ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 392, comma
1-bis  del  codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa
il  29  ottobre  1999  dal  giudice  per  le indagini preliminari del
Tribunale  di Lecco, iscritta al n. 168 del registro ordinanze 2000 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, 1a serie
speciale, dell'anno 2000.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 29 novembre 2000 il giudice
relatore Valerio Onida.
    Ritenuto  che, con ordinanza emessa il 29 ottobre 1999, pervenuta
a  questa  Corte  il  24  marzo  2000,  il  giudice  per  le indagini
preliminari   del  Tribunale  di  Lecco  ha  sollevato  questione  di
legittimita'  costituzionale,  in  riferimento  agli  articoli 3 e 24
della   Costituzione,  dell'art.  392,  comma  1-bis  del  codice  di
procedura penale, "nella parte in cui non prevede che le disposizioni
in   esso   previste   si   applichino   anche  all'assunzione  della
testimonianza della persona inferma di mente";
        che,  secondo il giudice a quo la ratio della norma impugnata
che,  nei  procedimenti per delitti sessuali, prevede la possibilita'
per  il  pubblico ministero e per la persona sottoposta alle indagini
di  chiedere  che  si proceda con incidente probatorio all'assunzione
della  testimonianza di persona minore degli anni sedici, anche al di
fuori  delle  ipotesi  previste dal comma 1, e cioe' delle condizioni
che  in  via  generale  legittimano  la  richiesta  di  procedere con
incidente  probatorio  risponderebbe  ad  una duplice esigenza: da un
lato  quella  di  proteggere  il teste dalle conseguenze che potrebbe
avere  sul  suo  vissuto  il  ritardo  derivante  dal protrarsi delle
indagini   preliminari  e  del  dibattimento,  dall'altro  quella  di
tutelare   precocemente   il   diritto   della  persona  indagata  al
contraddittorio,  per  consentire  di  portare  alla  luce  prima del
dibattimento l'eventuale inattendibilita' del teste, dato il rischio,
ritenuto  maggiore  in  questo caso, di suggestioni e condizionamenti
anche non maliziosi;
        che,  sempre  secondo  il remittente, entrambe tali finalita'
varrebbero  in  modo  identico,  o  comunque tale da non giustificare
sostanziali  differenze  di  disciplina,  sia  per i soggetti in eta'
evolutiva,  sia  per  quelli  che versino in condizioni di infermita'
mentale:  si'  che, riguardo a questi ultimi, risulterebbero lesi sia
il principio di uguaglianza, per il trattamento diverso di situazioni
che  sarebbero  identiche,  sia  il  diritto  di difesa della persona
sottoposta alle indagini;
        che  e'  intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata, in
quanto,  come  emergerebbe  anche  dalla  sentenza n. 283 del 1997 di
questa  Corte  (che  ha  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art.  498  cod.  proc. pen. nella parte in cui non consentiva di
escludere,  nei confronti del testimone maggiorenne infermo di mente,
l'esame  diretto ad opera delle parti ove questo potesse nuocere alla
personalita'  del  teste  medesimo),  non  sarebbero  parificabili le
posizioni  del  minore  infrasedicenne  e  dell'infermo  di mente; e,
d'altra parte, dalla citata pronuncia deriverebbe una compiuta tutela
degli  interessi del maggiorenne infermo di mente anche rispetto alle
esigenze poste a base della censura in esame.
    Considerato  che  la norma impugnata introduce una eccezione alla
regola  dell'assunzione  nel dibattimento delle prove che non abbiano
oggettivo  carattere  di  indifferibilita'  o  di  non ripetibilita',
consentendo nei termini piu' ampi il ricorso all'incidente probatorio
quando  si  debba  procedere all'assunzione della testimonianza di un
minore infrasedicenne in procedimenti per delitti sessuali;
        che  tale  norma,  quale  che  se  ne ritenga la ratio non e'
intesa,  essenzialmente  e  direttamente,  ad assicurare condizioni e
modi  di  esame  testimoniale idonei a proteggere la personalita' del
teste,   e  dei  quali  possa  prospettarsi,  sotto  questo  profilo,
un'esigenza di estensione al caso del teste infermo di mente;
        che,   infatti,   a   detta   esigenza  di  protezione  della
personalita'  dei  testi  provvedono  altre norme del codice di rito,
cosi' disponendo modalita' particolari di espletamento dell'incidente
probatorio  ove  siano  interessate all'assunzione della prova, in un
procedimento  per  delitti  sessuali,  persone  minori di sedici anni
(art.  398,  comma 5-bis su cui cfr. la sentenza n. 262 del 1998); la
conduzione  dell'esame testimoniale da parte del giudicante, anziche'
direttamente  dalle  parti,  nei  confronti del teste minorenne (art.
