IL TRIBUNALE

    Sulla  eccezione formulata dal pubblico ministero all'udienza del
  16 ottobre  2000 avente ad oggetto la richiesta di rimessione degli
  atti  alla  Corte  costituzionale  ai  fini  della  declaratoria di
  incostituzionalita'   degli  artt.  210,  4  comma  del  codice  di
  procedura  penale, e 197 lettera a) del codice di procedura penale;
  sentite le parti;

                            O s s e r v a

    Sulla  rilevanza  Cicatiello  Giuseppe e' stato tratto a giudizio
  dinanzi  a  questo  tribunale  per  rispondere del reato previsto e
  punito   dagli  artt.  110  del  codice  penale  e  73  del  d.P.R.
  n. 309/1990    perche',   in   concorso   con   Castaldo   Vincenzo
  illecitamente   deteneva   al   fine  di  cederla  a  terzi  dietro
  corrispettivo, sostanza stupefacente di tipo hashish per g. 2.88.
    La  accusa  si  fonda sulle dichiarazioni accusatorie di Castaldo
  Vincenzo  rese  in  maniera  dettagliata piu' volte nel corso delle
  indagini   preliminari,   nonche'  su  intercettazioni  telefoniche
  disposte sulla utenza dell'imputato Cicatiello Giuseppe.
    Castaldo   Vincenzo,   peraltro,   sentito   quale   imputato  di
  procedimento connesso all'udienza del 16 ottobre 2000 si e' avvalso
  della facolta' di non rispondere.
    Centrali  essendo le dichiarazioni rese dal Castaldo per definire
  il  presente giudizio, e non potendo le stesse essere in alcun modo
  acquisite,  ne  discende  la  evidente rilevanza nel caso di specie
  della  questione  di  legittimita'  costituzionale  nei termini che
  verranno   qui   di   seguito   illustrati   sulla   non  manifesta
  infondatezza;
    Ritiene  il  collegio  che, alla luce della entrata in vigore del
  nuovo  testo  dell'art.  111  Cost.,  come  modificato  dalla legge
  costituzionale  n. 2/1999,  ove l'imputato di procedimento connesso
  abbia  reso  dichiarazioni  accusatorie  erga alios nel corso delle
  indagini  preliminari ed in dibattimento si avvalga della facolta',
  prevista  dall'art.  210,  quarto  comma  del  codice  di procedura
  penale,  di  non  rispondere,  non  sia  piu' possibile procedere a
  contestazioni,  finalizzate  alla  acquisizione  nel  fascicolo del
  dibattimento  delle  relative  dichiarazioni, secondo il meccanismo
  dettato   dall'art.  513  del  codice  di  procedura  penale,  come
  modificato  a  seguito  della  pronuncia della Corte costituzionale
  n. 361/1998.
    Tale  forma  di acquisizione delle dichiarazioni accusatorie lede
  di  certo  il  principio  posto  dall'art. 111, quarto comma, della
  Costituzione    che    espressamente   afferma   "la   colpevolezza
  dell'imputato  non  puo' essere provata sulla base di dichiarazioni
  rese  da  chi,  per  libera  scelta,  si  e' sempre volontariamente
  sottratto  all'interrogatorio  da  parte  dell'imputato  o  del suo
  difensore".
    Venuta   meno   tale   possibilita',   va   verificato  se  possa
  considerarsi  costituzionalmente  legittimo  il  combinato disposto
  degli artt. 210, primo e quarto comma, e 197 lett. a) del codice di
  procedura penale.
    Tali  norme  consentono  all'imputato di procedimento connesso di
  sottrarsi,  a  meno  che  la sua posizione non sia stata chiusa con
  sentenza   di   proscioglimento  passata  in  giudicato,  all'esame
  dibattimentale,  riconoscendogli  la  facolta' di non rispondere e,
  per  quanto  detto  sopra, ogni diversa forma di acquisizione delle
  relative dichiarazioni resta definitivamente preclusa.
    Non  par  dubbio  che  in tal modo si verifica una violazione del
  principio  di  non  dispersione  della prova, enucleato dalla Corte
  costituzionale  con  le sentenze n. 254/1992 e 255/1992, tendente a
  contemperare  il  rispetto  del  principio  guida dell'oralita' con
  l'esigenza  di  evitare  la  perdita  di quanto acquisito prima del
  dibattimento, cosi' che non sia sacrificato lo scopo essenziale del
