IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA A scioglimento della riserva espressa nell'udienza del 29 giugno 2000; Visti ed esaminati gli atti della procedura di sorveglianza in materia di accertamento 58-ter e liberazione condizionale nei confronti di Bulla Benito, nato il 27 aprile 1936 ad Adrano, detenuto nella casa di reclusione di Volterra; Verificata la regolarita' degli atti sotto il profilo processuale; O s s e r v a Vedi motivazione in fogli allegati e dispositivo sul retro. P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87: A) dichiara non manifestamente infondata la questione di incostituzionalita' dell'art. 4-bis, primo periodo del primo comma, nel testo vigente, in quanto applicabile anche alla liberazione condizionale nei confronti dei condannati all'ergastolo per i delitti indicati in tale norma, per violazione dell'art. 27, comma 3, della Costituzione: e questo perche' tale normativa determina la perpetuita' effettiva e definitiva della pena dell'ergastolo e, quindi, impedisce, in violazione della norma costituzionale citata, la finalizzazione della pena stessa alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato; in particolare, poi, quando sia esclusa la possibilita' dell'applicazione delle eccezioni alla regola predetta della inammissibilita'; B) sospende la procedura di sorveglianza in corso relativa alla istanza di liberazione condizionale avanzata da Bulla Benito; C) dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione in merito alla questione sollevata; D) manda la cancelleria per le comunicazioni, le notificazioni e le forme di pubblicita' in genere previste dall'art. 3 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Firenze, addi' 29 giugno 2000 Il giudice: Margara Motivi della decisione 1. - E' necessario esporre, in modo abbastanza approfondito, gli aspetti concreti del caso che viene sottoposto alla attenzione della Corte costituzionale. Sono tali aspetti concreti che danno significato ai problemi di costituzionalita' che verranno successivamente indicati. Bulla Benito ha presentato istanza di liberazione condizionale in data 16 febbraio 1999. Nella istanza, dando atto di essere condannato per sequestro di persona a scopo di estorsione alla pena dell'ergastolo (pena risultante da due distinte condanne, entrambe per il titolo di reato predetto: una condanna a pena temporanea e l'altra all'ergastolo), ha sostenuto di essere nella situazione di inesigibilita' della collaborazione con la giustizia di cui all'art. 58-ter legge penitenziaria e, sotto tale profilo, ammissibile al beneficio richiesto. In passato analoghe istanze, prima di ammissione alla semiliberta' e poi di liberazione condizionale erano state dichiarate inammissibili, sempre facendo riferimento al titolo dei reati per cui il Bulla era stato condannato. In presenza della nuova istanza, si procedeva sia per la richiesta liberazione condizionale, sia per il preliminare accertamento di cui all'art. 58-ter citato: si ritiene, infatti, che, anche quando ci si riferisca ad una situazione equiparabile a quella di cui all'art. 58-ter, per l'effetto del superamento della inammissibilita' ai benefici penitenziari sancita dall'art. 4-bis legge penitenziaria, si debba inquadrare l'accertamento processuale nella cornice formale del citato art. 58-ter. La situazione che e' emersa, nel corso della procedura, da tale accertamento e' rispecchiata nella nota in data 2 marzo 2000, indirizzata da questo tribunale di sorveglianza alla direzione della casa di reclusione di Volterra e al centro servizio sociale adulti di Pisa. Se ne riporta il testo, che riassume la situazione del Bulla con riferimento alla ricorrenza di collaborazione inesigibile: "Nel richiedere l'aggiornamento della osservazione per la udienza sottoindicata, si prega volere chiarire al Bulla quanto segue. Lo stesso nella sua istanza 16 febbraio 1999 di accertamento ex art. 58-ter e di liberazione condizionale, ha invocato il riconoscimento di una situazione di collaborazione inesigibile, pur senza nulla aggiungere circa i delitti per cui e' stato condannato. Ora, il Bulla e' stato condannato con due distinte sentenze per reati inammissibili ai benefici penitenziari: sentenza 6 maggio 1980 Corte appello Catania: anni 26 reclusione; sentenza 1o febbraio 1984 Corte assise Como: ergastolo. In effetti, per la prima delle due condanne, per altro correo, Santangelo Filadelfio, questo ufficio ha riconosciuto la ricorrenza della situazione di collaborazione inesigibile con ordinanza 24 aprile 1997. Per la seconda invece, non si puo' rilevare una situazione analoga. Fra l'altro, la sentenza di condanna, che riguarda solo tre delle persone coinvolte nella prima (delle due sentenze citate), fra cui il Bulla, si muove su una serie di deduzioni logiche da alcuni dati di fatto, decidendo solo sulle tre persone per le quali tali dati di fatto erano emersi, ma certamente non chiarendo complessivamente l'intera vicenda e le persone coinvolte. Se, quindi, il Bulla assume una situazione di inesigibilita' della collaborazione, deve essere consapevole della notevole difficolta' di farla valere per la seconda delle due condanne, per la quale, quindi, egli potrebbe (e dovrebbe, se vuole vedere accolta la propria istanza) dire assai di piu' di quanto non ha detto. Per la decisione, e' fissata l'udienza 11 aprile 2000". Per chiarire il contenuto della nota che precede, l'invito al Bulla ad avere una condotta di collaborazione con la giustizia, si spiega con la previsione