ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 148 del codice
penale   militare   di   pace,   promosso  con  ordinanza  emessa  il
29 settembre  1999  dal giudice per le indagini preliminari presso il
tribunale  militare  di  Cagliari nel procedimento penale a carico di
P.E.,  iscritta  al  n. 744  del registro ordinanze 1999 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 4, 1a serie speciale,
dell'anno 2000.
    Udito  nella  camera di consiglio del 13 dicembre 2000 il giudice
relatore Gustavo Zagrebelsky.
    Ritenuto  che  nel corso di un procedimento penale a carico di un
imputato del reato di diserzione [art. 148, numero 2), cod. pen. mil.
pace],  il  giudice  per  le indagini preliminari presso il tribunale
militare  di  Cagliari,  con  ordinanza  in data 11 giugno 1997 (r.o.
n. 791/1997),  aveva  sollevato,  in  riferimento  agli artt. 3 e 27,
terzo   comma,   della   Costituzione,   questione   di  legittimita'
costituzionale   dell'art. 148  cod.  pen. mil.  pace,  in  relazione
all'art. 8,  secondo  e  terzo  comma,  della legge 15 dicembre 1972,
n. 772  (Norme  per  il  riconoscimento dell'obiezione di coscienza),
"nella  parte  in  cui  non  escludeva la possibilita' di piu' di una
condanna  per  il  militare che fosse gia' stato condannato a pena di
durata uguale al servizio militare ancora da svolgere";
        che,  sulla  premessa  della  natura  permanente dei reati di
assenza   dal  servizio,  e  data  la  conseguente  possibilita'  per
l'imputato di essere sottoposto a plurime successive condanne fino al
momento  del  congedo  assoluto  (e  cioe' fino al raggiungimento del
quarantacinquesimo  anno  di  eta'),  si sarebbe potuto realizzare il
fenomeno della cosiddetta "spirale delle condanne" per un unico fatto
criminoso;
        che,  richiamata  la giurisprudenza costituzionale resa nella
materia  dell'obiezione  di  coscienza  (in  particolare, le sentenze
nn. 409  del 1989, 467 del 1991, 343 del 1993), il giudice rimettente
osservava  che  da  ultimo era intervenuta la sentenza n. 43 del 1997
della  Corte  costituzionale  che  aveva  dichiarato l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 8, secondo e terzo comma, della legge n. 772
del 1972, nella parte in cui non escludeva la possibilita' di piu' di
una  condanna  per  il  reato di rifiuto totale del servizio militare
determinato  da obiezione di coscienza (cioe' del rifiuto manifestato
prima  dell'assunzione  dello stesso servizio e adducendo i motivi di
cui all'art. 1 della legge);
        che  -  proseguiva  il  rimettente  -  con  altre  precedenti
pronunce  la Corte, affermando tra l'altro (sentenza n. 409 del 1989)
l'identita'  dell'interesse  leso  nelle due distinte ipotesi, quella
del  reato  previsto  dalla  normativa  sull'obiezione di coscienza e
quella  relativa  a  uno  dei  reati  di  assenza dal servizio, aveva
statuito (sentenza n. 343 del 1993) che alla condanna alla pena della
reclusione  in  misura  complessivamente non inferiore al servizio di
leva,   nel  caso  di  diserzione,  dovesse  necessariamente  seguire
l'esonero  dal  servizio militare, al pari di quanto era previsto per
colui  che rifiutava il servizio militare di leva per i motivi di cui
all'art. 1 della legge n. 772 del 1972;
        che  pertanto,  ad  avviso  del giudice a quo a seguito della
sentenza   n. 43   del   1997   appariva   fondato   il   dubbio   di
