LA CORTE DEI CONTI Ha emesso la seguente ordinanza sull'istanza di provvedimento cautelare ed urgente avanzata con il ricorso iscritto al n. 020077/004408 Pensioni militari, proposto da Castignani Lanfranco, classe 1932, rappresentato e difeso dagli avv. Leonardo e Paola Petix del Foro di Bologna, avverso la nota-provvedimento n. 42453 del 28 marzo 2000 dell'I.N.P.D.A.P. sede di Bologna. Uditi, nella camera di consiglio del 25 ottobre 2000 e con l'assistenza del segretario signora Laura Cannas, il relatore consigliere Luigi Di Murro, l'avv. Giuseppe Petix delegato dall'avv. Leonardo Petix per il ricorrente nonche' il dott. Renato Campisi in rappresentanza dell'Amministrazione del Tesoro. Non rappresentata l'Amministrazione della Difesa. Visto il decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19. Visto l'atto introduttivo del giudizio. Visti gli altri atti e i documenti della causa. P r e m e s s o Con ricorso presentato in data 19 maggio 2000 il Col. E.I. in congedo Castignani Lanfranco, nato in Ancona il 25 dicembre 1932, ha impugnato la nota-provvedimento n. 42453 del 28 marzo 2000 dell'I.N.P.D.A.P. di Bologna avente ad oggetto "Recupero credito erariale di L. 19.057.820 su pensione iscrizione n. 10198950 intestata al sig. Castignani Lanfranco". Risulta dagli atti che il ricorrente, gia' ufficiale in servizio nell'E.I., e' stato collocato nella posizione di ausiliaria con il grado di colonnello a decorrere dal 26 dicembre 1988 fino al 26 dicembre 1996 per passaggio nella posizione di Riserva: in occasione di detto passaggio l'Amministrazione della difesa ha predisposto il relativo decreto di pensione n. 712/1997 dall'applicazione del quale sarebbe scaturito, a detta dell'I.N.P.D.A.P. di Bologna, un debito del ricorrente nei confronti dell'erario di L 19.057.820 per somme asseritamente percepite in misura maggiore del dovuto. Da tale accertamento e' derivato il provvedimento gravato comportante una ritenuta mensile sulla pensione spettante al ricorrente pari a L. 1.320.070 dal 1o marzo 2000, con gravi conseguenze sul tenore di vita dell'interessato. La difesa del ricorrente afferma, allegando giurisprudenza della Corte dei conti confermante il proprio assunto, che l'addebito per i maggiori assegni corrisposti dal 26 dicembre 1988 al 26 dicembre 1997 per la predetta somma complessiva di L. 19 milioni circa e' palesemente illegittimo sia per erronea applicazione della circolare n. 72/1987 del Ministero del tesoro - Ragioneria generale dello Stato - alle date delle quattro "Riliquidazioni dell'indennita' di impiego operativo pensionabile" ed alla data della "Riliquidazione dell'indennita' di parziale omogeneizzazione pensionabile" del decreto di pensione, sia per violazione ed erronea applicazione dell'art. 206 del testo unico n. 1092 del 1973, sia per difetto di motivazione. In sintesi, secondo il ricorrente, il presunto debito e' conseguenza della errata assimilazione delle indennita' predette (di impiego operativo pensionabile e di parziale omogeneizzazione pensionabile) alla "pensione base" per cui alle varizioni migliorative assentite dall'ordinamento durante il periodo di collocamento in ausiliaria relativamente alle sole predette indennita', l'Amministrazione del tesoro avrebbe fatto corrispondere una rideterminazione della pensione spettante con conseguente assorbimento dei benefici correlati alle perequazioni automatiche delle pensioni. Quanto alla violazione ed erronea applicazione dell'art. 206 del testo unico n. 1092/1973 ed al difetto di motivazione, l'Amministrazione non ha tenuto conto della buona fede del percepiente che non ha concorso in alcun modo, con comportamenti dolosi, alla affermata maggiore liquidazione, risultando quindi comunque irripetibili le somme corrisposte, essendo peraltro illegittima la motivazione dell'atto gravato nella parte in cui richiama l'art. 2033 del codice civile che non puo' essere applicato se non si prova il fatto doloso dell'interessato. Conclusivamente il difensore chiede l'accoglimento del gravame con declaratoria del diritto del ricorrente a mantenere tutte le perequazioni maturate prima e durante il periodo 1o luglio 1989 - 1o luglio 1990, da attribuire con le modalita' previste dalle leggi n. 177/1976 e n. 730/1983 (art. 21) con conseguente diritto alla restrizione di quanto trattenuto ed al ripristino della pensione quale corrisposta fino al mese di maggio 1997, con interessi e rivalutazione monetaria sulle somme che risulteranno dovute, oltre alla restituzione della somma di L. 5.153.190, erroneamente trattenuta, dovuta al ricorrente a titolo di indennita' di ausiliaria sulla tredicesima mensilita', anche questa maggiorata da rivalutazione monetaria ed interessi legali. In via