dell'art. 58-ter, comma 1, che la condotta in questione possa essere prestata "anche dopo la condanna". Non emergeva nulla di nuovo da parte del Bulla e, all'udienza indicata, questo tribunale di sorveglianza, rinviava la decisione, aprendo un nuovo filone di accertamento. In tale provvedimento di rinvio si legge: "Per completare la situazione della informazione sulla carcerazione del Bulla, va chiarito quale sia stato il suo percorso trattamentale, anche e soprattutto prima dell'8 giugno 1992 (con riferimento alla sentenza n. 445/1997 Corte costituzionale: si dovra', comunque, prendere atto dell'episodio negativo, rapportato il 23 settembre 1993): sarebbe, qui, utile recuperare i programmi di trattamento (o atti analoghi) di quel periodo e la annotazione di eventuali esperienze premiali esterne. E' utile ricostruire anche lo sviluppo successivo al 1993". A riguardo di quanto sopra, sono in atti gli aggiornamenti di osservazione piu' risalenti (del 12 novembre 1992: v. fascic. n. 2406/92; e del 20 maggio 1995: v. fascic. 4711/94), dai quali risulta che il Bulla inizio' a fruire di permessi premio fin dal 20 agosto 1987 e ne frui' fino al 28 marzo 1992. In seguito, dopo il d.l. 8 giugno 1992, la fruizione dei permessi premio fu temporaneamente interrotta e riprese, poi, col provvedimento 19 dicembre 1992 (reclamato dal p.m. ed eseguito dopo il rigetto del reclamo da parte del tribunale di sorveglianza). Segui', pero', una nuova sospensione, legata ai fatti rapportati il 23 settembre 1993, per i quali il Bulla e' stato sottoposto a procedimento penale, concluso dalla sentenza del Tribunale di Pisa del 17 giugno 1996, irrevocabile il 21 maggio 1998, con quale il Bulla era condannato ad anni due e mesi sei reclusione per il delitto di estorsione in danno di un compagno di pena, con le attenuanti della particolare tenuita' del danno e generiche (v. copia sentenza in atti): i fatti riguardavano una vicenda di scambi di oggetti fra detenuti, nell'ambito dei quali il Bulla aveva ottenuto da altro detenuto, con la intimidazione, cose acquistate da questi per corrispondenza. Pur in presenza di tale episodio, in pendenza del procedimento penale, nella relazione 20 maggio 1995 del carcere di Volterra, si osservava: "Sotto il profilo penale, tale episodio e' pertanto da verificarsi negli esiti". E si aggiungeva: "C'e' da valutare positivamente che il Bulla, nei 13 anni di permanenza a Volterra (vi si trovava dal 1982), non e' mai incorso in alcuna infrazione" (v. nel fascic. n. 4711/94 in atti). Nell'aggiornamento piu' recente dell'osservazione a Volterra, per la udienza del 29 giugno 2000, si legge che, per i fatti di cui alla sentenza di condanna citata, "il Bulla fu sottoposto per un periodo al regime di alta sicurezza (dal 27 ottobre 1993 al 5 marzo 1994), con sospensione dei benefici di legge e, in seguito, fu condannato. Dopo tale vicenda, il Bulla ha ripreso gradualmente a conquistarsi la fiducia degli operatori, sia trattamentali che della sicurezza, mostrando cooperazione, in specie nelle attivita' lavorative di fatica e delle pulizie; ha ripreso altresi' ad essere ammesso al programma trattamentale interrotto e, quindi, a fruire di permessi, regolarmente effettuati, in famiglia presso Adrano, suo paese di origine. Anche il beneficio della liberazione anticipata gli e' stato concesso, dopo la parentesi relativa al fatto accaduto, fino a raggiungere attualmente 1605 giorni di riduzione pena". Si deve aggiungere che il Bulla ha manifestato interesse essenzialmente per la liberazione condizionale e non per la semiliberta', che pure in passato aveva richiesto (ma per una soluzione di inserimento esterno a Volterra, attualmente non indicata), in quanto la semiliberta' non sembra attuabile per l'inserimento lavorativo richiesto per la eccessiva lontananza del luogo di lavoro dalla sezione di semiliberta' piu' vicina, comportante 4 ore di viaggio giornaliero: v. relazione aggiornamento osservazione per udienza 17 febbraio 2000, con le notizie in tal senso del servizio sociale competente. Se si prescinde dalla inammissibilita' riferibile al titolo di reato, le condizioni temporali di ammissibilita' del Bulla al beneficio richiesto sussistono, aggiungendo alla pena effettivamente espiata - 22 anni circa - i periodi di riduzione pena ex art. 54 l.p., che raggiungono e superano gli anni 4 e mesi sei (al riguardo, la intervenuta definitivita' della sentenza di condanna per i fatti rapportati nel settembre 1993, comportera' la verifica della revocabilita' o meno di parte della riduzione pena in relazione alla condanna subita e alla incompatibilita' della stessa con il mantenimento del beneficio). 2. - In conclusione, e' preliminare e decisiva allo stato la inammissibilita' del Bulla al beneficio richiesto in relazione al titolo di reato ex art. 4-bis e cio' porta alla ulteriore conclusione, decisiva nella presente procedura, che la pena dell'ergastolo in esecuzione nei suoi confronti resta definitivamente perpetua senza possibilita' di temperamento. Si puo' riepilogare in proposito: a) che la inammissibilita' alla liberazione condizionale del Bulla deriva dalla applicazione dell'art. 4-bis anche a tale beneficio, non menzionato, per vero, da tale norma nel testo introdotto con il d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356; b) che non risulta che il Bulla si trovi in una situazione di collaborazione inesigibile equiparabile, con riferimento alla giurisprudenza costituzionale e in particolare alla sentenza n. 