IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 1347 del 2000, proposto da Umberto Isceri, Luigi Vergine e dal comune di Squinzano quest'ultimo in persona del sindaco pro-tempore, rappresentati e difesi dall'avv. Anna Rita Pulli e, relativamente al sig. Isceri, dall'avv. Tommaso Millefiori ed elettivamente domiciliati presso i medesimi in Lecce, via Garibaldi n. 43; Contro l'azienda U.S.L. LE/1, in persona del direttore generale pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Luigi De Pascalis e domiciliata nella sede legale dell'ufficio in Lecce, via Miglietta n. 5, nonche', Regione Puglia, in persona del Presidente pro-tempore, non costituita per l'annullamento della nota prot. n. 669/2000 in data 10 marzo 2000 del dirigente medico del Servizio sanita' pubblica e igiene degli alimenti della A.U.S.L. LE/1 - Distretto di Campi Salentina nonche' di tutti gli atti presupposti, connessi e/o conseguenziali ed in particolare della deliberazione della Giunta Regionale della Puglia n. 1415 del 31 marzo 1994; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Azienda U.S.L. LE/1; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Udito alla pubblica udienza del 26 ottobre 2000 il relatore referendario dott. Roberto Caponigro e uditi altresi', per la parte ricorrente, l'avv. Anna Rita Pulli, anche in sostituzione dell'avv. Tommaso Millefiori, e, per l'Azienda U.S.L. LE/1, l'avv. Luigi De Pascalis; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: F a t t o I signori Isceri e Vergine, per il tramite del comune di Squinzano, hanno presentato all'Azienda U.S.L. LE/1 distretto di Campi Salentina la documentazione relativa a progetti finalizzati all'esecuzione delle opere ivi previste per l'acquisizione del parere igienico-sanitario prescritto dalla disciplina di settore. L'amministrazione sanitaria, con l'impugnata nota del 10 marzo 2000, ha restituito al comune di Squinzano tali pratiche edilizie sprovviste del parere igienico-sanitario di competenza in quanto mancanti del versamento dei diritti sanitari ai sensi della deliberazione di Giunta Regionale n. 1415 del 31 marzo 1994, anch'essa oggi impugnata. I ricorrenti propongono i seguenti motivi di ricorso: 1) eccesso di potere per errore sui presupposti di fatto e di diritto. Diniego di svolgimento di pubblica funzione. Il rilascio del parere igienico-sanitario in relazione alle opere edilizie costituirebbe attivita' istituzionale dell'A.U.S.L. e, pertanto, il suo svolgimento non potrebbe essere subordinato al preventivo pagamento dei diritti sanitari. Inoltre la previsione contenuta nella deliberazione di Giunta Regionale n. 1415/1994 sull'anticipato pagamento delle tariffe sarebbe tamquam non esset in quanto la Commissione di controllo avrebbe approvato la delibera nell'intesa che parte integrante del provvedimento fosse soltanto il tariffario. 2) violazione e falsa applicazione art. 7, commi 1 e 2, legge regionale n. 36/1984. La deliberazione di Giunta Regionale n. 1415/1994 costituirebbe diretta applicazione dell'art. 7 leggge regionale n. 36/1984 dalla cui lettura conseguirebbe che la legittimita' della pretesa della A.U.S.L. e' legata al duplice presupposto che le prestazioni siano di tipo non istituzionale e non siano previste dalla legge a carico dell'amministrazione sanitaria; presupposti nel caso di specie insussistenti. 3) illegittimita' derivata dall'illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 2, della legge regionale n. 36/1984 per violazione dell'art. 23 della Costituzione (riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali). La norma regionale si caratterizzerebbe per l'attribuzione all'autorita' amministrativa del potere di determinazione delle tariffe in assenza di quei criteri e limiti che la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto indefettibili ai fini del rispetto del principio della riserva di legge posta dall'art. 23 Cost. L'Azienda U.S.L. LE/1 eccepisce in rito l'inammissibilita' del ricorso proposto dal comune di Squinzano atteso che il provvedimento impugnato non sarebbe lesivo di alcun interesse dell'ente territoriale. Nel merito, con ampia memoria, contesta la fondatezza delle censure dedotte e conclude per il rigetto del ricorso. L'istanza cautelare e' stata respinta da questo tribunale con ordinanza n. 1190, pronunciata nella camera di consiglio del 25 maggio 2000, per difetto del periculum in mora. All'udienza pubblica del 26 ottobre 2000 il ricorso e' stato trattenuto per la decisione. D i r i t t o Il