ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 1, comma 2,
lettera  b)  del  decreto-legge  19  settembre  1992,  n. 384 (Misure
urgenti  in  materia di previdenza, di sanita' e di pubblico impiego,
nonche'  disposizioni fiscali), convertito in legge 14 novembre 1992,
n. 438,  promosso  con ordinanza emessa il 10 aprile 1999 dal pretore
di Torino nel procedimento civile vertente tra Binello Angelo Luigi e
l'Istituto  nazionale  per  la previdenza sociale, iscritta al n. 331
del  registro  ordinanze  1999  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 24 - prima serie speciale - dell'anno 1999.
    Visti   l'atto   di  costituzione  dell'INPS  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  12  dicembre  2000 il giudice
relatore Cesare Ruperto;
    Uditi  l'avvocato  Carlo De Angelis per l'INPS e l'avvocato dello
Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
    Ritenuto  che  -  nel  corso  di un giudizio civile, promosso dal
titolare di una pensione di anzianita' per ottenere la retrodatazione
della decorrenza della pensione medesima al 1 gennaio 1993, negatagli
dall'Istituto  nazionale  per  la previdenza sociale poiche' egli, al
momento  della  domanda di pensionamento, beneficiava del trattamento
di  cassa  integrazione  guadagni  straordinaria  quale dipendente di
un'impresa sottoposta a procedura concorsuale - il pretore di Torino,
con  ordinanza  emessa  il  10 aprile 1999, ha sollevato questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma 2, lettera b), del
decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di
previdenza,  di  sanita'  e di pubblico impiego, nonche' disposizioni
fiscali),  convertito,  con modificazioni, in legge 14 novembre 1992,
n. 438;
        che,  secondo  il  rimettente, la denunciata norma si pone in
contrasto  con  l'art.  3  Cost.,  "nella  parte in cui limita la non
applicabilita'  delle  disposizioni di cui al comma 1 [riguardanti il
blocco  dei  pensionamenti  di  anzianita'] della medesima norma alle
[sole]  ipotesi relative: "ai lavoratori dipendenti da imprese per le
quali  siano  stati approvati i programmi di cui all'art. 1, comma 2,
della legge 23 luglio 1991, n. 223, nonche' ai lavoratori ai quali si
applicano  le disposizioni di cui all'art. 7, comma 7, della medesima
legge n. 223 del 1991", senza menzionare i lavoratori di cui all'art.
3,  comma  1"  (fra  cui rientra appunto il ricorrente nel giudizio a
quo);
        che infatti, sempre secondo il rimettente, e' irragionevole e
lesivo  del  principio  di  uguaglianza  un  sistema  che  -  volendo
assicurare  un  contemperamento tra diritto di accedere alla pensione
di  anzianita'  e  interesse  dello  Stato  a perseguire politiche di
riforma  del  sistema  di  previdenza  e  di contenimento della spesa
pubblica - introduce una disparita' di trattamento fra lavoratori che
si  trovano  nella  medesima  situazione giuridica di sospensione del
rapporto di lavoro, solo perche' il trattamento di cassa integrazione
guadagni  straordinaria  viene  concesso,  ai  lavoratori  di imprese
cosiddette  "in  crisi",  a  se'guito  della  verifica  da  parte del
competente  organo ministeriale dell'esistenza di una effettiva crisi
aziendale,   attraverso  un  meccanismo  di  controllo  non  previsto
nell'ipotesi di impresa sottoposta a procedura concorsuale, in cui il
trattamento  medesimo e' concesso ai dipendenti su semplice richiesta
del curatore;
        che osserva in proposito il rimettente come non sia dissimile
la  posizione  dei  lavoratori  di  tali  imprese,  i quali, anzi, si
trovano  in  situazione piu' difficile, sotto il profilo sostanziale,
essendo  irreversibile  la crisi della loro azienda e assai scarse le
possibilita'  che,  al termine del periodo di integrazione salariale,
essi possano riprendere l'attivita' lavorativa;
        che  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
concludendo  per la declaratoria di inammissibilita' o, in subordine,
di manifesta infondatezza della sollevata questione;
        che  si  e'  costituito  in  giudizio l'INPS, concludendo nel
senso della infondatezza della questione medesima.
