Ricorso della Regione Emilia Romagna in persona del Presidente della Giunta regionale pro-tempore Vasco Errani, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 2392 del 19 dicembre 2000 (all. 1), rappresentata e difesa - come da procura speciale rep. 33404 rogata dal notaio dott. Michele Zerbini del Collegio notarile di Bologna del 22 dicembre 2000 (all. 2) - dagli avvocati Giandomenico Falcon di Padova, Franco Mastragostino di Bologna e Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell'avv. Manzi, via Confalonieri n. 5. Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 4, lett. a), della legge 24 novembre 2000 n. 340, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 275 del 24 novembre 2000, recante "Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione del procedimento amministrativo" in quanto, nel sostituire il comma 2 dell'art. 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, dispone che "nelle materie di cui all'art. 117, primo comma, della Costituzione, i regolamenti di delegificazione trovano applicazione", sia pure "solo fino a quando la regione non provveda a disciplinare autonomamente la materia medesima", per violazione degli artt. 117, primo comma e 118, primo comma, della Costituzione e dei princi'pi costituzionali relativi all'esercizio del potere regolarmentare. Fatto e diritto La legge n. 59 del 1997 prevede che una legge annuale, detta correntemente "legge di semplificazione", sia dedicata alla "delegificazione di norme concernenti procedimenti amministrativi". In sostanza, tale legge individua i procedimenti per i quali la disciplina legislativa sara' sostituita da disciplina regolamentare, posta in essere dal Governo "ai sensi e per gli effetti dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400". Il meccanismo di tale sostituzione e' dunque quello del regolamento delegato. Ed infatti il comma 4 dello stesso art. 20 della legge n. 59/1997 precisa che dalla data di entrata in vigore dei regolamenti autorizzati dalla legge annuale di semplificazione "sono abrogate le norme, anche di legge, regolatrici dei procedimenti". Il comma 5 precisa i "criteri e princi'pi" cui i regolamenti di delegificazione dovranno attenersi. Ovviamente, non si tratta di principi di materia, ma di principi per cosi' dire metodologici e trasversali, quali il principio di semplificazione, di riduzione dei termini, di accelerazione delle procedure, ecc. Su tali principi non occorre qui ulteriormente soffermarsi, non essendo essi in questione. Il problema qui posto riguarda invece la competenza, o piuttosto, come si dira', la incompetenza dei regolamenti delegati cosi' previsti a disciplinare procedimenti nelle materie rientranti nella competenza costituzionalmente garantita alle regioni, cioe' (con riferimento qui alle regioni a statuto ordinario) nelle materie previste dall'art. 117, primo comma della Costituzione. Su tale tema il disposto dell'art. 20 non era chiaro. Il comma 2, nel suo testo originario, stabiliva che nel disegno di legge di semplificazione il Governo avrebbe provveduto ad individuare "i procedimenti relativi a funzioni e servizi che, per le loro caratteristiche e per la loro pertinenza allo comunita' territoriali, sono attribuiti alla potesta' normativa delle regioni e degli enti locali", e ad indicare "i princi'pi che restano regolati con legge della Repubblica, ai sensi degli articoli 117, primo e secondo comma, e 128 della Costituzione". Come si vede, tale articolo non era concepito in termini di stretta garanzia costituzionale nelle materie di cui all'art. 117, primo comma, ma prevedeva una piu' ampia devoluzione di compiti normativi alle regioni e agli enti locali, al di la' di quanto costituzionalmente dovuto alle regioni ordinarie. Alle regioni ordinarie era invece - ed e' ancora - espressamente dedicato il comma 7 dell'art. 20, nel quale si stabiliva (come ancora e' stabilito) che esse "regolano le materie disciplinate dai commi da 1 a 6 nel rispetto dei princi'pi desumibili dalle disposizioni in essi contenute, che costituiscono princi'pi generali dell'ordinamento". Di seguito si stabiliva che "tali disposizioni