ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 28, comma 2, del codice di procedura penale, promosso con Ordinanza emessa l'8 febbraio 2000 dal tribunale di Terni nel procedimento penale a carico di P. A. ed altri, iscritta al n. 180 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17 - 1a serie speciale, dell'anno 2000. Udito nella camera di consiglio del 13 dicembre 2000 il giudice relatore Giovanni Maria Flick. Ritenuto che il tribunale di Terni, con ordinanza dell'8 febbraio 2000, ha sollevato, in riferimento agli artt. 101 e 111 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 28, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui, secondo l'interpretazione fornita dal "diritto vivente", non consente al giudice di primo grado di sollevare conflitto di competenza nel caso di dissenso dalla decisione con la quale il giudice di appello, in conseguenza di una ritenuta nullita' verificatasi nel giudizio di primo grado, abbia disposto il rinvio degli atti al primo giudice per la rinnovazione del giudizio; che il rimettente premette che la Corte d'appello di Perugia, con sentenza depositata il 31 marzo 1999, aveva dichiarato la nullita' assoluta di una sentenza emessa dal tribunale di Terni, con contestuale ordine di restituzione degli atti al primo giudice "per quanto di competenza", ai sensi dell'art. 604, comma 4, cod. proc. pen.: cio' in quanto il giudice di secondo grado aveva ravvisato una violazione del principio di immutabilita' del giudice di cui all'art. 525 cod. proc. pen., avendo il giudice di primo grado attribuito efficacia probatoria agli atti di istruzione compiuti fino al momento in cui, a seguito di sopravvenuta incompatibilita', uno dei membri del collegio era stato sostituito con altro magistrato; che, in particolare - secondo quanto riferito nell'ordinanza di rimessione - la Corte d'appello di Perugia aveva ritenuto censurabile l'interpretazione, fornita dai primi giudici, in forza della quale sarebbe possibile la rinnovazione degli atti di istruttoria dibattimentale, compiuti prima del mutamento della composizione del collegio, mediante la sola lettura o indicazione degli stessi, laddove, a parere dell'organo di gravame, si rendeva necessario che, con un collegio in diversa composizione, il processo riprendesse il suo itinerario ex novo dal momento della dichiarazione di apertura del dibattimento e che pertanto tutte le prove fossero nuovamente espletate ed i testi riesaminati; che, a parere del giudice a quo, e' la decisione della Corte d'appello a porsi in palese contrasto con le speciali disposizioni previste dal d.l. 9 giugno 1996 n. 464 e dal d.l. 23 ottobre 1996 n. 533 convertito con modificazioni nella legge 23 dicembre 1996 n. 652 ed inoltre a risultare contraddetta da recenti pronunzie del giudice di legittimita', che, deliberando anche a sezioni unite, aveva ritenuto la semplice indicazione o lettura degli atti modalita' sufficienti ai fini della loro rinnovazione, senza necessita' di un nuovo espletamento della prova, con la conseguenza che - sempre ad avviso del rimettente - la rinnovazione integrale del dibattimento da parte del tribunale, sancita nella pronunzia di appello, sarebbe "attivita' imposta contro la legge e che dilaterebbe in modo irragionevole i tempi processuali"; che peraltro, secondo le ulteriori argomentazioni del rimettente, a fronte di tale situazione processuale, risulterebbe impossibile sollevare conflitto di competenza in forza dell'art. 28, secondo comma, cod. proc. pen., da parte di esso rimettente e rispetto alla decisione della Corte d'appello: cio' in quanto - per una giurisprudenza del Supremo Collegio talmente costante da prospettarsi quale vero "diritto vivente" - risulta improponibile il conflitto nel caso in cui il giudice d'appello dichiari, a conclusione del giudizio di secondo grado, l'esistenza di una nullita' assoluta incorsa nel giudizio di primo grado e rinvii gli atti al giudice di prime cure per la ripetizione del giudizio, formandosi, in tal caso, un "giudicato interno" sulla decisione dell'organo di gravame per l'omessa impugnazione della