LA CORTE D'APPELLO
    riunita  in  camera di consiglio, ha emesso la seguente ordinanza
  nella  causa  civile,  iscritta al n. 1457 del ruolo generale degli
  affari  contenziosi  dell'anno 1998, alla quale e' riunita la causa
  iscritta  al  n. 1741  del  ruolo generale degli affari contenziosi
  dell'anno   1998,   avente   ad   oggetto:  risarcimento  danni  da
  diffamazione,  posta  in  decisione  all'udienza  collegiale del 29
  settembre   1999,  tra  Sgarbi  Vittorio,  rappresentato  e  difeso
  dall'avv.  prof.  Settimio Di Salvo e dall'avv. Stefano Previti, in
  virtu'  di procura notarile per atto notaio Marcello Brunelli e per
  atto notaio Andrea Pantalani ed elettivamente domiciliato presso lo
  studio  del  primo,  in Napoli, alla via Duomo n. 296, appellante e
  Costagliola  Guarente  Silvia  Maria, Costagliola Anna, Costagliola
  Roberto,  Costagliola  Paola,  Costagliola  Simonetta e Costagliola
  Rosanna,  tutti  elettivamente  domiciliati  in  Napoli,  alla  via
  Mariano   D'Ayala,  presso  lo  studio  dell'avv.  Francesco  Barra
  Caracciolo  che,  assieme all'avv. Giuseppe Fusco, li rappresenta e
  difende  in  virtu' di mandato a margine della comparsa di risposta
  appellati  e  appellanti  incidentali nonche' RTI - Reti Televisive
  Italiane  S.p.a.  -  in  persona  del  legale  rappresentante p.t.,
  rappresentata  e  difesa  dagli avv.ti prof. Romano Vaccarella, del
  Foro di Roma e Alessandro Izzo, del Foro di Napoli ed elettivamente
  domiciliata  presso  lo  studio  del  secondo, in Napoli, via Duomo
  n. 296,  in  virtu'  di  procura  a  margine  dell'atto  di appello
  introduttivo  della  causa iscritta al n. 1741/1998 e di procura in
  calce  alla  comparsa  di risposta con appello incidentale relativa
  alla   causa   iscritta  al  n. 1457/1998  appellante  nella  causa
  n. 1741/1998  e  appellata  e  appellante  incidentale  nella causa
  n. 1451/1998;
    Premesso  che con atto notificato il 1o ottobre 1994, gli odierni
  appellati,  stretti  congiunti  del magistrato Gennaro Costagliola,
  gia'  giudice  per  le  indagini preliminari presso il tribunale di
  Napoli,  deceduto  il  22  aprile  1994, convenivano in giudizio il
  dott.  Vittorio  Sgarbi,  deputato  al  Parlamento e la RTI S.p.a.,
  concessionaria  dell'emittente  televisiva  Canale  5, chiedendo la
  condanna  di entrambi al risarcimento del danno per la lesione alla
  reputazione  e alla identita' personale che assumevano essere stata
  arrecata,   dal   parlamentare,   al  magistrato  nel  corso  delle
  trasmissioni  televisive  "Sgarbi quotidiani" del 19 aprile e del 7
  maggio  1994,  in  onda su Canale 5 e in occasione di un'intervista
  pubblicata sul quotidiano "La Repubblica" del 5 giugno 1994;
        che,  con  sentenza  n. 9259/1997,  del  10 novembre 1997, il
  Tribunale  di  Napoli  dichiarava  che  le  trasmissioni televisive
  andate  in  onda  nella  rubrica  "Sgarbi quotidiani" di Canale 5 e
  l'intervista rilasciata in data 5 maggio 1994 da Vittorio Sgarbi al
  quotidiano   "La   Repubblica"   contenevano   affermazioni  aventi
  carattere  diffamatorio  e  lesivo  dell'onore  e della memoria del
  defunto  giudice  dott. Gennaro Costagliola e condannava entrambi i
  convenuti al risarcimento del danno;
        che,   nel  corso  del  giudizio  di  appello,  promosso  dai
  soccombenti,  i  difensori  dell'on. Vittorio Sgarbi producevano la
  relazione  della  Giunta  per  le  autorizzazioni  a  procedere  in
  giudizio e la delibera adottata dalla Camera il 21 luglio 1998, con
  cui   si   era   stabilito  che  le  affermazioni  dell'on.  Sgarbi
  concernevano   opinioni   espresse  da  un  membro  del  Parlamento
  nell'esercizio  delle  sue  funzioni  e  chiedevano,  unitamente al
  procuratore   della   RTI,   che   fosse   sospesa  la  provvisoria
  esecutivita' della sentenza;
        che  nel  ricostruire  i  fatti  che  avevano  dato  luogo al
  processo  e  nel  proporre  di deliberare la insindacabilita' delle
  opinioni  espresse  dal  deputato Sgarbi, la Giunta, in persona del
  relatore, riferiva che "la prima delle due trasmissioni televisive"
  aveva  tratto  "spunto dall'arresto, avvenuto qualche giorno prima,
  dell'onorevole  Di  Donato,  a  seguito  di  un'ordinanza  firmata,
  appunto,  dal  dott.  Costagliola,  "che,  in tale occasione, l'on.
