LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso proposto da
Grazioli  Adriano,  nato  Reggio Emilia il 2 dicembre 1929 avverso la
sentenza 18 giugno 1999 della Corte di appello di Perugia.
    Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso.
    Udita  in pubblica udienza la relazione fatta dal consigliere dr.
Nicola   Quitadamo   essendo   stato   incaricato   della   redazione
dell'ordinanza il Consigliere dr. Aldo Fiale.
    Udito  il  Pubblico  ministero  in  persona  del dr. Wladimiro De
Nunzio  che  ha  concluso  chiedendo  la  sospensione del processo in
attesa  della  dedisione  della  Corte costituzionale, gia' investita
della questione di legittimita' dell'art. 402, cod. pen.

                          Ritenuto in fatto

    Grazioli  Adriano,  in seguito ad opposizione a decreto penale di
condanna,  veniva  tratto a giudizio del pretore di Perugia - sezione
distaccata di Assisi per rispondere del reato di cui:
        all'art.  402  cod. pen., per avere pubblicamente vilipeso la
religione  cattolica,  esponendo nella pubblica via n. 6 cartelli nei
quali si leggevano fra l'altro le seguenti frasi:
        "Sopra  la  panca  la  capra  canta, sopra la gente la chiesa
campa  -  Se il Papa vuole viaggiare si metta anche lui a lavorare" e
"Cristo  non e' risorto ma e' fuggito e dopo e' morto. La Madonna non
fu  assunta  ma seppellita su una collina a punta" - in Assisi, il 19
maggio 1993.
    Il Pretore, con sentenza 27 giugno 1995, assolveva l'imputato dal
contestato  delitto,  "perche'  il  fatto  non  costituisce  reato" e
rilevava,  in  proposito,  che  - a seguito del radicale mutamento di
disciplina  conseguente  all'approvazione  della legge 25 marzo 1985,
n. 121, esecutiva dell'accordo di modifiche al Concordato lateranense
del  18 febbraio 1984 - non essendo piu' in vigore il principio della
religione cattolica come sola religione dello Stato italiano, si pone
il problema dell'attuale vigenza, nel nostro ordinamento, della norma
incriminatrice di cui all'art. 402 cod. pen.
    Non  si  soffermava,  pero',  ad  approfondire  tale questione ed
affermava l'insussistenza dell'elemento psicologico del reato.
    Sui  gravami del p.g, e del p.m., la Corte di Appello di Perugia,
con   sentenza   18   giugno   1999,   affermava  la  responsabilita'
dell'imputato in ordine al delitto di cui all'art. 402 cod. pen. e lo
condannava alla pena ritenuta di giustizia.
    A giudizio della Corte territoriale:
        deve  ritenersi  attuale  e perdurante la vigenza della norma
incriminatrice   di   cui   all'art. 402   cod.   pen.,   "nonostante
l'introduzione  dell'art. 8  della  Costituzione  ed  il disposto del
successivo  Protocollo  addizionale alla legge 25 marzo 1985, n. 121,
secondo  il  quale  si  considera  non  piu'  in vigore il principio,
ripetutamente  richiamato  dai  Patti  Lateranensi,  della  religione
cattolica come sola religione dello Stato italiano";
        l'espressione   "religione   dello  Stato",  contenuta  nella
rubrica  dell'art. 402  cod.  pen.,  va  intesa  in  senso  meramente
descrittivo  e  costituisce semplicemente "il tramite linguistico per
mezzo  del  quale,  ora come allora (cfr. Corte cost., nn. 295/1988 e
44/1995),  viene  indicata  la religione cattolica", sicche' non puo'
ritenersi  che  la  rimozione  della  qualificazione  della religione
cattolica  come  religione  dello  Stato abbia avuto alcuna incidenza
sulla validita' della norma incriminatrice;
        la Corte costituzionale, in precedenti interventi (cfr. Corte
cost.  14  novembre  1997, n. 329), "si e' limitata a denunciare ed a
sanzionare  l'ingiusta discriminazione, a mero livello sanzionatorio,
tra  le  offese  recate  alla  religione cattolica e quelle recate ad
altre  confessioni  religiose"  e  cio' esclude la tesi dell'abolitio
criminis,  tenuto  anche  conto  che "una diversa opinione porterebbe
all'assurdo  di  lasciare  tutelate  le offese a religioni diverse da
quella cattolica e senza sanzione quelle arrecate a quest'ultima, pur
essendo,  indubbiamente, professata dalla maggior parte dei cittadini
italiani".
