LA CORTE D'APPELLO

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel procedimento civile
introdotto  con  reclamo  depositato  il  22  settembre 2000 da D. M.
avverso  il  provvedimento del tribunale per i minorenni di Torino 18
luglio  2000,  depositato  il  6  settembre  2000, che, a mente degli
artt. 330,  333  e  336  del  codice civile dichiarava B. A. decaduto
dalla  potesta'  parentale  sul  figlio D. B. A. (nato a Torino il 22
dicembre 1993), disponeva che D. B. A. a cura del servizio sociale in
collaborazione  con  il  servizio di neuropsichiatria infantile fosse
inserito   in   affidamento   familiare   riservando  al  seguito  la
determinazione  della durata dell'intervento, autorizzava i familiari
ad  incontrare  il  minore  ogni  quindici giorni con facolta' per il
servizio sociale di modificare tale cadenza in rapporto alle esigenze
del minore medesimo;
    Considerato che con il reclamo D. M. ha sollevato anche eccezione
di  incostituzionalita'  della  disciplina  della  comunicazione alle
parti dei decreti camerali nel solo testo del dispositivo;
    Rilevato  che in data 13 dicembre 2000 il procuratore generale ha
espresso   parere   che   l'eccezione   di   incostituzionalita'  sia
irrilevante nel caso concreto e, nel merito, che il reclamo non debba
essere accolto;

                            O s s e r v a
    1. - Con  decreto 12 ottobre 1999, depositato il 4 novembre 1999,
assunto  nel  procedimento n. 1642/1998, il tribunale per i minorenni
di  Torino disponeva per il minore D. B. A., affidato ex art. 317-bis
del codice civile alla madre D. M., fosse posto in affidamento diurno
presso    una    famiglia   disponibile;   nel   contempo,   aderendo
all'iniziativa   del   pubblico   ministero,   disponeva  aprirsi  un
procedimento per la decadenza dalla potesta' genitoriale del padre B.
A.
    Nel  nuovo procedimento che ne seguiva, rubricato al n. 1959/1999
e  con  oggetto  "decadenza  potesta'",  il giudice onorario delegato
procedeva  alla  convocazione  del  solo padre B. A., il quale non si
presentava a rispondere. Nel fascicolo figura da un appunto che il 17
novembre  1999  la  madre D. M. e la nonna materna avevano chiesto di
essere  sentite  dal  giudice  onorario  delegato, senza che a questa
richiesta abbia fatto seguito la loro convocazione.
    Dopo  l'acquisizione  di  informazioni  dai servizi, il 12 giugno
2000  gli  atti  venivano  trasmessi  al  pubblico  ministero perche'
esprimesse  il parere su un affidamento eterofamiliare del minore; e,
al  loro  ritorno,  il  21  giugno 2000 erano ritrasmessi al pubblico
ministero  per  il  parere sulla decadenza dalla potesta' del padre e
per  un  nuovo  parere  sull'affidamento  eterofamiliare  del minore.
All'esito  ditali  pareri, espressi dal pubblico ministero in data 13
giugno  2000  e  22  giugno 2000, il tribunale per i minorenni con il
decreto  18  luglio  2000,  depositato  solo  il  6  settembre  2000,
dichiarava  il  padre  B.  A.  decaduto  dalla  potesta'  e disponeva
l'affidamento eterofamiliare del bambino, allontanandolo quindi dalla
madre  affidataria  e  dai  nonni materni con cui viveva, consentendo
alla  madre  e agli altri familiari di incontrarlo solo ogni quindici
giorni.
    Il  decreto e' stato comumcato per esteso al pubblico ministero e
al  giudice  tutelare  e  notificato  per  esteso  al servizio per le
tossicodipendenze,   al   servizio   sociale   e   al   servizio   di
neuropsichiatria  infantile.  Invece  alla  madre  D.  M.  in data 19
settembre  2000  e'  stato  notificato  solo il dispositivo mentre la
notifica al padre B. A. non risulta ancora avvenuta.
    Contro tale decreto e contro la forma della sua notifica D. M. ha
proposto reclamo depositato il 22 settembre 2000, con cui chiede:
        a)  dichiarare  l'inefficacia  o  l'inesistenza  del decreto,
perche' comunicato senza motivazione;
        b) sospendere l'applicazione del provvedimento;
        c)  dichiarare  non  manifestamente infondate le eccezioni di
illegittimita'  costituzionale  degli artt. 133, 136 e 739 del codice
di  procedura  civile  in  riferimento  agli artt. 2, 3, 13, 24 e 111
della  Costituzione  nella parte in cui prevedono che i provvedimenti
pronunciati  in  camera  di consiglio dal tribunale per i minorenni e
reclamabili  nel termine perentorio di dieci giorni dal decreto siano
comunicati  alle  parti  private  soltanto  nel dispositivo e non per
esteso;
        d) in ogni caso riformare il provvedimento impugnato.
    2. - Cio'  posto,  questa Corte deve chiedersi preliminarmente se
la  questione  proposta di incostituzionalita' della disciplina della
comunicazione   in   forma   abbreviata   dei   decreti  assunti  nei
procedimenti   camerali   ablativi   e  modificativi  della  potesta'
genitoriale  sia rilevante per la decisione e, nell'ipotesi positiva,
se sia non manifestamente infondata.