operano direttamente nei riguardi delle regioni fino a quando esse non avranno legiferato in materia", e che conunque "entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge" esse avrebbero provveduto "ad adeguare i rispettivi ordinamenti alle norme fondamentali contenute nella legge medesima". Nell'insieme di tali disposizioni dell'art. 20 della legge n. 59 del 1997, poste piu' che altro nella prospettiva dell'operativita', il riparto di competenza tra la disciplina regolamentare dello Stato e quella tendenzialmente legislativa delle Regioni quanto alla semplificazione dei procedimenti non era descritto in termini chiari: tanto che esse furono impugnate da parte regionale davanti a codesta ecc.ma Corte costituzionale. Se dai primi sette comuni di tale articolo - argomentava la ricorrente Regione Puglia - si volesse desumere che i regolamenti statali di delegificazione possano "intervenire in materia di competenza regionale, operando fino alla nuova disciplina regionale", tali disposizioni sarebbero risultate costituzionalmente illegittime per il contrasto con il principio, affermato nella giurisprudenza costituzionale, "secondo cui i regolamenti governativi non sono legittimati a disciplinare materie di competenza regionale, e lo strumento della delegificazione non puo' operare per fonti di diversa natura, tra le quali vi e' un rapporto di competenza e non di gerarchia" (cosi' la sentenza n. 408 del 1998, punto 9 in fatto e punto 27 in diritto). I timori cosi' espressi dalla regione ricorrente erano tuttavia fugati da codesta ecc.ma Corte costituzionale, la quale, nel respingere la questione, cosi' espressamente argomentava: "Fermo il valore di principio, legittimamente vincolante per i legislatori regionali, dei criteri indicati nell'art. 20, comma 4, quale che sia il senso attribuibile all'affermazione - invero non perspicua - per cui "tali disposizioni" (quelle contenute nei commi da 1 a 6 del medesimo art. 20) "operano direttamente nei riguardi delle regioni fino a quando esse non avranno legiferato in materia", non e' possibile attribuire ad essa un significato che riguardi o comprenda l'attitudine di future norme regolomentari statali a disciplinare materie di competenza regionale". Invero, le disposizioni impugnate venivano mandate assolte in quanto da esse non poteva dedursi che i regolamenti statali fossero deputati a disciplinare materie regionali. Percio' la questione posta dalla Regione Puglia veniva ritenuta infondata: essa non aveva ragione di porsi, perche' il significato delle disposizioni di legge non era quello prospettato. Della richiamata pronuncia della Corte costituzionale conviene sin d'ora richiamare un aspetta che ad avviso della ricorrente regione ha grande importanza, consistente nella premessa del ragionamento, espressa con le parole "Fermo il valore di principio, legittimamente vincolante per i legislatori regionali, dei criteri indicati nell'art. 20, comma 4". Con tali parole la Corte ha espressamente sancito che, come del resto e' chiaro nel testo dell'art. 20, anche le regioni sono da un lato tenute e dall'altro abilitate a dare attuazione ai princi'pi di semplificazione espressi dal comma 5, integrando e sostituendo con essi, in relazione ai procedimenti, i principi fondamentali della legislazione statale relativi ad ogni specifica materia. In altre parole, la sentenza della Corte, nell'escludere che la legislazione statale in vigore preveda l'ingresso dei regolamenti delegati nella disciplina delle materie regionali, indica che le regioni hanno in proprio, nelle materie di competenza, la responsabilita' di riordinare la propria normazione agli stessi princi'pi cui lo Stato da' attuazione, nei settori di propria competenza, mediante tali regolamenti. I timori allora espressi dalla Regione Puglia, nel senso che i regolamenti statali di delegificazione potessero secondo la legge n. 59 "intervenire in materia di competenza regionale, operando fino alla nuova disciplina regionale", e respinti come inattuali dalla Corte costituzionale con la ricordata sentenza n. 408 del 1998 sono ora diventati innegabilmente attuali, dal momento che