ha pronunciato la seguente
                           S e n t e n z a
nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale del combinato disposto
degli  artt. 739, secondo comma, e 136 e del combinato disposto degli
artt.  739,  secondo  comma,  e  741  del codice di procedura civile;
dell'art.  336, secondo e terzo comma, del codice civile; degli artt.
737,  738  e  739  del codice di procedura civile e dell'art. 336 del
codice  civile,  promossi  con  ordinanze  emesse il 18 dicembre 2000
dalla  Corte  di  appello  di  Torino,  sezione  per i minorenni, sul
reclamo  proposto da M. D., iscritta al n. 163 del registro ordinanze
2001  e  pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11 -
1a  serie speciale - dell'anno 2001 e il 20 dicembre 2000 dalla Corte
di  appello  di Genova, sezione per i minorenni, sul reclamo proposto
da C. G., iscritta al n. 240 del registro ordinanze 2001 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14 - 1a serie speciale -
dell'anno 2001;
    Visto l'atto di costituzione di C. G;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 24 ottobre 2001 il giudice
relatore Franco Bile;

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  l'ordinanza iscritta al numero di ruolo 163 del 2001,
pronunciata il 18 dicembre 2000 e pervenuta alla Corte il 19 febbraio
2001,  la  Corte  d'appello  di Torino, sezione per i minorenni - nel
corso del procedimento di reclamo introdotto dalla madre di un minore
avverso  il  decreto  con  cui il tribunale per i minorenni di Torino
aveva  dichiarato,  ai  sensi  degli  artt. 330, 333 e 336 del codice
civile,  la decadenza del padre dalla potesta' parentale, e disposto,
previo  allontanamento  dalla  madre  affidataria ex art. 317-bis del
codice civile, l'affidamento familiare del minore a cura del servizio
sociale  -  ha  sollevato  una  serie  di  questioni  di legittimita'
costituzionale nei termini di seguito indicati.
    Il  rimettente  riferisce  che il tribunale per i minorenni aveva
nel  contempo,  su  richiesta del P.M., aperto un procedimento per la
declaratoria  della decadenza del padre dalla potesta' genitoriale, e
che  il  giudice  delegato aveva convocato il solo padre del minore e
non  anche la madre, ed acquisito informazioni dai servizi sociali ed
il  parere  del  P.M.,  ed  aveva  poi  emesso  il decreto reclamato,
comunicato  per esteso al P.M. ed al giudice tutelare, notificato per
esteso  al  servizio  sociale  e notificato nel solo dispositivo alla
madre.
    Con   il   reclamo  la  madre  ha  chiesto  la  dichiarazione  di
inefficacia o inesistenza del decreto comunicatole senza motivazione,
la  sospensione dell'applicazione del provvedimento, la dichiarazione
di   non  manifesta  infondatezza  delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale  degli  artt.  133,  136 e 739 del codice di procedura
civile   in  riferimento  agli  artt.  2,  3,  13,  24  e  111  della
Costituzione,  nella  parte in cui prevederebbero che i provvedimenti
pronunciati  in  camera  di consiglio dal tribunale per i minorenni e
reclamabili  nel  termine perentorio di dieci giorni siano comunicati
alle  parti private limitatamente al dispositivo e non per esteso, ed
in ogni caso la riforma del provvedimento.
    2. - La  Corte  rimettente  ritiene fra l'altro che la previsione
del  secondo  comma  dell'art.  739  cod.  proc. civ. (secondo cui il
provvedimento  emesso in camera di consiglio e' comunicato se dato in
confronto  di  una  sola  parte, o notificato se dato in confronto di
piu'  parti) deve essere coordinata con il rilievo che i procedimenti
relativi  alla  potesta'  genitoriale sono considerati dalla dottrina
"bilaterali  o  plurilaterali"  onde il provvedimento che li conclude
dovrebbe  essere interamente notificato alle parti ed al P.M. ex art.
137  cod.  proc.  civ.  Tuttavia i tribunali per i minorenni ed anche
quello  di  Torino  "comunicano  non  l'intero decreto ma solo il suo
dispositivo,  a  mente  dell'art. 136 cod. proc. civ., consegnando il
biglietto  di  cancelleria al destinatario o disponendone la notifica
da   parte   dell'ufficiale  giudiziario,  e  dalla  data  di  questa
comunicazione  del  dispositivo fanno decorrere il termine perentorio
di  dieci  giorni decorso il quale, in assenza di reclamo, il decreto
acquista efficacia ex art. 741, comma 1, cod. proc. civ.".
    Questa  interpretazione  -  che  la rimettente considera "diritto
vivente" - contrasterebbe:
        a) con  l'art.  3,  primo  comma,  Cost.:  a1)  in quanto non
rispetterebbe  "il  principio  di ragionevolezza" perche', mentre con
riferimento  alla  sentenza  la  comunicazione  del  solo dispositivo
avrebbe  una  sua ragione, in quanto servirebbe soltanto a mettere le
parti  nella condizione di poter notificare la sentenza al fine della
decorrenza del termine breve di trenta giorni per l'impugnazione, nel
caso dei provvedimenti in discorso la comunicazione farebbe decorrere
essa  stessa  il  termine di dieci giorni per il reclamo onde sarebbe
necessario  conoscere  il  provvedimento  nella sua interezza; a2) in
quanto   realizzerebbe   -  arbitrariamente  e  senza  una  razionale
giustificazione   -   un   trattamento  differenziato  rispetto  alla
disciplina  della  notificazione  d'ufficio  integrale  del decreto o
della  sentenza  di  adottabilita',  ex  artt.  15,  terzo comma, 16,
secondo comma, e 17, terzo comma, della legge n. 184 del 1983;
        b) con  l'art.  97,  primo comma, Cost., perche' risulterebbe
leso il principio del buon andamento dell'amministrazione;
        c) con  l'art. 24, secondo comma, Cost., in quanto il termine
di  dieci  giorni  per il reclamo, per la sua brevita', pur congruo a
consentire   all'interessato  l'attivita'  di  impugnazione,  sarebbe
invece  insufficiente,  tenuto  conto  che l'interessato non potrebbe
utilizzarlo  integralmente,  dovendosi rivolgere alla cancelleria per
ottenere   la   copia   del  provvedimento:  l'insufficienza  sarebbe
particolarmente  evidente nel caso in cui l'interessato dimori in una
regione  diversa  da  quella  della  sede  dell'ufficio giudiziario o
all'estero;
        d) con  l'art.  111,  secondo comma, Cost., per la violazione
del  principio  della parita' delle parti, derivante dal fatto che il
P.M. riceverebbe comunicazione integrale del provvedimento e, quindi,
potrebbe  esercitare  il  diritto  di  impugnazione  conoscendone  il
contenuto per l'intera durata del termine di reclamo, mentre la parte
privata  avrebbe conoscenza di quel contenuto solo dal momento in cui
ne ottenga copia dalla cancelleria;
        e) con   l'art.   111,  sesto  comma,  Cost.,  in  quanto  la
motivazione  non  costituirebbe  un  fatto  interno e dovrebbe essere
portata  a  conoscenza  delle  parti subito, mentre la conoscenza del
solo  dispositivo si giustificherebbe esclusivamente ove sia previsto
- come per le sentenze - un meccanismo successivo di notifiche a cura
della parte piu' diligente.
        f) ed  infine  con  l'art.  2  Cost.: questo parametro viene,
peraltro, evocato solo in dispositivo.
