IL TRIBUNALE

    Ha  pronunciato la seguente ordinanza nella controversia iscritta
al  n. 545/1991  R.G.A.C., passata in decisione alla pubblica udienza
collegiale  del  13 aprile 1999 e vertente tra: Lagana' Paola, Parisi
Francesco,  Parisi Maria e Parisi Letterio, elettivamente domiciliati
in  Reggio  Calabria, via Casalotto n. 97, presso lo studio dell'avv.
Alfonso  Zito,  dal  quale  sono  rappresentati e difesi in virtu' di
procura in calce all'atto di citazione, attori;
    Contro:
        comune   di   Villa  San  Giovanni,  in  persona  del  legale
rappresentante   pro-tempore,  elettivamente  domiciliato  presso  lo
studio  dell'avv. Natale La Fronte, in Reggio Calabria, via Nazionale
n. 292,  dal quale e' rappresentato e difeso, in virtu' di procura in
calce alla copia notificata dell'atto di citazione, convenuto;
        Albanese   Maria   Iole,   Lagana'  Maria  Cristina,  Lagana'
Pasqualino,   Lagana'  Vincenzo,  rappresentati  e  difesi  dall'avv.
Francesco  Raschella',  in  virtu'  di  procura  in  calce alla copia
notificata  dell'atto  di  citazione,  elettivamente  domiciliati  in
Reggio Calabria alla via Manfroce n. 87, convenuti.
    Considerato   che  con  atto  di  citazione  notificato  in  data
21 aprile  1991,  Lagana'  Paola,  Parisi  Francesco,  Parisi Maria e
Parisi  Letterio  convenivano  in  giudizio  il  comune  di Villa San
Giovanni,  Albanese  Maria  Iole,  Lagana'  Maria  Cristina,  Lagana'
Pasqualino  e  Lagana'  Vincenzo,  esponendo  di  essere proprietari,
unitamente ai convenuti da ultimo indicati, di un fondo sito in Villa
San Giovanni, censito in catasto al fol. 4 particella 248.
    Esponevano  altresi'  che  il  predetto fondo era stato sottratto
alla  loro  disponibilita'  dal  comune  di  Villa  San Giovanni che,
mediante  la  costruzione  di una recinzione, a causa della quale era
rimasto  a loro intercluso ogni passaggio e possibilita' di godimento
del  fondo,  lo  aveva  destinato ad ampliamento del locale cimitero,
senza  porre  in essere alcun atto espropriativo. Agivano in giudizio
per  ottenere  il  risarcimento  del  danno, pari al valore in comune
commercio del terreno occupato.
    Con  comparsa del 29 giugno 1991 si costituivano i comproprietari
convenuti, i quali aderivano alla domanda degli attori.
    Con comparsa depositata alla prima udienza si costituiva altresi'
il  comune  di  Villa  San  Giovanni, eccependo il proprio difetto di
legittimazione passiva e rilevando il carattere agricolo del terreno.
    Espletata  c.t.u.,  chiesti  chiarimenti in udienza istruttoria e
parere  in  camera  di consiglio al c.t.u., la causa viene ora per la
decisione.
    Dalla  c.t.u. e' emersa l'appartenenza del bene in questione agli
attori;  resta cosi' superata l'eccezione, impropriamente qualificata
di  difetto  di  legittimazione  passiva,  sollevata  dal  comune per
mancanza  di prova della situazione proprietaria in capo agli attori.
E'  emerso  altresi'  che  il  comune  di  Villa  San  Giovanni,  con
deliberazioni  nn. 60  e 187, rispettivamente del consiglio comunale,
datata  18 dicembre  1984  e della giunta municipale, datata 26 marzo
1986,  ha  approvato  il piano particellare e l'elenco delle ditte da
espropriare  per  i lavori di costruzione ed ampliamento del cimitero
di  Villa  San  Giovanni; che il terreno de quo e' stato occupato nel
febbraio   1988,   in  mancanza  di  provvedimenti  autorizzativi  di
occupazione e di provvedimento espropriativo. Da quanto risulta dalla
relazione  del  c.t.u.,  l'occupazione  acquisitiva  del terreno puo'
dirsi  perfezionata  nel febbraio 1988, epoca in cui venne installato
un  cancello in ferro, e furono avanzati i lavori di recinzione della
particella  de  qua  con  la realizzazione di un muro che ha precluso
l'accesso al fondo.