  processo penale che consiste nella ricerca della verita'.
    D'altra parte con la sentenza n. 361/1998 la Corte costituzionale
  ha  affermato  che e' evidente la irragionevolezza e incoerenza tra
  la  possibilita'  di  assumere nel corso delle indagini preliminari
  dichiarazioni dell'indagato o dell'imputato su fatti concernenti la
  responsabilita'  di altri e la possibilita' che tali dichiarazioni,
  legittimamente  acquisite,  non  entrino  a far parte del materiale
  suscettibile  di  valutazione probatoria, possibilita' oggi rimessa
  al mero arbitrio del dichiarante.
    In   tale   sede  la  Corte,  pur  investita  della  legittimita'
  costituzionale  dell'art. 210, quarto comma del codice di procedura
  penale,  ha  ritenuto - anche perche' tali erano i limiti nei quali
  era  stato  invocato  il  suo sindacato - che tale irragionevolezza
  potesse  essere  superata consentendo che le dichiarazioni rese nel
  corso  delle  indagini  preliminari venissero portate al vaglio del
  giudice mediante il meccanismo delle contestazioni.
    Oggi,  come detto, tale meccanismo deve ritenersi definitivamente
  precluso dalla nuova formulazione dell'art. 111 Cost.
    Ne  discende  che  rivive  la  manifesta irragionevolezza di tale
  dicotomia gia' riconosciuta dal giudice delle leggi.
    Non  puo',  peraltro,  dubitarsi della valenza costituzionale del
  principio  nemo  tenetur  se  detegere  in  virtu'  del  quale deve
  riconoscersi   il   diritto   al   silenzio   del  dichiarante  che
  indubbiamente  si  contrappone  al principio della formazione della
  prova nel contraddittorio.
    Dal  rafforzamento  di  tale ultimo principio, peraltro, non puo'
  non discendere la necessita' di rivedere i confini del primo.
    Ed  in  particolare,  laddove  il  dichiarante  abbia definito la
  propria posizione rispetto ai fatti di causa, il riconoscimento del
  diritto  al  silenzio  non  trova  piu'  ragioni  di tutela laddove
  comporti ostacolo alla formazione della prova nel dibattimento.
    Da  cio'  discende,  ad  avviso  del collegio, che l'art. 210 del
  codice  di  procedura  penale,  nel  combinato disposto del primo e
  quarto  comma,  riferimento all'art. 197 lett. a), va sottoposto al
  vaglio  di  legittimita'  costituzionale per contrasto con l'art. 3
  della  Costituzione,  nella  parte  in  cui  consente  di sottrarsi
  all'esame  dibattimentale  anche  a  coloro  che,  pur imputati nel
  medesimo  procedimento  ovvero  in  procedimenti  connessi, abbiano
  definito la propria posizione.
    Parimenti  deve  ritenersi  che  il sistema cosi' delineato violi
  l'art.  112  Cost.,  che  sancisce  la obbligatorieta' della azione
  penale da parte del pubblico ministero.
    Ed  invero,  posto  che  il  pubblico  ministero  nel corso delle
  indagini  preliminari legittimamente puo' raccogliere dichiarazioni
  accusatone erga alios da parte di indagati destinati ad assumere la
  veste  di imputati nel medesimo procedimento ovvero in procedimenti
  connessi e sulla base di queste ha il dovere di esercitare l'azione
  penale,  appare  evidente  come il meccanismo di cui agli artt. 197
  lett. a) e 210, primo e quarto comma, nella parte in cui consentono
  ai  medesimi  dichiaranti  di  sottrarsi  all'esame  dibattimentale
  correlato  alla  impossibilita' - scaturente dal novellato art. 111
  Cost.,  -  di acquisire altrimenti le dichiarazioni rese nella fase
  delle  indagini  preliminari, costituisce elusione in fatto - ed ex
  post - di tale dovere costituzionalmente sancito.
    Emblematicamente, pertanto il p.m. si sottrarrebbe a tale dovere,
  ove  non  desse  il  debito  corso  alla  azione  penale  su  fatti
  scaturenti  da dichiarazioni siffatte, in ipotesi anche richiedendo
  misure  cautelari,  e  tuttavia  non  ha  alcuna  certezza di poter
  sottoporre al vaglio dibattimentale tali dichiarazioni.