    2.1. - Sulla  base  di  tali motivazioni la rimettente solleva la
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  739,  secondo
comma,  cod.  proc. civ., "in relazione all'art. 136 cod. proc. civ.,
nella  parte  in  cui  nel  diritto vivente tali norme prevedono" "la
comunicazione  del  decreto assunto dal tribunale per i minorenni nei
procedimenti   camerali   ablativi   o  modificativi  della  potesta'
genitoriale  con  la  forma  abbreviata del biglietto di cancelleria,
anziche'  la notificazione mediante consegna al destinatario di copia
per  esteso  conforme all'originale del decreto nelle forme dell'art.
137 del codice di procedura civile".
    La medesima questione viene prospettata anche con riferimento "al
combinato  disposto  degli artt. 739, comma 2, e 741 cod. proc. civ.,
nella  parte  in  cui  dispongono  che  nei procedimenti camerali del
tribunale  per  i  minorenni  ablativi  e modificativi della potesta'
genitoriale  il  termine  di  dieci  giorni per proporre reclamo e il
termine  di  efficacia  del decreto decorrano dalla comunicazione del
decreto  con  la  forma  abbreviata  del  biglietto  di  cancelleria,
anziche'  della  notificazione  mediante  consegna al destinatario di
copia  per  esteso  conforme  all'originale  del  decreto nelle forme
dell'art. 137 cod. proc. civ.".
    Quanto  alla rilevanza della questione, la rimettente osserva che
la   reclamante,   avendo  ricevuto  soltanto  la  comunicazione  del
dispositivo  del provvedimento e non avendo potuto apprendere da tale
comunicazione  le  ragioni del medesimo, non avrebbe potuto preparare
nel  brevissimo  termine  di  dieci giorni previsto per il reclamo un
ricorso  che tenesse conto dei motivi per i quali il figlio veniva da
lei  allontanato  e  si  sarebbe  limitata a proporre la questione di
costituzionalita',  senza  poter sviluppare le difese di merito. Dopo
di  che  osserva  di  avere  autorizzato  "in  passato" in situazioni
simili,  il  rilascio  alla  parte  reclamante di copia integrale del
decreto  reclamato,  e concesso alla stessa un termine per completare
con  memoria le proprie difese. Ma alla rimettente "pare pero' giusto
che, attesa la rilevanza della questione e la frequenza con cui viene
proposta  dai  difensori  con  i motivi di impugnazione, sia la Corte
costituzionale  a  valutare  se le attuate modalita' di comunicazione
del  solo  dispositivo del decreto negli accennati procedimenti siano
addirittura costituzionalmente illegittime".
    3. - La rimettente, inoltre, solleva d'ufficio una serie di altre
questioni,  che  investono  il secondo e il terzo comma dell'art. 336
cod. civ.
    La prima questione investe l'art. 336, secondo comma, nella parte
in  cui  non  prevederebbe  che  nei procedimenti camerali ablativi o
modificativi della potesta' genitoriale sia sentito anche il genitore
contro  cui  il  provvedimento  non  e'  richiesto.  Ad  avviso della
rimettente,   questa   mancata   previsione   aveva   un  significato
anteriormente  alla  riforma del diritto di famiglia del 1975, quando
un  solo genitore (di norma il padre) era titolare della potesta', ma
non  si  giustificherebbe  piu'  in un regime di potesta' congiunta e
paritaria, in cui alla decadenza o alla limitazione della potesta' di
un   genitore   corrisponde  una  maggiore  pienezza  della  potesta'
dell'altro genitore.
    La limitazione dell'audizione ad un solo genitore, violerebbe:
        a) l'art. 3, primo comma, Cost., per lesione del principio di
eguaglianza  fra  i genitori, e per irragionevolezza della diversita'
rispetto  alla  disciplina  di  cui  all'art. 10, quinto comma, della
legge  4  maggio  1983,  n. 184, che, per i procedimenti limitativi o
sospensivi   della   potesta'   nel   corso   del   procedimento   di
adottabilita',  impone  l'audizione preventiva di entrambi i genitori
e, se c'e', del tutore;
        b) l'art.  24, secondo comma, Cost., per lesione del "diritto
di  autodifesa,  con facolta' di farsi assistere da un difensore, del
genitore non sentito e, quindi, neppure informato della procedura";
        c) l'art.  30,  primo  comma,  Cost.,  per l'esclusione di un
genitore   dalla  possibilita'  di  intervenire  in  un  procedimento
relativo  ai  doveri  e  diritti  dell'altro  genitore  di mantenere,
istruire ed educare i figli;
        d) l'art. 111, primo e secondo comma, Cost., per l'esclusione
di  "un  contraddittorio  tra  le  parti, i due genitori in proprio e
quali  legali  rappresentanti  del  figlio, in condizioni di parita',
davanti ad un giudice terzo ed imparziale";
        e) l'art.  18,  comma  1,  della  Convenzione sui diritti del
fanciullo  stipulata  a  New  York il 20 novembre 1989 e ratificata e
resa  esecutiva  in  Italia  con  la  legge  27  maggio  1991, n. 176
(Ratifica  ed esecuzione della convenzione sui diritti del fanciullo,
fatta  a  New  York  il  20  novembre  1989), che impegna lo Stato al
riconoscimento  nella  propria  legislazione  del  principio  per cui
entrambi i genitori hanno una comune responsabilita' per l'educazione
del  fanciullo  e  per  provvedere  al  suo  sviluppo, e comporta che
entrambi  debbano  essere  sentiti  nel procedimento limitativo della
potesta' di uno di essi.
    La  questione  cosi'  prospettata sarebbe rilevante, in quanto la
madre  non  sarebbe  stata  informata e convocata, ne' in proprio ne'
quale legale rappresentante del figlio, esercente la potesta' ex art.
317-bis  cod.  civ.,  pur  avendo  richiesto  di  essere  sentita, ed
altresi'  in  quanto il suo reclamo contro il provvedimento nella sua
interezza  comprenderebbe  la  disposizione  di  decadenza dell'altro
coniuge   dalla   potesta',   che,  dunque,  apparterrebbe  al  thema
decidendum.
    4. - Altra  questione  viene  poi  proposta - sempre con riguardo
all'art. 336, secondo comma, cod. civ. - con riferimento alla mancata
previsione  (nei  procedimenti  camerali  ablativi o limitativi della
potesta'  genitoriale) dell'audizione del figlio minore, direttamente
da   parte   del   giudice   se   "gia'  grandicello"  e  tramite  un
rappresentante se si tratti di un "bambino piu' piccolo".
