IL TRIBUNALE

    Ritenuto  che,  con  citazione  notificata  il  4 marzo 1997, gli
  odierni attori adivano il tribunale di Siracusa perche' dichiarasse
  l'inefficacia  delle disposizioni contenute nel testamento pubblico
  della  defunta Fallisi Maria a favore della Fondazione "Frazzetto",
  costituitasi  con  atto  pubblico  in  data  18  novembre  1996, in
  conseguenza  dell'inutile  decorso  del termine di cui all'art. 600
  c.c.;
        che  si  era  verificato  che  in  data  18 novembre 1995 era
  deceduta  in  Buccheri  la  signora  Fallisi  Maria, la quale aveva
  disposto  delle  proprie  sostanze  con  testamento pubblico del 20
  ottobre  1995,  reso noto in data 4 dicembre 1995, istituendo erede
  universale  una  Fondazione  da costituirsi in Buccheri, avente per
  oggetto  un  centro  polidiagnostico  per  onorare  la  memoria del
  figlio;
        che  nel  medesimo  testamento  erano  stati  nominati cinque
  esecutori  testamentari  con  l'incarico  di  provvedere anche alla
  formulazione  e  alla  stesura dell'atto costitutivo della predetta
  fondazione;
        che  in  data  18  novembre  1996,  ovvero  decorso  un  anno
  dall'apertura  della  successione, gli esecutori avevano provveduto
  alla  costituzione  della  fondazione,  ma  non  ancora ad avanzare
  l'istanza   di   cui   all'art. 600   c.c.,   necessaria   per   il
  riconoscimento dell'ente;
        che  tale  istanza  era  stata  presentata  solo  in  data 26
  novembre 1996 e quindi otto giorni dopo lo spirare del termine;
        che con comparsa del 26 maggio 1997 si costituiva in giudizio
  la   Fondazione   Frazzetto   nonche'  gli  esecutori  testamentari
  chiedendo il rigetto della domanda;
        che   all'udienza  del  3  febbraio  2000,  la  causa,  sulle
  conclusioni in atti, veniva posta in decisione;
    Osservato  che,  secondo  quanto  previsto nella norma citata, le
  disposizioni  a  favore  di  un  ente  non  riconosciuto  non hanno
  efficacia  se,  entro  un  anno  dal giorno in cui il testamento e'
  eseguibile, non e' fatta l'istanza per ottenere il riconoscimento;
        che,  secondo  la  costante interpretazione giurisprudenziale
  (Cass. civ. sez. II, 14 ottobre 1961 n. 2162, Cass. civ. sez. II, 5
  luglio  1962  n. 1724, nonche' Cass. civ. sez. II, 5 dicembre 1981,
  n. 9050  tanto  consolidata  da  assurgere  a diritto vivente, e in
  difetto  di  ogni  altra  disposizione  normativa,  il  termine per
  l'istanza  decorre,  nel caso di testamento pubblico, dall'apertura
  della  successione  e  cioe',  ex  art. 456 c.c., dal momento della
  morte;
        che  l'art. 600 c.c., cosi' interpretato, nel testo in vigore
  fino alla sua abrogazione avvenuta con legge 22 giugno 2000 n. 192,
  si  pone  palesemente  in  contrasto  con  gli  artt. 2  e  3 della
  Costituzione;
        che,  infatti,  sotto  il primo profilo, l'istituzione di una
  fondazione, le cui finalita' corrispondano a pubblico interesse, ad
  opera  di  un  privato  puo'  certamente  ritenersi una delle tante
  manifestazioni  riconducibili al dovere di solidarieta' sociale che
  la  Repubblica  richiede  al  cittadino, di cui, peraltro, esalta i
  diritti  inviolabili,  che  gli  riconosce  e  garantisce  sia come
  singolo sia nelle formazioni sociali;
        che  e'  innegabile che al dovere anzidetto adempie anche chi
  abbia  disposto  la  fondazione  con  testamento,  non  fosse altro
  perche' in essa si attua la volonta' del testatore e si estrinseca,
  al  di  la' della vita fisica, la personalita' del medesimo, ovvero
  il  complesso di idee, aspirazioni propositi, azioni che attraverso
  l'istituzione  ed  il  suo  svolgimento  continuano  a manifestarsi
  qualificandone gli scopi;
        che  al  necessario  rispetto della volonta' del testatore si
  accompagna  l'interesse  pubblico a che le finalita' perseguite con
  la fondazione dell'ente siano realizzate;
        che  tale  rispetto  non  pare  assicurato  da  una norma che
  rimette  l'efficacia della disposizione testamentaria alla solerzia
  di terzi, facendo decorrere un termine di decadenza ancor prima che
  costoro   non   solo   siano   stati  investiti  dell'ufficio  (con
  l'accettazione richiesta, in forma solenne, dall'art. 702 c.c.), ma
  addirittura siano stati resi edotti della loro nomina;
        che  la  compressione dei diritti della personalita' (sia del
  "de cuius" che dell'ente da questi istituito) a discapito di quelli
  patrimoniali  prevalentemente privilegiati dal legislatore del 1942
  nel  profondo ed incondizionato rispetto della scala dei valori del
  tempo)  risulta  ancor  piu'  evidente dall'esame dell'art. 3 disp.