    Considerato  che,  secondo  quanto  piu'  volte  questa  Corte ha
affermato,  le  previsioni  di  "blocco" dei pensionamenti anticipati
(contenute  nei  c.d. "decreti catenaccio", di cui quello in esame e'
il  primo  in  ordine  cronologico)  si  inseriscono  nel processo di
radicale  riconsiderazione del trattamento di anzianita', finalizzato
ad una complessa opera di riforma, attraverso la quale il legislatore
e'  passato  da  un  iniziale  e contingente intervento di ripristino
degli equilibri finanziari delle diverse gestioni ad una soluzione di
natura  strutturale,  raggiunta  con  la legge 8 agosto 1995, n. 335,
diretta  ad  incidere  sui  requisiti  stessi  del  pensionamento (v.
sentenze  n. 245  del  1997,  n. 417  del  1996,  n. 439  del 1994 ed
ordinanze n. 318 e 92 del 1997);
        che  la Corte ha rilevato come tale articolato processo muova
(e    tragga    giustificazione)   dalla   necessita'   di   influire
sull'andamento  tendenziale  della  spesa  previdenziale  mediante la
stabilizzazione  entro  determinati livelli del rapporto tra la spesa
medesima  ed  il  prodotto  interno  lordo (sentenza n. 417 del 1996,
cit.);
        che  rispetto  all'obbiettivo  perseguito  -  atteso  che  le
limitazioni   della  (originariamente  generale)  operativita'  della
temporanea  sospensione  della possibilita' di accesso ai trattamenti
pensionistici di anzianita' di cui al comma 2 dell'art. 1 (introdotte
con  emendamento  presentato  dal  Governo davanti alla V Commissione
della  Camera,  il 14 ottobre 1992, in sede di conversione del citato
decreto-legge n. 384 del 1992) assumono, come tali, natura di deroghe
eccezionali,  non  suscettibili  di  interpretazione  analogica, alla
regola  sancita  dal  precedente  comma  1  -  la scelta di escludere
determinate  categorie di lavoratori dalle misure di blocco rientra a
pieno  titolo  nella  sfera di discrezionalita' politica riservata al
legislatore;
        che  tale  scelta  neppure  appare  di  per  se' irrazionale,
essendo   dettata  dalla  ritenuta  necessita'  di  porre  rimedio  a
particolari  situazioni  occupazionali  e  di  evitare  il  possibile
"ingorgo    previdenziale",    mediante    uno   scaglionamento   dei
pensionamenti (v. lavori preparatori sopra citati);
        che,   d'altronde,   mentre   l'intervento  straordinario  di
integrazione  salariale di cui all'art. 3 della legge 23 luglio 1991,
n. 223,  e'  di  automatica applicazione ed e' diretto a sostenere il
reddito  del  lavoratore, l'intervento di cui all'art. 1 della stessa
legge,  previsto  per  il caso di approvazione ministeriale del piano
per  le  imprese in crisi indicato nel comma 2, e' invece predisposto
soprattutto (anche se non esclusivamente) a favore dell'impresa ed e'
discrezionalmente  concedibile  a  se'guito  d'un esame, da parte del
deputato organo amministrativo, del relativo piano aziendale;
        che  la  diversita'  di  presupposti,  struttura, procedura e
finalita'  dei due istituti, benche' entrambi diretti ad assolvere la
funzione  di  ammortizzatori  sociali, rende palese la disomogeneita'
delle  normative  poste  a  raffronto,  e  dunque l'inidoneita' della
disciplina   evocata   a   fungere   da  tertium  comparationis  onde
configurare  l'asserito  vulnus  al principio di uguaglianza da parte
della norma denunciata;
        che,  pertanto, la sollevata questione deve essere dichiarata
manifestamente infondata.