    Tale mancata previsione violerebbe:
        a) "il  principio  di  protezione  della  gioventu' contenuto
negli  artt. 2 e 31" secondo comma, Cost., di cui sarebbe espressione
l'ascolto  del  minore  previsto  dall'art.  12,  comma 2, della gia'
citata  Convenzione  sui  diritti  del fanciullo, che dispone appunto
l'ascolto del minore in ogni procedura giudiziaria e amministrativa;
        b) "il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3, commi 1
e  2, Cost." per la disparita' di trattamento rispetto alla procedura
di  adottabilita',  per  la  quale l'art. 10, secondo e quarto comma,
della legge n. 184 del 1983 prevede che ogni provvedimento temporaneo
nell'interesse del minore, salvo il caso di urgente necessita', debba
essere  preceduto  dall'audizione,  da  parte  del  tribunale  per  i
minorenni,  del  minore  che  ha  compiuto dodici anni e, se ritenuto
opportuno, del minore di eta' inferiore. La disparita' di trattamento
emergerebbe  perche'  per  l'adozione  di provvedimenti con lo stesso
contenuto (prescrizioni, allontanamento, rimozione dalla potesta) non
sarebbe prevista l'audizione del minore in ogni caso;
        c) l'art.  111,  primo e secondo comma, Cost., "non essendovi
un giusto processo" laddove il minore non venga sentito, direttamente
se  abbia  un'eta'  appropriata, come quella di dodici anni stabilita
dall'art.  10,  quarto  comma,  cit.  della legge n. 184 del 1983, ed
altrimenti   tramite   un  rappresentante,  in  modo  da  attuare  un
contraddittorio  sostanziale,  e cio' indipendentemente dal fatto che
egli non possa essere ritenuto "parte formale".
    5. - La  rimettente  prospetta  poi  la questione di legittimita'
costituzionale   dell'art.   336,   secondo   comma,  cod.  civ.,  in
riferimento  agli  artt.  2, 3, secondo comma, 24, secondo comma, 30,
primo  comma, e 111, primo e secondo comma, Cost., nella parte in cui
non  prevederebbe  "a  pena  di  nullita'  rilevabile d'ufficio che i
genitori  e  il  minore  che  abbia  compiuto  gli  anni dodici siano
sentiti"  in  quanto  se il principio del contraddittorio ex art. 111
vale  anche  per  i procedimenti camerali ablativi o limitativi della
potesta',  il  solo  modo per assicurarne l'attuazione sarebbe questa
previsione di nullita' per il caso di inosservanza.
    6. - La   rimettente  solleva  poi  tre  ulteriori  questioni  di
legittimita'  costituzionale,  che  investono  la disciplina prevista
dall'art. 336, terzo comma, cod. civ., per i provvedimenti ablativi o
modificativi  della  potesta'  genitoriale  in situazione di "urgente
necessita'".
    La  rimettente  afferma,  in  primo  luogo,  che il provvedimento
reclamato  e' stato adottato con implicita valutazione di sussistenza
di  un caso di urgente necessita' (peraltro inesistente, in quanto il
procedimento  sarebbe  durato  vari  mesi  e vi sarebbe stato ritardo
nella  deliberazione  e  nel  deposito  del provvedimento), senza che
fossero  sentiti  i  genitori, senza che ne fosse stabilita la durata
(essendosi riservato ad un seguito non precisato la valutazione della
durata dell'affidamento familiare) e fissandosi la convocazione della
sola madre a distanza di quasi cinque mesi.
    In    secondo    luogo,    rileva    che   non   puo'   dubitarsi
dell'ammissibilita'  di  provvedimenti  cautelari temporanei a tutela
del  minore,  "purche'  prevedano  e  non  procrastinino nel tempo la
successiva possibilita' di contraddittorio e di difesa".
    Su  queste  premesse  fonda la motivazione delle tre questioni di
costituzionalita'.
    6.1. - La  prima questione viene prospettata denunciandosi l'art.
336,  terzo  comma,  nella  parte  in  cui non prevederebbe a pena di
nullita'  che  il provvedimento temporaneo assunto in caso di urgente
necessita'  nell'interesse del minore, senza l'audizione dei genitori
e  del  minore  che  abbia  compiuto gli anni dodici, debba avere una
durata  massima  stabilita  dalla legge. Sottolinea la Corte torinese
come  la  prassi  applicativa  consentita  dalla  norma,  incline  ad
ammettere  provvedimenti temporanei a durata illimitata (come sarebbe
accaduto  nella  fattispecie)  o  notevolmente  lunga (per esempio un
allontanamento  urgente  disposto per il periodo di quattro anni), si
risolve    nella   sostanziale   vanificazione   del   principio   di
temporaneita'.
    Secondo la rimettente tale norma violerebbe:
        a) l'art.   3,   primo   comma,   Cost.,  per  disparita'  di
trattamento   -  lesiva  del  principio  di  uguaglianza  -  rispetto
all'ipotesi, prevista dal terzo comma dell'art. 10 della legge n. 184
del  1983, di assunzione di provvedimenti temporanei di limitazione o
sospensione  della  potesta'  in caso di urgente necessita' nel corso
del  procedimento  di  adottabilita',  in  relazione  alla  quale  la
temporaneita'   sarebbe   implicitamente   stabilita   attraverso  la
previsione  che  entro  un  mese  debba  intervenire  il  decreto  di
conferma,  modifica  o revoca. La disparita' emergerebbe per il fatto
che   si  trattano  diversamente  provvedimenti  urgenti  assunti  in
situazioni  simili  per  il  sol  fatto  dell'assunzione in procedure
diverse ed il modello di cui alla procedura di adottabilita' potrebbe
costituire  "un  riferimento"  per  conchiudere  la temporaneita' del
provvedimento  ex art. 336, terzo comma, cod. civ., in un periodo non
superiore  ad  un  mese,  cosi' specificandosi il petitum inerente la
questione in discorso;
        b) l'art. 24, secondo comma, Cost., nonche' l'art. 111, primo
e  secondo  comma,  Cost.,  in quanto un provvedimento di urgenza con
temporaneita'  illimitata  o di lunga durata finirebbe per vanificare
il  diritto  di  difesa  ed  il contraddittorio nella successiva fase
processuale  "perche'  - tenuto conto che la gestione dei tempi in un
processo   profondamente   inquisitorio  come  quello  di  volontaria
giurisdizione  appartiene  all'esclusiva disponibilita' del giudice -
procrastina  la  necessita'  di  un  altro provvedimento di conferma,
modifica  o  revoca,  determinando  un consolidamento nel tempo della
situazione".
    La   questione  sarebbe  rilevante  in  quanto,  nell'ipotesi  di
accoglimento,  il provvedimento reclamato dovrebbe essere modificato,
con la fissazione del momento finale dell'affidamento eterofamiliare.
    6.2. - La  seconda  questione e' prospettata con riferimento alla
mancata  previsione  da  parte  dell'art.  336,  terzo  comma, che il
tribunale dei minorenni, dopo avere adottato il provvedimento in caso
di  urgente necessita', senza audizione dei genitori e del minore che
abbia  compiuto  gli  anni  dodici,  debba  a pena di decadenza entro
trenta  giorni, sentiti il pubblico ministero, i genitori, il tutore,
il  rappresentante  dell'istituto  di ricovero del minore e lo stesso
minore   ultradodicenne,   confermare,   modificare   o  revocare  il
provvedimento   temporaneo   assunto.  La  mancata  previsione  della
promozione di un procedimento camerale in contraddittorio in funzione
dell'adozione di "un provvedimento definitivo di conferma, modifica o
revoca"   avrebbe   determinato   una   prassi   diffusa  per  cui  i
provvedimenti   urgenti   di   breve  durata  perderebbero  efficacia
automaticamente  alla  scadenza "senza che intervenga una conferma (o
con  dichiarazione di non luogo a provvedere perche' la situazione si
e'  esaurita)"  mentre  quelli  di  lunga durata verrebbero frattanto
sostituiti  da  altri in relazione all'evoluzione del caso, senza che
"si  realizzi  il  diritto  delle  parti  ad  essere  ascoltate  e  a
partecipare attivamente al procedimento con riferimento alla conferma
o modifica del provvedimento di urgenza".
