LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso proposto da: Ministero delle finanze, in persona del Ministro pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via Dei Portoghesi n. 12, presso l'Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis; Contro Cazzuffi Antonella, Cesarotti Elena ved. Cazzuffi, elettivamente domiciliati in Roma, via Boccioni n. 4, presso lo studio dell'avvocato D'Ayala Valva Francesco, che li difende unitamente agli avvocati Casarotti Fernando, Moschetti Francesco, giusta procura a margine, controricorrente, nonche' contro Cazzuffi Paola, elettivamente domiciliata in Roma, via Boccioni n. 4, presso lo studio dell'avvocato D'ayala Valva Francesco, che la difende unitamente agli avvocati Casarotti Fernando, Moschetti Francesco, giusta procura a margine, controricorrente, avverso la sentenza n. 10/1997 della commissione tributaria regionale di Venezia, depositata il 3 giugno 1997; Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12 luglio 2000 dal consigliere dott. Mario Cicala; Udito per il ricorrente, l'Avvocato dello Stato De Bellis, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; Udito per il resistente, l'avvocato D'ayala Valva, che ha chiesto il rigetto del ricorso; Udito il p.m. in persona del sostituto procuratore generale dott. Dario Cafiero, che ha concluso per il rigetto del ricorso. Svolgimento del processo La amministrazione finanziaria ricorre per cassazione deducendo un unico motivo avverso la sentenza 10/15/97 depositata il 3 giugno 1997 con cui la commissione tributaria regionale del Veneto, accogliendo l'appello dei contribuenti avverso la pronuncia di primo grado affermava che la quota sociale della Solmec S.p.a. non quotata ne' in borsa ne' al mercato ristretto, caduta nella successione del sig. Giovanni Pio Gazzulfi doveva esser valutata in base ai valori di bilancio dell'anno 1992. I contribuenti resistono con controricorso. Hanno anche depositato memoria. Motivi della decisione La amministrazione deduce con il suo unico motivo del ricorso una violazione degli artt. 16 e 34 del d.lgs. n. 346/1990, in quanto tali norme, in analogia di quanto disposto dall'art. 22 del d.P.R. 637/1992 disporrebbero la tassazione delle azioni di societa' non quotate in borsa sulla base della situazione patrimoniale della societa'. Stabilisce l'art. 16 del d.lgs. n. 346/1990: "la base imponibile, relativamente alle azioni, obbligazioni, altri titoli e quote sociali compresi nell'attivo ereditario, e' determinata assumendo ... per le azioni ... non quotate in borsa, ne' negoziati al mercato ristretto, nonche' per le quote di societa' non azionarie, comprese le societa' semplici e le societa' di fatto, il valore proporzionalmente corrispondente al valore, alla data di apertura della successione, del patrimonio netto dell'ente o della societa' risultante dall'ultimo bilancio pubblicato o dall'ultimo inventano regolarmente redatto e vidimato, tenendo conto dei mutamenti sopravvenuti, ovvero" solo "in mancanza di bilancio o inventario", la legge consente di far ricorso "al valore complessivo dei beni e dei diritti appartenenti all'ente o alla societa' al netto delle passivita' risultanti a norma degli articoli da 21 a 23, escludendo i beni indicati alle lettere h) e i) dell'art. 12 e aggiungendo l'avviamento". Il testo appare diverso rispetto a quanto affermato dall'art. 22, secondo comma del d.P.R. n. 637/1972 secondo cui "per le azioni non ammesse alla quotazione di borsa e per le quote di societa' non azionarie il valore venale era determinato avendo riguardo alla situazione patrimoniale della societa'"; e quindi la base imponibile - a somiglianza di quanto stabilito dall'art. 31 del regio decreto n. 3270/1923 - era pari all'effettivo valore della parte di patrimonio sociale che le azioni o quote rappresentano (Cass. 9 aprile 1994, n. 3343). Questa Corte, ha preso atto di simile novita' e, sia pure in un inciso costituente obiter dictum, ha di recente affermato "la formulazione dell'art. 16, facendo riferimento "al valore ... del patrimonio netto ... risultante dall'ultimo bilancio pubblicato" e prevedendo che solo "in mancanza di bilancio o inventario" possa prendersi in considerazione il valore complessivo dei beni e dei diritti appartenenti all'ente o alla societa' al netto delle passivita'", indica che le partecipazioni sociali non quotate vanno stimate, in linea di massima, al valore di bilancio che non riflette quello effettivo del patrimonio sociale (Cass. 28 gennaio 2000 n. 993). La tassazione delle partecipazioni in societa' non quotate in borsa viene cioe' dal legislatore del 1990 svincolata da qualunque riferimento a valori effettivi, realizzabili sul mercato e cio' suscita un ragionevole dubbio di illegittimita' costituzionale per contrasto con gli