo di parte (depositato nei termini) bensi' fuori termine di un giorno rispetto ai dieci giorni previsti dall'art. 165 c.p.c.; che successivamente depositava altro identico atto di citazione in opposizione avverso il medesimo decreto ingiuntivo notificato il 17 novembre 1999, e cioe' sempre rispettando l'ambito del termine perentorio di cui all'art. 641 c.p.c. (essendo stato il d.i. notificato il 20 ottobre 1999), costituendosi poi regolarmente; con richiesta depositata in cancelleria lo stesso 17 novembre 1999, l'Italprint proponeva istanza ex art. 647 c.p.c., affinche' il giudice dichiarasse l'esecutivita' del d.i. opposto; il giudice, con provvedimento del 9 marzo 2000 rigettava la richiesta; con istanza depositata in cancelleria il 15 marzo 2000 la creditrice Italprint reiterava la richiesta ex art. 647 c.p.c., nel frattempo i due procedimenti di opposizione a d.i. (nei quali l'opposta Italprint non si costituiva) subivano rinvii interlocutori proprio in ragione della pendente richiesta ex art. 647 c.p.c. Allo stato attuale i due procedimenti di opposizione a d.i. vanno riuniti, non essendovi alcuna ragione per farli procedere separatamente. Nell'ambito del procedimento di opposizione a d.i., questo giudice deve decidere se invitare o meno le parti a precisare le conclusioni sul punto dell'improcedibilita' dell'opposizione (dovendosi la questione decidersi con sentenza), mentre deve anche decidere se aderire o meno alla richiesta avanzata dall'Italprint ex art. 647 c.p.c. Sotto quest'ultimo profilo, appare ovvio che il provvedimento con cui questo giudice ha, in un primo momento, rigettato l'istanza ex art. 647 c.p.c., non lo vincola in alcun modo: infatti la giurisprudenza pacificamente riconosce la possibilita' che il provvedimento che dichiara o meno esecutivo il d.i. opposto possa essere rivisto nel corso del successivo giudizio d'opposizione (cass. n. 9314/1987; n. 181/1965; n. 581/1964) e dunque non si vede il motivo per cui tale provvedimento non possa essere rivisto anche a prescindere dal giudizio d'opposizione. A cio' si aggiunga che la forma del provvedimento del giudice con la quale si dichiara esecutivo ex art. 647 il d.i. e' il decreto (anche se, nel caso concreto, e' stato provocato un contraddittorio sul punto, del resto non espressamente vietato dalla legge), un tipo di provvedimento che puo' sicuramente essere modificato, anche rispetto ad una situazione non mutata. Occorre a questo punto osservare che il provvedimento con il quale questo giudice rigettava la prima istanza ex art. 647 c.p.c., si fondava essenzialmente su di un precedente, piuttosto risalente nel tempo (cass. n. 2729/1960) che questo giudice reputava il piu' simile alla fattispecie in esame: partendo dalla natura di mezzo di gravame dell'impugnazione, la Cassazione riteneva consumato il diritto all'impugnazione (e quindi anche la facolta' di proporre opposizione) laddove, esercitato - ed esercitato validamente - una prima volta tale diritto, lo stesso doveva necessariamente ritenersi esaurito (nella fattispecie, ad un atto di opposizione formalmente perfetto, ne era seguito un altro ugualmente dotato di tutti i requisiti di validita' - e l'uno e l'altro atto di opposizione erano tempestivi - in cui la parte opponente aveva specificato e precisato i motivi di opposizione). Partendo dal principio contenuto nella predetta decisione della Cassazione ed argomentando a contrario, questo giudice riteneva che, proprio perche' la prima opposizione era da ritenersi non validamente proposta, utilmente la parte opponente aveva proposto nei termini una seconda opposizione. Alla luce del diritto positivo, l'interpretazione che precede, data in un primo momento da questo giudice, non appare del tutto corretta. E cio' non tanto per le censure mosse dalla creditrice circa l'impossibilita' di ricondurre l'opposizione nell'alveo delle impugnazioni: invero le SS.UU. della Cassazione, dopo alcune pronunce delle sezioni semplici, hanno chiaramente riaffermato che, almeno per cio' che concerne la fase in esame, l'opposizione va configurata quale impugnazione, orientamento del resto seguito dalla Corte costituzionale: "... il procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo presenta nella fase introduttiva caratteristiche comuni non gia' all'ordinario processo di cognizione quanto piuttosto al giudizio di impugnazione ..." (ordinanza n. 239 del 2000). Quanto perche' l'equiparazione della fattispecie di invalidita' dell'impugnazione a quella dell'improcedibilita' non e' esatta. In una fattispecie a formazione successiva, l'improcedibilita' appare come la mancanza o il tardivo compimento di un atto oltre i termini perentori, e non attiene alla validita' dell'atto in se'. Dopo contrastanti elaborazioni dottrinarie, a