    La rimettente prospetta un contrasto:
        a) con  l'art.  3,  primo  comma,  Cost.,  per  irragionevole
differenziazione  di  trattamento  rispetto  ancora  una  volta  alla
disciplina del procedimento di adottabilita', e precisamente rispetto
all'art. 10, quarto e quinto comma, della legge n. 184 del 1983;
        b) con  gli  artt.  24, secondo comma, e 111, primo e secondo
comma,   Cost.,   per   lesione   del   diritto   alla  difesa  e  al
contraddittorio.
    La  questione  sarebbe rilevante perche' alla data dell'ordinanza
di  rimessione  il  tribunale per i minorenni non avrebbe confermato,
modificato o revocato il provvedimento reclamato.
    6.3. - La  terza questione relativa all'art. 336, terzo comma, e'
prospettata   con   riferimento   alla   mancata  previsione  che  il
provvedimento   temporaneo   emanato   in   mancanza   dell'effettiva
ricorrenza  del  caso  di  urgente necessita' sia affetto da nullita'
rilevabile    d'ufficio.   Tale   mancata   previsione,   in   quanto
consentirebbe   che   il   tribunale   per   i  minorenni  adotti  il
provvedimento  temporaneo  senza  sentire  i genitori ed il minorenne
ultradodicenne,  anche  in  difetto  di  urgente  necessita', sarebbe
lesiva:
        a) dell'art.    24,   secondo   comma,   Cost.,   in   quanto
consentirebbe  il  sacrificio  del diritto di difesa dei soggetti che
dovevano essere sentiti;
        b)  dell'art.  111,  primo  e secondo comma, Cost., in quanto
sacrificherebbe il loro diritto al giusto processo;
        c)  del diritto di ascolto del minore, garantito dall'art. 9,
comma 2, della gia' citata Convenzione sui diritti del fanciullo.
    La   questione  sarebbe  rilevante  in  quanto  il  provvedimento
reclamato  sarebbe  stato adottato in mancanza di urgente necessita',
desumibile  dal  notevole  lasso  di tempo impiegato per l'assunzione
delle  informazioni  e dal lungo periodo decorso fra la deliberazione
ed il deposito del provvedimento reclamato.
    7. - Con  l'ordinanza iscritta al n. di ruolo 240, pronunciata il
20  dicembre  2000  e pervenuta alla Corte il 12 marzo 2001, la Corte
d'appello  di  Genova,  sezione  per  i  minorenni  -  nel  corso del
procedimento  di  reclamo proposto dalla madre di un minore contro il
provvedimento  con  cui  il tribunale per i minorenni di Genova aveva
respinto  la  sua  richiesta  di  affidamento del minore, confermando
invece   l'affidamento   al   padre   -  ha  sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale "degli art. 737, 738, 739 cod. proc. civ.
e  336  cod.  civ." nella parte in cui prevedono l'applicabilita' del
rito  camerale,  "in  caso  di  conflitto  tra  genitori non uniti in
matrimonio   sull'affidamento  dei  figli  o  piu'  in  generale  nei
procedimenti  di limitazione o ablazione della potesta' dei genitori"
ravvisando  in tale previsione un contrasto con l'art. 111 Cost., per
non  essere  ispirati i relativi procedimenti al principio del giusto
processo.
    Circa  l'oggetto  del giudizio a quo la rimettente riferisce che,
avendo  il  tribunale  fondato  la  sua decisione sulla relazione del
servizio  sociale,  nella  quale  si  precisava  che, a differenza di
quanto  aveva  affermato  la  madre, il minore si trovava bene con il
padre,  era  ben  inserito  a  scuola  ed  era  curato  e  pulito, la
reclamante,  oltre  a sostenere l'infondatezza del provvedimento, nel
chiederne la riforma ha eccepito l'incostituzionalita' degli artt. da
333 a 336 cod. civ., adducendo che la relazione non era stata portata
a  conoscenza  delle parti, "nell'ambito di una procedura che tollera
la  presenza  del  difensore,  ma  non  la  reputa  necessaria".  Nel
procedimento  di  reclamo,  il padre, nonostante la regolarita' della
notifica,  non  si sarebbe costituito. All'udienza, sulle conclusioni
della  reclamante  e  del  Procuratore  generale della Repubblica, la
Corte  d'appello  si  e' riservata ed a scioglimento della riserva ha
pronunciato l'ordinanza di rimessione.
    7.1. - La  rimettente,  dopo  avere  rilevato  che  la  procedura
applicabile  nel  caso  di  specie e' quella di cui all'art. 336 cod.
civ.  e  che  il  riferimento  in  esso  contenuto  richiama  e rende
applicabili  le  norme  degli artt. 737 e ss. cod. proc. civ., e dopo
avere  descritto  le  modalita'  della  procedura  ivi  disciplinata,
nonche'  rammentato che lo stesso tipo di procedimento e' applicabile
anche  nel caso in cui si debba provvedere ai sensi dell'art. 317-bis
cod.  civ.,  osserva  preliminarmente che la previsione dell'art. 111
della   Costituzione   deve   considerarsi   applicabile   anche   al
procedimento  ex  art.  336  cod. civ. (in relazione agli artt. 330 e
333).
    7.2. - Nel   giudizio   a   quo   verrebbe   d'altro   canto   in
considerazione  una  contesa  fra  soggetti  che  discutono  fra loro
sull'affidamento  del figlio, nel presupposto di vantare ciascuno una
maggiore  idoneita', non diversamente da quanto accade per i genitori
uniti  in matrimonio in caso di separazione o di divorzio, in caso di
contrasto  sull'affidamento  dei  figli.  Onde,  ancora  piu'  palese
sarebbe  l'esigenza  che  il  giudice  appaia  terzo  ed  imparziale.
Viceversa,  il giudice minorile si sarebbe trasformato in procuratore
e  difensore  dei  diritti  del  minore,  riducendo  drasticamente le
garanzie,  assumendo  un  ruolo  di  governo  di  interessi sottratti
all'autonomia   privata.   Di  fronte  alla  latitudine  della  norma
sostanziale  che  individua  come  regola di giudizio l'apprezzamento
dell'interesse  del  minore  e  della  sua  lesione, "il principio di
legalita'  [evidentemente  inteso come regolamentazione per legge del
procedimento]  deve  essere reso particolarmente intenso, se si vuole
mantenere  il  carattere giurisdizionale del procedimento, attraverso
la garanzia del rito". La rimettente richiama al riguardo la sentenza
della  Corte  europea  per  i  diritti  dell'uomo  del 15 luglio 2000
(Scozzari e Giunta/Italia) rimarcando che essa, nell'affermare che il
diritto  dei  genitori a mantenere, istruire ed educare i figli e' un
diritto  fondamentale  ed  ha  natura  di  diritto  soggettivo pieno,
destinato,  tuttavia,  a  cedere  sul  piano  sostanziale,  di fronte
all'incapacita'   dei   genitori,   ha  sottolineato  l'esigenza  che
l'affievolimento  avvenga  in  un  procedimento  giudiziale  che veda
regolati  i  poteri  processuali delle parti e del giudice e consenta
alle  parti  un  controllo  pieno  sulla  legalita'  degli  atti  del
procedimento.
