ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 230, comma 1, del codice penale militare di pace, promosso con ordinanza emessa il 4 maggio 2000 dal tribunale militare di La Spezia nel procedimento penale a carico di B. M., iscritta al n. 603 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, 1a serie speciale, dell'anno 2000. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 30 novembre 2000 il giudice relatore Giovanni Maria Flick. Ritenuto che il tribunale militare di La Spezia, con ordinanza emessa il 4 maggio 2000, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 230, primo comma, del codice penale militare di pace, nella parte in cui non prevede che il delitto di furto militare commesso in danno di militare sia punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra una o piu' delle circostanze previste dall'art. 61, numero 7, del codice penale o dall'art. 231 del codice penale militare di pace; che il rimettente pone, a fondamento del sollevato quesito di costituzionalita', il rilievo della disparita' di trattamento venutasi a creare tra il furto comune ed il furto militare in conseguenza della modifica apportata all'art. 624 cod. pen. dall'art. 12 della legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e tributario), per effetto della quale il furto comune, non aggravato ai sensi degli artt. 61, numero 7, e 625 cod. pen., e' divenuto perseguibile a querela; che, ad avviso del giudice a quo la mancata estensione del medesimo regime al furto militare comporterebbe una violazione del principio di uguaglianza, stante la sostanziale identita' strutturale fra le due fattispecie criminose e l'inidoneita' degli elementi specializzanti, propri del reato militare - qualita' di militare dell'agente e della persona offesa, natura parimenti militare del luogo di commissione dell'illecito - a giustificare una divergenza di disciplina sul piano della perseguibilita'; che il riequilibrio del sistema non implicherebbe, d'altro canto, scelte "creative", rientranti nella discrezionalita' del legislatore, in quanto l'art. 61, numero 7, cod. pen. e' direttamente applicabile al furto militare in virtu' dell'art. 16 cod. pen., mentre l'art. 625 cod. pen. trova puntuale corrispondenza, quanto ad esso, nell'art. 231 del codice penale militare di pace; che nel giudizio di costituzionalita' e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la declaratoria di infondatezza della questione. Considerato che identica questione, sollevata anche dal medesimo tribunale rimettente, e' gia' stata dichiarata manifestamente infondata da questa Corte (cfr. ordinanza n. 415 del 2000), sul rilievo - confermativo di un costante indirizzo della Corte stessa - che il regime della perseguibilita' a querela, non previsto attualmente in rapporto ad alcuno fra i reati militari, deve ritenersi con essi incompatibile: e cio' in quanto "nei reati militari e' sempre insita un'offesa alla disciplina e al servizio, una lesione quindi di un interesse eminentemente pubblico che non tollera subordinazione all'interesse privato caratteristico della querela" (cfr. sentenze nn. 449 del 1991, 189 del 1976 e 42 del 1975; nonche' ordinanze nn. 229 e 467 del 1988); che la rimarcata estraneita' dell'istituto della querela al diritto penale militare impedisce, dunque, di ravvisare profili di irragionevolezza nella disparita' di trattamento fra le due ipotesi criminose poste a confronto. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.