volte nettamente divergenti, ormai appare pacifico fra gli interpreti, sia in dottrina che in giurisprudenza che: 1) il decreto ingiuntivo non opposto acquista efficacia di giudicato (pacifica la giurisprudenza, con qualche dissenso in dottrina); 2) mentre una pronuncia del giudice e' necessaria per l'esecutivita' del d.i. non opposto, l'efficacia di giudicato non e' in alcun modo vincolata a specifiche istanze della parte o a pronunce del giudice; 3) l'improcedibilita' derivante dalla mancata o tardiva costituzione e' rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo, anche in Cassazione, ed a prescindere anche dalla costituzione della parte opposta. In alcune pronunce si legge anche che dalla dichiarazione di esecutivita' del d.i. discende l'efficacia del giudicato, e non dalla mancata opposizione nei termini (cass. n. 3015/1969, in Foro it., 1971, I, 3033: tale decisione, peraltro, gia' oggetto di critiche al momento della sua pronuncia, e' rimasta del tutto isolata, essendo ormai pacifico che l'efficacia di giudicato e' collegata al decorso del termine perentorio) ma quest'interpretazione confonde due piani d'indagine che non possono che essere distinti e cioe', l'efficacia di giudicato da un lato e la valenza di titolo esecutivo del d.i. non opposto dall'altro. Invero, tale confusione appare giustificata dalla stessa lettera della norma, la quale dispone "quando il decreto e' stato dichiarato esecutivo a norma del presente articolo, l'opposizione non puo' piu' essere proposta ne' proseguita ..." (art. 647, secondo comma, c.p.c.). Peraltro, per essere chiari, e' parimenti pacifico che: 1) per dare valenza di titolo esecutivo al d.i. non opposto (o con opposizione improcedibile) occorre necessariamente il decreto del giudice; 2) l'efficacia di giudicato prescinde, al contrario, da qualsiasi dichiarazione del giudice e discende direttamente: a) dalla mancata opposizione del termine ovvero; b) dalla mancata o tardiva costituzione dell'opponente nel giudizio di opposizione. Se quanto appena detto e' vero - e non puo' dubitarsene alla luce del diritto vivente - appare chiaro che il legislatore si e' preoccupato di subordinare la fattispecie di esecutivita' del d.i. ad un provvedimento espresso dal giudice, ma assai incongruentemente ha collegato effetti, preclusivi circa la possibilita' di proporre o proseguire l'opposizione, alla dichiarazione effettuata dal giudice con la quale si sancisce l'esecutivita' del d.i. Tali effetti preclusivi non possono che discendere direttamente dalla fattispecie legale (di mancata opposizione ovvero di mancata o tardiva costituzione) ed appare comunque fuori luogo sostenere che vi sono effetti preclusivi perche' v'e' un giudicato, semmai il giudicato (rectius, l'efficacia di giudicato) a discendere dalla sopravvenuta impossibilita' di proporre o proseguire l'opposizione. Peraltro il secondo comma dell'art. 647, c.p.c., comunque lo si voglia intendere, appare perfettamente inutile. Ed infatti: esso non puo' essere utilizzato come un maldestro doppione della chiara norma di cui agli artt. 358 e 387 c.p.c., norme ben piu' perspicue. C'e', invero, una certa assonanza letterale, ma qualsiasi tentativo di riconduzione sistematica fallisce di fronte all'indebita commistione tra esecutivita' del d.i. e impossibilita' ovvero improcedibilita' dell'opposizione, nonche' di fronte a quello che sembra l'elemento di differenziazione piu' vistoso tra il secondo comma dell'art. 647 c.p.c. da un lato, ed il disposto degli artt. 358 e 387 c.p.c. dall'altro, e cioe' il mancato espresso inserimento della possibilita' di riproporre l'opposizione a fronte dell'improcedibilita', purche' quest'ultima non sia stata ancora dichiarata e purche' il termine per opporsi non sia ancora scaduto (che e' poi il caso concreto in esame); l'impossibilita' di proporre o proseguire l'opposizione discende direttamente da fattispecie legali. In particolare, circa l'impossibilita' di proseguire l'opposizione, le fattispecie legali riguardano casi di improcedibilita' sulla cui rigorosita' si e' a lungo discusso; inoltre, ed e' la conseguenza piu' importante ai fini della valutazione della concreta fattispecie di cui si occupa, la stessa esecutivita' del d.i. (quella specifica dettata dall'art. 647 c.p.c., beninteso) discende direttamente dall'efficacia di giudicato, la quale a sua volta discende dalle fattispecie legali, al "verificarsi delle quali essa stessa si verifica senz'altro". La previsione di un'esplicita dichiarazione da parte del giudice sara' utile sotto il profilo dell'opportunita' ma e' chiaramente ricavabile dal sistema: un provvedimento giurisdizionale che ha efficacia di giudicato e riguarda una condanna ad un pagamento non puo' che essere esecutivo. Ma v'e' di piu'. Oltre