68/1995, alla collaborazione propria, prevista dall'art. 58-ter e, che non sia quindi superabile, per tale via, la inammissibilita' suindicata; c) che neppure parrebbe superabile tale inammissibilita' attraverso la applicazione nei suoi confronti della giurisprudenza costituzionale di cui alla sentenza n. 445/1997: se e' vero che il Bulla, prima della entrata in vigore del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, era avviato da tempo su un percorso riabilitativo, e' anche vero che tale percorso, con i fatti del 1993, per i quali il Bulla e' stato condannato, ha determinato la interruzione, da quella data, della continuita' del percorso di rieducazione nella fase e nel grado gia' maturati in precedenza. Secondo le applicazioni normative ora indicate, la pena in esecuzione nei confronti del Bulla e' dunque effettivamente perpetua. Solo per completare il quadro, prima di approfondire e sviluppare il discorso sul punto centrale ora indicato, si deve ricordare che il Bulla non e' ammissibile ad alcuna misura alternativa: l'unica concepibile sarebbe comunque la semiliberta' (possibile, diversamente dalle altre, per il condannato all'ergastolo), alla quale egli non e' ammissibile sempre ai sensi dell'art. 4-bis, che, anzi, contiene proprio la esplicita e diretta esclusione dalle misure alternative per chi e' detenuto per il titolo di reato per cui il Bulla e' stato condannato. 3. - Si riparte, allora, dal punto cui si era pervenuti: la pena in esecuzione nei confronti del Bulla, per la sua inammissibilita' alla liberazione condizionale, e' effettivamente perpetua. Si tratta, allora, di comparare tale conclusione con altra pronuncia costituzionale, relativa a normativa determinante analogo effetto, di definitiva perpetuita' della pena dell'ergastolo, giudicata incostituzionale. Si fa riferimento alla sentenza n. 161 del 2 giugno 1997, che cosi' conclude: "Dichiara la illegittimita' costituzionale dell'art. 177, primo comma, ultimo periodo, del codice penale, nella parte in cui non prevede che il condannato alla pena dell'ergastolo, cui sia stata revocata la liberazione condizionale, possa essere nuovamente ammesso a fruire del beneficio ove ne sussistano i relativi presupposti". Si ritiene conveniente un'ampia citazione della motivazione di tale pronuncia: quanto affermato nella stessa, ai nn. 5 e 6 della motivazione in diritto, e' essenziale per valutare le questioni poste dal caso in esame in questa procedura. "Della compatibilita' della pena dell'ergastolo con la funzione rieducativa assegnata alla pena in generale dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione, e piu' in generale della pena dell'ergastolo, questa Corte ebbe ad occuparsi piu' di una volta". "Con la sentenza n. 264 del 1974, la Corte, chiamata a riesaminare la legittimita' dell'ergastolo, espose, a sostegno della infondatezza della questione vari argomenti, tra i quali assume indubbiamente valore preminente quello incentrato sulla legge 25 novembre 1962, n. 1634, che ammise la liberazione condizionale anche per i condannati a detta pena. Scrisse allora la Corte che "l'istituto della liberazione condizionale disciplinato dall'art. 176 codice penale - modificato dall'art. 2 della legge 25 novembre 1962, n. 1634 - consente l'effettivo reinserimento anche dell'ergastolano nel consorzio civile ... E questa posizione fu rinforzata, nella sentenza stessa, con il dare rilievo alla precedente sentenza n. 204 dello stesso anno 1974, con la quale era stata dichiarata la illegittimita' costituzionale della norma attributiva della facolta' di concedere la liberazione condizionale al Ministro della giustizia (art. 43 r.d. 28 maggio 1931, n. 602), conseguentemente attribuendosi la competenza stessa all'autorita' giudiziaria "che con le garanzie proprie del procedimento giurisdizionale accertera' se il condannato abbia tenuto un comportamento tale da fare ritenere sicuro il suo ravvedimento ". "Questi motivi furono ripetutamente ripresi in decisioni successive, fra le quali spicca la sentenza n. 274 del 1983, nella quale - a premessa della estensione del gia' ricordato istituto della riduzione pena, che va sotto il nome di "liberazione anticipata , ai condannati all'ergastolo - puo' leggersi che la finalita' rieducativa voluta dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione si riferisce senza ombra di dubbio anche a detti soggetti e che cio' "e' fatto palese dalla estensione in loro favore dell'istituto della liberazione condizionale operata dalla legge n. 1634 del 1962 : a proposito della quale - prosegue la sentenza - fu enunciato, nella relazione governativa che accompagnava la presentazione alla Camera dei deputati del disegno di legge, il proposito di "completare ed integrare, con speciale riferimento all'ergastolo, la progressiva umanizzazione della pena, rendendo piu' concreta e funzionale anche nell'ergastolo l'azione intesa alla rieducazione del condannato . La recuperabilita' sociale del condannato all'ergastolo, mediante la possibilita' della sua liberazione, condizionale, segnava percio' nella nostra legislazione penale una svolta di evidente rilievo: una svolta sottolineata anche da questa Corte, la quale, nel dichiarare, con la ricordata sentenza n. 264 del 1974, non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 22 del codice penale, sollevata in riferimento all'art. 27, comma terzo, della Costituzione, faceva perno, fra l'altro, proprio sulla intervenuta ammissione alla liberazione condizionale, in quanto essa "consente l'effettivo reinserimento dell'ergastolano nel consorzio civile ". "Alla stregua di queste premesse non puo' non essere rilevata la illegittimita' costituzionale della disposizione che, vietando per i condannati all'ergastolo la riammissione alla liberazione condizionale, li esclude in modo permanente ed assoluto dal processo rieducativo e di reinserimento sociale". "La pena dell'ergastolo, per il suo carattere di perpetuita' si distingue dalle altre pene restrittive della liberta' personale; oltre a comportare, per chi vi e' sottoposto, una serie di conseguenze, di tipo interdittivo e di tipo penitenziario, che sono, in tutto o in parte, estranee alle altre pene. Ma questo suo connotato di perpetuita' non puo' legittimamente intendersi, alla stregua dei principi costituzionali, come legato, sia pure dopo l'esperimento negativo di un periodo trascorso in liberazione condizionale ad una preclusione assoluta dell'ottenimento, ove sussista il presupposto del sicuro ravvedimento, di una nuova liberazione condizionale. Il mantenimento di questa preclusione nel nostro ordinamento equivarrebbe, per il condannato all'ergastolo, ad una sua esclusione dal circuito rieducativo, e cio' in palese contrasto - come gia' si e' visto - con l'art. 27, comma terzo, della Costituzione, la cui valenza e' stata piu' volte affermata e ribadita, senza limitazioni, anche per i condannati alla massima pena prevista dall'ordinamento italiano vigente". "Se la liberazione condizionale e' l'unico istituto che in virtu' della sua esistenza nell'ordinamento rende non contrastante con il principio rieducativo, e dunque con la Costituzione, la pena dell'ergastolo, vale evidentemente la proposizione reciproca, secondo cui detta pena contrasta con la Costituzione ove, sia pure attraverso il passaggio per uno o piu' esperimenti negativi, fosse totalmente preclusa, in via assoluta, la riammissione del condannato alla liberazione condizionale". Certamente, in concreto, il condannato all'ergastolo potra' dalla competente autorita' giudiziaria essere ritenuto non meritevole della riammissione al beneficio della liberazione condizionale; e l'autorita' stessa potra' graduare anche nei tempi la nuova ammissione, tenuto conto sia della prova data dal detenuto durante la detenzione sia della prova data durante i precedenti periodi trascorsi in liberta' vigilata, prendendo ovviamente in considerazione anche la concreta gravita' delle violazioni che ebbero a dare luogo alla revoca. Ma questa possibilita' di non riammissione o di riammissione dilazionata nel tempo non equivale ad una esclusione totale per divieto di legge". Si deve prendere atto che le analogie fra il caso in esame nella presente procedura e quello trattato nella sentenza costituzionale citata sono strettissime: in entrambi i casi la inammissibilita' alla liberazione condizionale nel caso in esame originaria e non, come nell'altro caso, conseguente ad una prima fruizione, revocata, della liberazione condizionale medesima - determina la perpetuita' effettiva della pena dell'ergastolo in esecuzione: in entrambi non e' consentito "l'effettivo reinserimento anche dell'ergastolano nel consorzio civile". E vale ricordare un passo della sentenza costituzionale n. 204/1974, piu' volte ricordata nell'altra ora ampiamente citata (n. 2 della motivazione in diritto): "Sulla base del precetto costituzionale (si intende: art. 27, terzo comma, Costituzione: nota di chi scrive) sorge, di conseguenza, il diritto per il condannato a che, verificandosi le condizioni poste dalla norma di diritto sostanziale, il protrarsi della realizzazione della pretesa punitiva venga riesaminato al fine di accertare se in effetti la quantita' di pena espiata abbia o meno assolto positivamente al suo fine rieducativo: tale diritto deve trovare nella legge una valida e ragionevole garanzia giurisdizionale". In entrambi i casi, risulta dunque in giuoco un vero e proprio diritto soggettivo che trova la sua fonte nella Costituzione, diritto a rischio di non-fruizione. Non si puo', pero', sottacere un problema: nell'art. 4-bis si definisce una inammissibilita' ai benefici penitenziari? Si e' ragionato in questi termini e si ritiene che siano esatti e corrispondenti alla previsione normativa. E, d'altronde, e' proprio di inammissibilita' delle istanze che si parla quando non si riscontra l'unico dato che puo' sbloccare la inammissibilita' e consentire la ammissione: che e' la collaborazione con la giustizia ai sensi dell'art. 58-ter. Non si vede come una tale situazione non possa essere considerata di inammissibilita'. Per confermarlo, occorrera' chiarire che la collaborazione non puo' ritenersi obbligata, scelta necessaria nel rapporto giudiziario e penitenziario. La collaborazione resta, invece, una scelta libera, della quale: quando sarebbe possibile, non possiamo conoscere le ragioni del silenzio; ma che potrebbe, comunque, essere sovente non possibile per quello che l'interessato sa o non sa (al limite non e' da escludere neppure che sia stato condannato ingiustamente) e che non si inquadra in una delle ipotesi in cui la inammissibilita' viene temperata in vario modo, per la previsione diretta della legge o lettura della stessa da parte della giurisprudenza costituzionale. Si deve, quindi, ribadire che l'art. 4-bis, nel testo vigente, sancisce una vera e propria inammissibilita' ai benefici penitenziari: le eccezioni possibili, non annullano la regola. Ed e' questo, d'altronde, che chiarisce la Corte costituzionale, nella