ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 26 della legge
27  dicembre  1977,  n. 968  (Principi generali e disposizioni per la
protezione  e  la  tutela  della fauna e la disciplina della caccia),
nonche'  degli artt. 16 e 18, secondo comma della legge della Regione
Emilia-Romagna 15 febbraio 1994, n. 8 (Disposizioni per la protezione
della  fauna  selvatica  e per l'esercizio dell'attivita' venatoria),
promosso  con  ordinanza emessa il 23 luglio 1999 dal giudice di pace
di  Bologna  nel  procedimento  civile  vertente  tra  Boni Anna e la
Provincia di Bologna, iscritta al n. 41 del registro ordinanze 2000 e
pubblicata  nella  Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, 1a serie
speciale, dell'anno 2000.
    Visti  gli  atti di intervento della Regione Emilia-Romagna e del
Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 29 novembre 2000 il giudice
relatore Fernando Santosuosso.
    Ritenuto  che  nel corso di un giudizio di risarcimento del danno
causato da un cinghiale nei confronti di un'autovettura il giudice di
pace  di  Bologna,  con  ordinanza del 23 luglio 1999 (pervenuta alla
cancelleria  di  questa  Corte in data 24 gennaio 2000), ha sollevato
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 26 della legge 27
dicembre  1977,  n. 968  (Principi  generali  e  disposizioni  per la
protezione  e  la  tutela  della fauna e la disciplina della caccia),
nonche' degli artt. 16 e 18, secondo comma, della legge della Regione
Emilia-Romagna 15 febbraio 1994, n. 8 (Disposizioni per la protezione
della fauna selvatica e per l'esercizio dell'attivita' venatoria), in
riferimento agli artt. 3, primo comma, 32, primo comma, e 42, secondo
comma, della Costituzione;
        che,  ad  avviso  del  rimettente,  nella  giurisprudenza  di
legittimita'  si  afferma il principio secondo cui in caso di danni a
persone  e/o  a cose causati da animali selvatici non sia applicabile
l'art.   2052  cod.  civ.  e  il  conseguente  regime  di  inversione
dell'onere  della  prova,  bensi'  l'art.  2043  cod.  civ.,  il  che
comporterebbe l'applicazione della regola generale per cui incombe al
danneggiato   di  provare,  tra  l'altro,  la  colpa  della  pubblica
amministrazione;
        che,  pertanto,  mentre  il  conduttore di attivita' agricola
sarebbe  esentato  dal  provare  la  responsabilita'  della  pubblica
amministrazione  per  ottenere  il risarcimento del danno prodotto da
animali  selvatici,  il  singolo  danneggiato  dagli  stessi animali,
invece, dovrebbe fornire tale prova;
        che    questa    diversa    disciplina   sarebbe   priva   di
ragionevolezza,   atteso   che   il   presente   momento  storico  e'
caratterizzato  da  una  massiccia  immissione  di animali selvatici,
specie  nei  parchi  naturali,  con  forte  incremento  di  incidenti
stradali e danni a terzi;
        che  la  normativa  sopra  citata,  nella  parte  in cui "non
prevede  la  risarcibilita'  dei danni causati da animali selvatici a
persone e/o a cose, alla stessa stregua della risarcibilita' prevista
e  disciplinata  per i danni alla produzione agricola", violerebbe il
principio  di  uguaglianza  (art.  3, primo comma, Cost.), nonche' la
tutela  della  salute  (art.  32,  primo comma, Cost.) e quella della
proprieta' privata (art. 42, secondo comma, Cost.);
        che  nel  presente giudizio di legittimita' costituzionale e'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  che ha concluso per
l'inammissibilita'   o,   in   subordine,  per  l'infondatezza  della
questione;
        che  e'  intervenuto il Presidente della Giunta regionale pro
tempore  della  Regione Emilia-Romagna, chiedendo analogamente che la
questione sia dichiarata inammissibile e infondata.