che inutile perche' assolutamente incongruo e contraddittorio nei sensi sopra segnalati, l'art. 647, secondo comma, c.p.c., e' anche ingiustamente impeditivo della possibilita' di riproporre opposizione (una volta verificatasi l'improcedibilita'), purche' nei termini, e purche' tale improcedibilita' non sia stata dichiarata. In materia di impugnazioni, tale principio e' espressamente fatto salvo dagli artt. 358 e 387 c.p.c., mentre, se e' in giusto l'iter argomentativo sopra seguito, viene sacrificato in caso di opposizione a d.i.: la fattispecie preclusiva in maniera irreversibile si verifica automaticamente all'inutile decorso dei termini per la regolare costituzione senza che sia rilevante la circostanza che i termini per l'opposizione non siano ancora scaduti. Tale grave conseguenza e', ovviamente, ipotesi distinta ed ulteriore rispetto alla vexata quæstio della possibilita' di una rinnovazione, ormai risolta in senso negativo della giurisprudenza. Appare indubitabile che nessuna norma del tipo di quella di cui agli artt. 358 e 387 c.p.c. e' rinvenibile nell'art. 647 c.p.c., ne' esplicitamente ne' in via di interpretazione sistematica. E se e' vero, come riconosciuto dalle SS.UU. e dalla stessa Corte costituzionale, che in questa fase l'opposizione a d.i. ha le caratteristiche di un giudizio di impugnazione, non si vede perche' non dovrebbe esserle applicabile una delle norme peculiari alle impugnazioni, espressioni di un principio generale che - venendo meno l'inutile secondo comma dell'art. 647 c.p.c. - non potrebbe non essere applicato. Ed invero, la possibilita' di proporre una nuova impugnazione nei termini, anche a fronte di un'improcedibilita', sarebbe precluso, in astratto, proprio dall'automatico perfezionarsi della fattispecie impeditiva legata al mancato o imperfetto compimento dell'atto. Tale possibilita' viene pero' recuperata dalla norma di legge, sino a che la dichiarazione di improcedibilita' non sia stata effettuata, con specifica disposizione (quella degli artt. 358 e 387 c.p.c.) che deve essere intesa come generale in materia di impugnazioni. Ma poiche' il secondo comma dell'art. 647 c.p.c. si pone a sua volta come norma speciale, il suo disposto preclude (indebitsamente, come sopra si e' detto) il ricorso ad un'interpretazione sistematica che faccia salvo, anche in materia di opposizione a d.i., il principio di favor per l'impugnante di cui agli artt. 358 e 387 c.p.c. Se poi si volesse opinare che anche in questa fase l'opposizione a d.i. non ha carattere di gravame, allora le lesioni al diritto di difesa ed al principio di ragionevolezza sarebbero ancora piu' vistose: dopo un provvedimento giurisdizionale a cognizione sommaria (e talvolta estremamente sommaria, visto che la giurisprudenza ammette la concessione di d.i. anche sulla base di fatture, siano o meno conformi alle risultanze dei registri contabili), il convenuto in senso sostanziale vedrebbe irrimediabilmente preclusa la possibilita' di far valere le sue ragioni senza che ad una sua negligenza nella ritardata costituzione possa porre riparo, abbandonando la prima opposizione e proponendone un'altra nel rispetto dei termini perentori di cui all'art. 641 c.p.c. Sarebbe veramente una sanzione irragionevolmente draconiana, dal momento che all'opposto, attore in senso sostanziale, non viene chiesto nulla del genere. Ed addirittura l'irragionevolezza risalta ancora in maniera piu' marcata se si fa confronto tra tutela delle posizioni in primo grado e in sede di gravame: in sede di gravame, ove la situazione ha un certo livello di consolidamento dopo una pronuncia del giudice di merito (o addirittura due, nel caso del ricorso per cassazione) colui che propone gravame e' tutelato da una norma che tende ad evitare gli effetti piu' gravi di una mancata costituzione, laddove cio' non succederebbe in caso di opposizione a d.i. Pertanto si denuncia il secondo comma dell'art. 647 c.p.c. per violazione dell'art. 3 della Costituzione, poiche' dal suo dettato normativo discendono conseguenze di irragionevole disparita' di trattamento tra i vari tipi di impugnazione, ovvero un'ancora piu' irragionevole disparita' di posizioni tra attore e convenuto nelle sanzioni collegate alla mancata costituzione (se si cede alla tesi che all'opposizione non vanno applicati i principi propri delle impugnazioni). Si dichiara altresi' non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della predetta norma in relazione all'art. 24 della Costituzione, venendo compresso il diritto di difesa di colui che impugna un provvedimento giurisdizionale (o alternativamente, del convenuto in senso sostanziale, se si nega la configurazione dell'opposizione come impugnazione) in maniera comunque non giustificata dalla specialita' del rito.