    Come  e' noto, nella classificazione della dottrina, la categoria
dei  provvedimenti  camerali  ablativi  o modificativi della potesta'
genitoriale   comprende   i  procedimenti  relativi  alla  decadenza,
all'assunzione    di    provvedimenti   opportuni,   alla   rimozione
dall'amministrazione    (artt. da   330   a   335   codice   civile),
all'esercizio  della potesta' sui figli naturali (art. 337-bis codice
civile),   all'inserimento   nella   famiglia  legittima  del  figlio
adulterino  (art. 252  codice civile), all'attribuzione del potere di
decidere  ad uno dei genitori (art. 316, ultimo comma, seconda parte,
codice  civile), all'affidamento familiare non consensuale (artt. 4 e
5   legge   4   maggio  1983,  n. 184),  ai  provvedimenti  opportuni
nell'interesse  del  minore  (artt. 10,  16 e 23 legge 4 maggio 1983,
n. 184)  e  ai  provvedimenti  urgenti  a  protezione  del  minorenne
imputato (artt. 32, comma 4, e 33, comma 4, d.P.R. 22 settembre 1988,
n. 448).
    La normativa molto sommaria che disciplina questi procedimenti e'
dettata dall'art. 336 codice civile e dagli articoli da 737 a 742-bis
del   codice  procedura  civile.  In  particolare  l'art. 737  codice
procedura  civile  dispone che i provvedimenti hanno forma di decreto
motivato. Si tratta di uno di quei casi di motivazione prevista dalla
legge  in  deroga al principio dettato dall'art. 135, comma 4, codice
procedura   civile  ("il  decreto  non  e'  motivato,  salvo  che  la
motivazione   sia   prescritta   espressamente  dalla  legge")  e  in
conformita' all'art. 111, settimo comma, della Costituzione ("tutti i
provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati").
    Meno  chiara  e'  invece  la  disciplina  del  modo  con  cui  il
provvedimento  assunto  in  questi procedimenti viene fatto conoscere
alle  parti interessate. L'art. 739, comma 2, codice procedura civile
prevede  la  comunicazione del decreto se e' dato in confronto di una
sola  parte  o  la  sua notificazione se e' dato in confronto di piu'
parti.   E   poiche'  la  dottrina  ritiene  normalmente  che  questi
procedimenti   camerali   ablativi   o  modificativi  della  potesta'
genitoriale  siano  bi  e/o plurilaterali, si potrebbe pensare ad una
notificazione  dell'intero decreto alle parti e al pubblico ministero
ex art. 137 codice procedura civile.
    In  realta'  risulta  che i tribunali per i minorenni, fra cui il
tribunale   per   i   minorenni   di  Torino,  come  si  legge  nella
"comunicazione di provvedimento" 12 settembre 2000 alla signora D. M.
nel  presente  giudizio,  comunicano  non l'intero decreto ma solo il
dispositivo,   a   mente   dell'art. 136   codice  procedura  civile,
consegnando   il   biglietto   di   cancelleria   al  destinatario  o
disponendone la notifica da parte dell'ufficiale giudiziario, e dalla
data  di  questa  comunicazione  del  dispositivo  fanno decorrere il
termine  perentorio  di  dieci giorni decorso il quale, in assenza di
reclamo,  il  decreto acquista efficacia ex art. 741, comma 1, codice
procedura civile.
    A  sostegno  di  quest'ultima  interpretazione,  che  costituisce
diritto vivente, vengono addotti comunemente i seguenti argomenti:
        a)   proprio   perche'   presupponeva  la  comunicazione  con
biglietto  di  cancelleria  del  solo dispositivo dei decreti e delle
sentenze,  il  legislatore ha disposto negli artt. 15 terzo comma, 16
secondo  comma,  17  terzo  comma della legge 4 maggio 1983 n. 184 la
notifica di ufficio del decreto e della sentenza di adottabilita' nel
testo   integrale,   mentre   manca   una  tale  disposizione  per  i
provvedimenti  opportuni nell'interesse del minore adottati nel corso
della  stessa  procedura  di  adottabilita'  (artt. 10, secondo comma
segg.  legge  4  maggio  1983,  n. 184) e per i provvedimenti assunti
negli  altri  procedimenti  camerali  ablativi  o  modificativi della
potesta'.
        b)  la  notifica  del  decreto  per intero arrecherebbe danno
all'erario  perche'  la  parte  privata,  venendo  a conoscenza della
motivazione,  non  richiederebbe piu' alla cancelleria il rilascio di
una  copia integrale del decreto evitando il pagamento dei diritti di
copia.
        c)  per  le  sentenze,  cui  i  decreti  motivati  ablativi o
modificativi   della  potesta'  genitoriale  sarebbero  assimilabili,
l'art. 133,   comma   2,  codice  procedura  civile  prevede  che  il
cancelliere ne dia notizia alle parti che si sono costituite in forma
abbreviata  mediante  biglietto  di  cancelleria  contenente  il solo
dispositivo.
    3. - Cosi'  chiariti i termini del problema, nella fattispecie in
esame   e'   sicuramente   rilevante  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 739,  comma  2,  codice procedura civile in
relazione  all'art. 136  codice  procedura civile, nella parte in cui
nel  diritto  vivente tali norme prevedono modalita' di comunicazione
del  solo  dispositivo  dei  decreti  dei  tribunali  per i minorenni
assunti  nei  procedimenti  camerali  ablativi  e  modificativi della
potesta' genitoriale.
    Infatti  D.  M.,  che  precedentemente  non  era  stata informata
formalmente  dal  tribunale  per  i  minorenni di Torino che fosse in
corso   un  procedimento  per  valutare  se  la  sua  condotta  fosse
pregiudizievole  per il figlio, ha ricevuto il 19 settembre 2000 solo
la  notifica  della  comunicazione  del  dispositivo  del decreto che
dichiarava   la   decadenza   del  padre  dalla  potesta',  disponeva
l'allontanamento  del  figlio da lei e le consentiva di fargli visita
ogni quindici giorni, senza potere conoscere da tale comunicazione le
ragioni  del  provvedimento e senza, quindi, essere in condizione nel
termine  brevissimo  di  dieci  giorni  di  preparare  un reclamo che
tenesse  conto  dei  motivi  per cui il figlio le veniva allontanato.