la disposizione qui impugnata della legge 24 novembre 2000, n. 340, sostituendo il comma 2 dell'art. 20 della legge n. 59 del 1997, e riprendendo quasi alla lettera la formulazione con cui quel timore era espresso dispone, come ricordato in epigrafe, che "nelle materie di cui all'art 117, primo comma, della Costituzione, i regolamenti di delegificazione trovano applicazione solo fino a quando la regione non provveda a disciplinare autonomamente la materia medesima". Al di la' della apposizione della parola "solo", evidentemente destinata ad accentuare un presunto aspetto di limitazione (come se si potesse ritenere pensabile anche una applicazione stabile e definitiva di tali regolamenti), il significato inequivoco della disposizione e' proprio quello di estendere il potere regolamentare del Governo alla disciplina dei procedimenti regionali. Parafrasando la conclusione della sentenza n. 408 in relazione alla situazione creata dalla disposizione ora introdotta si puo' dire che non e' possibile attribuire ad essa un significato che non riguardi o comprenda l'attitudine di future norme regolamentari statali a disciplinare materie di competenza regionale". Quel vulnus alla competenza regionale, escluso dalla sentenza n. 408, e' dunque ora indubbiamente e decisamente recato. Bisogna ora dunque soffermarsi in termini piu' approfonditi sulla illegittimita' costituzionale di esso. In primo luogo, occorre ricostruire con maggiore precisione il significato della disposizione e la logica che essa segue, per mostrare poi che essa non e' conforme alla Costituzione ed altera gravemente, sia in teoria che in termini di conseguenze pratiche, i rapporti tra le fonti, non meno gravemente comprimendo il senso dell'autonomia e della responsabilita' regionale. Come detto, la nuova disposizione stabilisce che "nelle materie di cui all'art. 117, primo comma, della Costituzione, i regolamenti di delegificazione trovano applicazione ... fino a quando la regione non provveda a disciplinare autonomamente la materia medesima". Si ritiene qui che la disposizione vada intesa nel senso che, secondo l'intenzione di essa, la disciplina stabilita con il regolamento di deligificazione vale ad abrogare, nelle parti incompatibili e potenzialmente in toto, la previgente disciplina legislativa regionale, sostituendosi ad essa nella disciplina della materia, e rimanendo in vigore fino a quando essa non venga eventualmente sostituita da nuova autonoma disciplina regionale. Se di una fonte si distinguono, come d'uso, l'aspetto attivo, relativo alla capacita' di innovare le norme poste da fonti precedenti, e l'aspetto passivo, relativo alla capacita' di resistere alle innovazioni poste da fonti successive, si puo' definire la situazione creata dal nuovo comma 2 dell'art. 20 della legge n 59 del 1997 affermando che il regolamento statale di delegificazione prevarrebbe sulle precedenti leggi regionali, e sarebbe invece (in linea puramente teorica) cedevole rispetto a norme regionali successive. In astratto, la disposizione statale qui impugnata e' suscettibile anche di diversa interpretazione. Essa potrebbe essere ad esempio intesa nel senso che i regolamenti statali operano nella regione soltanto in quanto non sia attualmente operante una autonoma disciplina regionale alla materia, sicche' essa sia ancora disciplinata dalla disciplina statale vigente al momento del trasferimento delle funzioni o da altra disciplina statale sopravvenuta in seguito. Si ritiene tuttavia che tale interpretazione (che porrebbe comunque ugualmente il problema della costituzionalita' di un intervento statale meramente regolamentare) non corrisponda al senso della modifica portata dalla legge n. 340 del 2000, la quale ha introdotto il meccanismo qui contestato al fine palese di realizzare rapidamente e coattivamente il processo di semplificazione, mediante l'introduzione automatica di una disciplina governativa, lasciando alle regioni la cura di modificarla se ad esse non andasse bene. Piu' sottilmente, la disposizione qui contestata potrebbe essere intesa nel senso che le disposizioni regolamentari statali ai sovrappongano, abrogandola, alla