  Sgarbi   aveva  asserito  che  la  decisione  era  stata  adottata"
  nell'assoluta  mancanza  dei  presupposti  di  legge e, riferendosi
  rispettivamente  al  giudice Costagliola e all'on. Di Donato, aveva
  aggiunto:  "chi  lo  ha  arrestato  ha violato il codice e dovrebbe
  essere  arrestato";  che  l'on.  Sgarbi, nella stessa trasmissione,
  aveva  asserito  che l'arresto era stato disposto "volutamente, per
  esibizionismo,  per  spettacolo,  per  coincidenza"  volendo  cosi'
  marcare  il passaggio dalla I alla II Repubblica; che l'on. Sgarbi,
  commentando  la  morte  del  magistrato,  sopravvenuta il 22 aprile
  1994,  in un'altra esternazione dagli schermi di "Rete mia" l'aveva
  definita  "una pena superiore a quella che lui aveva invocato"; che
  nella   intervista  sul  quotidiano  "La  Repubblica",  dal  titolo
  Costagliola,  gli  e'  toccata la pena capitale, l'on. Sgarbi aveva
  affermato:  "non  rinnego  una sola parola di quelle dette" e aveva
  asserito  "Costagliola  ha  strappato la legge firmando, con i suoi
  colleghi  Rosario Cantelmo e Nicola Quatrano, l'ingiusto arresto di
  Giulio  Di  Donato"  e  alla domanda dell'intervistatore, che aveva
  sottolineato  l'inopportunita'  di  parlare di pena capitale, aveva
  replicato,  tra l'altro: "quando mi riferivo alla pena capitale per
  Costagliola,  intendevo dire che la pena capitale rappresentava una
  estensione  della  pena carceraria che avevo chiesto per lui. Ossia
  che  quello  che  gli era capitato - la morte - andava oltre la mia
  richiesta,  e aveva ribadito: io provo pieta' umana e grande dolore
  per  una  persona  ancora giovane che e' improvvisamente deceduta e
  posso  anche  capire i suoi colleghi affranti per la sua scomparsa,
  pero',  ripeto,  non rinnego una sola parola di quelle che ho dette
  in  TV perche' e' troppo grave che senza il rispetto della legge si
  sia  arrestato  Di  Donato.  E'  intollerabile. Si, intollerabile e
  gravissimo";  che, nella successiva trasmissione del 7 maggio 1994,
  l'on.  Sgarbi,  pur affermando di dovere delle scuse ai parenti del
  dott.  Costagliola,  aveva  definito quest'ultimo "un magistrato di
  Napoli  a  cui  era  toccata  la  piu'  grave  delle pene, la morte
  improvvisa";
        che il relatore, dopo avere enunciato in tal modo i fatti che
  avevano  dato  origine  al  giudizio  risarcitorio, rilevava che la
  Giunta,  esaminata la questione nelle sedute del 27 maggio e del 17
  giugno 1998, aveva ritenuto che "le affermazioni rese dal deputato,
  sia  pure di contenuto particolarmente sgradevole e sopra le righe,
  non  intendevano  offendere  la  persona  o  la  memoria  del dott.