d'urgenza, chiede che questa sezione, valutato il fumus boni iuris ed il danno grave ed irreparabile che il ricorrente subisce per effetto della decurtazione della pensione, disponga la sospensione dell'efficacia del provvedimento impugnato. L'I.N.P.D.A.P. di Bologna si e' costituita in data 28 settembre 2000 depositando documentata memoria difensiva con la quale conferma la totale legittimita' del proprio operato, conforme alle istruzioni ministeriali, ed afferma che nella fattispecie non e' applicabile l'art. 206 del testo unico n. 1092 del 1973 vertendosi in tema di trattamenti pensionistici provvisori, non rilevando poi, per cio' che concerne l'applicabilita' dell'art. 2033 del codice civile, l'elemento psicologico della buona fede. L'Amministrazione si sofferma poi sulla inapplicabilita' congiunta della legge n. 231/1990 e della perequazione automatica intervenuta nel periodo 1988/1990, anche per la evidente disparita' di trattamento conseguente al fatto che i soggetti collocati in quiescenza nel periodo 1988/1990 avrebbero un trattamento pensionistico superiore a quello spettante ai soggetti rimasti in servizio fino al 31 dicembre 1990. Quanto al danno grave, lo stesso deve essere escluso considerato sia il minor carico fiscale conseguente all'effettuato recupero, peraltro concordato con il ricorrente in misura inferiore a quella indicata nel ricorso, sia l'importo netto della pensione pur dopo l'effettuazione delle ritenute in argomento. Conclusivamente chiede il rigetto del ricorso e, in sede cautelare, la reiezione dell'istanza di sospensione dell'efficacia del provvedimento gravato. Si da' atto che le parti sono state liberamente interrogate dal giudice e che il tentativo di conciliazione e' stato infruttuosamente esperito. C o n s i d e r a t o La legge 21 luglio 2000 n. 205, recante disposizioni in materia di giustizia amministrativa, ha arrecato salienti innovazioni in tema di processo pensionistico, lasciando peraltro immutato il previgente rito concernente il processo contabile. In particolare va rilevata la istituzione del giudice unico delle pensioni sulla falsariga di quanto gia' disposto in materia di processo ordinario con il decreto legislativo 19 febbraio 1998 n. 51, istituente il giudice unico di primo grado. Alla modifica dell'organo giudicante di primo grado, divenuto monocretico in luogo di quello collegiale previsto dall'art. 6 della legge 14 gennaio 1994 n. 19 di conversione in legge del decreto legge 15 novembre 1993 n. 453, si accompagna una notevole riforma per cio' che concerne il rito. Iniziando dalla composizione dell'organo giudicante, il primo comma dell'art. 5 della legge n. 205 del 2000 dispone che, in materia di ricorsi pensionistici civili, militari e di guerra la Corte dei conti giudica in composizione monocratica, attraverso un magistrato assegnato alla sezione giurisdizionale regionale competente per territorio, in funzione di giudice unico. Il comma prosegue precisando che in sede cautelare la corte giudica sempre in composizione collegiale. Questa sezione non puo' non applicare siffatta disposizione legislativa, ma e' indotta a meditare sulla compatibilita' della stessa con l'ordinamento generale e, soprattutto, con i principi affermati dagli artt. 97 e 3 della Costituzione. Invero, la disposizione introdotta con la legge n. 205 del 2000 appare ictu oculi confliggere con i principi contenuti nell'art. 97 della Costituzione, sia con quelli espressi sia con quelli implicitamente ritenuti - dalla nutrita giurisprudenza costituzionale al riguardo - sottesi alla formulazione letterale oltre che con i principi di cui all'art. 3 della Carta fondamentale. Giova premettere che sono diversi i procedimenti cautelari legislativamente previsti ed in particolare vi e' quello in materia civile, quello in tema di sequestro conservativo ante causam per i processi contabili in materia di responsabilita' per danni all'erario e, con le nuove disposizioni contenute nella legge in argomento, il procedimento cautelare innanzi al Tribunale amministrativo regionale disciplinato dall'art. 3 della legge n. 205/2000 nonche' i "giudizi in sede cautelare in materia di ricorsi pensionistici, civili, militari e di guerra". In materia civile i provvedimenti cautelari sono adottati da un organo monocratico, il che consente il reclamo avverso la decisione di primo grado (artt. 699-bis e ss. C.p.c.) ed un procedimento analogo e' stato introdotto, dalla richiamata legge n. 19 del 1994, in tema di sequestri cautelari ante causam. In entrambe le sedi cautelari la cognizione sommaria del fumus boni iuris e del periculum in mora e' quindi affidata ad un giudice monocratico con possibilita' di reclamo al collegio avverso la decisione adottata da