sentenza n. 68/1995, quando, sintetizzando la diversa impostazione delle normative restrittive del 1991 e del 1992, osserva: "Si passa, pertanto, da un regime di prova rafforzata per accertare la inesistenza di una condizione negativa (assenza di collegamenti con la criminalita' organizzata) ad un modello che introduce una preclusione per certi condannati, rimuovibile soltanto attraverso una condotta qualificata (la collaborazione)". A questo punto si ritiene che la questione debba essere posta in questi termini: le conclusioni cui si e' pervenuti alle lettere a), b) e c), all'inizio del n. 2, sono espressioni della volonta' normativa effettivamente ricavabile ed applicabile al caso in esame: e, in caso di risposta affermativa, si realizza o meno una situazione di incostituzionalita' della normativa? al contrario e' possibile una interpretazione della volonta' normativa, una sua lettura, compatibile con i principi costituzionali che si sono indicati? La questione e' esaminata partitamente sotto i tre profili ricordati al n. 2, alle lettere a), b) e c). 4. - Sotto il primo profilo, che puo' essere quello decisivo, la domanda che si pone e' semplice: la inammissibilita' ai benefici penitenziari - in ragione di titoli di reato quale quello per cui e' condannato il Bulla - prevista (salvo eccezioni) dall'art. 4-bis, comma 1, primo periodo, vale anche per la liberazione condizionale? Il testo attuale dell'art. 4-bis, con la inammissibilita' indicata, e' stato introdotto dall'art. 15 del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356. In questo testo, i benefici cui si riferisce la inammissibilita' sono indicati con chiarezza: "l'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI della legge 26 luglio 1975, n. 354, fatta eccezione per la liberazione anticipata". Le misure alternative previste dal capo VI sono l'affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare e la semiliberta'. Non vi e' alcun dubbio che la liberazione condizionale non sia prevista dalla norma in questione. Ne' alcun riferimento alla liberazione condizionale si trova nelle altre norme del testo di legge indicato: la parte penitenziaria dello stesso e' contenuta nel titolo IV del testo legislativo, che comprende gli artt. da 14 a 20. In nessuna di tali norme si fa riferimento alla liberazione condizionale. Senonche', la domanda posta all'inizio di questo numero si giustifica per i precedenti normativi, che sono, poi, rappresentati dal d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 203. Era stato questo provvedimento legislativo a introdurre l'art. 4-bis, con un contenuto diverso da quello poi modificato nel 1992. Il nuovo articolo e varie modifiche concernenti i tempi di ammissione ai vari benefici penitenziari, erano contenuti nell'art. 1 del provvedimento legislativo, che, all'art. 2, conteneva, per la liberazione condizionale, una estensione della applicazione dell'art. 4-bis alla stessa e la modifica dei tempi di ammissione alla medesima. E, allora, la risposta che si e' data (nella giurisprudenza prevalente, compresa quella di merito, come attestato dai ripetuti provvedimenti di inammissibilita' pronunciati nei suoi confronti) alla domanda iniziale e' stata la seguente: se l'art. 4-bis e' applicabile alla liberazione condizionale secondo la normativa 1991, una volta che tale norma viene modificata con la normativa 1992, anche la nuova normativa modificata e' applicabile alla liberazione condizionale. Su tale interpretazione si possono avanzare serie riserve. Le scelte delle normative 1991 e 1992 sono profondamente diverse (lo si e' gia' ricordato attraverso la sintesi della analisi fatta dalla sentenza costituzionale n. 68/1995). La normativa del 1991, una volta individuata una serie di reati di maggiore rilievo con la introduzione dell'art. 4-bis, stabilisce per questi, in materia di benefici penitenziari, una disciplina speciale, che si articola in tre punti: un regime di accertamenti particolari per stabilire l'assenza di collegamenti attuali degli interessati con la criminalita' organizzata ed eversiva: comma 1 dell'art. 1; tempi piu' lunghi per la ammissione ai singoli benefici penitenziari: normativa questa che doveva, pero', valere per i reati commessi dopo l'entrata in vigore della stessa: commi 2, 3 e 4 dell'art. 1 e art. 4; mantenimento della disciplina preesistente in materia di tempi di ammissione ai benefici per coloro che collaborano con la giustizia, previsione contenuta in un nuovo articolo, l'art. 58-ter: comma 5 dell'art. 1. Per la liberazione condizionale, come si e' accennato, valeva un apposito articolo, l'art. 2, del d.l. 1991, che confermava la linea precedentemente indicata per gli altri benefici: al comma 1, conteneva il richiamo alle regole dell'art. 4-bis, che, concernevano, come detto, le particolari modalita' degli accertamenti sulla assenza di collegamenti attuali degli interessati con la criminalita' organizzata; al comma 2, indicava un tempo maggiore di ammissione alla liberazione condizionale, applicabile, peraltro, per effetto dell'art. 4, solo al reati commessi dopo l'entrata in vigore della nuova normativa; estendeva alla liberazione condizionale anche l'art. 58-ter, con la sua previsione di una normativa agevolata per coloro che collaborano con la giustizia. La normativa del 1992 sceglieva una linea diversa, anche se la limitava a un solo gruppo di reati, i piu' gravi fra quelli indicati dall'art. 4-bis: tale linea, contenuta nello stesso art. 4-bis, era quella di stabilire la