IL TRIBUNALE Riunito in camera di consiglio, ha emesso la seguente ordinanza nella causa civile in primo grado iscritta al n. 24817/1998 RGAC, posta in deliberazione nella camera di consiglio del 5 maggio 2000, vertente tra Guido Valentina, elett. dom. in Roma, v. F. Corridoni n. 7, presso gli avv. C. Acciai e G.G. Acciai, che la rapp.tano e difendono per delega in atti, attrice; e Piscolla Giorgio, elett. dom. in Roma, v. Cavour n. 275, presso l'avv. M. Ricci, che lo rappr.ta e difende per delega in atti, convenuto; pubblico ministero, intervenuto; I n f a t t o Con ricorso depositato il 17 giugno 1998 Valentina Guido, premesso che aveva contratto matrimonio con rito concordatario a Roma il 18 ottobre 1986 con Piscolla Giorgio, che dall'unione non erano nati figli, che dopo un breve periodo di vita coniugale il rapporto tra le parti si era deteriorato, al punto che in data 22 dicembre 1994 i coniugi si erano consensualmente separati, stabilendo che il marito avrebbe versato quale contributo al mantenimento della moglie, disoccupata, la somma mensile di L. 600.000, che la vita in comune non era mai ripresa, intrattenendo il Piscolla, fin dalla separazione, una relazione sentimentale con un'altra donna, da cui aveva avuto una figlia nel 1995, chiedeva che il Tribunale pronunciasse la cessazione degli effetti civili del matrimonio, disponendo che il Piscolla versasse alla moglie un assegno di L. 600.000 mensili, oltre rivalutazione annuale Istat. Costituitosi il convenuto, deduceva che con sentenza del tribunale regionale del Lazio del Vicariato di Roma, confermata in appello e resa esecutiva dal supremo tribunale della segnatura apostolica, era stato dichiarato nullo il matrimonio concordatario contratto tra le parti, ed il Piscolla aveva chiesto alla Corte d'appello di Roma di dichiarare efficace in Italia la sentenza. Chiedeva pertanto, in attesa della decisione, la sospensione del procedimento; successivamente divenuta definitiva la sentenza ecclesiastica di nullita' del matrimonio, chiedeva dichiararsi l'efficacia in Italia di detta sentenza. Rimessa la causa al collegio, il tribunale dichiarava non luogo a provvedere sulla domanda del Piscolla, avendo in merito statuito la Corte d'appello di Roma, ufficio giudiziario competente per legge, rigettava la domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio proposta da Guido Valentina, e disponeva con separata ordinanza la valutazione della legittimita' costituzionale degli artt. 129 e 129-bis c.c.. Nella fattispecie in esame, ritiene il tribunale di dover rimettere all'esame della Corte costituzionale la valutazione sulla conformita' della disciplina disposta dagli articoli 129 e 129-bis c.c. ai principi di uguaglianza e ragionevolezza derivanti dall'art. 3 della Costituzione. La questione appare non manifestamente infondata. Invero, pur in presenza di situazioni per molta parte simili - quanto alla concreta comunanza di vita verificatasi tra le persone sia in caso di divorzio che di nullita' del matrimonio - in questa seconda ipotesi le disposizioni in questione tutelano in misura minima il coniuge piu' debole (art. 129 c.c.), e solo a condizione che egli non abbia in alcun modo dato causa alla nullita'; in verita', gia' le parti contraenti dell'Accordo di revisione del Concordato 18 febbraio 1984, ratificato con legge n. 25 marzo 1985, n. 121, lo Stato italiano e la Santa Sede, si erano mostrate avvertite dell'esigenza, avendo inserito all'art. 8, p. 2 dell'Accordo, la norma per cui "la Corte d'appello potra', nella sentenza intesa a rendere esecutiva una sentenza canonica, statuire provvedimenti economici provvisori a favore di uno dei coniugi il cui matrimonio sia stato dichiarato nullo, rimandando le parti al giudice competente per la decisione della materia". Le sezioni unite della Corte di cassazione (Cass. 4700/1988, Foro It. 1989, I, 427, 439) hanno evidenziato che "sulla base dell'attuale normativa il coniuge piu' debole e', dal punto