Collegio affronta in via preliminare l'eccezione di inammissibilita' del ricorso in quanto proposto dal comune di Squinzano per carenza di legittimazione attiva. L'eccezione e' fondata in quanto i destinatari degli atti impugnati sono i singoli cittadini e non l'amministrazione comunale che ha solo presentato per loro conto le istanze alla A.U.S.L. Infatti, la legittimazione attiva al ricorso giurisdizionale amministrativo presuppone l'esistenza di un interesse giuridicamente protetto in capo al soggetto che propone l'azione, sicche' il comune, in assenza di un proprio interesse differenziato e qualificato, non puo' surrogarsi o affiancarsi a colui che risente direttamente degli effetti lesivi dell'atto in quanto cio' non e' consentito dal vigente ordinamento processuale. L'amministrazione comunale, in qualita' di ente esponenziale della comunita' locale, puo' agire solo a tutela di interessi generali dell'intera collettivita' e non di quelli particolari di singoli comunisti ed in ogni caso e' tenuta a dare specifica contezza dell'esistenza del proprio interesse personale all'impugnazione essendo come tutti gli altri ricorrenti onerata a dimostrare l'attualita' della lesione e l'utilita' ritraibile dall'eventuale accoglimento del ricorso, secondo una regola fondamentale del processo amministrativo (in tal senso: Cons. Stato, V, 15 luglio 1998, n. 1045). Nel caso di specie, il comune di Squinzano agirebbe a tutela di interessi particolari, propri dei cittadini che avanzano istanza per ottenere concessioni edilizie, e non della generalita' dei consociati. In definitiva, l'interesse di cui in giudizio si invoca tutela e' di titolarita' di singoli cittadini tra cui i ricorrenti signori Isceri e Vergine rispetto ai quali il ricorso e', ovviamente, ammissibile mentre la carenza di legittimazione attiva dell'ente territoriale, conseguente all'assenza di una propria posizione qualificata e differenziata, determina l'accoglimento dell'eccezione di inammissibilita' del ricorso in parte qua. Nel merito, il Collegio osserva che i ricorrenti, mentre con il motivo d'impugnativa sub 1) deducono l'illegittimita' della nota dell'A.U.S.L. LE/1 - Distretto di Campi Salentina n. 669 del 10 marzo 2000 nella sola parte in cui chiede il pagamento anticipato dei diritti sanitari, con i motivi sub 2) e 3) censurano l'illegittimita' di tale atto nel suo complesso, sicche' giova procedere prioritariamente all'esame di questi ultimi motivi che, ove fondati, determinerebbero l'assorbimento del primo. Con il motivo sub 2), l'illegittimita' dell'atto applicativo e' fatta discendere in via derivata dal vizio dell'atto presupposto (id est: delibera di giunta regionale n. 1415 del 31 marzo 1994) che violerebbe la norma presupposta di cui all'art. 7 della legge regionale 20 luglio 1984, n. 36. L'art. 7 della legge regionale n. 36/1984, relativa all'organizzazione dei servizi di igiene e sanita' pubblica delle unita' sanitarie locali (oggi aziende), prevede che "compatibilmente con l'esigenza di assicurare l'assolvimento dei compiti istituzionali, i presidi e servizi delle unita' sanitarie locali possono effettuare prestazioni ed eseguire accertamenti e indagini per conto e nell'interesse di terzi richiedenti, inerenti l'igiene pubblica e la medicina legale. La giunta regionale stabilisce le prestazioni, gli accertamenti e le indagini che, oltre i casi previsti dalla legge, possono essere effettuati in favore di terzi richiedenti e fissa le tariffe a carico degli stessi, nonche' le modalita' di riscossione e destinazione delle somme". I ricorrenti propongono una lettura della disposizione per effetto della quale la legittimita' della pretesa tariffaria dell'amministrazione sanitaria sarebbe subordinata alle condizioni che le prestazioni siano di tipo extraistituzionale e non siano gia' previste dalla legge a carico delle aziende sanitarie. Tale esegesi e' fondata, riguardo alla prima condizione, sulla locuzione "compatibilmente con le esigenze istituzionali" e, riguardo alla seconda condizione, sulla locuzione "oltre i casi previsti dalla legge", ma soprattutto postula che la giunta ha titolo a fissare le tariffe esclusivamente per tale tipologia di prestazioni. Nell'ipotesi adombrata dai ricorrenti, in sostanza, la regione non avrebbe proprio il potere di fissare la tariffazione per le prestazioni che, come nel caso di specie, sono istituzionalmente dovute dalle aziende sanitarie e sono previste espressamente dalla legge. La conseguenza di tale prospettazione e' che