  Costagliola,  ma erano strumentali alla polemica di natura politica
  condotta,  in  quella,  come in altre occasioni, contro gli arresti
  facili e, in genere, contro l'istituto delle misure cautelari" e la
  Camera,  condividendo  il  contenuto  della  relazione, riteneva la
  insindacabilita' delle opinioni espresse dal parlamentare;
        che   il   consigliere  istruttore  accoglieva  l'istanza  di
  sospensione  della  esecuzione della sentenza di condanna, proposta
  dall'on.  Sgarbi, osservando che la legge costituzionale 29 ottobre
  1993,  n. 3 - la quale aveva modificato il primo comma dell'art. 68
  della   Costituzione,   nel  sostituire  la  frase"  i  membri  del
  parlamento  non  possono  essere  perseguiti con l'espressione "non
  possono  essere  chiamati  a  rispondere" - aveva estese alla sfera
  civile  l'ambito  delle  prerogative  parlamentari,  in  precedenza
  limitato  al campo della responsabilita' penale, con la conseguenza
  che  l'insindacabilita'  delle  opinioni  espresse dall'on. Sgarbi,
  ravvisata dalla Camera dei deputati, conformemente all'orientamento
  costantemente  espresso  dalla Corte costituzionale, si poneva "sul
  piano  sostanziale  come  causa  di  esonero  della responsabilita'
  dell'autore  delle  dichiarazioni  e,  sul  piano processuale, come
  preclusione  per  l'autorita'  giudiziaria  a  superare la delibera
  parlamentare, salva la possibilita' di provocare il controllo della
  Corte  costituzionale  sulla  correttezza dell'esercizio del potere
  assembleare  "(Corte  costituzionale  5  dicembre 1997, n. 375 e 23
  luglio  1997, n. 265) e con l'ulteriore conseguenza che la sentenza
  impugnata,  affermativa  della  responsabilita' del parlamentare e,
  percio',  contrastante  con  la  delibera  successivamente adottata
  dalla  Camera,  che  tale  responsabilita' aveva escluso, ove fosse
  stata   posta   in   esecuzione,   avrebbe   leso   la  prerogativa
  costituzionale riconosciuta al convenuto.
    Ritenuto  che  ricorrono le condizioni per provocare il controllo
  della  Corte  costituzionale  sulla  correttezza dell'esercizio del
  potere assembleare, in quanto:
        questa Corte e' legittimata a sollevare il conflitto perche',
  come  prescritto  dall'art.  37,  primo comma della legge n. 87 del
  1953, e' organo competente a dichiarare definitivamente la volonta'
  del    potere    cui    appartiene   nell'ambito   delle   funzioni
  giurisdizionali  da  essa esercitate, in conformita' del principio,
  piu'  volte  affermato dalla Corte costituzionale, secondo il quale
  "i  singoli  organi  giurisdizionali, svolgendo le loro funzioni in
  posizione di piena indipendenza, costituzionalmente garantita, sono
  legittimati   ad  essere  parti  nei  conflitti  costituzionali  di
  attribuzione";
        il  conflitto  sussiste sotto il profilo oggettivo perche' la
  delibera  di  insindacabilita',  adottata  dalla Camera, inibisce a
  questa  Corte  di svolgere le funzioni giurisdizionali nel giudizio
  civile   di   responsabilita'  promosso  dai  congiunti  del  dott.
  Costagliola  e  rende  priva di effetti sostanziali la pronuncia di
  condanna gia' emessa dal tribunale di Napoli nei confronti dell'on.
  Sgarbi.