    Considerato  che,  in  ordine  alle eccezioni di inammissibilita'
sollevate   dalla   difesa  erariale  e  dalla  Regione  intervenuta,
principalmente  appuntate sulla genericita' ed indeterminatezza della
prospettazione  del  giudice a quo questa Corte ritiene che le stesse
siano  prive  di fondamento, in quanto dal contesto della motivazione
del provvedimento di rimessione e' possibile evincere le disposizioni
che  il  giudice a quo intende censurare, individuandole nell'art. 26
della   legge   n. 968  del  1977  (come  sostituiti  dalle  omologhe
disposizioni della legge 11 febbraio 1992, n. 157 dettante "Norme per
la  protezione  della  fauna  selvatica  omeoterma  e per il prelievo
venatorio")  e  negli artt. 16 e 18, secondo comma, della legge della
Regione   Emilia-Romagna  15  febbraio  1994,  n. 8  (nel  suo  testo
originario),  essendo  questo  il  complesso di norme che regolano il
regime  di  accertamento  e di ristoro dei pregiudizi alla produzione
agricola derivanti dagli animali selvatici;
        che,  pertanto,  occorre  esaminare nel merito la prospettata
violazione, da parte della normativa cosi' individuata, del principio
di  uguaglianza  ex  art.  3  della Costituzione nel non prevedere la
risarcibilita' dei danni causati da animali selvatici a persone e/o a
cose  alla  stessa  stregua  (e  in  particolare con lo stesso regime
probatorio)  di quello previsto dalle disposizioni citate per i danni
alla  produzione agricola, vulnus che sarebbe per il rimettente ancor
piu'  evidente  alla  luce  dell'interpretazione giurisprudenziale di
legittimita'  che ritiene applicabile alla specie il regime ordinario
di  responsabilita'  aquiliana ex art. 2043 cod. civ. anziche' quello
di cui all'art. 2052 dello stesso codice;
        che,  ad avviso di questa Corte, l'esigenza di una parita' di
trattamento  tra  le  situazioni di fatto che si assumono analoghe di
chi  patisce  un  danno alla produzione agricola e di chi invece vede
danneggiata  la propria persona o i propri beni dalla fauna selvatica
non  sussiste,  atteso  che  non solo sono differenti le predette due
fattispecie,  ma  la  ratio  della normativa denunciata risiede nella
specificita'  della  protezione  offerta in relazione ai danni subiti
dalle   produzioni   agricole  a  causa  della  fauna  selvatica;  il
legislatore   ha   cioe'   inteso  approntare  una  peculiare  tutela
all'agricoltura  indennizzando gli effetti negativi ad essa derivanti
dalla  presenza  di  quegli  animali  sul  territorio,  presenza  che
nell'attuale  contesto  storico  sociale  e'  ritenuta  meritevole di
protezione nel quadro di un armonico equilibrio ambientale;
        che,  considerata  la natura speciale della indennizzabilita'
prevista  dalle  disposizioni  censurate,  queste  norme  non possono
essere  estese  oltre  i  casi  espressamente  previsti;  ne' la loro
irragionevolezza  puo'  essere  ricollegata all'interpretazione della
giurisprudenza  di legittimita' sull'art. 2052 cod. civ., secondo cui
questa   disposizione  e'  applicabile  solo  in  presenza  di  danni
provocati  da  animali  domestici con esclusione di quelli selvatici,
per  i  quali  si applica invece l'art. 2043 cod. civ; giurisprudenza
che  trova  la  sua giustificazione nella diversita' delle situazioni
poste  a  raffronto,  atteso  lo  "stato  di  naturale  liberta'  che
caratterizza la fauna selvatica";
        che,  in ordine alle ulteriori censure relative agli artt. 32
e  42 della Costituzione, ritiene questa Corte che la possibilita' di
tutela  generale  ex  art. 2043 cod. civ. escluda la configurabilita'
dei lamentati vizi;
        che,  pertanto,  la questione sollevata deve ritenersi, sotto
ogni profilo, manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt.  26,  secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.