costituzionalita'  dell'art. 148  cod.  pen. mil.  pace  in relazione
all'art. 8,  commi  secondo e terzo, della citata legge n. 772, nella
parte  in  cui non escludeva la possibilita' di piu' di una condanna,
una  volta che il militare fosse gia' stato condannato a pena pari al
servizio ancora da svolgere;
        che  per  un primo profilo sarebbe stato violato il principio
di  uguaglianza,  poiche'  al militare condannato per il reato di cui
all'art. 148   cod.   pen. mil.   pace  sarebbe  stato  riservato  un
trattamento  deteriore  rispetto  a  chi avesse rifiutato il servizio
militare  a  norma  del  citato art. 8: mentre nella prima ipotesi il
militare  disertore  avrebbe  potuto  essere  punito  per  un  numero
indefinito  di  volte,  nel  secondo  caso  l'obiettore  di coscienza
avrebbe subi'to una sola condanna;
        che  la  notevole diversita' di trattamento penale tra le due
ipotesi   sarebbe  stata  rilevante  anche  sotto  il  profilo  della
proporzionalita',  insita  nel  principio  di uguaglianza, nonche' in
relazione  all'art. 27,  terzo comma, della Costituzione, poiche' una
serie  indeterminata  di condanne per un fatto sostanzialmente unico,
tendendo  alla  coartazione  morale  della persona, sarebbe risultata
lesiva  della  finalita'  rieducativa  e  del senso di umanita' delle
pene;
        che,  con ordinanza n. 102 del 1999, questa Corte ha disposto
la  restituzione  degli  atti  al giudice per le indagini preliminari
presso  il  tribunale  militare di Cagliari, in quanto, essendo stato
l'art. 8  della  legge  n. 772  del  1972,  assunto  come  termine di
raffronto,   nel  frattempo  sostituito  con  l'art. 14  della  legge
8 luglio  1998,  n. 230  (Nuove  norme  in  materia  di  obiezione di
coscienza),  ed  avendo  l'art. 23  di  quest'ultima  legge stabilito
l'abrogazione  della  legge  n. 772  del 1972, spettava al rimettente
verificare   se,   alla  stregua  della  normativa  sopravvenuta,  la
questione sollevata fosse tuttora rilevante;
        che  nell'ambito del medesimo giudizio penale, il giudice per
le  indagini  preliminari  presso  il tribunale militare di Cagliari,
rilevato   che   l'art. 8  della  legge  n. 772  del  1972  e'  stato
sostanzialmente sostituito dall'art. 14 della legge n. 230 del 1998 e
che  la  nuova disposizione ripete in piu' parti il dettato normativo
contenuto  nel previgente art. 8, stabilendo, in particolare, nel suo
comma  5, che "coloro che adducendo motivi diversi da quelli indicati
nell'art. 1  o  senza  addurre  motivo  alcuno, rifiutano totalmente,
prima  o dopo averlo assunto, la prestazione del servizio militare di
leva, sono esonerati dall'obbligo di prestarlo quando abbiano espiato
per  il  suddetto  rifiuto  la  pena  della reclusione per un periodo
complessivamente  non inferiore alla durata del servizio di leva", al
pari  di quanto stabilito dal citato art. 8, comma terzo, della legge
n. 772   del   1972,  e  ritenuta,  pertanto,  la  questione  tuttora
rilevante,  anche  alla  stregua  della  normativa  sopravvenuta, con
ordinanza  in  data  29 settembre  1999  ha nuovamente sollevato, nei
termini  e in riferimento ai parametri sopra illustrati, questione di
legittimita'   costituzionale   dell'art. 148  cod.  pen. mil.  pace,
assumendo  peraltro  come tertium comparationis l'art. 14 della legge
n. 230 del 1998 anziche' l'art. 8 della legge n. 772 del 1972.