498,  applicabile  in parte qua anche al teste maggiorenne infermo di
mente  a  seguito  della  sentenza  n. 283 del 1997 di questa Corte);
limiti    all'esame   testimoniale   in   dibattimento   dei   minori
infrasedicenni,  quando  si  procede per delitti sessuali, e il teste
abbia  gia'  reso  dichiarazioni  in  sede  di incidente probatorio o
dichiarazioni  i  cui  verbali sono stati acquisiti a norma dell'art.
238  (art.  190-bis comma 1-bis); particolari regole sulla esclusione
della  pubblicita' del dibattimento quando parti offese o testi siano
minorenni o sussistano esigenze di riservatezza dei testimoni o delle
parti  private  in  ordine  a  fatti  che  non  costituiscono oggetto
dell'imputazione (art. 472, commi 2, 3-bis e 4);
        che  la  possibilita'  - prevista dalla norma impugnata -, di
anticipare,   attraverso   il   ricorso   all'incidente   probatorio,
l'assunzione   di  testimonianze  appare,  piuttosto,  essenzialmente
intesa  ad  assicurare  efficacia e genuinita' della prova, quando si
tratti di raccogliere testimonianze potenzialmente soggette a subire,
col  decorso  del  tempo,  per  le particolari condizioni del minore,
condizionamenti  che  le possano rendere meno genuine o meno utili al
fine degli accertamenti cui e' volto il processo;
        che  peraltro,  di  per se', tale possibilita' non esclude la
ripetizione  della  testimonianza  in dibattimento, mentre i limiti a
tale  ripetibilita',  posti  a  tutela  della personalita' dei testi,
quando  si  tratti  di  testimonianze  di  minori  infrasedicenni  in
procedimenti per delitti sessuali, derivano da altra norma (il citato
art.  190-bis comma 1-bis cod. proc. pen., successivamente introdotto
dall'art.  13  della  legge  3  agosto 1998, n. 269), non evocata dal
remittente,  e che non risulterebbe applicabile all'ipotesi del teste
infermo  di  mente,  se  pure  ad  essa  si  estendesse,  secondo  la
prospettazione del giudice a quo la previsione della norma censurata;
        che,  in tale quadro, la norma impugnata appare frutto di una
scelta  del legislatore, rispetto alla quale non e' dato di rinvenire
ragioni  costituzionali  che  ne  impongano  l'estensione al caso del
teste  infermo  di  mente,  la  cui  situazione  non  e'  di  per se'
meccanicamente  equiparabile a quella del teste minore infrasedicenne
(cfr.  sentenza  n. 283 del 1997), e non e' detto presenti gli stessi
caratteri   che   hanno   indotto   il  legislatore  ad  ampliare  la
possibilita' del ricorso all'incidente probatorio;
        che,  pertanto,  non appare utilmente invocato l'art. 3 della
Costituzione;
        che,  d'altra  parte,  non  sussiste  la lamentata violazione
dell'art.  24  della  Costituzione, poiche' la formazione della prova
nel  dibattimento  costituisce,  nel  vigente sistema processuale, la
regola  idonea  ad  assicurare, in linea di principio, l'effettivita'
del diritto di difesa della persona sottoposta alle indagini;
        che,  in  tale sistema processuale, l'istituto dell'incidente
probatorio   "e'  preordinato  a  consentire  alle  parti  principali
l'assunzione  delle  prove  non rinviabili al dibattimento" (sentenza
n. 77 del 1994): non tanto, dunque, al fine - indicato dal remittente
-    di    consentire   all'indagato   di   dimostrare   precocemente
l'inattendibilita'  del  teste,  quanto, fondamentalmente, al fine di
assicurare  la  prova  e  la  sua  genuinita'  anche  nei casi in cui
l'attesa del dibattimento possa pregiudicarle;
        che,  peraltro, le ipotesi in cui la prova possa venir meno o
deteriorarsi  nelle  more delle indagini sono prese in considerazione
dal  legislatore nel prevedere i casi in cui, in generale, puo' farsi
ricorso,  anche  su richiesta dell'indagato, all'incidente probatorio
(art. 392, comma 1, cod. proc. pen; e cfr., in proposito, la sentenza
n. 77 del 1994);
        che  pertanto  la  questione  si  palesa, sotto ogni profilo,
manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt.  26,  secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87  e  9,  secondo  comma,  delle  norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.