inammissibilita' ai benefici penitenziari per coloro che erano stati condannati per quel ristretto numero di reati, salvo che gli stessi non avessero collaborato o non collaborassero con la giustizia nei termini di cui all'art. 58-ter. La nuova disciplina, recante inammissibilita' ai benefici, indica nello stesso art. 4-bis, gli stessi benefici gia' indicati in precedenza dalla stessa norma: lavoro all'esterno, permessi premio, misure alternative alla detenzione di cui al capo VI legge penitenziaria. Nessuna menzione, come detto, della liberazione condizionale, nessun nuovo rimando per la stessa alla disciplina dell'art. 4-bis. Cosi' inquadrata la riflessione sul quesito posto all'inizio di questo numero (si estende alla liberazione condizionale la inammissibilita' stabilita dall'art. 4-bis per gli altri benefici penitenziari specificamente indicati), si possono fare tre osservazioni per una conclusione. Prima osservazione. La volonta' della legge per la liberazione condizionale si e' espressa solo e soltanto nell'art. 2 della normativa del 1991 e nel rimando che la stessa faceva alla disciplina del nuovo art. 4-bis, quale prevista dalla stessa normativa del 1991: modalita' speciali degli accertamenti sulla attualita' dei collegamenti degli interessati con la criminalita' organizzata. E' solo in questi limiti che deve valere, per la liberazione condizionale, il rinvio alla disciplina dell'art. 4-bis. Le successive modifiche di questo non possono rientrare nel rinvio espresso dall'art. 2 della normativa del 1991, nella volonta' normativa resa esplicita dallo stesso. Seconda osservazione. Si deve dire che la nuova normativa di cui all'art. 4-bis stabilisce una eccezione profonda al sistema. Si vedano, in proposito, le considerazioni fatte nella sentenza costituzionale n. 306/1993 (n. 11 della motivazione in diritto). Cio' che si enuncia nel nuovo testo dell'art. 4-bis e' la inammissibilita' ai benefici penitenziari essenziali. Proprio per questa sua natura eccezionale, la interpretazione della norma deve attenersi strettamente al contenuto della stessa. Sotto tale profilo la indicazione dei soli benefici contenuti nella legge penitenziaria appare una scelta netta, che non puo' agganciare anche la liberazione condizionale attraverso un rinvio, contenuto in una legge precedente, a un testo precedente dell'art. 4-bis, che non aveva alcun contenuto esclusivo di benefici, ma che prevedeva soltanto le modalita' speciali di accertamento per la ammissione agli stessi. Terza osservazione. Nella sentenza 306/1993, ora citata (v. sempre il n. 11 della motivazione in diritto) si rileva che la costituzionalita' della normativa sulla inammissibilita' ai benefici penitenziari, ai sensi art. 4-bis come modificato nel 1992, e' stata salvata dalla esclusione di tale inammissibilita' per la liberazione anticipata. Orbene, per il condannato all'ergastolo, la liberazione anticipata non ha alcun effetto se non in funzione della liberazione condizionale. La inammissibilita' di questa rende del tutto irrilevante la possibilita' di concedere la liberazione anticipata. E la inammissibilita' alla liberazione condizionale rende perpetua, effettivamente e definitivamente, la pena dell'ergastolo, realizzando una situazione di incostituzionalita', quale si e' individuata ed anticipata al numero precedente. Cosi' stando le cose, possono essere prospettate due soluzioni: Prima soluzione. Vi e' una possibilita' interpretativa che salva la ammissibilita' della liberazione condizionale nei confronti dei condannati all'ergastolo per uno dei delitti di cui al primo periodo del primo comma dell'art. 4-bis, casi fra i quali rientra quello di cui alla presente procedura. Si puo' aggiungere che, se anche apparisse possibile altra interpretazione, quella che consente la ammissibilita' si rivela essere conforme ai principi costituzionali e essere quindi preferibile a qualunque altra. Il riconoscimento di tale lettura costituzionale della situazione normativa da parte della Corte Costituzionale potrebbe evitare una valutazione di incostituzionalita' della normativa in esame, che e' quella che si propone nella vera e propria eccezione di incostituzionalita' della seconda soluzione, che si indichera' fra poco. Si noti che tale interpretazione non eviterebbe affatto gli speciali accertamenti gia' previsti dal testo originario (del 1991) dell'art. 4-bis per verificare l'assenza di collegamenti attuali degli interessati con la criminalita' organizzata o eversiva. E' da supporre che tale soluzione possa essere ritenuta valida anche per i condannati a pene temporanee, ma, ad avviso di chi scrive, la esclusione della liberazione condizionale dal regime di inammissibilita' ai benefici penitenziari previsto dal testo vigente dell'art. 4-bis, potrebbe oggi rappresentare un elemento di maggiore certezza applicativa in una materia nella quale non sempre e' agevole muoversi, nel concreto delle decisioni sui singoli casi, fra le varie eccezioni alla inammissibilita' che derivano dalle numerose sentenze costituzionali: difficolta' di scelte decisionali, che si esprimono inevitabilmente in una giurisprudenza concreta notevolmente eterogenea e diseguale. D'altronde va ricordato che la storia della liberazione condizionale, risalente addirittura al codice penale del 1889, e' ben distinta da quella della legge penitenziaria e delle misure alternative dalla stessa introdotte. Anche la sua estensione al condannato all'ergastolo (1962) e il suo inquadramento nella visione costituzionale