IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso n. 1347 del
2000,  proposto  da  Umberto  Isceri,  Luigi  Vergine e dal comune di
Squinzano   quest'ultimo   in   persona   del   sindaco  pro-tempore,
rappresentati  e difesi dall'avv. Anna Rita Pulli e, relativamente al
sig.   Isceri,   dall'avv.   Tommaso   Millefiori   ed  elettivamente
domiciliati presso i medesimi in Lecce, via Garibaldi n. 43;
    Contro  l'azienda  U.S.L. LE/1, in persona del direttore generale
pro-tempore,  rappresentata  e  difesa  dall'avv. Luigi De Pascalis e
domiciliata  nella  sede  legale dell'ufficio in Lecce, via Miglietta
n. 5, nonche', Regione Puglia, in persona del Presidente pro-tempore,
non  costituita  per  l'annullamento  della nota prot. n. 669/2000 in
data 10 marzo 2000 del dirigente medico del Servizio sanita' pubblica
e  igiene  degli  alimenti  della  A.U.S.L. LE/1 - Distretto di Campi
Salentina  nonche'  di  tutti  gli  atti  presupposti,  connessi  e/o
conseguenziali  ed  in  particolare  della deliberazione della Giunta
Regionale della Puglia n. 1415 del 31 marzo 1994;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio dell'Azienda U.S.L.
LE/1;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udito  alla  pubblica  udienza  del  26  ottobre 2000 il relatore
referendario  dott.  Roberto Caponigro e uditi altresi', per la parte
ricorrente,  l'avv.  Anna Rita Pulli, anche in sostituzione dell'avv.
Tommaso  Millefiori,  e,  per  l'Azienda U.S.L. LE/1, l'avv. Luigi De
Pascalis;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

F a t t o

    I  signori  Isceri  e  Vergine,  per  il  tramite  del  comune di
Squinzano,  hanno  presentato  all'Azienda  U.S.L.  LE/1 distretto di
Campi  Salentina  la  documentazione  relativa a progetti finalizzati
all'esecuzione delle opere ivi previste per l'acquisizione del parere
igienico-sanitario prescritto dalla disciplina di settore.
    L'amministrazione  sanitaria,  con  l'impugnata nota del 10 marzo
2000,  ha  restituito  al  comune di Squinzano tali pratiche edilizie
sprovviste  del  parere  igienico-sanitario  di  competenza in quanto
mancanti   del   versamento  dei  diritti  sanitari  ai  sensi  della
deliberazione   di  Giunta  Regionale  n. 1415  del  31  marzo  1994,
anch'essa oggi impugnata.
    I ricorrenti propongono i seguenti motivi di ricorso:

        1) eccesso di potere per errore sui presupposti di fatto e di
diritto. Diniego di svolgimento di pubblica funzione. Il rilascio del
parere   igienico-sanitario   in   relazione   alle   opere  edilizie
costituirebbe  attivita'  istituzionale dell'A.U.S.L. e, pertanto, il
suo   svolgimento  non  potrebbe  essere  subordinato  al  preventivo
pagamento dei diritti sanitari. Inoltre la previsione contenuta nella
deliberazione   di   Giunta  Regionale  n. 1415/1994  sull'anticipato
pagamento  delle  tariffe  sarebbe  tamquam  non  esset  in quanto la
Commissione  di  controllo  avrebbe approvato la delibera nell'intesa
che parte integrante del provvedimento fosse soltanto il tariffario.

        2) violazione e falsa applicazione art. 7, commi 1 e 2, legge
regionale   n. 36/1984.   La   deliberazione   di   Giunta  Regionale
n. 1415/1994  costituirebbe  diretta  applicazione dell'art. 7 leggge
regionale   n. 36/1984   dalla   cui  lettura  conseguirebbe  che  la
legittimita'  della  pretesa  della  A.U.S.L.  e'  legata  al duplice
presupposto  che le prestazioni siano di tipo non istituzionale e non
siano  previste  dalla legge a carico dell'amministrazione sanitaria;
presupposti nel caso di specie insussistenti.

        3) illegittimita' derivata dall'illegittimita' costituzionale
dell'art. 7, comma 2, della legge regionale n. 36/1984 per violazione
dell'art.  23  della  Costituzione  (riserva  di  legge in materia di
prestazioni patrimoniali).
