Ricorso per conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato ai sensi dell'art. 134 della Costituzione e dell'art. 37 della 1egge 11 marzo 1953, n. 87, sollevato dal procuratore della Repubblica di Napoli nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, con riferimento al decreto emanato dal Ministro dell'interno in data 4 marzo 2000, n. 1070/M/22(6) Gab. per violazione degli artt. 109 e 112 della Costituzione. Con il presente ricorso il procuratore delle Repubblica di Napoli chiede alla ecc.ma Corte costituzionale di dichiarare che non spetta al Governo, e per esso al Ministro per gli interni, adottare la disposizione - contenuta nell'art. 1 del d.m. 4 marzo 2000, n. 1070/M/22(6) Gab. - con la quale e' stata sostituita la lett. a) dell'art. 1 del d.m. 25 marzo 1998, nella parte in cui la delegabilita' delle attivita' di polizia giudiziaria ai servizi centrali delle varie forze di polizia e' subordinata ai presupposti indicati nel medesimo articolo, nei termini di cui alle conclusioni. Prima di passare all'esposizione delle ragioni di merito a sostegno del presente ricorso vanno affrontate due questioni pregiudiziali, una relativa alla legittirnazione del procuratore della Repubblica a valersi dello speciale mezzo di impugnazione del conflitto di attribuzione di cui all'art. 37 della 1egge n. 87/1953, e l'altra connessa all'interesse dell'ufficio alla richiesta declaratoria, come sopra meglio precisata. Per quanto attiene al primo aspetto, la giurisprudenza dell'Ecc.ma Corte costituzionale ha indicato in piu' occasioni precisi dati dai quali prendere le mosse per acclarare la ricorrenza della legittimazione. Si e', infatti, in primo luogo precisato - v. in tal senso, ex plurimis, ord. n. 216 del 29-31 maggio 1995 - che il procuratore della Repubblica e' organo al quale, nel complesso del potere giudiziario, e' attribuita, ai sensi dell'art. 112 Cost., la titolarita' diretta ed esclusiva della attivita' d'indagine finalizzata all'esercizio obbligatorio del-l'azione penale: funzione da cui deriva che il predetto procuratore e' competente a dichiarare definitivamente la volonta' del potere cui appartiene - e cioe' quello giudiziario - cosi' come richiesto dall'art. 37 della 1egge n. 87 del 1953. Si e' ulterionnente specificato - v. sent. n. 420 del 6-8 settembre 1995 - che al procuratore della Repubblica deve considerarsi attribuita la legittimazione attiva a proporre conflitto esclusivamente quando agisce a difesa dell'integrita' della competenza inerente all'esercizio dell'azione penale, competenza della quale e' direttamente investito dalla norma costituzionale di cui all'art. 112, piu' volte ricordata, ed in ordine alla quale e' fornito di istituzionale indipendenza rispetto ad ogni altro potere. Nel caso in esame - ed indipendentemente dalle valutazioni di merito che saranno effettuate nel prosieguo - non vi e' dubbio alcuno che la dedotta violazione del parametro costituzionale dell'art. 109 della Costituzione si traduca in una palese lesione della competenza di cui al citato art. 112 Cost. Senza, infatti, volere assolutamente ripercorrere le ragioni storico-politiche che spinsero il Costituente a formulare la norma di cui all'art. 109 Cost., puo' con assoluta tranquillita' affermarsi che si tratta di una disposizione nata con l'obiettivo di garantire l'indipendenza funzionale dell'autorita' giudiziaria - e in particolare dell'organo cui spetta l'esercizio dell'azione penale e cioe' del pubblico ministero - in quanto solo attraverso la possibilita' di "disporre direttamente" della polizia giudiziaria, senza mediazioni e senza limitazione da parte del potere esecutivo (vedasi in tal senso la sentenza della Corte costituzionale n. 114 del 28 novembre 1968), e' astrattamente possibile esercitare obbligatoriamente l'azione penale per tutte le fattispecie costituenti reato. Il disposto dell'art. 109 Cost., in conclusione, corrisponde perfettamente alla fondamentale guarentigia costituzionale di cui all'art. 112 Cost., e ne rappresenta un ineliminabile corollario, in uno con le norme di cui agli artt. 55 e ss. c.p.p. In questo senso, qualsivoglia intervento di altro potere dello Stato che limitasse la possibilita' di disporre della polizia giudiziaria inciderebbe in modo determinante sulla effettiva e concreta possibilita' di esercitare obbligatoriamente l'azione penale, come richiesto dalla Carta costituzionale. Dal punto di vista della legittimazione passiva, la stessa Corte costituzionale ha posto in rilevo come il potere esecutivo non debba essere considerato un potere "diffuso", e che sia