  att. c.c.;
        che  tale  norma,  a seguito della denunzia imposta al notaio
  che provvede alla pubblicazione di disposizioni a favore di enti da
  istituire,   consente   al   prefetto   di   promuovere  "gli  atti
  conservativi   che   reputa   necessari   per   l'esecuzione  delle
  disposizioni"  nonche' di chiedere al tribunale, in caso di urgenza
  e  necessita',  "la  nomina  di  un  amministratore provvisorio dei
  beni", venendo in tal modo apprestata tutela, mediante conferimento
  ad  un  organo  pubblico  di  vere  e  proprie funzioni suppletive,
  all'integrita' del patrimonio ereditario;
        che,  sotto  altro profilo, l'attuale interpretazione si pone
  in  contrasto  con i principi di uguaglianza e di ragionevolezza di
  cui all'art. 3 Cost.;
        che, come e' noto, l'art. 3 costituzionalizza un principio di
  ragionevolezza,  per  cui l'atto normativo deve trattare in maniera
  uguale  situazioni  uguali  e  in  maniera  sostanzialmente diversa
  situazioni diverse;
        che,  dal  punto  di  vista logico, l'uguaglianza riguarda le
  relazioni  di  identita',  similitudine,  diversita' tra due o piu'
  situazioni  in  rapporto  a  un  determinato  bene  o "standard" di
  misura;
        che  l'art. 600  c.c.  confligge  con tale principio, perche'
  prescinde  dalla conoscibilita' del testamento pubblico da parte di
  chi debba eseguirne le disposizioni facendo decorrere un termine di
  decadenza,  al  cui inutile spirare e' connessa l'inefficacia della
  disposizione  a  favore dell'ente non riconosciuto, ancor prima che
  l'ufficio   dell'esecutore   testamentario   -   unico  legittimato
  all'istanza   di  riconoscimento  -  abbia  avuto  inizio  con  gli
  adempimenti previsti dall'art. 702 c.c.;
        che  ben  potrebbe verificarsi l'ipotesi che l'arco temporale
  considerato  dalla  disposizione  in  esame sia in tutto o in parte
  decorso  quando  chi sia onerato dell'esecuzione venga a conoscenza
  della  morte  e  quindi  delle  disposizioni testamentarie, potendo
  residuare  ormai  soltanto un tempo non sufficiente all'adempimento
  delle formalita' prescritte per il riconoscimento;
        che cio' pare in contrasto con il costante insegnamento della
  giurisprudenza   costituzionale   secondo   cui   il  principio  di
  ragionevolezza  e'  salvaguardato  solo  quando la decorrenza di un
  termine  -  anche  di  decadenza essendo anche con riguardo ad esso
  applicabile, in via analogica, ai fini della decorrenza del "dies a
  quo",  l'art. 2935 c.c. - sia legata non gia' a un fatto obiettivo,
  ma  alla  conoscibilita'  di  esso  da  parte  dell'interessato  e,
  comunque,  al giorno in cui il diritto puo' essere fatto valere, il
  che,  quando  con  una  disposizione  testamentaria  si  nomini  un
  esecutore  testamentario,  avviene  solo  con  la  dichiarazione di
  accettazione  (Cass.  18  luglio  1963  n. 1970)  e non gia' con la
  designazione esplicitata nel testamento;
        che  la questione di legittimita' prospettata sotto i profili
  indicati  e'  rilevante  nel caso di specie, perche', vertendosi in
  ipotesi   di  testamento  pubblico  ed  essendo  l'istanza  per  il
  riconoscimento  stata  presentata  oltre l'anno dall'apertura della
  successione,   sebbene   entro   l'anno   dalla   conoscenza  della
  disposizione  testamentaria  e  dall'accetttazione  da  parte degli
  esecutori  dell'ufficio,  la  norma, nella costante interpretazione
  della  giurisprudenza,  comporta  l'inefficacia  della disposizione
  testamentaria;
        che    la   rilevanza   non   e'   esclusa   dall'abrogazione
  dell'art. 600  c.c. avvenuta nelle more della presente decisione in
  virtu'  del  disposto  di  cui  all'art. 1 della legge n. 192/2000,
  perche'  la  retroattivita'  ivi  prevista non puo' certo spingersi
  oltre  i  limiti  del  diritto  quesito,  con  la conseguenza della
  riespansione   della  delazione  ereditaria  in  capo  ai  chiamati
  ulteriori,  qualora  -  come  nel  caso  di specie - il termine sia
  interamente decorso nell'inerzia degli esecutori testamentari prima
  dell'entrata in vigore della legge 192/2000;
        che  tale  ultima  produzione  legislativa,  avendo  eliso in
  radice  la  necessita'  del  riconoscimento,  consente  di ritenere
  positivamente  recepito  un principio generale, prevalente a quello
  sotteso   alla   precedente   disposizione  (ed  esplicitato  nella
  relazione  ministeriale  al  codice  civile,  secondo  cui la norma
  ubbidiva  all'esigenza di "eliminare nel piu' breve tempo possibile
  lo  stato  di  incertezza  nei  rapporti  successori")  e  cioe' di
  togliere  qualunque  ostacolo alla realizzazione della volonta' del
  testatore,   in   conformita'  ai  valori  della  mutata  coscienza
  collettiva;