    La   norma  regionale  si  caratterizzerebbe  per  l'attribuzione
all'autorita'  amministrativa  del  potere  di  determinazione  delle
tariffe  in  assenza  di  quei criteri e limiti che la giurisprudenza
costituzionale  ha  ritenuto  indefettibili  ai fini del rispetto del
principio della riserva di legge posta dall'art. 23 Cost.
    L'Azienda  U.S.L.  LE/1  eccepisce in rito l'inammissibilita' del
ricorso  proposto dal comune di Squinzano atteso che il provvedimento
impugnato   non   sarebbe   lesivo   di   alcun  interesse  dell'ente
territoriale.
    Nel  merito,  con  ampia  memoria,  contesta  la fondatezza delle
censure dedotte e conclude per il rigetto del ricorso.
    L'istanza  cautelare  e'  stata  respinta da questo tribunale con
ordinanza  n. 1190,  pronunciata  nella  camera  di  consiglio del 25
maggio 2000, per difetto del periculum in mora.
    All'udienza  pubblica  del  26  ottobre  2000 il ricorso e' stato
trattenuto per la decisione.

                            D i r i t t o

    Il   Collegio   affronta   in   via  preliminare  l'eccezione  di
inammissibilita'  del  ricorso  in  quanto  proposto  dal  comune  di
Squinzano per carenza di legittimazione attiva.
    L'eccezione  e'  fondata  in  quanto  i  destinatari  degli  atti
impugnati  sono  i singoli cittadini e non l'amministrazione comunale
che ha solo presentato per loro conto le istanze alla A.U.S.L.
    Infatti,  la  legittimazione  attiva  al  ricorso giurisdizionale
amministrativo  presuppone l'esistenza di un interesse giuridicamente
protetto in capo al soggetto che propone l'azione, sicche' il comune,
in  assenza  di un proprio interesse differenziato e qualificato, non
puo'  surrogarsi o affiancarsi a colui che risente direttamente degli
effetti lesivi dell'atto in quanto cio' non e' consentito dal vigente
ordinamento processuale.
    L'amministrazione  comunale,  in  qualita'  di  ente esponenziale
della  comunita'  locale,  puo'  agire  solo  a  tutela  di interessi
generali  dell'intera  collettivita'  e  non di quelli particolari di
singoli comunisti ed in ogni caso e' tenuta a dare specifica contezza
dell'esistenza   del  proprio  interesse  personale  all'impugnazione
essendo   come  tutti  gli  altri  ricorrenti  onerata  a  dimostrare
l'attualita'  della  lesione  e  l'utilita' ritraibile dall'eventuale
accoglimento   del  ricorso,  secondo  una  regola  fondamentale  del
processo  amministrativo  (in  tal  senso:  Cons. Stato, V, 15 luglio
1998, n. 1045).
    Nel  caso  di specie, il comune di Squinzano agirebbe a tutela di
interessi  particolari, propri dei cittadini che avanzano istanza per
ottenere   concessioni   edilizie,   e   non  della  generalita'  dei
consociati.
    In definitiva, l'interesse di cui in giudizio si invoca tutela e'
di  titolarita'  di  singoli  cittadini  tra cui i ricorrenti signori
Isceri  e  Vergine  rispetto  ai  quali  il  ricorso  e', ovviamente,
ammissibile  mentre  la  carenza  di  legittimazione attiva dell'ente
territoriale,   conseguente  all'assenza  di  una  propria  posizione
qualificata  e differenziata, determina l'accoglimento dell'eccezione
di inammissibilita' del ricorso in parte qua.
    Nel  merito,  il Collegio osserva che i ricorrenti, mentre con il
motivo  d'impugnativa  sub  1)  deducono  l'illegittimita' della nota
dell'A.U.S.L. LE/1 - Distretto di Campi Salentina n. 669 del 10 marzo
2000  nella  sola  parte  in  cui  chiede il pagamento anticipato dei
diritti sanitari, con i motivi sub 2) e 3) censurano l'illegittimita'
di   tale   atto   nel   suo   complesso,   sicche'  giova  procedere
prioritariamente  all'esame di questi ultimi motivi che, ove fondati,
determinerebbero l'assorbimento del primo.
    Con  il  motivo sub 2), l'illegittimita' dell'atto applicativo e'
fatta  discendere in via derivata dal vizio dell'atto presupposto (id
est:  delibera  di  giunta  regionale  n. 1415 del 31 marzo 1994) che
violerebbe  la  norma  presupposta  di  cui  all'art.  7  della legge
regionale 20 luglio 1984, n. 36.