    7.3. - La  rimettente  ricorda come la Corte costituzionale abbia
talora  giudicato  che  anche nella procedura camerale ex artt. 737 e
ss.  cod. proc. civ. il diritto di difesa potrebbe essere assicurato,
nonostante la lacunosita' della disciplina.
    Ma  a  diversa valutazione dovrebbe indurre l'esigenza del giusto
processo  regolato  dalla  legge, nel contraddittorio delle parti, in
condizioni  di  parita'  e davanti ad un giudice terzo ed imparziale,
posta  dal  nuovo art. 111 Cost.: le parti dovrebbero essere titolari
di  precise  facolta'  e  poteri  processuali  e  lo  svolgimento del
procedimento  dovrebbe  essere  sempre  controllabile  sulla  base di
precise indicazioni normative e non rimesso alla discrezionalita' del
giudice, cui le parti non dovrebbero soggiacere.
    La procedura ex artt. 737 e ss. cod. proc. civ. e 336 cod. civ. -
in  quanto  sommaria  e  semplificata, non regolata dalla legge nelle
forme,  nei  tempi  e  nelle modalita' di svolgimento, ma affidata al
contrario alla pura discrezionalita' del giudice, tanto che gli unici
tratti  regolati sono la proposizione "della domanda" con ricorso, la
nomina   di   un   relatore,   l'assunzione   di   informazioni  (non
necessariamente  nel contraddittorio delle parti), e la decisione con
decreto motivato, reclamabile davanti alla corte d'appello, ma sempre
modificabile  e  revocabile  -  sarebbe  ben  lontana  dalla relativa
previsione  costituzionale. In sede di pronuncia sull'affidamento dei
figli  ai  sensi dell'art. 317-bis cod. civ., la discrezionalita' del
giudice  riguarderebbe  anche  lo stesso contenuto del provvedimento,
potendo  il  giudice  disporre  l'affidamento all'uno o all'altro dei
genitori,  ma  anche  escludere  entrambi, nell'interesse del minore,
dalla  potesta',  nominando  un  tutore  (mentre nel caso di genitori
uniti  in  matrimonio,  l'affidamento ad un terzo richiederebbe gravi
motivi). L'attuazione di un embrionale contraddittorio, le cui forme,
modi  e  tempi  non  sono disciplinati dalla legge, avverrebbe con la
mera convocazione dell'interessato e senza necessita' di un difensore
tecnico.
    D'altro canto, l'assenza di regole poste dalla legge, ma soltanto
dedotte  in  via  di  interpretazione  adeguatrice all'art. 24 Cost.,
lascerebbe  aperta  la  via  a  prassi  applicative difformi per ogni
giudice o ufficio giudiziario e cio' escluderebbe la possibilita' "di
sanzionare con la rimessione al primo giudice la violazione, in primo
grado,  di  regole  di  garanzia  per  la difesa" e "di stabilire con
certezza gli effetti della nullita' di singoli atti".
    Poiche'   a   seguito  della  novellazione  dell'art.  111  della
Costituzione   il  "giusto  processo"  non  puo'  che  essere  quello
"regolato   dalla   legge"   dovrebbe  dubitarsi  della  legittimita'
costituzionale  di un modello processuale, nel quale la decisione sui
diritti,  in  un  settore  fondamentale dell'ordinamento, e' emessa a
seguito di un processo le cui cadenze sono affidate esclusivamente al
giudice  "tenuto  bensi'  a  garantire  i  fondamentali diritti delle
parti,  ma  secondo  modalita'  non  predeterminate, e rimesse al suo
apprezzamento": la previsione di una riserva di legge "in un contesto
tanto  delicato  e rilevante" implicherebbe "la necessita' che sia il
legislatore a disciplinare le regole del procedimento".
    Queste complessive considerazioni vengono ritenute dal rimettente
idonee a giustificare la prospettata questione di costituzionalita'.
    7.4. - In punto di rilevanza della questione, la rimettente, dopo
avere  assunto che a giustificarla potrebbe bastare il fatto che essa
deve  applicare  la procedura ex artt. 336 cod. civ. e 737 e ss. cod.
proc.  civ.,  ritiene  di  fornire  indicazioni  piu'  specifiche con
riferimento al caso concreto e rileva che il primo giudice ha fondato
il  suo  provvedimento  esclusivamente  sulla  relazione del servizio
sociale,  senza  che  "le  parti"  fossero  informate della richiesta
rivolta  all'uopo  al  servizio  sociale  e  senza che abbiano potuto
prenderne   visione   e   formulare  rilievi  e  contestazioni.  Tale
secretazione  dei  documenti,  peraltro,  secondo  il  rimettente non
sarebbe  giustificata  dalla  procedura  ex art. 737 e ss. ed avrebbe
"errato sicuramente il [primo] giudice al riguardo" in quanto avrebbe
violato  "l'art.  76 disp. att. c.c." [rectius 76, delle disposizioni
di  attuazione  del codice di procedura civile], che consentirebbe il
rilascio  di  copie  di  tutti  gli  atti  contenuti  nel  fascicolo.
Tuttavia,  in  un  procedimento  regolato  nei tempi e nei modi dalla
legge  potrebbe  essere previsto, "ad esempio" uno scambio di memorie
prima  della  decisione, che nella specie "avrebbe potuto indirizzare
il  primo  giudice  ad  un  ripensamento e magari allo svolgimento di
ulteriore attivita' istruttoria".
    Soggiunge,  quindi,  la  rimettente:  "Certo  in questo grado, le
parti,  e  in  particolare  la reclamante hanno potuto esaminare ogni
documento  in  atti,  ma in tutta la fase precedente non hanno potuto
svolgere la loro difesa. E tuttavia non si potrebbe superare il vizio
di  una  prima  fase  in  cui  non  si e' compiutamente realizzato il
principio   del  contraddittorio  (anche  perche'  questa  Corte  non
potrebbe  per  questo  annullare  la  decisione  e rimettere le parti
stesse  davanti al primo giudice) e comunque l'ampia discrezionalita'
caratterizza pure questo grado".
    Manifesta,  quindi,  sia  la  consapevolezza  che il procedimento
ordinario,  anche  dopo  la  riforma  del  1990, non sarebbe idoneo a
regolare  controversie  come  quella  al suo esame (ma, a ben vedere,
anche quelle di separazione e di divorzio) e che, de iure condendo il
legislatore  potrebbe  opportunamente  coniugare l'esigenza di regole
precise   e  predeterminate  con  quella  di  agilita'  e  snellezza,
funzionali  ad  un'efficace  tutela del minore, sia la consapevolezza
che  l'eventuale  accoglimento della questione comporterebbe un vuoto
normativo.  Ciononostante,  ritiene  che non possa non essere rimessa
alla   Corte   la   questione   della  permanenza  di  una  procedura
contrastante con l'art. 111 novellato.

                       Considerato in diritto

    1.  -  I  giudizi  promossi dalle Corti di appello di Torino e di
Genova  riguardano  entrambi questioni di legittimita' costituzionale
di  norme  sul  procedimento camerale, in esito al quale il tribunale
per i minorenni pronunzia provvedimenti ablativi o modificativi della
potesta' genitoriale; essi possono pertanto essere riuniti.
