IL GIUDICE In funzione di giudice del lavoro con ricorso depositato il 16 febbraio 1999 l'organizzazione sindacale Ust-Cisl di Siena propose opposizione al decreto n. 1070 del 31 dicembre 1998 del Pretore di Siena, in funzione di giudice del lavoro, contenente su domanda dell'Inail condanna al pagamento di L. 6.947.845, a titolo di premi assicurativi e sanzioni. Infatti, con verbale di accertamento 30 novembre-12 dicembre 1996 l'Istituto, per il periodo 1o gennaio 1991-30 novembre 1996, aveva contestato alla Ust-Cisl di Siena, che presso l'organizzazione sindacale "avevano operato ed operavano" lavoratori in aspettativa ex art. 31 legge n. 1970/300, i quali "per l'espletamento del loro mandato sindacale avevano fatto e facevano uso di veicoli a motore personalmente condotti, non in via occasionale; personal computer, fotocopiatrici, macchine elettriche ed elettroniche, ecc.". Piu' specificamente, "durante gli accertamenti era infatti emerso che i citati lavoratori per gli spostamenti sul territorio, in funzione del loro mandato, facevano uso di autovetture proprie personalmente condotte, per cui richiedevano giornalmente il rimborso delle spese sostenute e per l'organizzazione della propria attivita' sindacale facevano uso delle attrezzature elettriche ed elettroniche della struttura provinciale della Cisl". L'opera prestata dai lavoratori interessati, secondo l'indagine ispettiva, era stata "anche retribuita" dalla Ust-Cisl di Siena. L'Inail riteneva pertanto esteso anche nell'interesse di queste persone l'obbligo assicurativo ex d.P.R. n. 1965/1124, per rientrare l'attivita' tra quelle previste dall'art. 1. L'organizzazione sindacale opponente contestava la fondatezza della pretesa creditoria dell'Istituto, in assenza di "ogni rapporto di lavoro e di subordinazione", non potendosi l'attivita' sindacale assimilare a quella lavorativa, ne' i "compensi" percepiti ad una "retribuzione". I sindacalisti in questione, secondo l'Ust-Cisl di Siena, non rientravano tra le persone assicurate ex art. 4, d.P.R. n. 1965/1124, per non prestare sotto la direzione altrui opera manuale retribuita (n. 1), ne' potevano essere ricompresi in alcuna altra categoria di soggetti protetti (n. 2 ss.). L'organizzazione sindacale, del resto, non poteva essere compresa tra i "datori di lavoro", soggetti alle disposizioni del d.P.R. 1965/n. 1124, elencati all'art. 9. L'instaurazione di un separato rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze dell'organizzazione sindacale, in fatto neppure accertato in sede ispettiva, doveva in ogni caso ritenersi in contraddizione con l'istituto dell'art. 31 legge 1970/n. 300, nel caso di specie applicato. La controversia sottoposta alla cognizione del giudice, ordinario, del lavoro, interessa, sotto il profilo della applicazione delle norme riguardanti gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, di cui al d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, singoli appartenenti ad una categoria di persone, lavoratori chiamati a ricoprire cariche sindacali, provinciali e nazionali, collocati in aspettativa ex art. 31 legge n. 1970/300. La riconduzione dei lavoratori in aspettativa ex art. 31 Statuto dei Lavoratori per lo svolgimento di attivita' sindacale tra le "persone assicurate" ex art. 4, d.P.R. n. 1965/1124, non appare consentita sul piano interpretativo, neppure con la migliore ispirazione adeguatrice ai valori costituzionali (piu' agevole, invece, nel caso di specie, secondo i non controversi dati dell'indagine ispettiva, l'individuazione di una "attivita' protetta" ex art. 1, d.P.R. cit.). L'art. 4, d.P.R. 1965 n. 1124 comprende nell'assicurazione in questione, in presenza di ulteriori specifici requisiti, lavoratori subordinati, lavoratori autonomi (artigiani), soci di cooperative e di ogni altro tipo di societa', anche di fatto, e altre categorie ancora, ma il sindacalista non puo' in via di interpretazione, se non del tutto creativa, ricondursi ad alcuna delle categorie dell'art. 4, che, unitamente all'esercizio delle attivita' previste dall'art. 1, specularmente individua i "datori di lavoro" soggetti all'obbligo assicurativo contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (art. 9). La tutela in questione prende in considerazione, dunque, non solo il lavoratore subordinato, ma anche quello autonomo, come il lavoro prestato in qualunque forma associativa (per l'associato in partecipazione v. l'intervento della Corte costituzionale con sent. 1992 