questi. Per quanto concerne, invece, il processo cautelare innanzi al tribunale amministrativo regionale ed al Consiglio di Stato, nulla e' innovato per cio' che concerne la composizione dell'organo giudicante che resta collegiale, ma con il secondo comma dell'art. 3 della legge n. 205/2000 e' stata legislativamente prevista anche la fase della impugnazione delle ordinanze dei tribunali amministrativi regionali che, e' bene puntualizzarlo, non possono piu' essere "immotivate" ovvero sommariamente motivate con l'apodittica affermazione della sussistenza o meno dei requisiti prescritti dall'ordinamento ma, secondo quanto dispone l'ultima parte del settimo comma dell'art. 21 della legge n. 1034 del 1971 introdotto con il primo comma dell'art. 3 della legge n. 205/2000, l'ordinanza cautelare motiva in ordine alla valutazione del pregiudizio allegato, ed indica i profili che, ad un sommario esame, inducono a una ragionevole previsione sull'esito del ricorso. Infine, per quanto attiene al procedimento cautelare in materia pensionistica, l'unica disposizione dettata dal legislatore concerne la mera composizione dell'organo giudicante, nulla dicendosi per quanto concerne lo svolgimento di detto procedimento. Va da se' che ad esso non torna applicabile, per la specialita' della materia trattata che non soffre di interpretazioni ed applicazioni estensive l'art. 5 del decreto-legge n. 453/1993, convertito con modificazioni, nella legge n. 19 del 1994 che detta norme in materia di sequestro conservativo nel giudizio di responsabilita'. Neppure possono essere applicati gli artt. 669-bis e ss. del codice di rito, astrattamente richiamati dal rinvio dinamico contenuto nell'art. 26 del regolamento n. 1038 del 1933, in quanto la procedura in essi puntualmente disciplinata prevede l'intervento del giudice monocratico (anche prima della istituzione del "giudice unico" in materia civile) e la possibilita' del reclamo al collegio. Ne' possono, infine, essere applicate le nuove disposizioni dettate dal legislatore del 2000 in materia di processo cautelare amministrativo sia per la specialita' che non ne consentirebbe un'applicazione estensiva sia perche' trattasi di norma non espressamente resa applicabile anche al giudizio innanzi alla Corte dei conti, come invece fatto dal medesimo legislatore in materia di decisioni in forma semplificata e di perenzione dei ricorsi ultradecennali, sia per considerazioni legate alla funzionalita' stessa del processo pensionistico il quale non prevede, expressis verbis, la possibilita' di appello nei confronti delle ordinanze del giudice di primo grado sulla domanda di sospensione dell'atto impugnato. Peraltro un'affermazione di segno diametralmente opposto era gia' stata resa dalla sezione I centrale di appello con ordinanza n. 68/A/Ord. del 19 settembre 1995 secondo la quale, nel giudizio pensionistico, alla luce del vigente ordinamento in materia di appello - quale risulta dopo l'emanazione dei decreti-legge n. 718 del 1994 e nn. 47 e 131 del 1995 - e' ammissibile la richiesta di riesame delle ordinanze rese dalle sezioni giurisdizionali regionali di primo grado sulla domanda di sospensione dell'atto impugnato, nei cui confronti sono competenti gli organi di appello. Sostenne invero la sezione che, mentre nel sistema anteriore ai ricordati provvedimenti legislativi d'urgenza la tutela cautelare in materia pensionistica - anch'essa non espressamente prevista da disposizione normativa, bensi' creata dalla giurisprudenza della Corte dei conti - si esauriva di fronte allo stesso giudice competente a pronunciarsi nel merito in unico grado, la previsione del doppio grado di giurisdizione sul merito (sia esso pieno o limitato a specifiche ipotesi) determina l'esigenza di verificare se la mancanza di espresse previsioni normative sulla fase cautelare possa intendersi nome preclusiva di un riesame dell'istanza di sospensione, e, ammesso tale riesame, se questo possa rientrare nella competenza dello stesso giudice di primo grado, mediante lo strumento della reiterabilita' dell'istanza, ovvero segua il regime previsto per l'appello delle pronunce decisorie del merito. Per considerazioni legate alla dinamica processuale in materia amministrativa e connesse all'art. 24 della Costituzione in tema di valorizzazione del principio della difesa, e per la confliggenza anche con il principio di parita' di trattamento di situazioni analoghe, quel giudice e' pervenuto alla conclusione sopra esposta. Si tratta, comunque e per espressa ammissione dei giudicanti, di una creazione "pretoria", non supportata dallo specifico ordinamento vigente nella materia per la quale questa Corte dei conti ha giurisdizione esclusiva. Deve quindi chiedersi se siffatta creazione