    2.  -  La  Corte  d'appello  di Torino propone varie questioni di
legittimita' costituzionale, divisibili in tre gruppi.
    3.   -   Al   primo  gruppo  appartiene  anzitutto  la  questione
concernente  il  combinato disposto degli artt. 739, secondo comma, e
136  del  codice di procedura civile, nella parte in cui - secondo un
asserito  diritto vivente risultante dall'interpretazione accolta dal
tribunale   che   ha   deciso   in  primo  grado  -  prevederebbe  la
comunicazione  del  decreto del tribunale con la forma abbreviata del
biglietto di cancelleria, anziche' la notificazione mediante consegna
al destinatario di copia conforme all'originale nelle forme dell'art.
137 cod. proc. civ.
    Secondo  il  giudice  rimettente,  tale  normativa viola l'art. 2
della  Costituzione  (il  parametro  e' indicato solo in dispositivo,
senza  alcuna motivazione), l'art. 3, primo comma, della Costituzione
(per   irragionevolezza,  in  quanto  dalla  comunicazione  del  solo
dispositivo  decorre il termine di dieci giorni per proporre reclamo,
in  vista del quale il provvedimento dovrebbe essere conosciuto nella
sua   interezza;  e  per  ingiustificata  disparita'  di  trattamento
rispetto  a  situazioni sostanzialmente simili, come la notificazione
integrale  del decreto o della sentenza di adottabilita' ex artt. 15,
terzo  comma,  16,  secondo  comma,  e 17, terzo comma, della legge 4
maggio  1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei
minori),  l'art. 97, primo comma, della Costituzione (per lesione del
principio   del  buon  andamento  dell'amministrazione),  l'art.  24,
secondo comma, della Costituzione (essendo il termine di dieci giorni
per  il  reclamo  tanto breve da ledere il diritto di difesa), l'art.
111,  secondo comma, della Costituzione (per violazione del principio
della  parita'  delle parti, in quanto al P.M., a differenza che alla
parte  privata, il provvedimento e' comunicato integralmente), l'art.
111,  sesto  comma,  della  Costituzione (in quanto la conoscenza del
solo dispositivo, e non anche della motivazione, si spiega unicamente
ove  sia  prevista,  come  per le sentenze, una successiva notifica a
cura della parte piu' diligente).
    Anche  la  seconda questione del primo gruppo e' prospettata - in
riferimento  agli  stessi  parametri  -  nei  confronti del combinato
disposto  degli  artt.  739,  secondo  comma,  e 741 cod. proc. civ.,
considerato  nella parte in cui prevede che nei procedimenti camerali
in  esame  il  termine  di  dieci giorni per proporre reclamo decorra
dalla comunicazione del decreto con la forma abbreviata del biglietto
di  cancelleria,  anziche'  dalla notificazione nelle forme dell'art.
137 cod. proc. civ.
    4.  -  Le due questioni - delle quali la seconda si pone rispetto
alla  prima  in  rapporto  di  dipendenza  - possono essere esaminate
congiuntamente.
    Esse sono inammissibili.
    La   Corte   di  appello  -  pur  dichiarando  di  considerare  i
procedimenti  ablativi o modificativi della potesta' genitoriale come
"bilaterali  o plurilaterali" e quindi soggetti all'art. 739, secondo
comma,  cod.  proc. civ., che per il provvedimento camerale "dato nei
confronti  di piu' parti" prevede la notifica (e non la comunicazione
con  biglietto  di  cancelleria), e pur riconoscendo di avere sovente
applicato  tali  principi  -  ritiene di non poter decidere in questo
senso   il  caso  di  specie,  per  il  contrario  "diritto  vivente"
identificato nella prassi seguita dai tribunali per i minorenni ed in
specie da quello che ha pronunciato il provvedimento reclamato.
    La   rimettente,   pertanto,   non   propone   una  questione  di
legittimita'  costituzionale, ma un mero dubbio interpretativo; e per
di piu' rinunzia a ricercare la possibilita' di interpretare la norma
impugnata  nel  senso  utile  ad  evitare  quello che, secondo la sua
prospettazione, e' il contrasto con la Costituzione, pur mostrando di
conoscere   le  argomentazioni  letterali  e  sistematiche  che  tale
interpretazione potrebbero sorreggere.
    5.  -  Il  secondo  gruppo  di questioni prospetta tre profili di
incostituzionalita'  dell'art.  336,  secondo  comma,  cod. civ., che
disciplina   la   forma   ordinaria   del   procedimento  ablativo  o
modificativo della potesta' genitoriale.
    La  norma  e' anzitutto impugnata nella parte in cui - disponendo
che  "nei casi in cui il provvedimento e' chiesto contro il genitore,
questi  deve  essere  sentito"  -  non  prevede che sia sentito anche
l'altro  genitore,  cosi'  violando  l'art.  3,  primo  comma,  della
Costituzione (per lesione del principio di eguaglianza fra i genitori
e   per   irragionevole   disparita'  di  trattamento  rispetto  alla
disciplina  dell'art.  10, quinto comma, della legge n. 184 del 1983,
che,  per  i  procedimenti limitativi o sospensivi della potesta' nel
corso  del  procedimento  di  adottabilita',  prevede  l'audizione di
entrambi  i  genitori  e del tutore), l'art. 24, secondo comma, della
Costituzione  (per  lesione  del  diritto  di difesa del genitore non
sentito,  e  quindi  "neppure informato della procedura"), l'art. 30,
primo comma, della Costituzione (in quanto ad un genitore e' preclusa
la  possibilita' di intervenire nel procedimento relativo ai doveri e
ai   diritti  dell'altro  in  tema  di  mantenimento,  istruzione  ed
educazione  dei  figli),  l'art.  111,  primo  e secondo comma, della
Costituzione  (perche'  e' escluso il contraddittorio tra genitori in
condizioni  di  parita',  davanti ad un giudice terzo ed imparziale),
l'art.  18,  comma  1,  della  Convenzione  sui diritti del fanciullo
stipulata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva
in Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176 (Ratifica ed esecuzione
della  convenzione  sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20
novembre   1989),   che   impegna   lo  Stato  a  sancire  la  comune
responsabilita'  dei  genitori  per  l'educazione  e  lo sviluppo del
fanciullo,  onde  entrambi  devono  essere  sentiti  nel procedimento
limitativo della potesta' di uno di essi.
    6.  -  La  questione  non  e'  fondata,  in  quanto  muove  da un
presupposto interpretativo erroneo.
    Il   mancato  rispetto  del  contraddittorio  nei  confronti  del
genitore  diverso  da quello contro cui il provvedimento e' richiesto
viene  denunciato  essenzialmente  in  relazione  al  suo  diritto  a
partecipare  al  procedimento  gia'  instaurato,  ma  -  come  emerge
dall'accenno  al  genitore "non informato" - non manca un riferimento
alla fase dell'instaurazione.
    Sotto  quest'ultimo  aspetto,  la  prospettazione  contraddice la
stessa  qualificazione  del  procedimento in esame come "bilaterale o
plurilaterale"  che  il  rimettente  afferma  di  condividere  e  che
comporta necessariamente la garanzia del contraddittorio, inteso come
diritto  di  ciascuna delle parti ad essere tempestivamente informata
del procedimento.
    Del  resto  l'impugnato  art. 336, secondo comma - secondo cui il
tribunale  provvede  in  camera di consiglio - va letto alla luce del
principio generale per cui anche il procedimento camerale e' ispirato
al rispetto del contraddittorio (sentenza n. 103 del 1985), nei sensi
indicati.