n. 332) L'art. 5 d.lgs. 2000 n. 38 estende ora l'obbligo asscurativo per i lavoratori "parasubordinati" indicati all'art. 49, comma 2, lett. a), d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni ed integrazioni, qualora svolgano le attivita' previste dall'art. 1 del d.P.R. n. 1965/1124 o, per l'esercizio delle proprie mansioni, si avvalgano, non in via occasionale, di veicoli a motore da essi personalmente condotti. L'obbligo assicurativo sussiste anche a carico di datori di lavoro non imprenditori. La tutela prescinde, infine, secondo la configurazione del rapporto assicurativo impressa dalla Corte Costituzionale con la sent. 1990 n. 98, sulla problematica del cosiddetto "assistente contrario", dalla dipendenza o meno del lavoratore da chi esegue le lavorazioni protette. Da ultimo, l'estensione della tutela assicurativa Inail al "rischio infortunistico per invalidita' permanente derivante dal lavoro svolto in ambito domestico" (art. 7, comma 1, legge n. 493/1999) introduce un elemento di importante novita' nell'ordinamento, una innovazione "dirompente", che sottolinea una "prepotente proiezione universalistica (della tutela assicurativo-sociale apprestata dall'Inail) oltre i confini dello stesso lavoro prestato nel mercato - e' stato subito colto in dottrina - la netta cesura di qualunque legame col principio che fu posto a fondamento teorico e giustificativo dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni" (cfr. inoltre, gia' nella previsione del d.P.R. n. 1124/1963, l'ipotesi del n. 8, dell'art. 4). Attualmente, pertanto, la tendenza evolutiva dell'ordinamento positivo in materia, anche per effetto di un costante processo di estensione operato nel tempo dal giudice delle leggi, rende ancora piu' dubbie quanto a giustizia e razionalita' le esclusioni soggettive, le residuali scoperture di tutela. La crescente moltitudine delle "persone assicurate" e dei "datori di lavoro" aggrava, dunque, anzitutto sul piano della discriminatorieta', l'esclusione dalla protezione assicurativa dell'attivita' sindacale, meglio del lavoro sindacale, in qualunque forma esso si trovi ad essere svolto, ove sussista oggettivamente una condizione di parita' di rischio. Al vaglio della Corte costituzionale si ritiene pertanto di sottoporre la questione di legittimita' degli artt. 4 e 9, d.P.R. n. 1124/l965, nella parte in cui non consentono di ritenere compresi tra le "persone assicurate" e i "datori di lavoro" rispettivamente i sindacalisti e le associazioni sindacali, nell'ipotesi di svolgimento di attivita' sindacale, nelle forme della previsione dell'art. 31 legge n. 300/1970 (nel caso sottoposto alla cognizione del giudice remittente), che esponga il sindacalista al medesimo rischio delle "persone assicurate" dal "datore di lavoro". In fatto, nel caso concreto, quest'ultimo fondamentale aspetto non appare controverso. Il giudizio coinvolge, infatti, come accennato, sindacalisti, che "per l'espletamento del loro mandato sindacale avevano fatto e facevano uso di veicoli a motore personalmente condotti, non in via occasionale; personal computer, fotocopiatrici, macchine elettriche ed elettroniche, ecc.". Piu' specificamente, "durante gli accertamenti era infatti emerso che i citati lavoratori per gli spostamenti sul territorio, in funzione del loro mandato, facevano uso di autovetture proprie personalmente condotte, per cui richiedevano giornalmente il rimborso delle spese sostenute e per l'organizzazione della propria attivita' sindacale facevano uso delle attrezzature elettriche ed elettroniche della struttura provinciale della Cisl". Si tratta, dunque, di assicurare una identita' di tutela a fronte della esposizione ad un medesimo rischio, nella specie consistente nell'uso non occasionale di veicoli a motore personalmente condotti, oltre che nella adibizione a macchine e apparecchi elettrici, ed elettronici di vario tipo, uso e adibizione strettamente e direttamente professionali, coessenziali attualmente allo svolgimento dell'attivita' sindacale, muovendoci pertanto pienamente in un ambito di persistenza della categoria del rischio professionale. La situazione presenta inoltre, sebbene sia osservazione banalizzante e giuridicamente marginale, un aspetto di immediata paradossalita', verificandosi, una esclusione dalla tutela, a parita' di condizioni, proprio di quelle persone che piu' intensamente operano per l'avanzamento della tutela sociale dei lavoratori. Posta questa premessa in fatto, tuttavia, gia' abbiamo