    Dai chiarimenti resi dal c.t.u. all'udienza del 21 novembre 1996,
e'  emersa la natura agricola del terreno in questione. Con ordinanza
di questo tribunale del 14 aprile 1998, il c.t.u. e' stato invitato a
rendere parere in camera di consiglio in ordine ai redditi dominicali
rivalutati  ed  al  valore  agricolo  con  riferimento  alle  colture
effettivamente praticate sul fondo occupato. Il c.t.u. ha asserito di
non  essere stato nella possibilita' di accertare il valore del fondo
in  relazione  alla  coltura  effettivamente praticata, a causa della
mancanza del verbale di immissione in possesso.
    Non  rimarrebbe  allora  che  disporre ulteriore accertamenti. Il
tribunale  ravvisa  pero'  la  necessita'  che  sia  sottoposto  allo
scrutinio  della  Corte  costituzionale  il  disposto di cui al comma
7-bis  dell'art. 5-bis  della  legge n. 359/1992, per come introdotto
dall'art. 3,  comma  65,  della  legge  23 dicembre 1996, n. 662, ove
ritenuto applicabile ai suoli agricoli.
    Ritiene  infatti  il  collegio  applicabile  al  caso  di  specie
(trattandosi  di  suolo agricolo) la disposizione del comma 7-bis. In
tal  senso  reputa  insuperabile la considerazione della S. C. (sent.
del 24 luglio 1997, n. 6912) secondo cui il termine "suoli" impiegato
dal   comma   7-bis  e'  diverso  da  quello  impiegato  al  comma  1
dell'art. 5-bis,  cioe'  "aree  edificabili".  Dal  che  consegue  il
carattere  onnicomprensivo  della  disciplina dettata dal comma 7-bis
(tale  da  riguardare  anche i suoli agricoli e quelli non legalmente
edificabili).
    A  tale  risultato  ermeneutico  il  collegio ritiene di giungere
all'esito  di riflessione sul significato dell'espressione, contenuta
nel  comma  7-bis, secondo cui "si applicano, per la liquidazione del
danno, i criteri di determinazione dell'indennita' di cui al comma 1,
con esclusione della riduzione del 40 per cento".
    Tale espressione lascia spazio a tre possibilita' interpretative.
    a)  secondo  una  prima,  il rinvio sarebbe effettuato ai criteri
fissati   dal   comma   1   nella  formulazione  vigente  al  momento
dell'emanazione del comma 7-bis (introdotto con legge del 23 dicembre
1992   n. 662,  art. 3,  comma 65);  quindi,  sarebbe  richiamato  il
criterio  del  valore  venale mediato. L'applicazione del comma 7-bis
imporrebbe  dunque un criterio indifferenziato per tutte le tipologie
di suoli (semisomma maggiorata del 10%).
    b)  secondo  una  diversa  soluzione  si dovrebbe ritenere che il
sostantivo  da  cui  dipende  la preposizione operante il rinvio ("di
cui")  sia  "l'indennita'"  e non "i criteri di determinazione". Cio'
che aprirebbe la strada ad una duplice alternativa.
    b1)    secondo    l'una    (sarebbe   la   seconda   possibilita'
interpretativa),   il   rinvio  sarebbe  stato  fatto  specificamente
all'indennita'   di   cui   al   comma   1,   ossia  l'indennita'  di
espropriazione delle sole aree edificabili;
    b2)   secondo  l'altra,  (terza  opzione),  l'entita'  richiamata
sarebbe l'indennita' di espropriazione tout court.
    Dal  che  sarebbe  agevole l'implicazione della necessita' di far
riferimento  alla  disciplina  appositamente  prevista per le singole
tipologie  di  suoli.  Dunque,  un criterio differenziato per le aree
edificabili,  da una parte, e per i suoli agricoli e non edificabili,
dall'altra;  conseguentemente, per i suoli agricoli e per i suoli non
classificabili  come edificabili, sarebbe richiamata la disciplina di
cui al comma 4 dell'art. 5-bis (valore agricolo).