il costo di tali prestazioni, pur divisibili in quanto connotate dalla caratteristica tecnica dell'escludibilita', non graverebbe sul singolo fruitore ma sarebbe posto a carico dell'intera collettivita' attraverso un'imposizione tributaria basata sul diverso criterio della capacita' contributiva e, quindi, per mezzo di imposte. Infatti, quando i servizi pubblici e, quindi, le spese pubbliche sono "divisibili" in quanto possono essere riferiti ad utilizzatori determinati, sotto il profilo della politica fiscale, si pone l'alternativa tra addossare il costo di questi servizi a chi in concreto se ne serve oppure ascriverlo, in tutto o in parte, alla "fiscalita' generale" e' cioe' facendolo gravare su tutti i consociati attraverso i tributi. Cio' posto, il Collegio ritiene infondata la censura in esame atteso che la normativa regionale de quo deve essere diversamente interpretata. In particolare, e' dell'avviso che l'art. 7 in questione, al secondo comma, preveda due fattispecie astratte completamente diverse l'una dall'altra: una prima, che attribuisce alla giunta regionale la finzione di stabilire le prestazioni, gli accertamenti e le indagini che le aziende sanitarie possono effettuare in favore di terzi richiedenti oltre i casi previsti dalla legge e compatibilmente con l'esigenza di assicurare l'assolvimento dei compiti istituzionali, che e' sostanzialmente quella a cui fanno riferimento i ricorrenti; una seconda, che conferisce alla giunta regionale la potesta' di imposizione tariffaria a carico dei terzi richiedenti per tutte le prestazioni effettuate dalle aziende e cioe' sia per quelle extraistituzionali previste dalla norma immediatamente precedente sia per quelle istituzionali previste dalla legge, tra le quali, ovviamente, rientrano i pareri igienico-sanitari in materia edilizia. In sostanza, la congiunzione "e" contenuta nel secondo comma dell'art. 7 legge regionale n. 36/1984 varrebbe a separare ipotesi diverse nell'ambito dei complessivi poteri che la disposizione di legge conferisce alla giunta regionale. Il Collegio ritiene preferibile questa differente traiettoria interpretativa in quanto, da un lato, totalmente compatibile con la formulazione letterale utilizzata dal legislatore regionale, dall'altra, piu' aderente alla ratio legis atteso che in tal modo le singole prestazioni, come detto tipicamente divisibili, vengono fatte gravare, quantomeno nella misura stabilita dall'autorita' amministrativa, sul singolo fruitore e non sulla generalita' dei consociati, laddove non e' obiettivamente ipotizzabile che il legislatore abbia voluto addossare interamente alla collettivita' prestazioni divisibili eseguite da amministrazioni pubbliche nell'esclusivo interesse di singoli utenti. L'impugnata nota dell'A.U.S.L LE/1 distretto di Campi Salentina, quindi, applica la delibera regionale n. 1415/1994 che, in parte qua, non e' in contrasto con il dettato di cui all'art. 7 della legge regionale n. 36/1984, sicche' il motivo d'impugnativa sub 2) e' infondato. Con il motivo sub 3), i ricorrenti deducono l'illegittimita' degli atti impugnati in via derivata dall'illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 2, legge regionale n. 36/1984, atteso che alle tariffe in esame sarebbe attribuibile la natura di prestazioni patrimoniali imposte soggette alla garanzia della riserva, sia pure relativa, di legge dettata dall'art. 23 della Costituzione e che nella fattispecie concreta, invece, la determinazione tariffaria sarebbe stata affidata alla mera attivita' amministrativa senza la fissazione di un qualsivoglia parametro a livello legislativo. La questione e' indubbiamente rilevante ai fini del decidere considerato che l'eventuale fondatezza della censura determinerebbe l'accogliniento del ricorso, laddove la sua infondatezza genererebbe, viceversa, la necessita' di esaminare il motivo sub 1) alla cui eventuale fondatezza, come anticipato, non seguirebbe, pero', l'accoglimento totale del ricorso, ma soltanto l'annullamento della nota A.U.S.L. nella parte in cui richiede il pagamento anticipato delle tariffe. Cio' posto, il Collegio osserva che la materia in esame rientra negli accertamenti previsti dall'art. 220 del r.d. 27 luglio 1934, n. 1265 il quale disponeva che i progetti per le costruzioni di nuove case, urbani o rurali, quelli per la ricostruzione o la sopraelevazione o per modificazioni, che comunque possono influire sulle condizioni di salubrita' delle case esistenti debbono essere sottoposti al visto del podesta', che