rilevato come il sindacalista e il sindacato non possano in via di interpretazione, se non del tutto sfuggente a parametri di razionale controllo, ricondursi ad alcuna delle categorie dell'art. 4, che, unitamente all'esercizio delle attivita' previste dall'art. 1, simmetricamente individua i "datori di lavoro" soggetti all'obbligo assicurativo contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (art. 9). La non assimilabilita' dell'attivita' sindacale all'attivita' lavorativa appare saldamente radicata nelle espressioni della giurisprudenza in materia (pur con varieta' di accenti e prospettive cfr. Cass. n. 4684/1982, n. 6602/1983, n. 5711/1984, n. 1220/1996). Un vuoto di tutela esiste, dunque, a fronte della esposizione a rischio dei sindacalisti ed appare da tempo apertamente ed ulteriormente contrastante con la diversa attenzione prestata con la legge-quadro 11 agosto 1991, n. 266 al volontariato, fenomeno incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro, estraneo quindi alla casistica degli artt. 4, 9 d.P.R. n. 1124/1965. L'art. 4, legge n. 266/1991 ha previsto, infatti, che le organizzazioni allo scopo istituite, assicurino i propri aderenti, che prestano attivita' di volontariato, contro gli infortuni e le malattie professionali connessi allo svolgimento dell'attivita' predetta, attraverso meccanismi assicurativi semplificati, la cui determinazione e' rimessa a decreto ministeriale. Si tratta in questo caso, dunque, di una forma di assicurazione, che si colloca al di fuori di quella obbligatoria disciplinata dal d.P.R. n. 1124/1965. Se questa estraneita' e' parsa in dottrina criticabile, anche per la possibilita' di ipotizzabili problemi di coordinamento e sovrapposizione (e cfr., infatti, la diversa tecnica adottata dalla legge 1975 n. 47 in materia di infortunio subito anche da chi interviene volontariamente durante l'opera di estinzione del fuoco o quella di salvataggio di persone o cose), a maggior ragione la scopertura di tutela nella struttura normativa del d.P.R. n. 1124/1965 dell'attivita' di chi sia chiamato a ricoprire cariche sindacali, che in ogni caso deve realisticamente definirsi attivita' lavorativa sindacale, pur estranea alle forme giuridiche della subordinazione come ad altre forme del lavoro, appare contraria ad un bisogno di tutela meritevole, nella persistente assenza di una disciplina speciale. L'assimilazione dell'attivita' sindacale ad una attivita' lavorativa, potendo pertanto non impropriamente parlarsi di lavoro sindacale e del sindacalista anche come lavoratore, deve del resto ritenersi confermata dal momento sostanzialmente "retributivo" che assiste l'attivita', meglio il lavoro predetto (sebbene il momento "retributivo", tantomeno in senso tecnico, non sia decisivo per l'individuazione dei soggetti protetti ex d.P.R. n. 1124/1965). Il lavoratore chiamato a ricoprire cariche sindacali provinciali e nazionali, collocato in aspettativa non retribuita ex art. 31 legge n. 300/1970, riceve una "indennita'" dall'organizzazione sindacale, proprio per compensare la perdita del reddito lavorativo del sindacalista, tanto che l'importo "e' generalmente corrispondente alla retribuzione di cui il lavoratore fruiva in azienda" (p. 11 ricorso. Ivi, anche: "il sindacato ha tuttavia erogato compensi a quest'ultima (retribuzione) parametrati". Confermativamente, ancora, memoria difensiva Inail, p. 6: "indennita' di carica pari all'originaria retribuzione"). Secondo altra prassi, l'indennita' di carica sindacale riceve sempre una articolata parametrazione retributiva, ma interna all'organizzazione, anche al fine di evitare situazioni di aperta disparita' tra sindacalisti in aspettativa ex art. 31, legge 1970 n. 300, sindacalisti distaccati presso il sindacato, sindacalisti veri e propri dipendenti dell'organizzazione (ipotesi che sottolinea la figura dell'organizzazione sindacale come "datore di lavoro" anche in senso giuridico-formale). Che questa indennita' non costituisca retribuzione, nel consueto argomentare tecnico-formale del giurista, e' cosa nota, ma in una prospettiva anche tecnico-sostanziale non puo' farsi a meno di osservare che l'indennita' e' corrisposta proprio perche' il sindacalista perde la retribuzione e, sostituendo una perdita retributiva, non sembra poi cosi' lontana la sottintesa percezione del diritto del sindacalista, se non ad una indennita' proporzionata alla quantita' e qualita' dell'attivita' sindacale svolta, in ogni caso