    Per  quel  che  importa  ai  fini  della decisione della presente
controversia,  e'  indifferente  la  scelta tra la prima e la seconda
soluzione.  Una rilevanza di tale opzione potrebbe rinvenirsi in caso
di  modifiche  normative  sulla  determinazione dell'indennita' delle
aree  edificabili,  comportando  la prima soluzione, ed escludendo la
seconda,  il carattere formale e non ricettizio del rinvio. Evenienza
questa,  a  quanto  consta al collegio, non ancora verificatasi. Cio'
che  invece qui interessa e' scegliere tra le prime due soluzioni, da
una  parte,  e  la  terza,  dall'altra.  Infatti, quest'ultima scelta
interpretativa   comporterebbe   il   richiamo   di   tutti  i  commi
dell'art. 5-bis,  quindi  anche  del  comma  4,  relativo  alle  aree
agricole   ed  a  quelle  non  classificabili  come  edificabili.  In
sostanza,  secondo  questa  interpretazione,  il  comma 7-bis farebbe
propria    la    bipartizione   dettata   dalla   attuale   normativa
sull'indennita'  espropriativa, aggiungendo alla disciplina bipartita
l'esclusione  della  riduzione  del  40%  per  le aree edificabili, e
disponendo per tutte le aree l'aumento del 10%.
    Questo tribunale reputa non percorribile la terza opzione (rinvio
all'indennita'   di  espropriazione  tout  court  e  quindi  criterio
differenziato).
    In  primo  luogo,  riuscirebbe  difficile  spiegare,  in presenza
dell'intenzione  di  richiamare le rispettive discipline previste per
le  diverse  aree, il motivo per cui si e' fatto rinvio al solo primo
comma  (e cioe' al comma in cui e' disciplinata l'indennita' relativa
alle  sole  aree edificabili). Atteso che tutti i commi che precedono
il  comma  7-bis  trattano di indennita' espropriative, e' plausibile
che  la locuzione de qua sia stata usata in funzione partitiva, cioe'
per  selezionare tra i due criteri emergenti dall'art. 5-bis soltanto
quello indicato al primo comma.
    Una  seconda  difficolta'  che  si oppone alla terza soluzione e'
rinvenibile  nell'incondizionata  esclusione della riduzione del 40%,
prevista  dal comma 7-bis. Previsione, questa, giustificabile solo in
relazione  al criterio previsto dal primo comma. Apparirebbe faticosa
l'argomentazione secondo cui l'esclusione opererebbe solo nei criteri
in  relazione  ai quali e' applicabile e secondo cui l'applicabilita'
parziale  di  tale  esclusione sarebbe confermata dalla previsione in
distinti  periodi  rispettivamente dell'esclusione e dell'aumento del
10%.
    La   disposizione   dell'aumento  cioe'  sarebbe  concepita  come
operante sempre, in riferimento a tutti i criteri; e proprio per tale
motivo,  il  legislatore  avrebbe  sentito  la  necessita' di aprire,
nell'ambito del medesimo comma un periodo diverso da quello in cui ha
previsto l'esclusione della riduzione del 40%. La cesura sarebbe poco
spiegabile,   secondo  questa  argomentazione,  in  presenza  di  una
continuita' logica, continuita' implicata dalla medesimezza di spazio
operativo della esclusione della riduzione e dell'aumento.
    L'anzidetta  argomentazione  appare soccombente rispetto a quella
piu'  piana,  secondo la quale se il legislatore ha fatto riferimento
all'esclusione  della  riduzione  del  40  per  cento,  senza  alcuna
distinzione ed a chiusura della proposizione contenente l'indicazione
del  criterio di determinazione, segno e' che il criterio oggetto del
rinvio  e'  esclusivamente  quello riportato nel primo comma, essendo
quello l'unico criterio che prevede la riduzione del 40 per cento.
    L'adozione   di   questa  opzione  ermeneutica  fa  emergere,  in
relazione alle aree agricole, il profilo di incostituzionalita' messo
in  rilievo dalla S. C. nella sentenza del 3 marzo 1998, n. 2336, nel
passo  che  qui  si  riporta:  "Premesso,  infatti,  che  per le aree
agricole  l'indennita'  per  un  esproprio condotto secondo le regole
procedurali,  e' commisurata..., al valore effettivo, il risarcimento
per  l'occupazione appropriativa determinato secondo il meccanismo di
cui all'art. 5-bis, comma 1, costituirebbe una contropartita a favore
del  proprietario  sicuramente  inferiore  alla  stessa indennita' di
esproprio,  per il fatto che nella procedura di calcolo, l'esclusione
dell'abbattimento  del quaranta per cento ed il premio aggiuntivo del
dieci   per   cento   non   sembrano  poter  compensare  il  drastico
abbattimento  che  il  valore  venale  viene  a  subire  quando viene
sottoposto  alla  media  con il reddito dominicale. Con un risultato,
oltre  che logicamente inaccettabile, palesemente in contrasto con il
principio  di  ragionevolezza,  che  in  subiecta  materia  la  Corte
costituzionale  ha  applicato dichiarando illegittima la disposizione
(art. 5-bis, comma 6, legge n. 359/1992, come modificato dall'art. 1,
comma  65,  legge  n. 549/1995)  che  parificava  il risarcimento per
occupazione illegittima all'indennita' di esproprio".