provvede previo parere dell'ufficiale sanitario e sentita la commissione edilizia. Tale funzione e' stata dapprima delegata alle regioni dall'art. 13, comma 6, del d.P.R. n. 4/1972 e poi definitivamente trasferita con l'art. 27 del d.P.R. n. 616/1977 il quale dispone che le funzioni amministrative relative alla materia "assistenza sanitaria ed ospedaliera" comprendono, tra le altre, quelle che tendono all'igiene degli insediamenti urbani e della collettivita'. L'art. 20, lett. f), della legge n. 833/1978, infine, affida alle UU.SS.LL. (ora aziende sanitarie) la verifica della compatibilita' dei piani urbanistici e dei progetti di insediamenti industriali e di attivita' produttive in genere con le esigenze di tutela dell'ambiente sotto il profilo igienico-sanitario e di difesa della salute della popolazione e dei lavoratori interessati e da tale generica previsione di competenza si ritiene di far discendere le passate attribuzioni in materia edilizia del soppresso ufficiale sanitario. La materia tariffaria rientra nella piena potesta' regionale ed e' disciplinata nella Regione Puglia con leggi nn. 36/1984, 4/1988 e 13/1999 con affidamento alla giunta dei relativi poteri. L'art. 23 della Costituzione stabilisce che nessuna prestazione personale e patrimoniale puo' essere imposta se non in base alla legge, ponendo in tal modo una riserva relativa di legge. Occorre, pertanto, affrontare un preliminare problema e cioe' se la materia tariffaria rientra nel concetto di prestazione patrimoniale imposta e quindi nell'ambito di attrazione della predetta norma costituzionale. L'art. 23 ha costituzionalizzato un principio elaborato da lunghissimo tempo dalla dottrina amministrativa e cioe' quello per cui le prestazioni coattive dei singoli a favore degli enti pubblici, rappresentando una limitazione della proprieta' e liberta' individuali, possono essere stabilite solo con legge. In particolare, le scelte di politica tributaria devono essere attribuite agli organi rappresentativi dell'intera collettivita', sottraendole al potere esecutivo che e' espressione di maggioranze politiche, mentre solo il Parlamento (o il Consiglio regionale) assicura la rappresentanza dei cittadini nel loro complesso. La categoria delle prestazioni patrimoniali comprende l'intera materia tributaria e, quindi, sia le imposte sia le tasse, mentre maggiori difficolta' sorgono in ordine alle tariffe che, come noto, non rappresentano un tributo ma il corrispettivo dovuto sulla base di un regime contrattuale alla pubblica amministrazione che svolge un'attivita' in favore del singolo. La Corte costituzionale, peraltro, da tempo applica la norma anche a fattispecie contrattuali quando un qualche aspetto della disciplina del rapporto sia fissato autoritativamente, come nel caso dei servizi pubblici essenziali gestiti in regime di monopolio. In definitiva, si ritiene esservi prestazione imposta tutte le volte che sussista una predeterminazione autoritativa della disciplina delle contrapposte prestazioni e, in particolare, dell'entita' dei corrispettivi dovuti dal privato, anche se a quest'ultimo e' rimessa la facolta' di richiedere o no la prestazione dell'ente pubblico. Il giudice delle leggi - che ha esteso l'art. 23 della Costituzione ai corrispettivi di servizi pubblici essenziali gestiti in regime di monopolio sin dalla sentenza n. 72/1969, concernente le tariffe telefoniche - ha avuto modo di occuparsi di questione analoga alla presente con sentenza n. 180/1996 nella quale ha, tra l'altro, indicato che alle tariffe in esame, siccome determinate con unilaterale atto autoritativo alla cui adozione non concorre la volonta' del privato, che si limita ad avvalersi di un servizio normativamente riservato alla mano pubblica onde soddisfare un essenziale bisogno della vita, quale quello legato al concreto esercizio dello ius aedificandi, sia da attribuire la natura di prestazioni patrimoniali imposte, soggette dunque alla garanzia dettata dall'art. 23 della Costituzione. Cio' posto, il Collegio osserva che l'art. 23 della Costituzione contiene una riserva di legge relativa, atteso che le prestazioni patrimoniali possono essere imposte "in base alla legge", sicche' occorre individuare in via preliminare quali elementi della disciplina di un tributo, o di una tariffa, devono essere previsti dalla legge e quali possono essere, invece, previsti con atti regolamentari. Non sussiste dubbio sul fatto che la legge debba individuare il presupposto dell'imposizione, i soggetti