Pertanto  la  reclamante,  non essendo a conoscenza della motivazione
del  provvedimento, nel reclamo in esame si e' limitata a proporre la
questione  di  costituzionalita' senza potere sviluppare le difese di
merito.
    In  passato  questa  sezione  per  i  minorenni,  quando le parti
reclamanti  adducevano come motivo di nullita' la loro impossibilita'
concreta  di  proporre  nei  termini  brevissimi  un reclamo motivato
contro  un  provvedimento  di  cui  non  avevano  potuto conoscere le
ragioni   attraverso   la   motivazione,  aveva  disposto  che  fosse
rilasciata  loro  copia  integrale del decreto e concesso termine per
completare  con  una  memoria le difese, cosi' sanando le situazioni:
cosi'  e'  avvenuto quando D. M. ha impugnato, anche sotto il profilo
della   comunicazione  del  solo  dispositivo  e  dell'impossibilita'
conseguente  di difendersi, il precedente decreto del tribunale per i
minorenni  12  ottobre  -  4  novembre  1999 assunto nel procedimento
1642/1998 v. g. T.M. Pare pero' giusto che, attesa la rilevanza della
questione e la frequenza con cui viene riproposta dai difensori con i
motivi  di impugnazione, sia la Corte costituzionale a valutare se le
attuate  modalita'  di comunicazione del solo dispositivo del decreto
negli  accennati  procedimenti  siano  addirittura costituzionalmente
illegittime.
    4. - Oltre  che rilevante, la questione non appare manifestamente
infondata  perche'  la  disciplina  legislativa dettata dal combinato
disposto  degli artt. 739, comma 2, e 136 del codice procedura civile
(oltre  che  dell'art. 741,  comma 1, codice procedura civile, per il
rinvio   che   fa   all'art. 739  codice  procedura  civile)  secondo
l'interpretazione  che  viene  data nel diritto vivente praticato dai
tribunali  per i minorenni, sembra contrastare per alcuni aspetti con
i principi della Costituzione.
        a)  innanzitutto non c'e' una spiegazione convincente perche'
le   parti   non  debbano  conoscere  con  il  dispositivo  anche  la
motivazione del decreto ablativo o limitativo della loro potesta'. La
procedura  di  comunicazione  alle  parti costituite con biglietto di
cancelleria  del solo dispositivo ha una sua ragione per la sentenza,
perche'  tale  comunicazione  serve per mettere in moto le successive
notifiche  della  sentenza  su  impulso  della parte piu' diligente e
perche' dalle notifiche della sentenza (e non dalla comunicazione del
suo  dispositivo)  decorre  normalmente  il  termine  breve di trenta
giorni  per impugnare. Invece nel caso di decreto motivato ablativo o
limitativo  della potesta' difetta una fase successiva di notifiche a
cura  di parte e il termine perentorio di dieci giorni entro il quale
proporre  il reclamo decorre dalla comunicazione del decreto, sicche'
proprio  per  questo  motivo  sorge  la necessita' che il decreto sia
conosciuto   subito  nella  sua  interezza.  Sotto  tale  profilo  la
disciplina   denunciata   sembra  contrastare  con  il  principio  di
ragionevolezza,  che trova fondamento nell'art. 3, primo comma, della
Costituzione,    e    con    il    principio   del   buon   andamento
dell'amministrazione,  assicurato  dall'art. 97,  primo  comma, della
Costituzione.
        b) fondando,  in  particolare, il sindacato di ragionevolezza
sul  parametro  rappresentato  dalla  normativa che regola situazioni
analoghe,  appare arbitraria e priva di una razionale giustificazione
la  diversita'  della disciplina che si ha con la notifica di ufficio
nel  testo  integrale del decreto e della sentenza di adottabilita' a
mente  degli  artt. 15 terzo comma, 16 secondo comma e 17 terzo comma
della  legge  4  maggio 1983 n. 184, rispetto alla comunicazione alle
parti  private  del solo dispositivo per i provvedimenti limitativi o
ablativi   della   potesta',   con  conseguente  maggiore  o  ridotta
possibilita' di esercitare una efficace difesa in situazioni che sono
sostanzialmente simili.
    Infatti,  mentre  nella  procedura  di adottabilita', che e' piu'
garantita,  la  parte  ha  trenta  giorni  di  tempo per impugnare il
decreto  o  la  sentenza  a  partire  dalla  notifica della copia del
provvedimento  comprensiva  della  sua  motivazione, nei procedimenti
ablativi  o limitativi della potesta' la parte ha un termine di dieci
giorni  per  ricorrere,  termine  che decorre dalla notifica del solo
dispositivo   perfino   nei   casi  di  urgente  necessita',  di  cui
all'art. 336,  comma  3,  codice  civile,  in  cui la parte stessa in
precedenza  non  era  stata  posta  a conoscenza dell'esistenza di un
procedimento o non era stata sentita, senza percio' potere conoscere,
dal solo dispositivo, le ragioni della decisione.
    Orbene,  se  e'  vero  che l'equiparazione normativa di condotte,
situazioni  o  rapporti  diversi  rientra  nella discrezionalita' del
legislatore,   la   particolare   disciplina   delle   modalita'   di
comunicazione dei decreti limitativi o ablativi della potesta' appare
palesemente  irragionevole in riferimento al principio costituzionale
di uguaglianza ed e' sindacabile dalla Corte costituzionale.
        c)  la  disciplina  in  esame  appare  contrastare  anche con
l'art. 24,  secondo  comma,  della Costituzione per una compressione,
che non appare razionale, della possibilita' di difesa.
    La  giurisprudenza della Corte costituzionale ha piu' volte preso
in   considerazione   la  questione  dei  termini  perentori  per  la
proposizione   di  domande  giudiziali  o  per  la  presentazione  di
impugnazioni o reclami, valutandone la congruita' in relazione ad una
durata  che  deve  essere  adeguata  all'attivita' posta a carico del
soggetto interessato a chiedere la tutela giurisdizionale del proprio
diritto.  E'  infatti  evidente  che con un termine irragionevolmente
breve  la  garanzia dell'azione sarebbe di fatto destinata a rimanere
inoperante.