disciplina legislativa regionale, soltanto ove questa non abbia gia' provveduto ad applicare i princi'pi di semplificazione previsti dal comma 5 dell'art. 20 della legge n. 59 del 1997. In questa prospettiva, la frase "fino a quando la regione non provveda a disciplinare autonomamente la materia medesima" andrebbe mentalmente completata con l'inespressa precisazione "in attuazione dei principi di semplificazione": con la conseguenza che il "provveda" ai riferirebbe non solo ad un provvedere futuro, ma anche ad un provvedere passato, ma successivo alla stessa legge n. 59. Questa interpretazione avrebbe il pregio di far venire meno quella che e' ad avviso della ricorrente regione accanto alla illegittimita' costituzionale, anche l'irrazionalita' intrinseca della disposizione qui impugnata. A tre anni di distanza dalla legge n. 59, infatti, le regioni e in particolare la regione ricorrente hanno ovviamente gia' provveduto a ridisciplinare con le proprie leggi (quasi sempre, si noti, vistate dal Governo) molte materie di propria competenza: sicche' l'abrogazione di tali leggi con norme governative sarebbe non solo in contraddizione con le regole del rapporto tra fonti statali e legge regionale, ma anche privo di qualunque giustificazione pratica. Alla stregua di questa interpretazione, in altre parole, il sovrapporsi della disciplina regolamentare statale alla legislazione regionale avrebbe carattere eventuale e in un certo senso sostitutivo, in quanto la regione non avesse gia' provveduto alla semplificazione: mentre ragionevolmente lascerebbe in vigore la disciplina gia' semplificata dalle regioni. Si noti tuttavia che anche tale interpretazione, indubbiamente piu' favorevole per le regioni (e per la stessa razionalita' del sistema) non farebbe venire meno quella che ad avviso della regione ricorrente e' una grave lesione di una delle piu' importanti prerogative costituzionali delle regioni, quale quella che si traduce in un rapporto di solo parziale subordinazione rispetto alla sola legge statale (e atti equiparati). A tale rapporto esclusivo tra legge regionale e atti legislativi statali fa eccezione soltanto il peculiare regime degli atti di indirizzo e coordinamento, nonche' quanto disposto per assicurare l'attuazione degli obblighi comunitari dell'Italia: ma si tratta, appunto, di eccezioni alla regola: una regola che risulterebbe distrutta se si ammettesse in generale la possibilita' di intervento del regolamento statale in materia regionale. In ogni modo, nel presente ricorso si assume che il significato della disposizione qui impugnata sia quello piu' sbrigativo sopra illustrato, cioe' la diretta abrogazione di qualunque norma legislativa regionale, recente o meno, "semplificata" o meno, a fronte del solo sopraggiungere della disciplina regolamentare statale. Ove si dovesse invece ritenere che la corretta interpretazione sia nel senso esposto immediatamente sopra, le censure qui prospettate continueranno a valere in relazione all'ipotesi di abrogazione della legislazione regionale "non semplificata". Che i regolamenti governativi non possano intervenire nella disciplina delle materie affidate dalla Costituzione alla potesta' legislativa concorrente delle regioni deriva dalle regole espresse, dai princi'pi, dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma. Corte costituzionale. Quanto alle regole espresse, e' anche troppo ovvio ricordare che l'art. 117, primo comma, della Costituzione esplicitamente dispone che nelle materie di seguito elencate la regione emana norme legislative "nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato". La garanzia costituzionale cosi' data alle regioni include naturalmente anche la stabilita' della legislazione regionale, la quale puo' venire meno soltanto per abrogazione disposta dalla stesso legislatore regionale o per il sopraggiungere di una nuova disciplina legislativa statale ispirata a nuovi princi'pi, incompatibili con i precedenti. La garanzia costituzionale data alle regioni si riferisce in astratto alle fonti, assicurando che solo la legge e le fonti equiparate potranno operare in materia regionale