passivi, la misura nonche' le eventuali sanzioni. Peraltro, giova precisare in ordine alla misura dell'imposizione che la Corte costituzionale ritiene rispettato il precetto ex art. 23 della Costituzione se la legge indica la misura massima dell'aliquota, o comunque fissa criteri idonei a delimitare la discrezionalita' dell'ente impositore, cui la legge domanda la potesta' normativa di fissare il quantum, mediante la previsione di opportuni limiti e controlli ed anzi la Corte ha ritenuto costantemente che il principio di riserva e' rispettato anche in assenza di un'espressa indicazione legislativa dei criteri, limiti e controlli sufficienti a delimitare l'ambito di discrezionalita' dell'amministrazione, purche' gli stessi siano desumibili dalla destinazione della prestazione, ovvero dalla composizione e dal funzionamento degli organi competenti a determinarne la misura (ex multis: sentenza n. 507/1988). Infatti, nella citata sentenza n. 180/1996, la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata atteso che la legge regionale sospetta d'incostituzionai'ita', nel demandare alla giunta regionale il potere di approvazione delle tariffe, disponeva anche la partecipazione di organi consultivi, dotati di spiccata competenza tecnica desumibile dalla loro composizione ordinaria, onde assicurare un'effettiva congrua ponderazione degli interessi coinvolti, sicche' risultava garantita l'oggettivita' nella concreta determinazione dell'onere e l'adeguata ponderazione tecnica dei molteplici elementi implicati nella valutazione. Con sentenza n. 90/1994 aveva ancora dichiarato non fondata la sollevata questione di legittimita' costituzionale attesa la previsione legislativa di un modulo procedimentale idoneo a realizzare la collaborazione di piu' organi nell'esplicazione di una mera discrezionalita' tecnica e, quindi, in modo tale da escludere quella eventualita' di arbitrii da cui l'art. 23 Cost. ha inteso salvaguardare i soggetti onerati dalle prestazioni. Nella controversia oggetto del presente giudizio, l'art. 7, comma 2, della legge regionale n. 36/1984 attribuisce sic et simpliciter alla giunta regionale il potere di fissare le tariffe a carico dei terzi richiedenti le prestazioni delle aziende sanitarie nonche' le modalita' di riscossione e destinazione delle somme. In esecuzione di tale previsione legislativa, la giunta regionale ha approvato il relativo tariffario con deliberazione n. 1415 del 31 marzo 1994, pubblicata nel bollettino ufficiale regioni e province n. 142 del 20 dicembre 1994, che al capitolo 2, tariffa V, punto 5 prevede la tariffazione per il rilascio di pareri, sotto il profilo igienicosanitario per la tutela dell'ambiente e la difesa della pubblica salute, su pratiche edilizie (progetti di costruzione, ampliamento e ristrutturazione di civili abitazioni, insediamenti produttivi ecc.) in attuazione del quale e' stata adottata l'impugnata nota dell'A.U.S.L. LE/1 - Distretto di Campi Salentina. Ne consegue, come gia' evidenziato, la sicura rilevanza della sollevata questione di legittimita' costituzionale ai fini della decisione del presente giudizio. La questione, inoltre, non e' manifestamente infondata atteso che la norma di legge attribuisce una discrezionalita' piena all'autorita' amministrativa non stabilendo alcun tipo di limite o controllo alla stessa ne' direttamente ne' indirettamente. D'altra parte, la considerazione dell'amministrazione resistente secondo la quale la deliberazione giuntale n. 1415/1994 fa espresso riferimento per la determinazione delle tariffe a normative valide sull'intero territorio nazionale, riguarda i criteri seguiti in concreto dalla giunta nell'esercizio della potesta' di tariffazione, ma non discende da modelli procedimentali fissati dalla legge regionale presupposta che, sul punto, non detta alcun tipo di riferimento. Il Collegio rileva, quindi, che la Regione Puglia ha rimesso il potere di fissare le tariffe in argomento alla Giunta regionale senza fornire alcun tipo di parametro o criterio minimo per il rispetto della riserva relativa di legge posta dall'art. 23 della Costituzione per tutelare gli onerati dalle prestazioni tariffarie da possibili arbitrii della pubblica amministrazione Ne consegue, per le ragioni suesposte, che deve essere disposta la remissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del giudizio. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio in ordine alla proposizione del ricorso da parte del comune di Squinzano dichiarato inammissibile;