di un diritto soggettivo del condannato (1974), come sopra ricordato, che indubbiamente lo ha avvicinato alle misure alternative di cui alla normativa penitenziaria, non esclude la distinzione dell'un beneficio dagli altri e puo', quindi, senza scossoni sistematici ed anzi ridando certezza e ragionevolezza al sistema, consentire la sua esclusione dal regime di inammissibilita' riservato agli altri. Seconda soluzione. E' indubbio che l'indirizzo giurisprudenziale prevalente e' nel senso di ritenere applicabile l'art. 4-bis, nel testo vigente come modificato dal d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356, anche alla liberazione condizionale e di ritenere, quindi, inammissibile la stessa nei confronti di coloro che, come il Bulla, siano condannati per uno dei delitti di cui al primo periodo del primo comma dell'art. 4-bis. Ed allora, se tale interpretazione deve essere quella con cui la norma ora detta viene applicata e vive concretamente nella nostra legislazione, si deve prendere atto che l'applicazione della stessa ha come risultato, nei casi dei condannati all'ergastolo, analoghi a quello del Bulla, di rendere tale pena perpetua in modo effettivo e definitivo. Se cosi' e', si deve ritenere non manifestamente infondata la questione di incostituzionalita' dell'art. 4-bis, primo periodo del primo comma, nel testo vigente, in quanto applicabile anche alla liberazione condizionale nei confronti dei condannati all'ergastolo per i delitti indicati in tale norma, per violazione dell'art. 27, comma 3, della Costituzione: e questo perche' tale normativa determina la perpetuita' effettiva e definitiva della pena dell'ergastolo e, quindi, impedisce, in violazione della norma costituzionale citata, la finalizzazione della pena stessa alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato. 5) Il riconoscimento di una delle due soluzioni indicate al numero precedente (cioe': o una soluzione interpretativa, che escludesse la inammissibilita' ex art. 4-bis vigente alla liberazione condizionale, o una soluzione che dichiarasse incostituzionale tale inammissibilita') renderebbe superfluo l'esame degli ulteriori profili problematici di costituzionalita' indicati all'inizio del numero 2, alle lettere b) e c). Gli stessi hanno in comune la verifica della posssibilita' o impossibilita' che il caso del Bullia possa rientrare, accettata la inammissibilita' in linea generale ex art. 4-bis, fra le eccezioni alla stessa, ricavabili dalla applicazione della giurisprudenza costituzionale in materia. Nel sintetizzare, nella parte ora indicata - numero 2, lettera b) - la situazione dell'interessato, si dava atto: "che non risulta che il Bulla si trovi in una situazione di collaborazione inesigibile equiparabile, con riferimento alla giurisprudenza costituzionale e in particolare alla sentenza n. 68/1995, alla collaborazione propria prevista dall'art. 58-ter e che non sia, quindi, superabile per tale via la inammissibilita' suindicata". Si crede utile, a questo punto, tornare a citare la lettera gia' citata del 2 marzo 2000 di questo ufficio alla direzione della casa di reclusione di Volterra e al Centro servizio sociale adulti di Pisa, nella quale si osservava: "... il Bulla e' stato condannato con due distinte sentenze per reati inammissibili ai benefici penitenziari: sentenza 6 maggio 1980 Corte appello Catania: anni 26 reclusione; sentenza 1o febbraio 1984 Corte assise Como: ergastolo. In effetti, per la prima delle due condanne, per altro correo, Santangelo Filadelfio, questo ufficio ha riconosciuto la ricorrenza della situazione di collaborazione inesigibile con ordinanza 24 aprile 1997. Per la seconda, invece, non si puo' rilevare una situazione analoga. Fra l'altro, la sentenza di condanna che riguarda solo tre delle persone coinvolte nella prima, fra cui il Bulla, si muove su una serie di deduzioni logiche da alcuni dati di fatto, decidendo solo sulle tre persone per le quali tali dati di fatto erano emersi, ma certamente non chiarendo complessivamente l'intera vicenda e le persone coinvolte". Su questo punto non credo ci sia da aggiungere altro. Non si puo' affermare la presenza di una situazione di collaborazione inesigibile. Ci si puo', quindi, soffermare su quanto osservato al numero 2, lettera c), altra soluzione di possibile superamento della inammissibilita' ex 4-bis in presenza di una situazione specifica. Si riporta anche qui quanto si annotava al punto indicato: "...neppure parrebbe superabile tale inammissibilita' attraverso la applicazione nei suoi confronti (del Bulla) della giurisprudenza costituzionale di cui alla sentenza n. 445/1997: se e' vero che il Bulla, prima della entrata in vigore del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, era avviato da tempo su un percorso riabilitativo, e' anche vero che tale percorso, con i fatti del 1993, per i quali il Bulla e' stato condannato, ha determinato la interruzione, da quella data, della continuita' del percorso di rieducazione nella fase e nel grado gia' maturato in precedenza". Questo secondo aspetto di possibile superamento della inammissibilita' va messo meglio a fuoco. Va richiamato, al proposito, uno dei passi centrali della sentenza costituzionale ora citata: "E' proprio il principio della progressivita' trattamentale a rappresentare, dunque, il fulcro attorno al quale si e' dipanata la giurisprudenza di questa Corte, doverosamente attenta a rimarcare la esigenza che ciascun istituto si modelli e viva nel concreto come strumento