        nella   fattispecie   concreta,  il  contenuto  dei  cartelli
pubblicamente   esibiti   appare  consapevolmente  e  volontariamente
rivolto  "ad  irridere  dogmi del culto cattolico, quali quelli della
Resurrezione  del Cristo e dell'Assunzione della Madonna", attraverso
frasi   "sicuramente   idonee  a  vilipendere,  nei  suoi  fondamenti
basilari,  la  religione professata dalla maggior parte dei cittadini
italiani".
    Avverso  tale  sentenza ha proposto ricorso il Grazioli, il quale
ha eccepito tra l'alto:
        a)    l'abolitio    criminis   della   fattispecie   prevista
dall'art. 402 cod. pen., in seguito all'entrata in vigore dell'art. 1
del Protocollo addizionale alla legge n. 121/1985;
        b) l'illegittimita' costituzionale della norma incriminatrice
applicata,  per violazione degli articoli 3, primo comma, ed 8, primo
comma, della Costituzione.
                  Considera Questa Corte in Diritto
    1.  -  L'anzidetta eccezione di incostituzionalita' dell'art. 402
cod. pen. sollevata, con riferimento agli artt. 3, primo comma, ed 8,
primo comma, della Costituzione, sotto i profili della violazione del
principio  di  uguaglianza  senza  distinzione  di  religione  e  del
principio   di  uguale  liberta'  davanti  alla  legge  di  tutte  le
confessioni  religiose - e' senz'altro rilevante ai fini del decidere
nel presente processo, ove viene contestata all'imputato proprio tale
norma incriminatrice.

    2.  -  L'eccezione  medesima  appare  altresi  non manifestamente
infondata per le seguenti essenziali considerazioni:
        a) la Corte costituzionale, con la sentenza n. 39 del 1965 si
e'  pronunciata  nel  senso  della  non fondatezza della questione di
costituzionalita'  dell'art. 402  cod.  pen. -  con  riferimento agli
artt. 3, 8, 19 e 20 della Costituzione - affermando, tra l'altro, che
la   tutela   penale   rafforzata  della  religione  cattolica  trova
giustificazione  in  relazione  alla  maggiore ampiezza ed intensita'
delle  reazioni  sociali  alle  offese  della  religione medesima, in
quanto professata dalla maggioranza dei cittadini.
        b)  la  disposizione  incriminatrice  in  oggetto fa testuale
riferimento al vilipendio della "religione dello Stato". Tale nozione
- enunciata nell'art. 1 dello Statuto albertino, ribadita nell'art. 1
del  Trattato  del  1929  tra  la  Santa Sede e l'Italia e largamente
utilizzata  dal  codice  penale  vigente  -  e'  incompatibile con il
principio  costituzionale  fondamentale di laicita' dello Stato (come
ritenuto  dalla  stessa Corte costituzionale con le decisioni nn. 203
del  1989 e 149 del 1995) ed e' stata definitivamente superata con la
formulazione  del  punto  1 del Protocollo addizionale all'Accordo di
modifica   del   Concordato  lateranense,  recepito  nell'ordinamento
italiano  con  la  legge 25 marzo 1985, n. 121, a norma del quale "Si
considera non piu' in vigore il principio, originariamente richiamato
dai  Patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione
dello Stato italiano"
        c)  la Corte costituzionale - con le sentenze n. 925 del 1988
e  n. 440  del 1995 - ha affermato che l'espressione "religione dello
Stato", generale nelle fattispecie dei reati attinenti alla religione
previsti  dal  codice  penale,  costituisce "semplicemente il tramite
linguistico  per  mezzo del quale, ora come allora, viene indicata la
religione cattolica".