l'intero Governo abilitato a prendere parte ai conflitti tra i poteri dello Stato, in base alla configurazione dell'organo stabilita nel primo comma dell'art. 95 Cost. L'organo legittimato dal punto di vista passivo deve, quindi, ritenersi il Presidente del Consiglio dei ministri in rappresentanza dell'intero Governo. Ad ogni buon fine, il presente ricorso deve intendersi proposto anche nei confronti del Ministro per gli interni, ove tale orientamento dovesse essere contestato. Per quanto attiene all'interesse alla proposizione del conflitto, l'esaustiva elaborazione della giurisprudenza costituzionale ha rilevato come non sia indispensabile, per ritenere esistente tale presupposto, che la norma nei cui confronti viene esperito il mezzo di impugnazione sia stata direttamente applicata, apparendo sufficiente l'emanazione di un atto normativo quale quello in esame - per sua natura generale ed astratto - che preveda limiti diretti alla possibilita' del procuratore della Repubblica di disporre direttamente della polizia giudiziaria. Nessun rilevo a tal fine - e cio' indipendentemente dalla possibilita' che questo avvenga, e prescindendo da tutti i problemi interpretativi connessi all'applicazione della 1egge 20 marzo 1865 all. E, artt. 4 e 5 - puo' avere l'astratto potere di disapplicare il provvedimento impugnato che si ritiene illegittimo. L'eventuale esercizio di questo, infatti, non sarebbe comunque idoneo a far venire meno l'interesse all'annullamento dell'atto impugnato, da cui soltanto conseguirebbe la piena ed effettiva reintegrazione della propria sfera di attribuzioni di cui si deduce la lesione. Ai fini dell'esame nel merito delle censure in ordine alle quali il conflitto viene sollevato, occorre premettere alcune brevi considerazioni sulle norme di riferimento. Essendo il d.m. impugnato attuativo ed esplicativo dell'art. 12 d.l. n. 152/1991 cosi' come convertito con legge n. 203/1991 - articolo richiamato espressamente in premessa del d.m. - da questa ultima norma primaria bisogna prendere le mosse. La disposizione si inserisce nell'ambito di quella legislazione speciale - da alcuni definita "emergenziale" - nata nel 1991 per far fronte al dilagare dei fenomeni delinquenziali collegati alle attivita' della criminalita' organizzata. Il disposto e' l'unico contenuto nel capo VI della decretazione d'urgenza sopra citata, intitolato - in modo particolarmente significativo per il tema che ne occupa - "coordinamento e specializzazione dei servizi di polizia giudiziaria". La ratio perseguita dal legislatore con l'articolato puo', quindi, ritenersi chiaramente e compiutamente esplicitata dalla rubrica del capo anzidetto. I primi tre commi dell'articolo in discussione prevedono: al comma 1, la costituzione di "Servizi centrali ed interprovinciali" della Polizia di Stato, dell'Arma dei Carabinieri e del Corpo della Guardia di Finanza, "per assicurare il collegamento delle attivita' investigative relative a delitti di criminalita' organizzata; al comma 2, la possibilita' che in determinate regioni e per particolari esigenze possano essere costituiti servizi interforze; al comma 3, la possibilita' di un coordinamento dei nuovi organi tra loro, con altri servizi di polizia giudiziaria e/o con organi di polizia estera. Il comma 4 esplicitamente prevede - con una lettera prima facie non chiara per l'utilizzo della criticabile tecnica del rinvio, ma dall'inequivoco significato - che il p.m. che procede per i delitti di criminalita' organizzata possa avvalersi degli organi istituiti ai sensi dei commi 1 e 2, di regola congiuntamente. Dall'esame della parte della disposizione qui presa in considerazione emerge, quindi, con assoluta chiarezza che il p.m. puo' avvalersi per le sue indagini sia dei servizi centrali ed interprovinciali (il riferimento al comma 1) sia dei servizi interforze, se istituiti (il riferimento al comma 2). Sulla qualifica di organi di polizia giudiziaria di tutte e tre le tipologie di servizi non pare potersi dubitare. Milita, in tal senso, oltre l'inequivoco riferimento contenuto nella rubrica del capo VI e l'uso dell'aggettivo sopra evidenziato in neretto, la natura dell'attivita' per cui gli organi sono istituiti - svolgimento di compiti delegati dal p.m. - che ai sensi dell'art. 56 c.p.p. lett. a) e c) rientra nel concetto di polizia giudiziaria. La riconosciuta natura ai servizi sia interprovinciali che centrali dell'attribuzione e delle funzioni di polizia giudiziaria li pone, in relazione al disposto dell'art. 109 della Costituzione - norma che appare interpretabile, secondo l'elaborazione