    Per  quanto  poi  specificamente concerne il contraddittorio come
diritto  di  partecipare  allo  svolgersi  del  procedimento,  ed  in
particolare   a   quella   specifica  attivita'  istruttoria  che  e'
l'audizione  ad  opera del giudice, il rimettente - pur richiamandosi
alla  Convenzione  sui diritti del fanciullo resa esecutiva con legge
n. 176   del   1991,   e   quindi   dotata  di  efficacia  imperativa
nell'ordinamento  interno  -  non considera che l'art. 9, comma 2, di
essa  (ai  sensi del quale tutte le parti interessate devono avere la
possibilita'  di  partecipare  alle  deliberazioni e far conoscere le
proprie  opinioni)  pone  una  disciplina complementare rispetto alla
previsione  della  norma  impugnata (che prevede solo l'audizione del
genitore   contro  cui  il  provvedimento  e'  richiesto),  onde  dal
coordinamento  fra  le  due  norme deriva, allo stato dell'evoluzione
legislativa,  che  nel  procedimento  in  esame devono essere sentiti
entrambi i genitori.
    Della  fondatezza di queste conclusioni fornisce recente conferma
l'art.  37,  comma  3,  della legge 26 aprile 2001, n. 149 (Modifiche
alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante "Disciplina dell'adozione e
dell'affidamento  dei  minori, nonche' al titolo VIII del libro primo
del  codice civile"), sopravvenuta all'ordinanza di rimessione, anche
se  non ancora efficace. La norma ha aggiunto nell'art. 336 cod. civ.
un  quarto  comma,  ai sensi del quale "Per i provvedimenti di cui ai
commi  precedenti,  i  genitori  e  il  minore  sono  assistiti da un
difensore,  anche a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge":
ed  e'  evidente come essa presupponga che entrambi i genitori (ed il
minore) siano "parti" del procedimento di cui all'art. 336 cod. civ.,
e in quanto "parti" abbiano diritto di avere notizia del procedimento
e di parteciparvi.
    7.  -  L'art. 336, secondo comma, cod. civ., e' poi impugnato per
la  mancata previsione che, nei procedimenti camerali in esame, siano
sentiti  il  minore  ultradodicenne  e, se opportuno, anche quello di
eta' inferiore, o altrimenti i suoi genitori o il tutore.
    Ne  risulterebbero violati gli artt. 2 e 31, secondo comma, della
Costituzione  (di cui e' espressione l'art. 12, comma 2, della citata
Convenzione,  sull'ascolto del minore in ogni procedura giudiziaria e
amministrativa),   gli   artt.   3,  primo  e  secondo  comma,  della
Costituzione  (sotto  il profilo sia dell'irragionevolezza, sia della
disparita'  di  trattamento rispetto alla procedura di adottabilita',
per  la  quale  l'art. 10, secondo e quarto comma, della legge n. 184
del  1983 dispone che il tribunale per i minorenni, prima di assumere
provvedimenti  temporanei  nell'interesse  del minore, deve, salvo il
caso  di  urgente  necessita',  sentire  il  minore  dodicenne  e, se
opportuno,  quello  di eta' inferiore), e l'art. 111, primo e secondo
comma,  della  Costituzione ("non essendovi un giusto processo" se il
minore non venga sentito, direttamente o tramite un rappresentante).
    8.  -  La  questione  non  e' fondata, in quanto muove ancora una
volta da una premessa interpretativa erronea.
    L'art.  12  della citata Convenzione - disposto al comma 1 che il
fanciullo capace di discernimento ha diritto di esprimere liberamente
la  sua  opinione  su  ogni questione che lo interessa - soggiunge al
comma  2  che  "A  tal  fine, si dara' in particolare al fanciullo la
possibilita'  di  essere  ascoltato  in  ogni procedura giudiziaria o
amministrativa  che  lo  concerne,  sia  direttamente, sia tramite un
rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le
regole di procedura della legislazione nazionale".
    Tale  prescrizione,  ormai entrata nell'ordinamento, e' idonea ad
integrare  -  ove  necessario  - la disciplina dell'art. 336, secondo
comma,  cod.  civ., nel senso di configurare il minore come parte del
procedimento,   con   la  necessita'  del  contraddittorio  nei  suoi
confronti, se del caso previa nomina di un curatore speciale ai sensi
dell'art. 78 cod. proc. civ. (cfr. ordinanza n. 528 del 2000).
    Ed  e'  ancora una volta rilevante il richiamo alla recente legge
n. 149 del 2001, dalla quale - come gia' notato al n. 7 - chiaramente
si  evince  l'attribuzione  al  minore  (nonche'  ai  genitori) della
qualita' di parte, con tutte le conseguenti implicazioni.
    9.  - Infine l'art. 336, secondo comma, cod. civ. e' impugnato in
quanto  non  prevede  "a  pena di nullita' rilevabile d'ufficio che i
genitori  e  il  minore  che  abbia  compiuto  gli  anni dodici siano
sentiti".
    Tale mancata previsione violerebbe gli artt. 2, 3, secondo comma,
24,  secondo  comma,  30,  primo  comma e 111, primo e secondo comma,
Cost.,  poiche'  il  principio  del contraddittorio ex art. 111 della
Costituzione  vale  anche  per  i  procedimenti  camerali  ablativi o
limitativi  della potesta' e la sua inosservanza impone la previsione
di nullita'.
    La  questione,  in  quanto  dipendente  dalle  precedenti,  resta
assorbita,   pur   dovendosi   rilevare  che  compete  al  rimettente
stabilire,  applicando  le  norme generali sulle nullita' processuali
civili,   quali  conseguenze  esplichi  sul  provvedimento  reclamato
l'inosservanza  dell'art.  336, secondo comma, interpretato nel senso
sopra precisato.
    10. - Il terzo gruppo di questioni proposte dalla Corte d'appello
di  Torino  concerne - sotto tre distinti profili - l'art. 336, terzo
comma,  cod.  civ.,  secondo  cui  "In  caso di urgente necessita' il
tribunale  puo'  adottare,  anche d'ufficio, provvedimenti temporanei
nell'interesse del figlio".
    11.  -  La  norma  e' anzitutto impugnata per la parte in cui non
prevede  che  il  provvedimento temporaneo assunto in caso di urgente
necessita'  nell'interesse del minore (senza l'audizione dei genitori
e  del  minore  che  abbia  compiuto  dodici  anni)  abbia, a pena di
nullita', una durata massima, individuabile in trenta giorni.
    Secondo  il  giudice  rimettente, questa mancata previsione viola
l'art.   3,  primo  comma,  della  Costituzione  (per  ingiustificata
disparita'  di  trattamento  rispetto  ai  provvedimenti  urgenti  di
limitazione  o  sospensione della potesta' nel corso del procedimento
di  adottabilita', che l'art. 10, terzo comma, della legge n. 184 del
1983  considera  implicitamente  temporanei,  prevedendo l'intervento
entro  un  mese  del  decreto  di conferma, modifica o revoca), e gli
artt.  24,  secondo  comma,  e  111,  primo  e  secondo  comma, della
Costituzione  (perche'  un provvedimento urgente di durata illimitata
vanifica  il  diritto  di  difesa  ed  il  contraddittorio nella fase
processuale successiva).