dinamicamente volto ad assecondare la funzione rieducativa, non soltanto nei profili che ne caratterizzano l'essenza, ma anche per i riflessi che dal singolo istituto scaturiscono sul piu' generale quadro delle varie opportunita' trattamentali che l'ordinamento fornisce. Ogni misura si caratterizza, infatti, per essere parte di un percorso nel quale i diversi interventi si sviluppano secondo un ordito unitario e finalisticamente orientato, al fondo del quale sta il necessario plasmarsi in funzione dello specifico comportamento serbato dal condannato. Qualsiasi regresso giustifica, pertanto, un riadeguamento del percorso rieducativo, cosi' come, all'inverso, il maturarsi di positive esperienze non potra' non generare un ulteriore passaggio nella "scala" degli istituti di risocializzazione". Si tratta di sapere qui, con riferimento al caso del Bulla, se vi possa essere una applicazione della sentenza costituzionale, che passi attraverso queste due considerazioni: la prima: una volta avviato il percorso riabilitativo e raggiunto un livello significativo per la fruizione di benefici penitenziari prima della legislazione restrittiva del 1992, quel percorso dovrebbe potere proseguire il suo sviluppo e consentire gli ulteriori passaggi "nella scala degli istituti di risocializzazione"; la interruzione, con la normativa restrittiva, del percorso di riabilitazione avviato, comporterebbe un effetto "ablativo" ripetutamente censurato dalla Corte Costituzionale; la seconda: gli "incidenti di percorso", se cosi' si voglia chiamarli, del cammino di riabilitazione possono essere sottoposti ad un semplice "riadeguamento" (termine che si ricava dal passo ora citato della sentenza Costituzionale 445/1995) o, se verificatisi dopo l'8 giugno 1992, determinano una discontinuita' con il percorso riabilitativo gia' avviato e l'inizio di un nuovo percorso, che, successivo alla data indicata, sara' condizionato e sostanzialmente chiuso dalla normativa restrittiva in argomento? Vi e' da dire che la prima considerazione sembra discendere correttamente dalla sentenza costituzionale citata: una volta avviato il percorso riabilitativo attraverso forme trattamentali significative come i permessi premio, il suo svolgimento positivo dovrebbe consentire di salire la "scala" delle opportunita' trattamentali previste dalla legge, man mano che ne maturino i tempi di ammissione. Quanto alla seconda considerazione, la stessa prospetta due soluzioni opposte. La prima sembra, da un punto di vista sistematico, accettabile, anzi piu' accettabile dell'altra, in quanto, in un percorso rieducativo e di risocializzazione, lo sviluppo rettilineo e costante di segno positivo e' tutt'altro che certo e prevalente. Ma il problema e' qui reso complesso dalla discontinuita' normativa. Se il percorso riprende nuovamente, ma quando sono state modificate le regole, la soluzione di applicare alla ripresa del percorso le regole, che erano operative al suo inizio, sembra fuori della giurisprudenza costituzionale, la quale ipotizzava la applicazione delle vecchie regole, ma solo se il percorso si era sviluppato positivamente prima dell'arrivo delle nuove. E' questa la seconda soluzione, sfavorevole al Bulla. Si possono, quindi, tirare le conclusioni per questo numero. Nessuna risposta favorevole per il Bulla e, quindi, nessuna ammissibilita' alla liberazione condizionale sotto il profilo della collaborazione inesigibile. E' possibile solo ipotizzare una applicazione costituzionale della sentenza n. 445/1997, che escluderebbe inammissibilita' al beneficio in questione, ma si tratta di una soluzione - la prima delle due indicate poche righe sopra - che non si rivela facile da sostenere. La conclusione, allora, e' che non si riscontra la possibilita' di eccezioni alla regola della inammissibilita', eccezioni basate sulla giurisprudenza costituzionale, che non appare applicabile nel caso. Tutto torna allora alla conclusione cui si era pervenuti alla fine del numero 4. Se si esclude la possibilita', nel caso, della applicazione all'interessato delle eccezioni alla regola della inammissibilita' del beneficio della liberazione condizionale ex art. 4-bis, nel testo vigente, per i condannati all'ergastolo per i delitti di cui al primo periodo del primo comma dell'articolo citato, resta ferma la conclusione indicata alla fine del numero 4: non risulta manifestamente infondata la questione di costituzionalita' di tale norma perche' la stessa determina la effettivita' e definitivita' della pena dell'ergastolo come pena perpetua e viola, quindi, l'art. 27, comma 3, Costituzione, in quanto impedisce la finalizzazione di tale pena alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato. E' tale conclusione che si sottopone al giudizio della Corte Costituzionale. Il tribunale di sorveglianza, a scioglimento della riserva espressa nell'udienza del 10 ottobre 2000; Visti ed esaminati gli atti della procedura di sorveglianza in materia di rettifica dati di ordinanza di eccezione di costituzionalita', relativa a Bulla Benito nato il 27 aprile 1936 a Adrano detenuto nella casa di reclusione di Volterra; Verificata la regolarita' degli atti sotto il profilo processuale. O s s e r v a Nella ordinanza di questo tribunale di sorveglianza del 29 giugno 2000, nel dispositivo, alle parole "art. 4-bis, primo periodo del primo comma, nel testo vigente", vanno aggiunte le parole: "della legge 26 luglio 1975, n. 354, modificata sul punto dal d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 203".