dottrinaria, come riferibile a qualsivoglia organo, al quale puo' riferirsi la qualifica di polizia giudiziaria (1) - e degli artt. 55 e segg. c.p.p., a diretta disposizione dell'autorita' giudiziaria - ed in particolare del p.m. La possibilita' di disporre direttamente della p.g. - ed in particolare di "ogni servizio ed organo di polizia giudiziaria" da parte del procuratore della Repubblica viene prevista direttamente dall'ultima parte del comma 3 dell'art. 58 c.p.p., norma da ritenersi, a giusta ragione, diretta esplicazione del principio costituzionale sovraordinato. In questo quadro legislativo si pone l'intervento dell'organo esecutivo che con il decreto ministeriale impugnato "regolamenta" i compiti dei Servizi centrali ed interprovinciali istituiti con l'art. 12 del piu' volte richiamato decreto legge. Vale la pena riportare di seguito ed integralmente il disposto dell'articolo 1 che con il presente ricorso si intende impugnare: "L'articolo 1, lett. a) del decreto ministeriale 25 marzo 1998, recante criteri per l'organizzazione dei servizi centrali ed interprovinciali istituiti ai sensi dell'art. 12 del decreto legge 13 maggio 1991, n. 203, e' sostituito dal seguente: a) attribuzione ai servizi centrali di compiti di analisi, di raccordo informativo e di supporto tecnico-logistico relativamente alle attivita' investigative svolte dai servizi interprovinciali in materia di contrasto della criminalita' organizzata. Per le indagini di polizia giudiziaria relative ai delitti indicati nell'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, i responsabili dei servizi interprovinciali possono segnalare ai procuratori della Repubblica distrettuali la necessita' di richiedere il concorso alle attivita' di indagini dei servizi centrali (1) Si veda in questo senso anche l'importantissimo passaggio contenuto nella sentenza della Corte costituzionale 9 giugno 1971, n. 122 secondo cui: "l'assoggettamento all'autorita' giudiziaria solo di appositi nuclei delle forze di polizia non esclude che quella possa giovarsi degli appartenenti alla polizia, pur se non facciano parte dei nuclei, essendo tutti tenuti all'obbedienza, tempestiva e diligente, agli ordini dell'autorita' stessa ..." qualora si tratti di indagini da svolgersi nei confronti di organizzazioni criminali che operano nell'ambito di piu' distretti di Corte di appello o con collegamenti internazionali e il concorso sia ritenuto utile ai fini dello svolgimento di accertamenti che richiedono il supporto operativo di speciali risorse investigative ovvero l'impiego di mezzi tecnologici d'avanguardia. Le richieste dei procuratori della Repubblica distrettuali sono inoltrate dai responsabili dei servizi interprovinciali ai rispettivi servizi centrali, che dispongono i conseguenti adempimenti informando, a seconda della forza di polizia di appartenenza, il dipartimento della Pubblica Sicurezza, il comando generale dell'Arma dei Carabinieri ovvero della Guardia di Finanza. Nella formulazione delle richieste si tiene conto delle indicazioni offerte dal procuratore nazionale antimafia nell'ambito dei poteri di direttiva e di impulso al medesimo attribuiti dall'art. 371-bis del codice di procedura penale. Il personale dei servizi centrali assicura, ove necessario, lo svolgimento delle attivita' previste dagli articoli 18-bis (colloqui investigativi) della legge 26 luglio 1975, n. 354, 12-quater (operazioni sottocopertura) e 25-ter (intercettazioni preventive) del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356." E' evidente che una prima lettura della denunciata disposizione potrebbe indurre ad escludere che i servizi centrali siano titolari di poteri d'indagine: ad essi vengono, infatti, espressamente attribuiti soltanto compiti di analisi, di raccordo informativo e di supporto tecnico-logistico delle attivita' investigative dei servizi interprovinciali in materia di contrasto della criminalita' organizzata. Tuttavia la stessa lett. a) dell'art. 1 menzionato riconosce ai responsabili dei servizi interprovinciali la facolta' di segnalare ai procuratori della Repubblica distrettuali l'opportunita' di richiedere il concorso alle attivita' di indagini dei servizi centrali, qualora si tratti di investigazioni che presentino le caratteristiche illustrate nel prosieguo della disposizione. In sostanza la disposizione, anziche' prevedere in linea generale i poteri investigativi dei servizi centrali, li introduce con riferimento a specifiche fattispecie, sia pure di estrema importanza, nelle quali assume rilievo una valutazione ed una conseguente iniziativa dei