    Le   anzidette   considerazioni   -   in   ordine   al  risultano
irragionevole  consistente  nella  determinazione del risarcimento in
misura  inferiore  all'indennita'  di  esproprio - sono concretamente
confermate   nel  caso  di  specie,  essendo  la  somma  dei  redditi
dominicali rivalutati dell'ultimo decennio pari a L. 39,84.
    Atteso   che  questo  tribunale  ritiene  di  aderire  alla  tesi
sostenuta  dalla  Corte  di  cassazione del 24 luglio 1998, n. 6912 -
che,  andando in contrario avviso rispetto alla pronuncia della S. C.
del   3 marzo  1998,  n. 2336,  ha  affer-mato  l'applicabilita'  del
criterio  di  cui  al comma 7-bis dell'art. 5-bis, legge n. 359/1992,
anche  ai  terreni  agricoli  - non rimane che sollevare questione di
costituzionalita'  della predetta norma, per violazione degli artt. 3
e  42  della Costituzione, per l'irragionevolezza della disciplina da
essa   posta   rispetto   a   quella  statuita  dall'art.  15,  legge
n. 865/1971,  la quale norma stabilisce il criterio di commisurazione
dell'indennita'  sulla  scorta  del  "valore agricolo con riferimento
alle colture effettivamente praticate sul fondo espropriato".
    E'  infatti  irragionevole  riservare ad un comportamento lecito,
quale   quello   culminante   in   un   provvedimento   legittimo  di
espropriazione, un trattamento deteriore rispetto ad un comportamento
illecito.  Cio'  che  appare inconciliabile anche con l'art. 97 della
Costituzione,  che  fissa  come  canone  fondamentale  dell'attivita'
amministrativa  quello del buon andamento dell'amministrazione, posto
che  la  suindicata  normativa  finisce per costituire incentivo alla
violazione   della   procedura   fissata   per   legge   in  tema  di
espropriazione.
    Le  considerazioni  svolte  dalla  Corte costituzionale (sentenza
17 ottobre  1996,  n. 369) in sede di dichiarazione di illegittimita'
costituzionale   del  comma  6  dell'art. 5-bis  (che  aveva  sancito
l'equiparazione  della  misura del risarcimento del danno all'entita'
dell'indennizzo)  si  rivelano dotate di pregnanza ancora maggiore in
riferimento  alla  presente  questione,  posto che qui si censura una
normativa che consente non l'equiparazione tra risarcimento del danno
ed  indennita'  espropriativa  ma addirittura una differenziazione in
peius in danno del privato che subisce l'occupazione acquisitiva.
    E'  sufficiente quindi richiamare le asserzioni conclusive con le
quali  la Corte costituzionale nella predetta pronuncia ha accolto le
censure  mosse  contro  il  comma  6 dell'art. 5-bis. Ha stabilito la
Corte  che  "... sotto il profilo della ragionevolezza intrinseca (ex
art. 3  Cost.),  poiche'  nella occupazione appropriativa l'interesse
pubblico e' gia' essenzialmente soddisfatto dalla non restituibilita'
del  bene e dalla conservazione dell'opera pubblica, la parificazione
del  quantum  risarcitorio  alla  misura dell'indennita' si prospetta
come un di piu' che sbilancia eccessivamente il contemperamento tra i
contrapposti  interessi,  pubblico e privato, in eccessivo favore del
primo.   Con   le  ulteriori  negative  incidenze  ...  che  un  tale
"privilegio  a favore dell'amministrazione puo' comportare, anche sul
piano  del buon andamento e legalita' dell'attivita' amministrativa e
sul  principio di responsabilita' dei pubblici dipendenti per i danni
arrecati   al   privato.   Risulta  contestualmente  vulnerato  anche
l'art. 42,  secondo  comma  della  Costituzione,  per  la  perdita di
garanzia che al diritto di proprieta' deriva da una cosi' affievolita
risposta   dell'ordinamento   all'atto   illecito   compiuto  in  sua
violazione".