    L'art.    7    della   legge   regionale   n. 36/1984,   relativa
all'organizzazione  dei  servizi  di  igiene e sanita' pubblica delle
unita'  sanitarie locali (oggi aziende), prevede che "compatibilmente
con    l'esigenza    di   assicurare   l'assolvimento   dei   compiti
istituzionali,  i  presidi  e  servizi  delle unita' sanitarie locali
possono  effettuare  prestazioni  ed eseguire accertamenti e indagini
per  conto  e  nell'interesse di terzi richiedenti, inerenti l'igiene
pubblica  e  la  medicina  legale.  La giunta regionale stabilisce le
prestazioni,  gli  accertamenti  e  le  indagini  che,  oltre  i casi
previsti  dalla  legge,  possono essere effettuati in favore di terzi
richiedenti  e  fissa  le  tariffe  a carico degli stessi, nonche' le
modalita' di riscossione e destinazione delle somme".
    I  ricorrenti  propongono  una  lettura  della  disposizione  per
effetto   della   quale  la  legittimita'  della  pretesa  tariffaria
dell'amministrazione  sanitaria  sarebbe  subordinata alle condizioni
che  le prestazioni siano di tipo extraistituzionale e non siano gia'
previste dalla legge a carico delle aziende sanitarie.
    Tale  esegesi  e'  fondata, riguardo alla prima condizione, sulla
locuzione "compatibilmente con le esigenze istituzionali" e, riguardo
alla seconda condizione, sulla locuzione "oltre i casi previsti dalla
legge",  ma  soprattutto postula che la giunta ha titolo a fissare le
tariffe esclusivamente per tale tipologia di prestazioni.
    Nell'ipotesi  adombrata  dai  ricorrenti, in sostanza, la regione
non  avrebbe  proprio  il  potere  di  fissare la tariffazione per le
prestazioni  che,  come  nel  caso  di specie, sono istituzionalmente
dovute  dalle  aziende  sanitarie e sono previste espressamente dalla
legge.
    La  conseguenza  di  tale  prospettazione e' che il costo di tali
prestazioni,  pur divisibili in quanto connotate dalla caratteristica
tecnica  dell'escludibilita',  non graverebbe sul singolo fruitore ma
sarebbe   posto   a   carico   dell'intera  collettivita'  attraverso
un'imposizione tributaria basata sul diverso criterio della capacita'
contributiva e, quindi, per mezzo di imposte.
    Infatti,  quando i servizi pubblici e, quindi, le spese pubbliche
sono  "divisibili"  in quanto possono essere riferiti ad utilizzatori
determinati,  sotto  il  profilo  della  politica  fiscale,  si  pone
l'alternativa  tra  addossare  il  costo  di  questi servizi a chi in
concreto  se  ne  serve  oppure ascriverlo, in tutto o in parte, alla
"fiscalita'   generale"   e'  cioe'  facendolo  gravare  su  tutti  i
consociati attraverso i tributi.
    Cio'  posto,  il  Collegio  ritiene infondata la censura in esame
atteso  che  la  normativa  regionale de quo deve essere diversamente
interpretata.
    In  particolare,  e'  dell'avviso  che  l'art. 7 in questione, al
secondo comma, preveda due fattispecie astratte completamente diverse
l'una dall'altra:
        una  prima, che attribuisce alla giunta regionale la finzione
di  stabilire  le  prestazioni, gli accertamenti e le indagini che le
aziende  sanitarie  possono effettuare in favore di terzi richiedenti
oltre i casi previsti dalla legge e compatibilmente con l'esigenza di
assicurare   l'assolvimento   dei   compiti   istituzionali,  che  e'
sostanzialmente quella a cui fanno riferimento i ricorrenti;
        una seconda, che conferisce alla giunta regionale la potesta'
di imposizione tariffaria a carico dei terzi richiedenti per tutte le
prestazioni   effettuate   dalle  aziende  e  cioe'  sia  per  quelle
extraistituzionali previste dalla norma immediatamente precedente sia
per   quelle  istituzionali  previste  dalla  legge,  tra  le  quali,
ovviamente, rientrano i pareri igienico-sanitari in materia edilizia.
    In  sostanza,  la  congiunzione  "e"  contenuta nel secondo comma
dell'art.  7  legge  regionale n. 36/1984 varrebbe a separare ipotesi
diverse  nell'ambito  dei  complessivi  poteri che la disposizione di
legge conferisce alla giunta regionale.