artt. 3, 53, 76 della Costituzione. La imposta sulle successioni, nel caso che qui interessa, viene infatti applicata senza tener conto del parametro della "capacita' contributiva" scolpito nell'art. 53 della Costituzione e nel contempo in una ingiustificata disparita' di trattamento (art. 3 della Costituzione) rispetto a chi riceva per successione partecipazioni azionarie quotate in borsa o negoziate al mercato ristretto, che vengono tassate in base alla "media dei prezzi di compenso o dei prezzi fatti nell'ultimo trimestre anteriore all'apertura della successione". Dunque le partecipazioni sociali quotate in borsa o negoziate al mercato ristretto vengono colpite in base ai prezzi praticati in tali mercati, e tali prezzi costituiscono un adeguato punto di riferimento per valutare la capacita' contributiva acquisita dall'erede. Certo e' possibile che anche il prezzo di borsa, o quello spuntato al mercato ristretto siano in qualche modo alterati, ma costituisce pur sempre un incisivo riferimento al "mercato" cioe' allo strumento attraverso cui si formano i "valori" e si misura la ricchezza di un contribuente. Mentre i bilanci delle societa' per azioni, cui il d.lgs. n. 346/1990 fa riferimento per le azioni non quotate in borsa, sono redatti - pur dopo la riforma apportata del d.lgs. n. 127/1991, con criteri prudenziali, sulla base dei "costi d'acquisto" e non dell'effettivo valore del bene. Le rivalutazioni vengono inserite nel conto economico solo quando cio' sia deciso dagli amministratori, che non rispondono delle loro decisioni ove esse non siano fonte di pregiudizio economico per la societa' e per i soci. L'obbligo di adeguare le immobilizzazioni al valore effettivo sussiste, del resto, solo ove tale valore sia "durevolmente inferiore" alla iscrizione nello stato patrimoniale (art. 2426 del codice civile). Chi riceve in eredita' azioni quotate in borsa viene quindi tassato in base al valore delle azioni stesse, mentre se tali azioni fanno parte del patrimonio di una societa' non quotata il contribuente e' tassato in base al valore con cui la posta e' iscritta a bilancio. Analoga disarmonia si crea nei confronti di chi erediti un immobile. I beni immobili sono infatti computati nell'attivo ereditario in base al "valore venale in comune commercio" (art. 14, lettera a). E' vero che non e' sottoposto a rettifica il valore dichiarato ove risponda a certi parametri di valutazione "automatica" (art. 34, quinto comma), ma tali parametri assumono a base di partenza la rendita catastale, determinata attraverso una procedura di rilevamento gestita da uffici pubblici, e moltiplicata secondo coefficienti individuati dal legislatore. Dunque anche il sistema della valutazione automatica degli immobili risponde al criterio della capacita' contributiva, sia pur dedotta da parametri solo indirettamente connessi con il mercato. Di nuovo e' evidente la disparita' di trattamento che si verifica tra l'erede di un immobile e chi erediti le quote di una societa' non quotata che possieda immobili. Mentre se identici beni sono posseduti da una societa' quotata in borsa il loro valore influisce sul valore delle azioni. La Corte costituzionale, nella sua recente ordinanza, 341 del 24 luglio 2000, ha rilevato che la Costituzione non impone "una tassazione fiscale uniforme, con criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le tipologie di imposizione tributaria, ma esige invece un indefettibile raccordo con la capacita' contributiva, in un quadro di sistema informato a criteri di progressivita'". Ed e' proprio questo raccordo con la capacita' contributiva che nel caso di specie viene meno. La situazione cosi' descritta appare poi in contrasto con l'art. 8, n. 2, della legge delega n. 825/1971 secondo cui la imposta sulle successioni deve essere commisurata al valore dei beni ricevuti dall'erede. Il termine "valore" non e' seguito dalla specificazione "di mercato" e quindi risultano legittime le forme di tassazione fondate su parametri presuntivi (come appunto accade nelle ipotesi di valutazione automatica degli immobili), ma non quelle in cui svanisca ogni riferimento al valore, come accade quando si fa riferimento al bilancio di una societa', nella cui redazione gli organi sociali non sono affatto tenuti ad indicare valori di mercato, ma anzi incoraggiati alla "sottovalutazione" dei beni posseduti. Ne' sembra che l'art. 17, terzo comma della medesima legge n. 865/1971 consentisse, nell'ambito di una attivita' volta al coordinamento ed alla eliminazione di eventuali contrasti, di apportare una cosi' significativa innovazione rispetto alle disposizioni previgenti. E' quindi fondato il sospetto di una violazione anche dell'art. 76 Cost. Il collegio ritiene percio' di dover sollevare eccezione di illegittimita' costituzionale.