        d)  la  stessa  Consulta  - con le sentenze n. 440 del 1995 e
n. 329 del 1997 - ha posto in rilievo che:
          "secondo la visione nella quale si mosse il legislatore del
1930,  alla  Chiesa  ed  alla religione cattolica era riconosciuto un
valore  politico,  quale fattore di unita' morale della nazione. Tale
visione,  oltre  a trovare riscontro nell'espressione religione dello
Stato,  stava alla base delle numerose norme che, anche al di la' dei
contenuti  e  degli  obblighi  concordatari,  dettavano discipline di
favore  a  tutela della religione cattolica, rispetto alla disciplina
delle  altre confessioni religiose, ammesse nello Stato. Questa ratio
differenziatrice   certamente   non   vale   piu'   oggi,  quando  la
Costituzione  esclude che la religione possa considerarsi strumentale
rispetto alle finalita' dello Stato e viceversa (sentenze nn. 334 del
1996 e 85 del 1963, nonche' n. 203 del 1989)";
          la giurisprudenza del giudice delle leggi ha abbandonato da
tempo  il  criterio  (c.d.  quantitativo) secondo il quale una tutela
privilegiata  della  religione  cattolica  avrebbe trovato fondamento
sulla  speciale preminenza della stessa rispetto alle altre religioni
in  quanto  essa  "e',  per antica ed ininterrotta tradizione, quella
professata dalla quasi totalita' dei cittadini" (sentenze nn. 125 del
1957,  79  del 1958 e 14 del 1973) e, nella sentenza n. 925 del 1988,
e'  stato  affermato  che deve considerarsi "ormai inaccettabile ogni
tipo  di discriminazione (che si basi) soltanto sul maggiore o minore
numero  degli  appartenenti alle varie confessioni religiose" mentre,
nella sentenza n. 440 del 1995, e' stato specificato che "l'abbandono
del criterio quantitativo significa che, in materia di religione, non
valendo il numero, si impone ormai la pari protezione della coscienza
di  ciascuna  persona  che si riconosce in una fede, quale che sia la
confessione religiosa di appartenenza";
          con  la  sentenza  n. 329 del 1997, infine, ancora la Corte
costituzionale   ha  precisato  che  "la  protezione  del  sentimento
religioso  e'  venuta ad assumere il significato di un corollario del
diritto  costituzionale  di  liberta'  di  religione, corollario che,
naturalmente,   deve   abbracciare   allo  stesso  modo  l'esperienza
religiosa  di  tutti  coloro  che  la  vivono,  nella  sua dimensione
individuale e comunitaria, indipendentemente dai diversi contenuti di
fede  delle  diverse  confessioni.  Il  superamento  di questa soglia
attraverso  valutazioni  e  apprezzamenti legislativi differenziati e
differenziatori,  con  conseguenze  circa  la  diversa  intensita' di
tutela,  infatti,  inciderebbe sulla pari dignita' della persona e si
porrebbe  in  contrasto col principio costituzionale della laicita' o
non-confessionalita'  dello  Stato...:  principio che, come si ricava
dalle  disposizioni  che  la  Costituzione  dedica  alla materia, non
significa indifferenza di fronte all'esperienza religiosa ma comporta
equidistanza  e  imparzialita' della legislazione rispetto a tutte le
confessioni religiose".

        3. - Alla  stregua  delle  anzidette considerazioni: ritenuto
che  la  privazione,  per  la confessione cattolica, del carattere di
religione  di  Stato,  operata dal punto 1 del Protocollo addizionale
dell'Accordo  del  1984,  ha riportato la stessa nell'alveo, definito
dall'art. 3 della Costituzione, di una pari dignita' nei confronti di
ogni altra istanza religiosa;
        la  Corte  costituzionale  in  piu'  occasioni  ha rivolto al
legislatore  l'invito  a  rimuovere  la  ingiustificata differenza di
tutela penale della religione cattolica e degli altri culti;
        il  reato  di vilipendio alla religione dello Stato evidenzia
profili  di  discriminazione fra confessioni religiose e, quindi, tra
le diverse espressioni del sentimento religioso;
        si  impone  un  giudizio  di  legittimita' dell'art. 402 cod.
pen. da  parte  della  Corte  costituzionale  (gia'  investita  della
medesima  questione  con  ordinanza  5  novembre  1998  di questa III
sezione,  pubblicata  nella  Gazzetta Ufficiale - 1a serie speciale -
n. 10 del 10 marzo 1999), alla quale vanno immediatamente rimessi gli
atti,  previa  sospensione  del  giudizio  in  corso,  secondo quanto
dispone  l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, con le ulteriori
incombenze di legge.