    Orbene  nei  procedimenti  camerali modificativi o ablativi della
potesta' genitoriale il termine di dieci giorni per proporre reclamo,
o  in  assenza  di  reclamo per fare acquistare efficacia al decreto,
puo'  apparire  congruo  quando  decorra  dalla completa conoscenza o
conoscibilita'  del  decreto  completo  della motivazione in modo che
l'interessato possa utilizzare integralmente il tempo assegnatogli.
    Il  termine  diventa  invece  insufficiente  se  la parte deve in
questo  intervallo  rivolgersi alla cancelleria per ottenere la copia
per  esteso  del  decreto. Cio' e' particolarmente evidente quando la
comunicazione  del  dispositivo  con  biglietto  di cancelleria viene
fatta  a persona dimorante in un'altra regione e all'estero, la quale
nell'intervallo  di  dieci  giorni  deve  contattare eventualmente un
difensore,  trasferirsi presso la sede del tribunale per i minorenni,
richiedere  e ottenere con procedura di urgenza la copia del decreto,
prima  di  potere  redigere  il reclamo motivato e quindi depositarlo
presso  la  cancelleria  della sezione per i minorenni della corte di
appello.
    La  questione  di  costituzionalita'  per  lesione del diritto di
difesa  del  combinato  disposto  degli  artt. 739, comma 2 e 741 del
codice   procedura   civile  nei  procedimenti  camerali  ablativi  e
modificativi  della potesta' genitoriale si pone pertanto anche sotto
il profilo dell'incongruita' della previsione che il termine di dieci
giorni  per  proporre  reclamo,  oltre  il  quale  termine il decreto
diviene efficace, debba decorrere dalla comunicazione al destinatario
del  decreto  con  la  forma abbreviata del biglietto di cancelleria,
anziche'  dalla  sua  effettiva  completa  conoscenza  attraverso  la
notificazione  di copia per esteso conforme all'originale nelle forme
dell'art. 137 del codice di procedura civile.
        d) il sospetto di illegittimita' costituzionale si pone anche
sotto  il  profilo della violazione del principio della condizione di
parita'  delle  parti  affermato  dall'art. 111, secondo comma, della
Costituzione.  Come  e' avvenuto anche nella fattispecie in esame, il
decreto  del  tribunale  per  i  minorenni  viene comunicato in copia
integrale  al  pubblico ministero (e ai servizi) mentre e' comunicato
alle  parti  private  nel  solo  dispositivo. In questo modo c'e' una
conoscibilita'  ab  inizio  della  motivazione per la parte pubblica,
mentre  la  motivazione diviene conoscibile per le parti private solo
quando,  a  seguito  di domanda, la cancelleria abbia loro rilasciato
una  copia. In questo modo il periodo di dieci giorni opera nella sua
pienezza  per  il  pubblico  ministero,  mentre la parte privata puo'
motivare  il reclamo nel termine piu' ridotto che decorre dal momento
in cui la cancelleria le abbia rilasciato copia del decreto.
        e)  la  contrarieta' di siffatta disciplina alla Costituzione
potrebbe   riferirsi   anche   all'art. 111,   sesto   comma,   della
Costituzione.  La  motivazione  dei provvedimenti giurisdizionali non
costituisce  un fatto interno del giudice ma e' rivolta alle parti in
condizione  di  parita';  essa  deve  dunque  essere  portata  a loro
conoscenza  subito, senza possibilita' di limitare tale conoscenza al
dispositivo  se  non  quando - come per le sentenze - sia previsto un
meccanismo successivo di notifiche a cura della parte piu' diligente.
    5. - La  Corte  ritiene  rilevanti per la risoluzione del reclamo
anche  altre  questioni di costituzionalita', che solleva di ufficio,
relative  alla  disposizione  dell'art. 336,  commi 2 e 3, del codice
civile.
    Poiche'  il procedimento del tribunale per i minorenni aveva come
oggetto la decadenza del padre B. A. dalla potesta' sul figlio D. B.,
il  tribunale  per  i  minorenni  facendo applicazione dell'art. 336,
comma  2,  ultima parte del codice civile ha convocato, per sentirlo,
solo  il  genitore contro cui il provvedimento era richiesto, e cioe'
lo  stesso padre B. A. Non e' stata invece informata e convocata, ne'
in  proprio  ne'  quale legale rappresentante del figlio esercente la
potesta' ex art. 317-bis codice civile, la madre D. M. che pure aveva
richiesto  di  essere sentita. Quest'ultima ha poi presentato reclamo
contro il decreto del tribunale per i minorenni 18 luglio-6 settembre
2000  nella  sua  integralita',  compresa  dunque  la disposizione di
decadenza della potesta' dell'altro genitore.
    Questo  essendo il tema della decisione, la Corte si chiede se la
disciplina  dei  procedimenti  camerali ablativi e modificativi della
potesta'  genitoriale  dettata dall'art. 336, comma 2, codice civile,
che  impone un contraddittorio cosi' limitato, sia costituzionalmente
legittima. Ditale legittimita' puo' dubitarsi sotto tre profili:
        a)  nella  parte  in cui la norma non prevede che sia sentito
anche il genitore contro cui il provvedimento non e' richiesto (nella
specie  ci  si  chiede se, nell'interesse del minore, sulla decadenza
della   potesta'  del  padre  dovesse  essere  sentita,  attuando  un
contraddittorio formale, anche la madre D. M.);
        b)  nella  parte in cui non prevede che sia sentito il minore
che  abbia  compiuto  gli  anni dodici o, se opportuno, anche di eta'
inferiore,   e   che  sia  sentito,  in  ogni  caso,  il  suo  legale
rappresentante;
        c)  nella  parte  in cui non prevede a pena di nullita' che i
genitori,  in  proprio e quali legali rappresentanti del figlio, e il
figlio che abbia compiuto gli anni dodici, siano sentiti.