servizi interprovinciali. Tale tecnica di normazione secondaria non puo' di certo prestarsi alla interpretazione, volta a sostenere che non sussisterebbe alcun potere investigativo dei servizi centrali in assenza della "segnalazione" e che, pertanto, i procuratori della Repubblica non possono dolersi di una lesione delle proprie prerogative costituzionali dal momento che, prima della detta segnalazione, l'autorita' che essi intendessero officiare autonomamente, sarebbe in realta' priva dei citati poteri. E', invece, evidente che il decreto in esame ha inteso ripristinare i poteri investigativi dei servizi centrali che, del tutto illegittimamente, erano stati esclusi dall'art. 1 lett. a) del d.m. 25 marzo 1998 (noto come "direttiva Napolitano") ora integralmente sostituito dal decreto impugnato. In tal senso rilevano le seguenti circostanze: a) i poteri di indagine dei servizi centrali sono espressamente riconosciuti dall'art. 12 del d.l. n. l52/1991 conv. in legge n. 203/1991; b) il decreto in esame interviene a sanare la chiara illegittimita' della c.d. "direttiva Napolitano" che, in contrasto con la gerarchia delle fonti normative, aveva espressamente sottratto la funzione di polizia giudiziaria ai servizi centrali; c) la contraria tesi condurrebbe all'assurdo per cui l'apparato - organizzativo, logistico e di personale - preposto allo svolgimento delle funzioni investigative da parte dei servizi centrali, dovrebbe essere di volta in volta attivato solo a seguito della "pregiudiziale" "segnalazione" da parte dei servizi interprovinciali, con ricadute sull'efficienza e tempestivita' dell'intervento dei servizi centrali, ricadute tanto piu' evidenti ove si consideri che i servizi centrali devono essere in grado di fornire "speciali risorse investigative", ovvero garantire "l'impiego di mezzi tecnologici d'avanguardia"; d) peraltro, i servizi provinciali non potranno agire autonomamente, rispetto ai servizi centrali, nell'operare la segnalazione in argomento. Essendo, infatti, riconosciuti a questi ultimi poteri di analisi e funzioni di raccordo informativo con riferimento alle attivita' investigative dei servizi interprovinciali a livello nazionale, e' evidente che la segnalazione da parte dei servizi interprovinciali, avente ad oggetto l'estensione pluridistrettuale o internazionale delle indagini, deve interagire con l'esito delle funzioni di analisi e di raccordo informativo svolte dai servizi centrali a livello territoriale superiore. Per questi motivi deve ritenersi che i servizi centrali sono titolari di poteri di investigazione, che esercitano allorche', alla luce delle segnalazioni dei servizi interprovinciali e dell'esito delle proprie funzioni di analisi e di raccordo investigativo, emerga che le indagini relative ai delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis c.p.p. abbiano carattere pluridistrettuale o internazionale e sia comunque utile il supporto operativo di speciali risorse investigative ovvero l'impiego di mezzi tecnologici d'avanguardia. Tali valutazioni non sono invece consentite, in via autonoma, al procuratore della Repubblica, neppure sulla base delle emergenze d'indagine che conseguano ad atti dallo stesso direttamente espletati. Inoltre, e' illegittimamente inibito allo stesso di investire i servizi centrali di richieste connesse ad attivita' di indagine di estensione infradistrettuale, in contrasto evidente con le sue prerogative costituzionali di diretta ed autonoma disponibilita' della polizia giudiziaria. Ritornando alle specifiche disposizioni del decreto, si evidenzia dunque che il ricorso da parte del procuratore della Repubblica distrettuale ai servizi centrali appare subordinato all'iter di seguito schematizzato: a) il procuratore della Repubblica investe, eventualmente, delle indagini uno dei tre servizi interprovinciali; b) il responsabile di quel servizio interprovinciale ha la possibilita' di segnalare al procuratore della Repubblica la necessita' di richiedere il concorso alle attivita' di indagine dei servizi centrali; c) il predetto responsabile del servizio interprovinciale puo' effettuare la segnalazione cli cui al punto b) se si tratta di indagini da svolgersi nei confronti di organizzazioni criminali che operano nell'ambito di piu' distretti di Corte d'appello o quando l'organizzazione ha collegamenti internazionali e sempreche' i due prospettati momenti si accompagnino alla necessita' - l'articolo parla, in vero, di utilita' - dello svolgimento di accertamenti che richiedono il supporto operativo di speciali risorse o l'impiego di mezzi tecnologici