possa essere ritenuta ancora attuale in presenza di una rivoluzione copernicana quale la istituzione del giudice unico delle pensioni in composizione monocratica. Infatti l'eventuale rigetto, con decisione collegiale, dell'istanza di provvedimento cautelare, puo' comportare (in applicazione analogica dell'art. 3 della legge n. 205/2000, ma allora dovrebbe chiedersi anche quale debba essere l'estensione della motivazione dell'ordinanza) l'impugnazione del rigetto medesimo dinanzi alle sezioni d'appello la cui decisione, in ipotesi favorevole al ricorrente, potrebbe poi essere messa nel nulla dalla sentenza di rigetto, nel merito, del giudice monocratico. A tale sentenza potrebbe quindi far seguito l'appello nel merito con contestuale istanza di sospensione dell'efficacia della sentenza gravata per giungersi, infine, alla sentenza definitiva di secondo grado; il tutto non prendendo in considerazione i possibili reclami proponibili con ricorsi in rievocazione delle sentenze emesse. La farraginosita' di tale sistema sembra confliggere in pieno con la volonta', chiramente espressa dal legislatore, di snellire l'iter processuale, e prova ne e', se mai occorresse, l'art. 9 della legge n. 205 in discorso relativo alle decisioni in forma semplificata e perenzione dei ricorsi ultradecennali, norma dettata specificamente per i giudizi amministrativi ma applicabile, sia pure con gli adattamenti resi necessari dalla diversa composizione dell'organo giudicante, anche ai giudizi pensionistici per l'espresso rinvio contenuto nel comma 3 del medesimo articolo. Ma quand'anche dovesse ritenersi inapplicabile la disposizione relativa all'appello proponibile avverso le ordinanze cautelari, oltre all'evidente carenza di difesa conseguente all'omessa previsione dell'appello o del reclamo avverso le ordinanze cautelari, resta pur sempre la incongruita' del sistema che vede il collegio investito della sommaria delibazione della causa ai soli fini della concessione o meno del provvedimento cautelare, mentre la decisione definitiva nel merito della causa stessa e' affidata ad un giudice monocratico. Ne' puo' esser sottaciuta la evidente posizione di "sudditanza" del giudice monocratico, investito del merito della questione dedotta in giudizio (il quale peraltro potrebbe non aver partecipato alla camera di consiglio nella quale e' stato adottato il provvedimento collegiale ovvero potrebbe avervi partecipato esprimendo un giudizio opposto a quello cui e' pervenuta la maggioranza del collegio), rispetto alle decisioni dell'organo collegiale che con l'adozione del provvedimento cautelare si e' pronunciato non solo sul periculum bensi' anche sulla sussistenza o meno del fumus boni iuris. Tale incongruita' contrasta con i principi di buon andamento e di imparzialita' dell'amministrazione (nella quale deve essere compresa anche l'amministrazione della giustizia in tutte le sue articolazioni) anche per la significativa valenza che potrebbe avere la decisione di secondo grado in materia cautelare nei confronti dell'emanando giudizio di merito di primo grado da rendersi dal giudice unico in composizione monocratica e, per motivazioni esattamente sovrapponibili a quelle esplicitate dalla sezione I d'appello con la richiesta ordinanza, determina anche una situazione di vistoso squilibrio rispetto alla tutela accordata nel processo cautelare civile. Con l'abrogazione della previsione legislativa della collegialita' in sede cautelare, tornerebbe invece in tutta evidenza la figura del giudice monocratico espressamente voluta dal legislatore con la istituzione del giudice unico delle pensioni e potrebbero quindi essere ritenute applicabili, in virtu' del rinvio contenuto nell'art. 26 del regolamento dei giudici innanzi alla Corte dei conti, le disposizioni contenute negli artt. 669-bis e seguenti del codice di rito le quali, peraltro, disegnano un procedimento del tutto analogo a quello dettato dal legislatore del 1993 in materia di sequestri conservativi ante causam. Trattandosi di disposizione relativa alla composizione dell'organo giudicante, si puo' ritenere che la questione di incostituzionalita' di tale norma puo' essere ritenuta e sollevata, anche d'ufficio, dal collegio giudicante in occasione della prima trattazione, in camera di consiglio, di una istanza di provvedimento cautelare. La questione e' certamente rilevante ai fini del decidere, sia pure ai limitati fini cautelari, in quanto l'accertamento della legittima composizione dell'organo giudicante e' certamente il primo ed imprescindibile compito di detto organo le cui statuizioni non possono non essere travolte dalla declaratoria di illegittimita' costituzionale delle disposizioni legislative che regolano tale composizione.