    Quanto   al   primo   profilo,   si  rileva  che  la  limitazione
dell'obbligo  di  ascolto  ad  un genitore aveva un significato nella
redazione  dell'art. 336  codice  civile  anteriore  alla riforma del
diritto  di  famiglia  del 1975, quando un solo genitore (di norma il
padre) era titolare della potesta' e quindi soggetto alla limitazione
di  detta  potesta'.  Essa  non  si  giustifica  piu' in un regime di
potesta'  congiunta  e  paritaria,  in  cui  alla  decadenza  o  alla
limitazione  della  potesta'  di un genitore corrisponde una maggiore
pienezza  della  potesta'  dell'altro  genitore.  In particolare puo'
ravvisarsi  un  possibile  contrasto  di  una  disposizione  che  nei
procedimenti  limitativi o ablativi della potesta' disponga l'ascolto
di  un  solo genitore con alcune disposizioni della Costituzione o di
convenzioni  internazionali che esprimono il principio costituzionale
della protezione della gioventu':
        a)   con   l'art. 3,  primo  comma,  della  Costituzione  per
violazione del principio di uguaglianza fra i genitori;
        b)  con  l'art. 3,  primo  comma,  della  Costituzione per la
disciplina  irragionevolmente  diversa  rispetto  a  quella contenuta
nell'art. 10,  quinto comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184, norma
che  per  i  provvedimenti limitativi o sospensivi della potesta' nel
corso del procedimento di adottabilita' impone l'audizione preventiva
di entrambi i genitori e, se, e', del tutore;
        c)  con  l'art. 24,  secondo  comma,  della  Costituzione per
violazione del diritto di autodifesa, con facolta' di farsi assistere
da  un  difensore,  del  genitore  non  sentito  e,  quindi,  neppure
informato della procedura;
        d)  con  l'art. 30,  primo comma, della Costituzione, perche'
esclude   un  genitore  dalla  possibilita'  di  intervenire  in  una
procedura  relativa  ai  doveri  e  diritti  dell'altro  genitore  di
mantenere, istruire ed educare i figli;
        e)  con l'art. 111, primo e secondo comma, della Costituzione
perche'  non  prevede un contraddittorio tra le parti, i due genitori
in proprio e quali legali rappresentanti del figlio, in condizioni di
parita', davanti ad un giudice terzo e imparziale;
        f)  con l'art. 18, comma 1, della Convenzione sui diritti del
fanciullo  di  New  York  del  20  novembre  1989,  ratificata e resa
esecutiva  con  legge  27  maggio 1991, n. 176, che impegna il nostro
Stato  a  riconoscere  nella legislazione il principio che entrambi i
genitori   hanno  una  responsabilita'  comune  per  quanto  riguarda
l'educazione  del  fanciullo e il provvedere al suo sviluppo, sicche'
appare  conseguente  che  nel  procedimento relativo alla limitazione
della potesta' di uno di essi entrambi debbano essere sentiti.
    6. - Anche  la  questione  se sia costituzionalmente legittima la
mancanza  di  una previsione dell'ascolto del figlio minore in questi
procedimenti  limitativi  o  ablativi  della  potesta'  appare  nella
fattispecie  in esame rilevante. Infatti, pur avendo il giudizio come
oggetto  la  sottrazione del figlio D. B. A. dalla potesta' del padre
B.  A., non sono stati sentiti ne' il minore (peraltro la sua eta' di
non  ancora  sette  anni  poteva  fare  ritenere  ancora  inopportuno
l'ascolto   diretto)   ne'   l'altro   genitore   quale   suo  legale
rappresentante  essendone  affidatario  ex  art. 317-bis  del  codice
civile.
    Attesa  questa  rilevanza  nel  caso concreto, la questione della
legittimita'  costituzionale  della mancata previsione nell'art. 336,
comma  2, del codice civile, dell'ascolto del minore nei procedimenti
camerali  ablativi  o  limitativi della potesta' genitoriale va posta
nella sua completezza, con riferimento sia al minore gia' grandicello
che  dovrebbe  essere  ascoltato  direttamente  dal  giudice,  sia al
bambino piu' piccolo per il quale si puo' pensare all'ascolto tramite
rappresentante.
        a)  prima facie la mancata previsione dell'ascolto del minore
contrasta  con  il principio di protezione della gioventu', contenuto
negli  artt. 2  e  31,  secondo  comma, della Costituzione, di cui e'
un'espressione  l'ascolto  del minore previsto dall'art. 12, comma 2,
della  Convenzione  sui  diritti  del  fanciullo  di  New York del 20
novembre  1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991,
n. 176:  ascolto  che  deve  avvenire in ogni procedura giudiziaria e
amministrativa  che  concerna un minore e che puo' essere attuato sia
direttamente, sia mediante un rappresentante o un organo appropriato.
Il bambino, precisa il primo comma dell'art. 12 di detta Convenzione,
quando   sia   capace   di  discernimento  ha  diritto  di  esprimere
liberamente  la  sua opinione in ogni questione che lo interessa e le
sue opinioni devono esser prese debitamente in considerazione tenendo
conto  della  sua  eta'  e  del  suo  grado  di  maturita'. L'ascolto
giudiziario  del  minore  costituisce  anche  lo strumento necessario
perche'  il  giudice,  nella valutazione dell'eventuale situazione di
pregiudizio, possa considerare se i genitori esercitano i loro doveri
"tenendo  conto  delle  capacita', dell'inclinazione naturale e delle
aspirazioni dei figli" (art. 147 codice civile).
        b)  un  altro profilo di incostituzionalita' della disciplina
dell'art. 336,  comma  2,  del  codice  civile  nella  parte dove non
prevede  l'ascolto  del minore, per il suo contrasto con il principio
di  ragionevolezza  di  cui  all'art. 3, primo e secondo comma, della
Costituzione,  emerge  fondando  il  sindacato  di ragionevolezza sul
parametro   rappresentato   dalla  normativa  che  regola  situazioni
analoghe.