    Il  Collegio  ritiene  preferibile  questa differente traiettoria
interpretativa  in  quanto, da un lato, totalmente compatibile con la
formulazione   letterale   utilizzata   dal   legislatore  regionale,
dall'altra,  piu' aderente alla ratio legis atteso che in tal modo le
singole prestazioni, come detto tipicamente divisibili, vengono fatte
gravare,    quantomeno    nella   misura   stabilita   dall'autorita'
amministrativa,  sul  singolo  fruitore  e  non sulla generalita' dei
consociati,   laddove  non  e'  obiettivamente  ipotizzabile  che  il
legislatore  abbia  voluto  addossare  interamente alla collettivita'
prestazioni   divisibili   eseguite   da   amministrazioni  pubbliche
nell'esclusivo interesse di singoli utenti.
    L'impugnata  nota dell'A.U.S.L LE/1 distretto di Campi Salentina,
quindi, applica la delibera regionale n. 1415/1994 che, in parte qua,
non  e'  in  contrasto  con  il dettato di cui all'art. 7 della legge
regionale  n. 36/1984,  sicche'  il  motivo  d'impugnativa  sub 2) e'
infondato.
    Con  il  motivo  sub  3),  i ricorrenti deducono l'illegittimita'
degli    atti   impugnati   in   via   derivata   dall'illegittimita'
costituzionale  dell'art.  7,  comma  2,  legge regionale n. 36/1984,
atteso  che  alle  tariffe in esame sarebbe attribuibile la natura di
prestazioni   patrimoniali   imposte  soggette  alla  garanzia  della
riserva,  sia  pure  relativa,  di  legge  dettata dall'art. 23 della
Costituzione   e   che   nella   fattispecie   concreta,  invece,  la
determinazione  tariffaria sarebbe stata affidata alla mera attivita'
amministrativa  senza  la  fissazione  di un qualsivoglia parametro a
livello legislativo.
    La  questione  e'  indubbiamente  rilevante  ai fini del decidere
considerato  che  l'eventuale fondatezza della censura determinerebbe
l'accogliniento del ricorso, laddove la sua infondatezza genererebbe,
viceversa,  la  necessita'  di  esaminare  il  motivo sub 1) alla cui
eventuale   fondatezza,   come  anticipato,  non  seguirebbe,  pero',
l'accoglimento  totale  del ricorso, ma soltanto l'annullamento della
nota  A.U.S.L.  nella  parte  in cui richiede il pagamento anticipato
delle tariffe.
    Cio'  posto,  il Collegio osserva che la materia in esame rientra
negli  accertamenti  previsti  dall'art. 220 del r.d. 27 luglio 1934,
n. 1265 il quale disponeva che i progetti per le costruzioni di nuove
case,   urbani   o   rurali,   quelli   per  la  ricostruzione  o  la
sopraelevazione  o  per  modificazioni, che comunque possono influire
sulle  condizioni  di  salubrita' delle case esistenti debbono essere
sottoposti   al  visto  del  podesta',  che  provvede  previo  parere
dell'ufficiale sanitario e sentita la commissione edilizia.
    Tale  funzione  e' stata dapprima delegata alle regioni dall'art.
13,  comma  6,  del d.P.R. n. 4/1972 e poi definitivamente trasferita
con l'art. 27 del d.P.R. n. 616/1977 il quale dispone che le funzioni
amministrative   relative   alla  materia  "assistenza  sanitaria  ed
ospedaliera" comprendono, tra le altre, quelle che tendono all'igiene
degli insediamenti urbani e della collettivita'.
    L'art. 20, lett. f), della legge n. 833/1978, infine, affida alle
UU.SS.LL.  (ora  aziende  sanitarie) la verifica della compatibilita'
dei piani urbanistici e dei progetti di insediamenti industriali e di
attivita'   produttive   in   genere   con   le  esigenze  di  tutela
dell'ambiente  sotto  il profilo igienico-sanitario e di difesa della
salute  della  popolazione  e  dei  lavoratori  interessati e da tale
generica  previsione  di  competenza  si ritiene di far discendere le
passate  attribuzioni  in  materia  edilizia  del soppresso ufficiale
sanitario.
    La  materia  tariffaria rientra nella piena potesta' regionale ed
e'  disciplinata nella Regione Puglia con leggi nn. 36/1984, 4/1988 e
13/1999 con affidamento alla giunta dei relativi poteri.
    L'art.  23  della Costituzione stabilisce che nessuna prestazione
personale  e  patrimoniale  puo'  essere  imposta se non in base alla
legge, ponendo in tal modo una riserva relativa di legge.