    Considerato  che  il  giudice  a  quo  chiede  a questa Corte una
pronuncia  tale  da escludere la possibilita' di piu' di una condanna
per  chi  abbia  gia'  riportato condanna a una pena non inferiore al
servizio  militare  (ancora)  da  svolgere,  in  conseguenza  di  una
manifestazione  di  rifiuto  del  servizio  militare  che, per essere
immotivata  o motivata con ragioni non riconducibili all'obiezione di
coscienza, integra uno dei reati di assenza dal servizio previsti dal
codice   penale   militare   di  pace  (nella  specie:  il  reato  di
diserzione);
        che  la  richiesta dichiarazione di incostituzionalita' della
norma incriminatrice del codice penale militare, per violazione degli
artt. 3  e  27,  terzo  comma, della Costituzione, e' prospettata dal
rimettente  a) secondo i termini della parte motivo dell'ordinanza di
rinvio,  assumendo  a  termine  di  raffronto  la disciplina posta in
materia  di  reati  di  obiezione  di coscienza e, in particolare, in
relazione  al  principio  della possibilita' di una sola condanna nei
riguardi   di   chi  rifiuti  la  prestazione  militare  per  ragioni
riconducibili   a   quelle   di  coscienza  legalmente  previste  (un
principio,  questo,  affermato  dalla  sentenza  n. 43 del 1997 della
Corte  costituzionale  e  successivamente  recepito  dal  legislatore
nell'art. 14,  comma  4,  della  legge  n. 230  del 1998), nonche' b)
secondo  il  dispositivo  della  medesima  ordinanza  di  rinvio, "in
riferimento"  all'art. 14,  comma  5,  della stessa legge n. 230, che
pone  la regola dell'esonero dal servizio per chi rifiuti il servizio
senza  addurre uno dei motivi qualificabili "di coscienza" secondo la
legge,  una  volta  che per detto comportamento sia stata espiata una
pena  per  un  periodo complessivamente non inferiore alla durata del
servizio di leva;
        che,  relativamente  al  profilo  in  a) questa Corte ha gia'
affermato,  nella  sentenza n. 223 del 2000, che non contrasta con il
principio   di   uguaglianza  la  differenziazione  nella  disciplina
dell'esonero  dagli  obblighi  di  leva,  a  seconda  che  il mancato
adempimento di essi sia dipeso da ragioni di coscienza nel quale caso
la condizione dell'esonero consiste nel solo fatto della condanna per
il  reato  di rifiuto del servizio di cui all'art. 14, comma 2, della
legge  n. 230  ovvero non sia dipeso da quelle ragioni nel quale caso
la  condizione  dell'esonero  e' l'espiazione di una pena pari almeno
alla  durata  del  servizio  -,  giacche'  le ragioni che indussero a
statuire  l'impossibilita' di plurime condanne e pene (sentenza n. 43
del  1997)  valgono  solo  per  le  ipotesi  in cui entra in gioco il
fattore della coscienza;
        che  ancora  nella  citata  sentenza  n. 223  del  2000 si e'
osservato  che  il legislatore, nel disporre l'esonero in conseguenza
dell'espiazione  della  pena  per  il  disertore  recidivo  (comma  5
dell'art. 14), ha tenuto conto delle pronunce di questa Corte secondo
le  quali la disciplina dell'esonero assume il carattere di mezzo per
impedire  uno  sproporzionato  accumulo  di  pene  (la "spirale delle
condanne")  nei  riguardi  di  quanti si sottraggono agli obblighi di
leva  senza  addurre  ragioni  di coscienza, onde evitare conseguenze
incostituzionali  sia  sul  piano  della ragionevolezza che su quello
della  funzione  della  pena  (art. 27 della Costituzione), senza che
cio'  comporti, sempre sul piano costituzionale, alcuna necessita' di
equiparazione  di  detta  disciplina con quella stabilita per i reati
dettati da effettiva obiezione di coscienza;
        che,  relativamente  al profilo in b) e' sufficiente rilevare
che  la  disposizione del comma 5 dell'art. 14 della legge n. 230 non
e'  idonea  a  costituire  un  termine  di  raffronto perche' essa si
riferisce  -  ed  e'  applicabile - proprio a tutti i reati che siano
espressivi  di  un  "rifiuto"  della prestazione militare ma che, per
difetto dell'elemento dell'adduzione di motivi di coscienza, ricadano
in  una delle fattispecie del codice penale militare di pace, come la
diserzione (sentenza n. 223 del 2000, punto 4.2 del diritto; sentenza
n. 224 del 2000, punto 3 del diritto; ordinanza n. 513 del 2000);
        che   e'   proprio  attraverso  l'operativita'  della  citata
clausola  di  esonero dal servizio militare una volta espiata la pena
nella misura stabilita che risulta preclusa in radice la possibilita'
-  lamentata  invece dal rimettente - di una "serie indeterminata" di
condanne  e  di  un  "numero  indefinito"  di  pene nei confronti del
soggetto che rifiuti il servizio nei termini detti sopra, cio' che fa
venir  meno  la  premessa  dalla quale muove il giudice di merito nel
sollevare la questione;
        che    per    quanto   detto   la   presente   questione   di
costituzionalita'  deve  essere  dichiarata  manifestamente infondata
sotto ogni profilo.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.