    Si  fa  riferimento  in  particolare  alla disciplina dettata nel
corso  della  procedura  di  adottabilita'  per  "ogni  provvedimento
temporaneo  nell'interesse  del  minore", compresa la sospensione dei
genitori  dalla potesta', dall'art. 10, secondo e quarto comma, della
legge 4 maggio 1983, n. 184. Essa prevede che prima del provvedimento
-  fatta  eccezione  per il caso di urgente necessita' - il tribunale
per  i  minorenni  debba  sentire  il minore che ha compiuto gli anni
dodici e, se opportuno, anche il minore di eta' inferiore.
    Apparendo  dunque  razionale  che, per adottare dei provvedimenti
con  lo  stesso  contenuto  (prescrizioni,  allontanamento, rimozione
dalla  potesta'),  debbano valere le medesime garanzie di ascolto del
minore,  che  sono  dirette  alla  migliore  considerazione  del  suo
interesse,  non  appare  infondato il sospetto di incostituzionalita'
dell'art. 336,  comma  2,  del  codice  civile nella parte in cui non
prevede  che  in  ogni  caso  (anche  al di fuori di una procedura di
adottabilita')  il  minore  che  abbia compiuto gli anni dodici e, se
opportuno,  anche  di eta' inferiore sia sentito e che siano sentiti,
quali  suoi  legali  rappresentanti e protettori naturali, i genitori
nonche', se c'e', il tutore.
        c)   la   norma  in  esame  sembra  inoltre  contrastare  con
l'art. 111,  primo  e secondo comma, della Costituzione non essendoci
un  giusto  processo dove il minore nelle procedure che lo riguardano
non  sia  sentito,  sia  direttamente  se ha gia' un'eta' appropriata
(quale  l'eta'  di  dodici anni stabilita dall'art. 10, quarto comma,
della  legge  4 maggio 1983, n. 184) sia indirettamente attraverso un
suo   legale   rappresentante,   cosi'  attuando  un  contraddittorio
sostanziale  in  cui  le  sue  aspirazioni  possano  essere  prese in
considerazione.  Anche  se il minore non puo' essere ritenuto "parte"
formale,  appare opportuno che la Corte costituzionale affermi che il
principio   del  contraddittorio  consacrato  dall'art. 111,  secondo
comma,  della  Costituzione  va  attuato  anche  per  il minore nelle
procedure   camerali   che  lo  riguardino  attraverso  la  modalita'
dell'ascolto.
    7. - Quanto  sopra  considerato  conduce  infine a chiedersi, con
riferimento  ancora  agli artt. 2, 3 secondo comma, 24 secondo comma,
30  primo  comma,  111  primo e secondo comma, della Costituzione, se
l'art. 336, comma 2, del codice civile non sia incostituzionale anche
nella  parte  in  cui  non  prevede  a pena di nullita' rilevabile di
ufficio che i genitori e il minore che abbia compiuto gli anni dodici
siano sentiti.
    Se infatti si afferma che il principio del contraddittorio di cui
all'art. 111   della  Costituzione  vale  anche  per  i  procedimenti
camerali  ablativi  o  limitativi  della  potesta',  il solo modo per
assicurarne  la  attuazione  e'  la  previsione  della  nullita'  del
provvedimento nell'ipotesi di inadempimento.
    8. - La  Corte  ritiene  rilevanti per la risoluzione del reclamo
anche  altre  questioni di costituzionalita', che solleva di ufficio,
relative alla disposizione dell'art. 336, commi 3, del codice civile,
che   il   Tribunale  per  i  minorenni  ha  applicato  per  disporre
l'allontanamento del minore D. B. A. dalla madre affidataria D. M.
    Poiche'  in questo caso, ritenuto implicitamente che si trattasse
di un caso di urgente necessita', il tribunale per i minorenni non ha
sentito  i  genitori  e  non ha stabilito la durata del provvedimento
temporaneo  (riservando  ad  un  seguito non precisato la valutazione
della   durata   dell'affidamento   familiare),   e  ha  disposto  la
convocazione  successiva  della sola madre a distanza di quasi cinque
mesi  (il  decreto e' stato deliberato il 18 luglio 2000, la madre e'
stata  convocata  per  il  13  dicembre  2000),  ci  si  chiede se la
disposizione  di  cui  all'art. 336,  comma  3, del codice civile sia
conforme ai principi della Costituzione.
    Piu'   in   generale,  un  tale  esame  viene  sollecitato  dalla
considerazione  che  questa norma oggi legittima delle diffuse prassi
autoritarie  che contraddicono il principio del contraddittorio e non
rispettano  il  diritto di difesa: tali l'inflazione di provvedimenti
assunti al di fuori di reali situazioni di necessita' e di urgenza ma
definiti  necessari e urgenti solo perche' non preceduti dall'ascolto
delle  parti  (nella  fattispecie  in  esame il difetto del requisito
dell'urgenza e' rilevabile dalla durata di vari mesi del procedimento
e dal ritardo della deliberazione e del suo deposito); la mancanza di
un  successivo  provvedimento  che a seguito dell'ascolto delle parti
confermi, modifichi o revochi il provvedimento urgente cosi' assunto;
ovvero  la  dilatazione  nel  tempo  - a volte anni e anni dopo - del
provvedimento  successivo  deliberato a seguito di contraddittorio in
modo  che  il  primo provvedimento di urgenza assunto inaudita altera
parte  predetermina  e  sostanzialmente  consolida la soluzione senza
possibilita' per le parti di opporsi.