    Occorre,  pertanto, affrontare un preliminare problema e cioe' se
la   materia   tariffaria   rientra   nel   concetto  di  prestazione
patrimoniale   imposta  e  quindi  nell'ambito  di  attrazione  della
predetta norma costituzionale.
    L'art.  23  ha  costituzionalizzato  un  principio  elaborato  da
lunghissimo  tempo  dalla  dottrina amministrativa e cioe' quello per
cui le prestazioni coattive dei singoli a favore degli enti pubblici,
rappresentando   una   limitazione   della   proprieta'   e  liberta'
individuali, possono essere stabilite solo con legge. In particolare,
le scelte di politica tributaria devono essere attribuite agli organi
rappresentativi  dell'intera  collettivita',  sottraendole  al potere
esecutivo che e' espressione di maggioranze politiche, mentre solo il
Parlamento  (o il Consiglio regionale) assicura la rappresentanza dei
cittadini nel loro complesso.
    La  categoria  delle  prestazioni patrimoniali comprende l'intera
materia  tributaria  e,  quindi,  sia le imposte sia le tasse, mentre
maggiori  difficolta'  sorgono in ordine alle tariffe che, come noto,
non rappresentano un tributo ma il corrispettivo dovuto sulla base di
un  regime  contrattuale  alla  pubblica  amministrazione  che svolge
un'attivita' in favore del singolo.
    La  Corte  costituzionale,  peraltro,  da  tempo applica la norma
anche  a  fattispecie  contrattuali  quando  un qualche aspetto della
disciplina  del rapporto sia fissato autoritativamente, come nel caso
dei servizi pubblici essenziali gestiti in regime di monopolio.
    In  definitiva,  si  ritiene esservi prestazione imposta tutte le
volte   che   sussista   una   predeterminazione  autoritativa  della
disciplina   delle   contrapposte   prestazioni  e,  in  particolare,
dell'entita'  dei  corrispettivi  dovuti  dal  privato,  anche  se  a
quest'ultimo e' rimessa la facolta' di richiedere o no la prestazione
dell'ente pubblico.
    Il   giudice  delle  leggi  -  che  ha  esteso  l'art.  23  della
Costituzione  ai corrispettivi di servizi pubblici essenziali gestiti
in  regime di monopolio sin dalla sentenza n. 72/1969, concernente le
tariffe telefoniche - ha avuto modo di occuparsi di questione analoga
alla  presente  con sentenza n. 180/1996 nella quale ha, tra l'altro,
indicato   che   alle  tariffe  in  esame,  siccome  determinate  con
unilaterale  atto  autoritativo  alla  cui  adozione  non concorre la
volonta'  del  privato,  che  si  limita  ad avvalersi di un servizio
normativamente  riservato  alla  mano  pubblica  onde  soddisfare  un
essenziale  bisogno  della  vita,  quale  quello  legato  al concreto
esercizio  dello  ius  aedificandi,  sia  da  attribuire la natura di
prestazioni  patrimoniali  imposte,  soggette  dunque  alla  garanzia
dettata dall'art. 23 della Costituzione.
    Cio'  posto, il Collegio osserva che l'art. 23 della Costituzione
contiene  una  riserva  di  legge relativa, atteso che le prestazioni
patrimoniali  possono  essere  imposte  "in base alla legge", sicche'
occorre   individuare   in   via  preliminare  quali  elementi  della
disciplina  di  un  tributo, o di una tariffa, devono essere previsti
dalla  legge  e  quali  possono  essere,  invece,  previsti  con atti
regolamentari.
    Non  sussiste  dubbio sul fatto che la legge debba individuare il
presupposto  dell'imposizione,  i soggetti passivi, la misura nonche'
le eventuali sanzioni.
    Peraltro,  giova precisare in ordine alla misura dell'imposizione
che la Corte costituzionale ritiene rispettato il precetto ex art. 23
della   Costituzione   se   la   legge   indica   la  misura  massima
dell'aliquota,  o  comunque  fissa  criteri  idonei  a  delimitare la
discrezionalita'  dell'ente  impositore,  cui  la  legge  domanda  la
potesta'  normativa  di fissare il quantum, mediante la previsione di
opportuni   limiti   e   controlli  ed  anzi  la  Corte  ha  ritenuto
costantemente  che  il  principio  di  riserva e' rispettato anche in
assenza  di un'espressa indicazione legislativa dei criteri, limiti e
controlli  sufficienti  a  delimitare  l'ambito  di  discrezionalita'
dell'amministrazione,  purche'  gli  stessi  siano  desumibili  dalla
destinazione  della  prestazione,  ovvero  dalla  composizione  e dal
funzionamento  degli  organi  competenti a determinarne la misura (ex
multis: sentenza n. 507/1988).