    Ritenuto,  quanto  al  merito che la Corte costituzionale ha piu'
  volte rilevato che, affinche' la prerogativa prevista dall'art. 68,
  primo  comma,  Cost., non si trasformi in un privilegio personale e
  non   si  traduca  nell'attribuzione  al  parlamentare  del  potere
  incontrollato  di  ledere  i  diritti  inviolabili dell'uomo, quali
  quello  all'onore  e  alla  reputazione,  e'  necessario che vi sia
  connessione funzionale tra le opinioni espresse e l'esercizio delle
  attribuzioni proprie del parlamentare ed ha negato che possa essere
  ricondotta   nella   sfera  della  funzione  parlamentare  l'intera
  attivita'  politica  dei  membri delle camere (v., da ultimo, sent.
  n. 329 del 14 - 20 luglio 1999);
        che  e'  stato  anche  precisato  che l'organo che solleva il
  conflitto   non   puo'   richiedere  alla  Corte  di  compiere  una
  valutazione, nel merito, diversa da quella compiuta dalla Camera di
  appartenenza in ordine al carattere diffamatorio delle affermazioni
  e  conforme ai criteri elaborati dal giudice ordinario, dal momento
  che  la  pretesa  di  sovrapporre  ai  criteri seguiti dalla Camera
  quelli dettati da orientamenti giurisprudenziali si risolverebbe in
  una inammissibile ingerenza nelle prerogative parlamentari;
        che,  come  si  desume dallo stesso contenuto della relazione
  sottoposta  al  giudizio  della  camera,  di  cui sopra si e' fatta
  menzione,  l'on.  Sgarbi  non  ha espresso alcuna censura di ordine
  tecnico  al  provvedimento  adottato  dal dott. Costagliola, non ha
  mosso  critiche  di  natura  politica  al complesso delle norme che
  avevano   consentito  l'adozione  della  misura  restrittiva  della
  liberta'  personale  dell'inquisito, ne' ha segnalato i rimedi e le
  innovazioni   legislative   di   cui   egli,   nella   qualita'  di
  parlamentare,  intendeva farsi promotore per evitare, in futuro, il
  ricorso  a  simili  provvedimenti, ma ha mosso gratuite e infamanti
  accuse  alla persona del magistrato, indicandolo come meritevole di
  arresto  per  aver  emesso,  per puro esibizionismo e strappando la
  legge,  la  misura  cautelare  nei  confronti  dell'on. Di Donato e
  definendo,  poi,  cinicamente  la  morte  del giudice, sopraggiunta
  prematuramente,   come   una  pena  capitale,  superiore  a  quella
  carceraria che avrebbe dovuto essergli inflitta per consentirgli di
  espiare gli errori commessi;
        che,   nel  caso  di  specie,  la  Camera,  nell'adottare  la
  deliberazione di insindacabilita', ha rilevato che le dichiarazioni
  dell'on.  Sgarbi  erano  "di contenuto particolarmente sgradevole e
  sopra  le  righe  "ed  ha,  quindi,  riconosciuto, seppure nel tono
  eufemistico   adoperato,  che  esse  calpestavano  quel  minimo  di
  dignita'  alla  quale  ogni  persona ha sempre diritto, ma ha, poi,
  aggiunto  che tali dichiarazioni erano pur sempre "strumentali alla
  polemica  di  natura  politica  condotta,  in quella, come in altre
  occasioni,   contro   gli  arresti  facili  e,  in  genere,  contro
  l'istituto delle misure cautelari",
        che,  in  tal  modo,  la  Camera  ha erroneamente valutato le
  condizioni  e  i  presupposti  richiesti  dall'art. 68, primo comma
  della  Costituzione, considerando estrinsecazione della prerogativa
  parlamentare  la condotta lesiva dell'onore e della reputazione del
  dott.  Costagliola,  della  quale  si  e' reso autore l'on. Sgarbi,
  mentre  avrebbe  dovuto  rilevare l'inesistenza del requisito della
  connessione  tra  le  opinioni da lui espresse e la sua funzione di
  deputato, tenendo presente che le dichiarazioni diffamatorie furono
  rese   al   di   fuori   della  sede  parlamentare,  in  un  ambito
  completamente estraneo al dibattito politico, cioe' nel corso delle
  trasmissioni    televisive    dal   titolo   "Sgarbi   quotidiani",
  sinistramente enunciativo del loro contenuto, condotte dallo stesso
  on.  Sgarbi  e, quindi, nell'esercizio di un'attivita' retribuita e
  in nessun modo collegabile con le sue funzioni di parlamentare.
    Gli  atti,  pertanto, vanno rimessi alla Corte costituzionale per
  la   soluzione   del  conflitto  tra  i  poteri  dello  Stato,  con
  conseguente sospensione del presente procedimento.