ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 147 del regio
decreto  16  marzo  1942,  n. 267  (Disciplina  del  fallimento,  del
concordato  preventivo,  della  amministrazione  controllata  e della
liquidazione   coatta   amministrativa),   promossi   con   ordinanze
rispettivamente emesse il 20 gennaio 2000 dal tribunale di Milano nel
procedimento  civile  vertente tra Brigada Giuseppina e il fallimento
S.n.c.  Italpneus  di  Villa Angelo & C. ed altri, iscritta al n. 533
del  registro  ordinanze  2000  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della  Repubblica  n. 40,  1a  serie  speciale, dell'anno 2000 e il 7
giugno  2000  dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Pesce
Giacomo  nei  confronti  del  fallimento della Impresa di costruzioni
Alpet  di  Pesce  Angelo  &  C. in liquidazione ed altra, iscritta al
n. 564  del  registro  ordinanze  2000  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 42, 1a serie speciale, dell'anno 2000.
    Visto l'atto di costituzione di Pesce Giacomo nonche' gli atti di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 30 novembre 2000 il giudice
relatore Annibale Marini.
    Ritenuto  che  il tribunale di Milano, con ordinanza emessa il 20
gennaio  2000,  ha  sollevato,  senza  esplicito riferimento ad alcun
parametro, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 147 del
regio  decreto  16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del
concordato  preventivo,  della  amministrazione  controllata  e della
liquidazione  coatta amministrativa), nella parte in cui non contiene
la  precisazione di un termine ragionevole entro il quale puo' essere
dichiarato  il fallimento del socio illimitatamente responsabile dopo
che esso abbia perso tale qualita' a seguito di recesso;
        che,  ad  avviso  del  rimettente,  la  norma  denunciata  va
interpretata  nel  senso  che il fallimento del socio illimitatamente
responsabile  puo'  essere  dichiarato, in conseguenza del fallimento
della  societa', senza alcun limite temporale, diversamente da quanto
previsto   dall'art.   10   della  stessa  legge  per  il  fallimento
dell'imprenditore   individuale   che   abbia   cessato   l'attivita'
d'impresa;
        che  l'indefinita  assoggettabilita' del socio alla procedura
concorsuale   darebbe,   tuttavia,   luogo   ad   una   sperequazione
inaccettabile rispetto alla posizione dell'imprenditore individuale e
sarebbe  inoltre  in contrasto con l'interesse generale alla certezza
delle situazioni giuridiche;
        che  la Corte di cassazione, con ordinanza emessa il 7 giugno
2000,  ha  sollevato,  in  riferimento all'art. 3 della Costituzione,
questione   di   legittimita'   costituzionale  della  stessa  norma,
limitatamente al secondo comma, nella parte in cui non prevede che la
sentenza   dichiarativa  del  fallimento  del  socio  illimitatamente
responsabile  che  sia  deceduto  possa  essere pronunciata solamente
entro un termine predeterminato;
        che   anche   la   Corte   rimettente  ritiene,  infatti,  in
conformita'  ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, che la
norma  denunciata  non ponga alcun limite temporale alla possibilita'
di  dichiarare il fallimento dei soci illimitatamente responsabili in
conseguenza della dichiarazione di fallimento della societa';
        che   in  tal  modo  la  norma,  differenziando  quanto  alla
assoggettabilita'    al   fallimento   il   trattamento   del   socio
illimitatamente responsabile da quello dell'imprenditore individuale,
potrebbe  ritenersi  lesiva  del principio di ragionevolezza rispetto
all'esigenza   di   certezza   delle  situazioni  giuridiche,  insita
nell'ordinamento;
        che  si  e'  costituito in giudizio Giacomo Pesce, attore nel
giudizio  a  quo  di opposizione alla dichiarazione di fallimento, il
quale  ha  concluso  "affinche'  sia provveduto ad inserire nel testo
dell'art.  147  della  legge  fallimentare  una limitazione temporale
analoga  a  quella  risultante  dal  disposto dell'art. 10 e 11 della
stessa   legge   per   il   caso   di   dichiarazione  di  fallimento
dell'imprenditore individuale";
        che  e'  intervenuto  in entrambi i giudizi il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale   dello   Stato,   concludendo   per   la   declaratoria  di
inammissibilita' e non fondatezza della questione, in quanto identica
nei contenuti ad altre gia' dichiarate manifestamente infondate.
    Considerato  che  entrambi i rimettenti dubitano, con riferimento
all'art.   3  della  Costituzione,  non  esplicitamente  evocato  dal
tribunale   di   Milano   ma   chiaramente   desumibile   dal  tenore
dell'ordinanza,  della  legittimita' costituzionale dell'art. 147 del
regio  decreto  16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del
concordato  preventivo,  della  amministrazione  controllata  e della
liquidazione  coatta  amministrativa), nella parte in cui non prevede
alcun   termine   per   la  dichiarazione  di  fallimento  del  socio
illimitatamente  responsabile  in  estensione  del  fallimento  della
societa';
        che  i  due  giudizi  vanno pertanto riuniti e congiuntamente
decisi;
        che  la  norma  denunciata  e'  stata  gia'  dichiarata,  con
sentenza n. 319 del 2000, costituzionalmente illegittima "nella parte
in   cui  prevede  che  il  fallimento  dei  soci  a  responsabilita'
illimitata  di  societa'  fallita  possa  essere  dichiarato  dopo il
decorso  di  un  anno  dal  momento  in  cui  essi abbiano perso, per
qualsiasi causa, la responsabilita' illimitata";
        che  le  questioni  vanno  pertanto dichiarate manifestamente
inammissibili.
    Visti  gli  artt.  26,  secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
innanzi alla Corte costituzionale.