e in certi limiti prevalere sulle leggi della regione, ma include ovviamente anche un aspetto per cosi' dire soggettivo, nel senso che i limiti all'organo legislativo regionale possono derivare solo dall'organo legislativo statale, o da atti del Governo di rango legislativo emanati secondo le stringenti regole costituzionali che ne disciplinano il rapporto con la legge del Parlamento. E' invece escluso che una volonta' normativa espressa dall'organo governativo possa incidere sull'autonomia legislativa regionale. A questo principio fa eccezione il solo caso dei regolamenti per l'attuazione delle diretive comunitarie previsti dagli artt. 4 e 9 della legge n. 86 del 1989: ma da un lato tale eccezione (che trova critica almeno parte della dottrina: cfr. G. Guzzetta, Regolamenti statali a carattere supplettivo e competenze regionali: dalla "decostituzionalizzazione" alla "delegificazione" dell'autonomia territoriale in nome del diritto comunitario, in Giur. cost., 1999, p. 3746 ss.) non puo' che essere, proprio in quanto eccezione fondata su cogenti ragioni di responsabilita' internazionale dello Stato, di strettissima interpretazione, dall'altro la stessa eccezione si rivela, nel suo contenuto, talmente limitata da risultare quasi apparente, e comunque da non consentire certo una estensione ai regolamenti di delegificazione. Gia' si e' detto della peculiare responsabilita' statale, che costituisce il fondamento del suo potere e dovere di "mettere in campo tutti gli strumenti ... idonei ad assicurare l'adempimento degli obblighi di natura comunitaria" (sent. 425 del 1999, punto 5.3.1 in diritto, con riferimento alla precedente n. 126 del 1996). Ma pur su tale fondamento, la possibilita' di incidere con regolamento sulla legislazione regionale e' davvero ristretta. La stessa sentenza ha infatti sottolineato che "l'esecuzione comunitaria non e' un pass-partout che consente allo Stato di vincolare le autonomie regionali e provinciali senza rispettare i principi della propria attivita' normativa", e che "anche nell'adozione della normativa di attuazione comunitaria, il regolamento statale ... incontra il limite dei principio di legalita'" (punto 5.3.2): sicche', in termini applicativi, la disciplina regolamentare "e' ammissibile in quanto il regolamento non vincoli ... al di la' di quanto gia' non discenda dagli obblighi comunitari" (punto 5.3.3). In altre parole, neppure in assolvimento della responsabilita' comunitaria dello Stato il regolamento governativo puo' dettare una disciplina "libera", ma esso funziona al contrario da puro tramite di inserimento nell'ordinamento giuridico italiano di norme comunitarie che altrimenti non vi avrebbero applicazione, introducendo in esso le sole modifiche e adattamenti necessari e conseguenti. Se ne deduce agevolmente che neppure se si adottassero per i regolamenti delegati i criteri di ammissibilita' previsti per i regolamenti di attuazione comunitaria potrebbe giustificarsi la disposizione qui impugnata della legge n. 340 del 2000, la quale prevede una disciplina procedimentale e piu' in generale "semplificativa" sostanzialmente libera, entro i generalissimi criteri metodologici e trasversali previsti dalla legge 59 del 1997. Ma e' ovvio, ancor prima, che l'eccezione prevista, negli stretti termini sopra descritti, per i regolamenti di attuazione comunitaria non puo' applicarsi affatto al caso dei regolamenti delegati di delegificazione, sicche' la previsione del loro intervento nella disciplina procedimentale nelle materie regionali va qualificato come a priori illegittima. Al di fuori della necessita' di dare attuazione alla normativa comunitaria, l'inammissibilita' costituzionale di una disciplina regolamentare in materia regionale emerge in modo esplicito anche da costante e consolidata giurisprudenza costituzionale. Cosi' la sent. n. 482 del 1995, al punto 8 in diritto, ha ribadito che "i regolamenti governativi, compresi quelli delegati, non sono legittimati a disciplinare materie di competenza regionale o provinciale" e che lo strumento della delegificazione, che opera tra legge e regolamento statale, non puo' operare "per