    La  Corte  costituzionale  ha  gia' dichiarato che non violano il
diritto  di  difesa  e  il  principio  del  contraddittorio i decreti
ingiuntivi  e  i  provvedimenti  cautelari  civili  emessi  senza  la
preventiva    audizione    del   soggetto   destinatario,   ritenendo
costituzionalmente  compatibili  le  forme  di  contraddittorio  e di
difesa  differite  ed  eventuali. Non puo' percio' porsi in dubbio la
possibilita'  di  provvedimenti  cautelari  temporanei  a  protezione
dell'interesse  del  minore non preceduti dal contraddittorio e senza
esercizio   del   diritto   di   difesa,   purche'  prevedano  e  non
procrastinino nel tempo la successiva possibilita' di contraddittorio
e  di  difesa.  E  sotto  quest'ultimo  aspetto  che si propongono le
questioni relative alla disciplina dei procedimenti camerali ablativi
e   modificativi  della  potesta'  genitoriale  in  caso  di  urgente
necessita'  dettata  dall'art. 336,  comma  3, codice civile, potendo
dubitarsi  che tale disciplina sia costituzionalmente legittima sotto
tre profili:
        a)  nella  parte in cui non prevede a pena di nullita' che il
provvedimento temporaneo nell'interesse del figlio in caso di urgente
necessita'  assunto  senza sentire prima i genitori e/o il minore che
abbia  compiuto  gli  anni  dodici  debba avere una efficacia massima
stabilita dalla stessa legge;
        b) nella parte in cui non prevede che, dopo avere adottato in
caso di urgente necessita' un provvedimento temporaneo nell'interesse
del  figlio  senza  sentire  prima i genitori e/o il minore che abbia
compiuto  gli  anni dodici, il tribunale per i minorenni debba a pena
di  decadenza  entro  trenta giorni, sentiti il pubblico ministero, i
genitori,  il  tutore,  il rappresentante dell'istituto presso cui il
minore  e' ricoverato e il minore che abbia compiuto gli anni dodici,
confermare,  modificare  o revocare il provvedimento temporaneo cosi'
assunto;
        c)  nella  parte in cui non prevede la nullita' pronunciabile
di  ufficio  del  provvedimento temporaneo assunto nell'interesse del
figlio  senza  sentire  prima  i  genitori  e/o  il  minore che abbia
compiuto  gli  anni dodici, quando il provvedimento sia emanato al di
fuori del caso di urgente necessita'.
    9. - Il primo problema e' quello dei "provvedimenti temporanei" a
durata  illimitata  (come  nella  fattispecie  in  esame,  in  cui il
tribunale  per  i  minorenni di Torino ha riservato ad un seguito non
precisato  "la  determinazione  della  durata  dell'intervento")  o a
temporaneita'  talmente  lunga  (per  esempio  allontanamento urgente
disposto   per   il   periodo   di   quattro   anni)   da  vanificare
sostanzialmente il principio della temporaneita'.
    La  questione  di  non manifesta costituzionalita' dell'art. 336,
comma  3,  codice civile, che consente siffatte prassi e' sicuramente
rilevante  perche'  questa  Corte  possa  decidere  sull'impugnazione
proposta  da D. M. contro il decreto del tribunale per i minorenni di
allontanamento  urgente del figlio senza determinazione di durata, in
quanto  nell'ipotesi  di ritenuta illegittimita' costituzionale della
temporaneita'  illimitata  il  provvedimento  urgente dovrebbe essere
modificato    stabilendo    il    momento   finale   dell'affidamento
eterofamiliare disposto.
    Quanto alla non manifesta infondatezza della questione valgono le
considerazioni che seguono.
        a)   Il   nostro  ordinamento,  prevedendo  nel  corso  della
procedura   di   adottabilita'   la   possibilita'  di  assumere  dei
provvedimenti  temporanei di limitazione o sospensione della potesta'
in  caso  di urgente necessita' (art. 10, terzo comma, legge 4 maggio
1983,  n. 184),  ne stabilisce implicitamente la temporaneita' per un
periodo  non  superiore  al  mese perche' entro tale durata (art. 10,
quarto  comma,  legge  4  maggio  1983,  n. 184)  deve intervenire il
decreto  di  conferma,  modifica o revoca. La discriminazione operata
dal   legislatore  senza  un  ragionevole  motivo  fra  provvedimenti
temporanei  urgenti  assunti  nelle identiche situazioni in procedure
diverse  -  di  adottabilita'  o di volontaria giurisdizione civile -
viola  il  principio  di uguaglianza con riferimento all'art. 3 della
Costituzione, facendo apparire arbitraria una temporaneita' stabilita
dall'art. 336,  comma  3,  del  codice  civile senza previsione di un
termine  e  a  lunga durata. Viceversa proprio il modello legislativo
dettato  dall'art. 10,  terzo  e  quarto  comma, della legge 4 maggio
1983,  n. 184,  puo'  costituire un riferimento per dichiarare che in
qualsiasi  caso  un  provvedimento urgente assunto in caso di urgente
necessita'  deve  avere  una  temporaneita' non superiore ad un mese.