    Infatti,   nella   citata   sentenza  n. 180/1996,  la  Corte  ha
dichiarato  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
sollevata     atteso     che     la    legge    regionale    sospetta
d'incostituzionai'ita', nel demandare alla giunta regionale il potere
di  approvazione  delle tariffe, disponeva anche la partecipazione di
organi  consultivi,  dotati di spiccata competenza tecnica desumibile
dalla  loro  composizione  ordinaria,  onde  assicurare  un'effettiva
congrua  ponderazione  degli  interessi  coinvolti, sicche' risultava
garantita  l'oggettivita'  nella concreta determinazione dell'onere e
l'adeguata  ponderazione  tecnica  dei  molteplici elementi implicati
nella valutazione.
    Con  sentenza  n. 90/1994  aveva ancora dichiarato non fondata la
sollevata   questione   di   legittimita'  costituzionale  attesa  la
previsione   legislativa   di   un  modulo  procedimentale  idoneo  a
realizzare  la collaborazione di piu' organi nell'esplicazione di una
mera  discrezionalita'  tecnica  e, quindi, in modo tale da escludere
quella  eventualita'  di  arbitrii  da  cui l'art. 23 Cost. ha inteso
salvaguardare i soggetti onerati dalle prestazioni.
    Nella controversia oggetto del presente giudizio, l'art. 7, comma
2,  della  legge  regionale n. 36/1984 attribuisce sic et simpliciter
alla  giunta  regionale  il potere di fissare le tariffe a carico dei
terzi  richiedenti  le prestazioni delle aziende sanitarie nonche' le
modalita' di riscossione e destinazione delle somme.
    In esecuzione di tale previsione legislativa, la giunta regionale
ha  approvato il relativo tariffario con deliberazione n. 1415 del 31
marzo  1994,  pubblicata  nel bollettino ufficiale regioni e province
n. 142  del  20  dicembre 1994, che al capitolo 2, tariffa V, punto 5
prevede  la  tariffazione per il rilascio di pareri, sotto il profilo
igienicosanitario  per  la  tutela  dell'ambiente  e  la difesa della
pubblica  salute,  su  pratiche  edilizie  (progetti  di costruzione,
ampliamento  e  ristrutturazione  di  civili abitazioni, insediamenti
produttivi   ecc.)   in   attuazione  del  quale  e'  stata  adottata
l'impugnata nota dell'A.U.S.L. LE/1 - Distretto di Campi Salentina.
    Ne  consegue,  come  gia'  evidenziato, la sicura rilevanza della
sollevata  questione  di  legittimita'  costituzionale  ai fini della
decisione del presente giudizio.
    La questione, inoltre, non e' manifestamente infondata atteso che
la   norma   di   legge   attribuisce   una   discrezionalita'  piena
all'autorita'  amministrativa  non  stabilendo alcun tipo di limite o
controllo alla stessa ne' direttamente ne' indirettamente.
    D'altra  parte, la considerazione dell'amministrazione resistente
secondo  la  quale la deliberazione giuntale n. 1415/1994 fa espresso
riferimento  per  la  determinazione delle tariffe a normative valide
sull'intero  territorio  nazionale,  riguarda  i  criteri  seguiti in
concreto  dalla giunta nell'esercizio della potesta' di tariffazione,
ma  non  discende  da  modelli  procedimentali  fissati  dalla  legge
regionale  presupposta  che,  sul  punto,  non  detta  alcun  tipo di
riferimento.
    Il  Collegio  rileva, quindi, che la Regione Puglia ha rimesso il
potere di fissare le tariffe in argomento alla Giunta regionale senza
fornire  alcun  tipo  di  parametro o criterio minimo per il rispetto
della riserva relativa di legge posta dall'art. 23 della Costituzione
per  tutelare  gli  onerati dalle prestazioni tariffarie da possibili
arbitrii della pubblica amministrazione
    Ne  consegue,  per le ragioni suesposte, che deve essere disposta
la  remissione  degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione
del giudizio.
    Sussistono  giusti  motivi  per  disporre  la compensazione delle
spese  di  giudizio  in ordine alla proposizione del ricorso da parte
del comune di Squinzano dichiarato inammissibile;