di vista patrimoniale, insufficientemente tutelato a seguito di una pronuncia di nullita', rispetto alla piu' ampia tutela che riceve dalla pronuncia di divorzio, e cio', in specie, quando la pronuncia di nullita' interviene a distanza di anni dalla celebrazione del matrimonio e si sono consolidate situazioni, anche di comunione di vita, che vengono poste nel nulla dalla sentenza stessa. Cio' pero' - aggiunge la Corte - non e' addebitabile allo strumento concordatario, una volta dimostrato che l'attuale disciplina non contrasta, sul punto, con l'ordine pubblico italiano, ma al legislatore ordinario il quale, proprio in considerazione della tutela del coniuge piu' debole potrebbe, in piena liberta', predisporre autonomamente strumenti legislativi - peraltro auspicati dalla piu' sensibile dottrina -, che assimilino, nei limiti del possibile e tenuto conto della diversita' delle situazioni, ai fini della tutela patrimoniale, la posizione del coniuge nei cui confronti e' stata pronunciata la nullita' del matrimonio, a quella del coniuge divorziato. Siffatta modifica completerebbe quella revisione legislativa gia' iniziata con la legge 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia - i cui artt. 20 e 21, nel sostituire, rispettivamente, l'art. 129 c.c. e nell'inserire l'art. 129-bis nel codice civile, hanno timidamente iniziato un'opera di assimilazione fra nullita' e scioglimento del matrimonio - e sarebbe avvertita dai cittadini come un fattore di moralizzazione nella scelta del mezzo con il quale far venir meno il vincolo coniugale. L'ipotizzata identita' di conseguenze di ordine patrimoniale indurrebbe a ricorrere al giudice ecclesiatico solo coloro che, come cives fedeles, avvertono nelle loro coscienze il peso di un sacramento non voluto e per la loro coscienza nullo e non anche coloro che, attualmente, invocano la nullita' del matrimonio come mezzo per liberarsi da ogni responsabilita' patrimoniale nei confronti del loro coniuge". Si tratta quindi di prendere atto della grossa disarmonia che viene a determinarsi nel nostro ordinamento, in base al principio uguaglianza di disciplina rispetto a situazioni assimilabili, fra matrimonio concordatario nullo alla stregua del diritto canonico e scioglimento del matrimonio, si' che s'impone l'esigenza di prevedere una parificazione di trattamento, che non e' necessariamente identita', parificazione che si giustifica in quanto si fonda sulla impossibilita' per la dichiarazione di nullita' del matrimonio di distruggere retroattivamente il rapporto, la eventuale comunione di vita che possa essersi protratta per anni. La questione e' altresi' rilevante nel presente giudizio. Per vero, le disposizioni esaminate precludono ogni possibilita' che sia data risposta positiva alla istanza della parte Valentina Guido, volta ad ottenere un assegno in suo favore, mentre la condizione economica della stessa, aveva dato luogo in sede di separazione consensuale all'attribuzione ad un assegno in suo favore, a carico del coniuge; si aggiunga che la situazione di convivenza coniugale si e' protratta in ogni caso per otto anni, dal matrimonio contratto il 18 ottobre 1986, alla separazione consensuale in data 22 dicembre 1994. Da cio' consegue che, ove alla fattispecie fossero applicati parametri analoghi a quelli previsti dall'art. 5 legge n. 898/1970, non puo' escludersi che in concreto, dopo l'esame della situazione attuale della donna, l'assegno in questione possa essere attribuito. Pertanto, il tribunale solleva d'ufficio eccezione di legittimita' costituzionale degli artt. 129, 129-bis c.c., in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevedono che, in ipotesi di matrimonio nullo sulla base di sentenza ecclesiastica delibata in Italia, gli effetti patrimoniali del matrimonio siano disciplinati alla stessa stregua degli art. 5 e seguenti della legge n. 898/1970, quando la nullita' sia stata dichiarata dopo che si sia consolidata una concreta comunanza di vita.