fonti di diversa natura, tra le quali vi e' un rapporto di competenza e non di gerarchia". Nella stessa sentenza n. 482 del 1995 codesta ecc.ma Corte costituzionale ha anche espressamente ricordato che "solo la diretta incompatibilita' delle norme regionali con i sopravvenuti princi'pi e norme fondamentali della legge statale puo' determinare, ai sensi dell'art. 10, primo comma, della legge 10 febbraio 1953, n. 62, l'abrogazione delle prime". Ora, e' evidente che la "diretta incompatibilita'" delle norme regionali va valutata sulla base di un esame concreto del rapporto tra le disposizioni della legge statale e quelle di cui alle specifiche leggi delle singole regioni. Solo sulla base di tale esame sara' possibile dire quali norme regionali risultino, in ipotesi, abrogate. Si tratta d'altronde, come detto, di giurisprudenza consolidata: tra le altre sentenze, si possono vedere la n. 333 del 1995, la n. 465 del 1991 e, ancor prima, la n. 204 del 1991. In sintesi, la situazione dei rapporti tra Stato e regioni in materia di semplificazione puo' dirsi la seguente. La legge dello Stato puo' dettare, e con l'art. 20 della legge n. 59 ha dettato, princi'pi e criteri generali in materia di semplificazione dei procedimenti. Per quelli di propria competenza, lo Stato vi provvede mediante regolamenti di delegificazione. Per quelli rientranti nella competenza regionale, vi provvedono le regioni nell'ambito della propria potesta' legislativa e in ipotesi, dopo la legge costituzionale n. 1 del 1999, anche della propria potesta' regolamentare, sulla base di quanto disposto con legge regionale. In tali attivita' le regioni sono guidate dai medesimi princi'pi e criteri che guidano i regolamenti delegati, stabiliti dall'art. 20. Nella semplificazione dei procedimenti regionali difficilmente puo' vedersi un interesse nazionale non frazionabile. Ma se lo si vedesse, esso non potrebbe comunque portare una alterazione nei rapporti tra legge regionale e regolamento dell'esecutivo. In altre parole, l'eventuale interesse "nazionale" alla semplificazione dei procedimenti nelle regioni deve pur sempre trovare espressione nelle forme tipiche del rapporto tra la legge regionale e le fonti costituzionalmente idonee a vincolarla. Potrebbe trattarsi del potere di indirizzo (quale del resto e' gia' stato esercitato con la stessa legge). Secondo la valutazione del legislatore, e l'importanza dei valori costituzionali in gioco, potrebbe immaginarsi persino un potere sostitutivo, quale quello attivato dalla stessa legge n. 59 del 1997, all'art. 4, comma 5, in materia di attribuzione di funzioni agli enti locali, per il caso che le regioni non vi provvedessero. Ma dovrebbe pur sempre trattarsi di uno strumento rispettoso della regola costituzionale che una nuova disciplina di una materia appartenente in via concorrente alla potesta' legislativa regionale puo' essere dettata solo da una legge statale che stabilisca i princi'pi nuovi, ed in relazione ad essi, ove occorra, da una disciplina legislativa di dettaglio, cedevole di fronte al nuovo esercizio della potesta' legislativa regionale. La potesta' legislativa concorrente delle regioni concorre con la potesta' legislativa statale, mai con la potesta' regolamentare del Governo. Nel caso, poi, mancano persino i nuovi princi'pi di materia. Non sono tali, infatti, i princi'pi e criteri di semplificazione, che hanno carattere metodologico e operano trasversalmente alle materie, esprimendo un indirizzo di riforma, ma non nuovi princi'pi di materia. All'interno di tali indirizzi, la disciplina del procedimento in ciascuna materia e' libera, e ad essa non puo' provvedere che il legislatore regionale. In molti casi esso ha gia' provveduto, anche in attuazione della legge n. 59. Le disposizioni cosi' poste dalle regioni, sia prima che dopo la legge n. 59, non possono essere legittimamente travolte da un regolamento governativo. Il nuovo testo del comma 2 dell'art. 20 della legge n. 59 del 1997, recato dalla legge n. 340 del 2000, che tanto prevede, risulta dunque in radicale contrasto con la Costituzione e lesivo delle prerogative costituzionali delle regioni.