    In secondo luogo, la norma e' impugnata in quanto non prevede che
il tribunale per i minorenni, dopo avere provveduto in via di urgenza
senza  sentire  genitori  e minore ultradodicenne, debba entro trenta
giorni,  a  pena  di  decadenza,  provvedere  in  contraddittorio per
confermare, modificare o revocare il provvedimento.
    Ad  avviso  della Corte rimettente, tale mancata previsione viola
l'art.   3,   primo  comma,  della  Costituzione  (per  irragionevole
disparita'  di  trattamento rispetto alla disciplina del procedimento
di  adottabilita'  di  cui  al  citato art. 10 della legge n. 184 del
1983),  e  gli artt. 24, secondo comma, e 111, primo e secondo comma,
della   Costituzione  (per  lesione  dei  diritti  di  difesa  e  del
contraddittorio).
    12. - Le due questioni sono inammissibili.
    Il   giudice  a  quo  -  pur  dubitando  che  la  disciplina  del
procedimento  urgente  in  materia di potesta' genitoriale, di cui al
terzo  comma  dell'art.  336  cod.  civ.,  sia  conforme ai parametri
evocati  -  non  ha  valutato  la  possibilita'  di  dare della norma
impugnata  un'interpretazione  idonea  a porla al riparo dai dubbi di
legittimita'  costituzionale  sottoposti al giudizio di questa Corte.
In  particolare,  non ha verificato se - come pure si e' sostenuto in
giurisprudenza  e  in  dottrina - il procedimento in esame, attesa la
sua  natura  cautelare  rispetto a quello ordinario di cui al secondo
comma   del   medesimo  art.  336  cod.  civ.,  non  possa  ritenersi
assoggettato  alla  disciplina  del  procedimento  cautelare uniforme
dettata  dagli  artt.  669-bis e ss. cod. proc. civ. (applicabile, in
quanto  compatibile,  a  tutti i provvedimenti cautelari previsti dal
codice  civile:  art. 669-quaterdecies), con la conseguenza che anche
il  provvedimento  urgente  previsto  dalla  norma impugnata dovrebbe
ritenersi   regolato   dal   secondo  e  dal  terzo  comma  dell'art.
669-sexies.
    Il  silenzio  sul  punto  da'  luogo ad un difetto di motivazione
dell'ordinanza.
    13.  -  Sotto un terzo profilo l'art. 336, terzo comma, cod. civ.
e'  impugnato  in  quanto  -  non  prevedendo  la nullita' rilevabile
d'ufficio   del  provvedimento  temporaneo  emanato  in  difetto  del
presupposto  dell'urgente necessita' - consentirebbe al tribunale per
i  minorenni  di  adottare  provvedimenti  temporanei senza sentire i
genitori  ed  il  minorenne ultradodicenne, cosi' violando l'art. 24,
secondo  comma,  della Costituzione (per il sacrificio del diritto di
difesa dei soggetti che dovevano essere sentiti), l'art. 111, primo e
secondo  comma,  della  Costituzione  (per  la lesione del diritto di
questi  soggetti  al giusto processo), e infine il diritto di ascolto
del  minore, garantito dall'art. 9, comma 2, della citata Convenzione
sui diritti del fanciullo.
    14.   -  La  questione  -  indipendentemente  dalle  implicazioni
desumibili  dai  rilievi  di  cui  al  n. 12  - e' inammissibile, non
ponendo  un  problema  di  legittimita'  costituzionale,  ma  di mera
interpretazione.
    Infatti  -  poiche' l'art. 336, terzo comma, cod. civ. prevede la
possibilita'  di  adottare  provvedimenti  temporanei solo in caso di
"urgente  necessita'"  - la questione se il difetto di tale requisito
comporti  o  meno  nullita'  attiene  all'interpretazione della norma
impugnata,  alla  luce  dell'art.  156 cod. proc. civ., che spetta al
giudice a quo.
    15.  - La Corte di appello di Genova impugna gli artt. 737, 738 e
739  cod.  proc.  civ.,  e  l'art.  336  cod. civ., in quanto rendono
applicabile  il  rito  camerale  ai  procedimenti  aventi  ad oggetto
l'affidamento dei minori nel caso di conflitto fra genitori non uniti
in  matrimonio  e,  piu'  in  generale, ai procedimenti limitativi od
ablativi della potesta' genitoriale.
    Il  giudice  rimettente  -  premesso che tali procedimenti mirano
alla  risoluzione  di  conflitti fra genitori esercenti la potesta' e
quindi incidono sulle loro posizioni soggettive, aventi rango di veri
e propri diritti, meritevoli di tutela al pari di quelli del minore -
ritiene  che  l'applicabilita'  del  rito  camerale  violi l'art. 111
Cost.,  in  relazione  al principio per cui il "giusto processo" deve
essere  regolato  dalla  legge,  per  l'assenza  in  quel rito di una
precisa  e  puntuale disciplina dei poteri del giudice e delle parti,
cui  non  potrebbe  ovviare un'interpretazione adeguatrice ex art. 24
Cost., che lascerebbe aperta la via a prassi applicative difformi per
ogni  ufficio  giudiziario,  onde il giudice del reclamo non potrebbe
ne'  sanzionare  con  la rimessione al primo giudice la violazione in
primo  grado "di regole di garanzia per la difesa" ne' "stabilire con
certezza gli effetti della nullita' di singoli atti".
    16. - La questione e' inammissibile.
    Il  giudice  rimettente  - il quale afferma esplicitamente che la
normativa  impugnata  non  e'  suscettibile di essere interpretata in
senso  conforme  a Costituzione - non motiva adeguatamente le ragioni
di tale suo convincimento.
    Quanto  alle  eventuali prassi distorsive, esse si risolverebbero
in  errori  cui  rimedierebbe  in  sede  di  reclamo il controllo dei
provvedimenti  emessi  in  prima istanza (come del resto fa la stessa
ordinanza  per  la  prassi  della  secretazione  delle  relazioni dei
servizi  sociali,  riguardo  alla  quale  esplicitamente individua la
norma che la vieta).
    D'altro  canto,  la  tesi dell'impossibilita', per il giudice del
reclamo,  di  sanzionare  con la rimessione del procedimento al primo
giudice  la  violazione  di  regole  poste  a garanzia del diritto di
difesa    verificatesi   in   primo   grado,   non   considera   che,
nell'ordinamento  processuale  civile, la rimessione al primo giudice
e'  fenomeno  limitato  ai  casi  previsti dagli artt. 353 e 354 cod.
proc.  civ., onde corrisponde ai principi che il giudice del reclamo,
constatata   una   violazione  in  prima  istanza  delle  regole  del
contraddittorio  o del diritto di difesa non riconducibile ai casi di
rimessione   espressamente   previsti,  adotti  una  nuova  decisione
rispettosa di quelle regole.
    Infine, la tesi dell'impossibilita' per il giudice del reclamo di
stabilire con certezza la nullita' di singoli atti postula un sistema
di  nullita' degli atti del processo civile necessariamente correlato
a  specifiche  previsioni  normative,  e percio' diverso da quello in
vigore,  cosi'  come  risulta dal secondo e terzo comma dell'art. 156
cod. proc. civ.
    Dalla    rilevata    insufficienza    di   motivazione   discende
l'inammissibilita' della questione.