medesima, senza possibilita', pertanto, che tale ipotesi possa essere inclusa nei "casi analoghi" di conflitto, esperibili in applicazione della norma censurata; che, tuttavia, proprio tale ricostruzione esegetica del sistema sarebbe foriera, a parere del giudice a quo, di plurimi vizi di incostituzionalita': innanzitutto, per violazione dell'art. 101 della Costituzione, in quanto, risultando improponibile il dedotto conflitto di competenza, la Corte d'appello diverrebbe organo sovraordinato di tipo gerarchico e non gia' funzionale, come e' per legge, con violazione del principio dell'esclusiva soggezione alla legge dei giudici; che, inoltre, sarebbe compromesso anche l'art. 111, secondo comma, della Costituzione ed, in particolare, l'espresso principio della "ragionevole durata" del processo - di immediata applicabilita' per il suo carattere generalissimo, secondo il rimettente - in quanto l'istituto della regressione processuale costituirebbe fonte di dilatazione intollerabile dei tempi del processo e di aggravio non trascurabile dell'organizzazione giudiziaria; per contro, l'ammissibilita' del conflitto, consentendo una decisione in tempi rapidi attraverso la celere procedura di cui all'art. 28, comma 2, e 32 cod. proc. pen., si tradurrebbe in un sensibile risparmio di tempi ed energie del processo, altrimenti ingiustamente dispersi, evitando una duplicazione delle sue fasi che si palesa illegittima e, dunque, irragionevole. Considerato che questa Corte, in piu' occasioni, delibando la compatibilita' con l'art. 101 della Costituzione dell'art. 28, comma 2, cod. proc. pen. nella parte in cui sancisce la prevalenza della decisione del giudice del dibattimento in caso di contrasto con il giudice per le indagini preliminari, ha avuto modo di rilevare come il principio dell'indipendenza dei giudici comporti, nel sistema processuale, "la previsione di disposizioni preordinate al coordinamento dell'esercizio delle funzioni giurisdizionali mediante l'individuazione della competenza e la determinazione degli effetti degli atti processuali, anche in relazione all'attivita' di altra autorita' giudiziaria, allo scopo di perseguire finalita' di giustizia e [...] di pervenire alla sollecita definizione del processo" (cfr. ordinanza n. 241 del 1991, nonche' ordinanza n. 83 del 1994; sentenza n. 112 del 1994); che, pertanto, e' da escludere, in via generale, che la vincolativita' della statuizione del giudice di grado o fase superiore, dalla quale scaturisca un effetto regressivo del procedimento, possa vulnerare l'autonomia e l'indipendenza del giudice che tale vincolo e' chiamato ad osservare; che, d'altro canto, a ritenere il contrario nel caso di specie, verrebbe consentito al giudice di primo grado di utilizzare la procedura di conflitto di cui all'art. 28, comma 2, cod. proc. pen. quale improprio strumento di impugnazione di una decisione dell'organo superiore cui non intende adeguarsi, con effetti distorsivi del sistema, atteso che la definitivita' della pronunzia dell'organo di appello verrebbe fatta dipendere non gia' dall'esercizio del diritto di impugnazione delle parti, ma dalla proposizione o meno di un "reclamo", nella forma del conflitto, da parte del giudice di grado inferiore; che, quanto alla pretesa violazione dell'art. 111, secondo comma, della Costituzione e del principio della durata ragionevole del processo in esso sancito, va evidenziato come le argomentazioni del rimettente muovano da una ritenuta funzione acceleratoria dello strumento processuale del conflitto che presuppone, evidentemente, la fondatezza nel merito del conflitto stesso; ma poiche' la fondatezza del conflitto e' insuscettibile di essere stabilita a priori, la asserita funzione acceleratoria si risolverebbe nel suo contrario ove il conflitto fosse respinto, traducendosi tale evenienza in un allungamento e non gia' in un risparmio di tempi processuali; che, pertanto, la questione di legittimita' costituzionale deve essere dichiarata manifestamente infondata. Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge il marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.