LA CORTE D'APPELLO

    Ha  pronunziato  la  seguente  ordinanza  nei  confronti di Proto
Giuseppe  nato  ad Ostuni il 25 dicembre 1965, arrestato il 17 giugno
1997,  in  liberta'  11 luglio  1997, residente in Bollate via Turati
n. 40/e,  difeso  di  fiducia  dall'avv. Sami  Behare  con  studio in
Milano, via Buonarroti n. 9;
    La  corte  in  relazione della richiesta di liquidazione spese ed
onorari in quanto ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

                            O s s e r v a
    Il   difensore  dell'imputato  sopra  indicato  ha  richiesto  la
liquidazione  degli  onorari  e delle spese essendo stato il predetto
imputato  ammesso in primo grado al patrocinio a spese dello Stato in
quanto  non abbiente, in relazione al giudizio di appello conseguente
a  gravame  proposto dal difensore avverso la sentenza 17 maggio 2000
del  Tribunale  di  Monza  che  aveva condannato il suo assistito per
delitti in tema di stupefacenti.
    Ai  sensi  dell'art. 1  comma  3  legge  30  luglio  1990, n. 217
l'ammissione  al  patrocinio  a  spese dello Stato e' valida per ogni
grado e per ogni fase del giudizio.
    Il  difensore  ha  chiesto la liquidazione di L. 9.779.000, oltre
I.V.A.  e  C.P.A.,  ed  il  Consiglio  dell'Ordine  degli Avvocati ha
espresso parere favorevole alla liquidazione di L. 4.290.000.
    L'art. 12   legge   30 luglio   1990   n. 217,   come  modificato
dall'art. 11,  legge  29  marzo  2001,  n. 134  impone  al giudice di
liquidare  gli  onorari  senza  che  sia  consentita  al  giudice una
valutazione  della non manifesta infondatezza, totale o parziale, del
gravame  proposto,  al fine di mantenere l'ammissione al patrocinio a
spese  dello  Stato  ovvero di ridurre la liquidazione del compenso a
fronte di motivi all'evidenza infondati.
    Il  primo  comma  ed  il  secondo  dell'art. 1 della legge citata
operano  una distinzione fra l'azione per il risarcimento del danno e
le restituzioni derivanti da reato e l'assistenza agli altri soggetti
(imputato   e   civilmente   obbligato   per   la  pena  pecuniaria),
subordinando  il  patrocinio  a  spese  dello  Stato  nel  solo  caso
dell'azione  civile  ad una valutazione di non manifesta infondatezza
delle ragioni.
    L'art. 15-bis  della  legge  30  luglio  1990, n. 217, introdotto
dall'art. 13,  legge  29 marzo 2001, n. 134 (la cui entrata in vigore
e'  differita  al 1 luglio 2002) consente il patrocinio a spese dello
Stato  per  i  cittadini  e  gli  stranieri non abbienti, nei giudizi
civili  o  amministrativi e negli affari di volontaria giurisdizione,
"quando  le  ragioni  del  non  abbiente risultino non manifestamente
infondate".
    Orbene,  se  si  puo'  comprendere  che nella fase delle indagini
preliminari  ed  in quella del giudizio di primo grado, la difesa dei
soggetti  non  abbienti  diversi  dalla  parte  civile  sia  comunque
assicurata,  a  prescindere  dalla  fondatezza della linea difensiva,
essendo  costoro  sottoposti  a  procedimento  a prescindere (ed anzi
quasi  sempre contro) la loro volonta', non e' invece ragionevole che
anche  per  la  fase  delle  impugnazioni si debba prescindere da una
valutazione  di  non  manifesta  infondatezza del gravame proposto ai
fini dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
    E'   ben   possibile  infatti  che  siano  proposte  impugnazioni
manifestamente  infondate  a  mero scopo dilatorio e non si comprende
perche'  debba  essere  utilizzato  il pubblico denaro per finanziare
tali attivita'.
    Cio'  e'  tanto  piu'  significativo  ove  si  consideri  che nel
giudizio  di appello non esiste una norma analoga all'art. 606, comma
3  c.p.p.  che  nel  giudizio di cassazione consente di dichiarare la
inammissibilita'  del  ricorso  per manifesta infondatezza. Non opera
pertanto  il  comma  2-bis dell'art. 12 legge 30 luglio 1990, n. 217,
introdotto   con   legge   29 marzo   2001,  n. 134  che  prevede  la
liquidazione  del compenso per le sole impugnazioni coltivate che non
siano dichiarate inammissibili.