d'avanguardia; d) il procuratore della Repubblica - una volta ricevuta la segnalazione di cui al punto b) - inoltra (va posto in rilievo che il verbo utilizzato sembrerebbe, persino, escludere valutazioni discrezionali da parte del p.m.!) la delega di indagini al servizio centrale, ma sempre per il tramite del servizio interprovinciale, cosi' violando la sua potesta' di autodeterminazione, sia in merito alle modalita' attraverso le quali disporre della polizia giudiziaria (di estrema e decisiva importanza in procedimenti quali quelli in esame), sia in merito all'ampiezza ed ai contenuti del segreto di indagine (art. 32 c.p.p.) che ben puo' ritenersi sussistente anche nei confronti di specifici settori di apparati istituzionali; e) prima di inoltrare la richiesta - rectius la delega di indagini - ai servizi centrali per il tramite di quelli provinciali, il procuratore della Repubblica deve, altresi', tener conto delle indicazioni offerte dal procuratore nazionale antimafia. E' di tutta evidenza che il sistema delineato sottrae alla diretta disponibilita' del pubblico ministero un corpo che, come si e' sopra dimostrato, e' inquadrato ex lege nella polizia giudiziaria, e cioe' il servizio centrale degli organi di polizia. Il ricorso a quest'ultimo, infatti, viene, al di fuori di ogni logica ma in contrasto con il principio di cui agli artt. 56, 58, comma terzo, 327, 370 c.p.p. - e quindi dello stesso art. 109 della Costituzione - subordinato ad una duplice valutazione - da parte anche di soggetto appartenente ad altro "Potere dello Stato" - con rilevanti connotati di discrezionalita': una prima, del responsabile del servizio interprovinciale cui e' lasciato il compito esclusivo di apprezzare la ricorrenza dei presupposti indicati nel punto c); una seconda, di un altro organo del potere giudiziario - e cioe' il procuratore nazionale antimafia - che non e' stato assolutamente pensato (e la disciplina normativa ne e' fedele riprova) quale superiore gerarchico del procuratore della Repubblica, e il cui intervento, comunque, appare subordinato al preventivo vaglio del responsabile del servizio interprovinciale. Incidentalmente, si intende qui ricordare - quale altro immediato effetto della disposizione contestata - che il procuratore nazionale antimafia, con atto del 28 marzo 2000, ha rappresentato che egli intende esercitare i poteri riconosciuti dal decreto in esame non attraverso direttive generali, bensi' con valutazioni formulate previo esame specifico delle singole segnalazioni dei servizi interprovinciali, con cio' ulteriormente limitando, in contrasto con le disposizioni gia' citate, le prerogative ordinamentali del procuratore della Repubblica. Lo stesso procuratore nazionale, con atto dell'11 aprile 2000, ha poi invitato i servizi centrali di polizia a raccordarsi con lo stesso al fine di elaborare modalita' di coordinamento fra le procure territoriali riguardanti lo specifico utilizzo dei detti servizi. Ulteriore profilo di conflitto si ravvisa nell'obbligo dei servizi interprovinciali di inoltrare ai servizi centrali le richieste del procuratore della Repubblica; con esso risulta esclusa la possibilita' che il procuratore della Repubblica investa i servizi centrali senza che siano informati i servizi periferici. La norma quindi, implicitamente, ma univocamente, stabilisce l'obbligo del procuratore della Repubblica di informare i servizi interprovinciali delle proprie richieste e del relativo contenuto, cosi' vulnerando il rango costituzionale dei suoi poteri di autonoma disponibilita' della polizia giudiziaria. Non sembri esagerata la considerazione che segue: con il decreto del Ministro per gli interni che si impugna, si sovverte - creando un delicatissimo precedente - il rapporto tra il procuratore della Repubblica ed un corpo di polizia giudiziaria, ritenuto nell'esperienza operativa di particolare importanza per le complesse indagini sul tema della criminalita' organizzata. Almeno nel caso in cui il pubblico ministero intende utilizzare la p.g. indicata nell'art. 12, non e' quest'ultima ad essere subordinata a quello, ma il contrario. Anche, poi, a voler ritenere - contro ogni corretto criterio ermeneutico - che i poteri investigativi dei servizi centrali non preesistano alla segnalazione dei servizi periferici, ma consegnano alla stessa, non si vede come questa (anomala) articolazione dei rapporti fra autorita' di polizia periferiche ed autorita' di polizia centrali debba risolversi in un danno delle autonome attribuzioni riconosciute dall'art. 109 della Costituzione al procuratore della Repubblica.