ad una indennita' sicuramente sufficiente ad assicurare a se' e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa, richiamando e parafrasando il contenuto di noto precetto costituzionale. Anche il profilo del trattamento fiscale conferma le osservazioni che precedono. Sin dalla circolare 5 novembre 1982, n. 45, del Ministero delle Finanze, "l'indennita' di carica" "normalmente corrisposta in luogo della retribuzione" dalle organizzazioni sindacali ai lavoratori chiamati a ricoprire incarichi sindacali in regime di aspettativa non retribuita ex art. 31 legge n. 300/1970, venne ricompresa "in linea teorica" nell'ambito dell'art. 47, lett. b), d.P.R. n. 597/1973 (cfr. attuale art. 47, lett. b), d.P.R. n. 917/1986: "indennita' e compensi percepiti a carico di terzi dai prestatori di lavoro dipendente per incarichi svolti in relazione a tale qualita'"), optandosi peraltro "sotto il profilo pratico" per la sua riconduzione nell'ambito di "un vero e proprio rapporto di lavoro dipendente", "ai fini fiscali", "pur non ricorrendo ovviamente alcun rapporto diretto di lavoro dipendente tra sindacato e sindacalista posto in aspettativa senza retribuzione dall'azienda di appartenenza". Non si intende certo deprimere in questa visione l'attivita' e la liberta' sindacale, il suo insopprimibile valore politico-costituzionale, ma realisticamente coglierne una pacifica compresente componente lavorativa, di lavoro sindacale, un lavoro tra l'altro "retribuito" in senso lato ma assai concreto, e percepire un identico bisogno di tutela in presenza di pari esposizione a rischio. Quanto al conflitto di una soluzione impositiva di nuovi obblighi con una sorta di intagibilita' discendente dalla liberta' ed autonomia sindacale nell'ordinamento, riteniamo debba operarsi anzitutto una chiara scelta di campo in prevalente favore di diritti fondamentali della persona, non senza osservare che all'auspicata estensione di tutela conseguirebbe anche l'incentivazione ad una piu' piena esplicazione della personalita' nello specifico settore dell'impegno sindacale, ovviandosi inoltre al fenomeno di prassi difformi a seconda delle organizzazioni sindacali di appartenenza. Il "principio lavorista" della Costituzione (art. 1) non puo' che essere letto in senso ampio, comprensivo del "lavoro" inteso come forma di svolgimento della "personalita'" dell'uomo (art. 2), quindi anche nella espressione che si attua nell'attivita', meglio nel lavoro sindacale. Il sindacalista e' anche un lavoratore, che non puo' essere discriminato per questa condizione personale da altri lavoratori (art. 3). Affermare che non si tratta di un lavoraore in quanto estraneo al mondo della produzione, cui sole apparterrebbero le categorie ex artt. 4, 9 d.P.R. 1965 n. 1124, affermazione del resto giuridicamente non corretta, tanto piu' nell'attuale assetto dell'ordinamento, significa non cogliere l'intreccio funzionale tra attivita' sindacale e mondo della produzione. L'attivita' sindacale stessa deve essere ovviamente posta in ralazione al lavoro e quest'ultimo in relazione alla prima, secondo i valori costituzionali. L'attivita' sindacale, per il suo essenziale valore sociale e costituzionale, deve con decisione essere definita "lavoro" prescindendo dalla sussistenza di vincoli di subordinazione, dalla gratuita' del titolo, in sintesi dalla riconducibilita' a tradizionali categorie concettuali lavoristiche. La scopertura di tutela assicurativa qui denunciata, con specifico riferimento alle previsioni normative del d.P.R. 1965 n. 1124. artt. 4 e 9, relevanti ai fini decisori, si presta dunque ad una valutazione di non manifesta infondatezza per contrasto con le seguenti norme: a) il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), a fronte della tutela accordata in materia ad altri "lavoratori", nell'ampia accezione del termine condivisa, prestanti la propria attivita' in condizione di parita' di rischio; b) il diritto dell'individuo al pieno svolgimento della propria personalita' (art. 2 Cost.) nella forma dell'attivita' sindacale, potendo il denunciato vuoto di obbligatoria tutela assicurativa costituire ostacolo alla scelta di impegno sindacale del lavoratore, verificandosi pertanto ulteriore contrasto in relazione agli artt. 18 e 39 Cost.; c) l'art. 38, secondo comma, Cost. che garantisce alla generalizzata categoria dei "lavoratori" la previsione ed assicurazione dei mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita anche in caso di "infortunio".