    Il  gravame  predetto presenta, fra gli altri, alcuni profili che
potrebbero   essere  esaminati  ai  fini  di  valutarne  la  parziale
manifesta infondatezza. Infatti e' stato lamentato fra l'altro:
        impugnando  l'ordinanza  13 ottobre 1998, la incompetenza per
territorio  del  Tribunale  di  Monza  asserendo essere piu' grave il
reato di cui al capo 146 commesso in Bollate e comuni dell'hinterland
nord,  rientranti  nel  circondario  di Milano, mentre era piu' grave
altro delitto;
        impugnando  l'ordinanza  del  primo giudice che ha rigetto la
questione,  la  violazione  dell'art.  416  in relazione all'art. 178
lettere  b)  e  c) c.p.p. per mancato interrogatorio dell'imputato da
parte  del  p.m.  non potendo essere equiparato a tale interrogatorio
quello  reso al g.i.p. (come ritenuto dal tribunale), con conseguente
nullita' della richiesta di rinvio a giudizio e degli atti successivi
da questa dipendenti, compresa la sentenza di primo grado, nonostante
la consolidata giurisprudenza di segno contrario;
        impugnando  l'ordinanza pronunziata dal primo giudice in data
7  ottobre 1998, la nullita' delle udienze per mancata pubblicita' in
quanto tenute in Como anziche' in Monza cosi' asseritamente impedendo
ai cittadini di Monza di assistervi.
    La corte ha confermato la sentenza impugnata.
    Secondo  la  disciplina  rassegnata  questa  corte  dovrebbe  ora
liquidare  il  compenso  a  prescindere  da  ogni  valutazione di non
manifesta  parziale  infondatezza  o  di  pretestuosita'  del gravame
proposto  e  non  potrebbe  diminuire  l'onorario in relazione a tali
parametri.
    Le disposizioni degli articoli 1 e 12, legge n. 217/1990 sembrano
percio' violare varie norme della Costituzione della Repubblica.
    Anzitutto  sembra  ipotizzabile  la  violazione dell'art. 3 della
Costituzione  in  ordine  alla disparita' di trattamento prevista per
l'azione civile per il risarcimento danni derivanti da reato e per le
restituzioni o per la difesa nei procedimenti civili o amministrativi
e  negli  affari  di  volontaria  giurisdizione,  nella  parte in cui
discrimina  la tutela dei diversi soggetti non consentendo al giudice
di  valutare  la  non  manifesta  infondatezza  del  gravame prima di
ammettere  al  patrocinio  a  spese  dello  Stato  ovvero  al fine di
revocare tale ammissione, oppure per liquidare il compenso richiesto,
anche ai fini di escludere o ridurre lo stesso.
    Per le stesse ragioni sembra violato l'art. 97 della Costituzione
in  quanto l'utilizzo di pubblico denaro per l'erogazione di compensi
ai  difensori  anche  ove si fosse in presenza di gravami palesemente
infondati   sembra   violare   il   principio   di   buon   andamento
dell'amministrazione.
    Appare  altresi' violato l'art. 111 della Costituzione, nel testo
modificato  con  legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, sia per
violazione  della  parita'  fra  parte civile, imputato (e civilmente
obbligato per la pena pecuniaria) che perche' il meccanismo descritto
non sembra idoneo ad assicurare la ragionevole durata del processo ed
anzi,  non consentendo di distinguere fra impugnazioni manifestamente
infondate  e altre con parvenza di fondatezza, e' idoneo a prolungare
ingiustificatamente  la  durata  dei  procedimenti,  incentivando con
denaro  pubblico  la  proposizione  di  gravami  in tutto od in parte
all'evidenza privi di fondamento.
    Tali   questioni  appaiono  a  questa  corte  non  manifestamente
infondate e sono rilevanti, poiche' la loro soluzione nel senso della
illegittimita'   costituzionale   consentirebbe  la  valutazione  dei
profilo della manifesta infondatezza dei gravami ai fini della revoca
dell'ammissione  del  patrocinio a spese dello Stato ovvero della non
liquidazione del compenso o della riduzione dello stesso.
    L'attivita'  in  cui  questa  valutazione  si rende necessaria e'
giurisdizionale, essendo interna al procedimento, affidata al giudice
ed   essendo   prevista   la   proposizione   di  ricorsi  contro  il
provvedimento  di  ammissione  o non ammissione al patrocinio a spese
dello  Stato e contro il provvedimento di liquidazione, atti decisori
suscettibili di divenire definitivi.
    Del   resto  la  Corte  costituzionale  ha  ritenuto  ammissibili
questioni di legittimita' sollevate in tema di liquidazione ai periti
e  consulenti  tecnici  e  custodi  (Sentenze  10 giugno 1970, n. 88,
28 gennaio  1981 n. 2, 21 aprile 1989 n. 230, 23 febbraio 1996 n. 41,
3 giugno 1998 n. 197).