Appare   pertanto   non  manifestamente  infondata,  con  riferimento
all'art. 3   primo   comma   della   Costituzione,  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 336,  comma  3, codice civile
nella   parte   in  cui  non  prevede  a  pena  di  nullita'  che  il
provvedimento temporaneo nell'interesse del figlio assunto in caso di
urgente  necessita'  senza sentire prima i genitori e/o il minore che
abbia  compiuto gli anni dodici debba avere una efficacia massima non
superiore ad un mese.
        b) Un provvedimento di urgenza con temporaneita' illimitata o
di  lunga  durata  finisce  per vanificare l'esercizio del diritto di
difesa  e  il contraddittorio nella fase successiva, perche' - tenuto
conto  che  la  gestione  dei  tempi  in  un  processo  profondamente
inquisitorio  come  quello  di  volontaria  giurisdizione  appartiene
all'esclusiva  disponibilita' del giudice - procrastina la necessita'
di   un   altro   provvedimento   di  conferma,  modifica  o  revoca,
determinando  un  consolidamento  nel  tempo della situazione con una
violazione  sostanziale degli artt. 24, secondo comma, e 111, primo e
secondo comma, della Costituzione.
    10. - Il  secondo  profilo  di  non manifesta incostituzionalita'
dell'art. 336,  comma  3,  codice  civile  attiene  al difetto di una
previsione  che,  successivamente al provvedimento temporaneo assunto
nell'interesse del figlio senza un contraddittorio preventivo in caso
di urgente necessita', debba essere promosso un procedimento camerale
per l'emanazione, entro un determinato termine e previa instaurazione
di  un  regolare  contraddittorio,  di un provvedimento definitivo di
conferma, modifica o revoca. Si e' cosi' formata e diffusa una prassi
per  cui i provvedimenti temporanei di breve durata perdono efficacia
automaticamente  alla  scadenza  senza che intervenga una conferma (o
con  dichiarazioni di non luogo a provvedere perche' la situazione si
e'  esaurita),  mentre  i  provvedimenti  temporanei  di lunga durata
vengono  sostituiti  da  altri  in  relazione all'evoluzione del caso
senza  che si realizzi il diritto delle parti ad essere ascoltate e a
partecipare attivamente al procedimento con riferimento alla conferma
o   modifica   del   provvedimento   di   urgenza.   Il  problema  di
costituzionalita'  e' rilevante nella fattispecie in esame atteso che
a  tutt'oggi  non  risulta che il tribunale per i minorenni di Torino
abbia  confermato,  modificato o revocato il provvedimento di urgenza
di  allontanamento del minore B. A. che aveva deliberato il 18 luglio
2000.
    Anche   per   questo   aspetto  della  mancata  previsione  della
emanazione,  entro  congruo termine dal provvedimento di urgenza, del
provvedimento definitivo, la norma in esame contrasta:
        a) con l'art. 3, primo comma, della Costituzione perche', con
una  irragionevole  differenza rispetto alla previsione dell'art. 10,
quarto  e  quinto  comma  della legge 4 maggio 1983, n. 184, essa non
prevede  che  il  tribunale  per i minorenni, entro trenta giorni dal
provvedimento  temporaneo  di  urgenza,  sentiti  il minore che abbia
compiuto  gli anni dodici, sentiti il pubblico ministero, i genitori,
il  tutore,  il  rappresentante dell'istituto presso cui il minore e'
ricoverato  e il minore che abbia compiuto gli anni dodici, a pena di
decadenza  debba  confermare,  modificare o revocare il provvedimento
temporaneo di urgenza cosi' assunto;
        b)  con  gli  artt. 24, secondo comma, e 111, primo e secondo
comma,  della  Costituzione,  perche'  lede il diritto di difesa e il
diritto   al   contraddittorio,   non   prevedendo  che  subito  dopo
l'emanazione   del   provvedimento   temporaneo   sia   promosso   il
procedimento camerale, siano ascoltate le parti e il minore e quindi,
intervenga  in  un  termine  rigoroso  il  provvedimento di conferma,
modifica o revoca.
    11. - L'ultima   questione  di  costituzionalita'  dell'art. 336,
comma  3,  del codice civile si pone sotto il profilo che detta norma
non  prevede  la  nullita' pronunciabile di ufficio del provvedimento
temporaneo  assunto  nell'interesse  del figlio senza sentire prima i
genitori  e/o il minore che abbia compiuto gli anni dodici, quando il
provvedimento sia emanato al di fuori del caso di urgente necessita'.
    La questione e' rilevante nel caso di cui e' giudizio, in cui non
c'era  una  situazione di urgente necessita' che potesse giustificare
la  mancata  convocazione dei genitori e la loro estromissione da una
partecipazione   attiva  al  procedimento  ai  fini  della  decisione
sull'allontanamento   del  bambino  dalla  madre.  E  che  lo  stesso
tribunale   per  i  minorenni  non  ravvisasse  un  caso  di  urgente
necessita' lo dimostrano il tempo notevole impiegato per l'assunzione
di  informazioni  e  il lungo periodo intercorso fra la deliberazione
del  provvedimento e il suo deposito. Inoltre l'ascolto del minore si
imponeva in forza dell'art. 9, comma 2, della Convenzione sui diritti
del  fanciullo  di New York, ratificata e resa esecutiva con legge 27
magio  1991,  n. 176,  che  prevede  che  in  caso  di  decisione  di
separazione   di   un  bambino  dai  suoi  genitori  tutte  le  parti
interessate   devono   avere  la  possibilita'  di  partecipare  alle
deliberazioni e di far conoscere le loro opinioni.
    Appare  allora  non  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 336, comma 3, del codice civile
nella  parte  in cui, non prevedendo a pena di nullita' rilevabile di
ufficio  che  il  tribunale  per i minorenni assuma dei provvedimenti
temporanei   nell'interesse  del  figlio  solo  in  caso  di  urgente
necessita', consente che al di fuori di casi di urgente necessita' il
tribunale  per i minorenni adotti dei provvedimenti senza ascoltare i
genitori  e  il minore che abbia compiuto i dodici anni, sacrificando
cosi'  il  diritto  di  difesa  e il diritto al giusto processo nella
forma  del contraddittorio in situazioni in cui tali diritti potevano
e  dovevano  essere  garantiti, in contrasto ancora con gli artt. 24,
secondo comma, e 111, primo e secondo comma, della Costituzione.