IL TRIBUNALE MILITARE

    Nel   procedimento  penale  a  carico  di  Sudato  Paolo,  meglio
generalizzato  in  atti  imputato  del  reato  militare  di "peculato
militare",  in  pubblica udienza ha pronunciato la seguente ordinanza
sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 147 c.p.m.p.
sollevata  d'ufficio  dal  tribunale  militare  di Torino all'udienza
dell'11 maggio 2000.

                            O s s e r v a

    Nel presente procedimento il tribunale non ha potuto esaminare il
sig. Adriano  Ferrero coimputato nel reato in questione, citato dalla
difesa,  in  quanto  ai  sensi dell'art. 210 c.p.p. ha legittimamente
esercitato la facolta' di non rispondere.
    Il  p.m.  non  ha  prestato  il  proprio  consenso in ordine alla
acquisizione   nel   fascicolo   dibattimentale   dei  verbali  degli
interrogativi   resi   durante   le  indagini  preliminari,  in  base
all'art. 1  legge  25 febbraio  2000  n. 35.  La  difesa  ha, quindi,
sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 citato
per  contrasto  con  l'art. 111 della Costituzione nella parte in cui
"non  prevede  l'esclusione  del regime probatorio previsto da questa
disposizione per le deposizioni rese a discarico dell'imputato".
    La pubblica accusa ha chiesto preliminarmente la inammissibilita'
della  questione  per eccessiva genericita'; nel merito, comunque, ha
chiesto che fosse ritenuta manifestamente infondata.
    L'art. 1, comma 2, legge n. 35/2000 afferma che "le dichiarazioni
rese nel corso delle indagini preliminari da chi per libera scelta si
e' sempre volontariamente sottratto all'esame dell'imputato o del suo
difensore  sono  valutate, se gia' acquisite al fascicolo, solo se la
loro attendibilita' e' confermata".
    Il  tribunale ritiene che questa disposizione normativa contrasti
insanabilmente  con  gli  artt. 111  e  24  della Costituzione per le
ragioni che ora si espongono.
    L'art. 111  e  seguenti  della  legge  costituzionale  n. 2/1999,
afferma  espressamente  che  "il  processo  penale  e'  regolato  dal
principio  del  contraddittorio  nella  formazione  della  prova.  La
colpevolezza  dell'imputato  non  puo'  essere  provata sulla base di
dichiarazioni   rese   da  chi,  per  libera  scelta,  si  e'  sempre
volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o
del suo difensore".
    Come  hanno  gia' rilevato i primi commentatori (C. Conti "Le due
"anime  del contraddittorio nel nuovo art. 111 della Costituzione" in
Dir. pen.   e   processo   2000,   197   SS,  V. Gevi  "Dichiarazioni
dell'imputato  sul  fatto  altrui, diritto al silenzio e garanzia del
contraddittorio"  in  Riv.it.dir.proc.pen. 1999, 850, G. Spangher "Il
"giusto  processo  penale"  in  Studium  Iuris  2000,  257, P. Tonini
""Giusto  processo  :  modifiche costituzionali e regime transitorio"
ivi 2000, 639), sono possibili due interpretazioni di questa norma.
    La  prima,  che pare essere quella accolta dalla Procura, ritiene
che  la  disposizione  vuole assicurare la formazione effettiva della
prova   in   contraddittorio,   rendendo   inutilizzabili   tutte  le
dichiarazioni   rese   in   segreto  (in  questo  senso  P. Giordano,
"L'incognita del 192 condiziona la riforma" in Guida al Diritto 1999,
9,  42;  F. Castellano "Scelta una strada contraria alla esperienza",
ivi,  9, 52). Di conseguenza non potrebbero essere utilizzate neppure
le   dichiarazioni,   non   conformate  in  dibattimento,  favorevoli
all'imputato.  Cio' perche' altrimenti una dichiarazione segretamente
raccolta dalla difesa presso una persona che sistematicamente rifiuta
di  rispondere  al  p.m.  potrebbe neutralizzare l'efficacia di prove
legittimamente   formate   in   contraddittorio  (P. Ferrua  "Rischio
contraddizione  sul neo contraddittorio" in Diritto e Giustizia 2000,
1,  80 che ritiene tale ipotesi "inquietante per chiunque persegua il
valore della verita'").
    Partendo  da  queste  premesse  ben  si  spiegherebbe il disposto
dell'art. 1 legge n. 35/2000 che letteralmente preclude la produzione
di   qualsiasi  verbale  ad  eccezione  delle  ipotesi  espressamente
consentite nel fascicolo dibattimentale.
    Il   tribunale  ritiene,  invero,  che  l'art. 111  debba  essere
interpretato sistematicamente insieme all'art. 24 della Costituzione,
che sancisce l'inviolabilita' del diritto alla difesa in ogni stato e
grado  del  procedimento.  Tale  articolo,  come  ha gia' rilevato la
stessa  Alta  Corte  nella  sentenza  14 luglio 1971 n. 175 (in Giur.
Costit.  1971, 2143), tutela l'interesse dell'imputato ad ottenere il
riconoscimento della completa innocenza, "ultimo e vero oggetto della
difesa  rispetto  al  quale  le  altre pretese al giusto procedimento
assumono funzione strumentale".
    Appare  logico  ritenere che se il riconoscimento della innocenza
costituisce  il  cuore  e  la  funzione  principale,  non si puo' non
riconoscere  il  diritto  di  preparare  ed enunciare la propria tesi
difensiva  e  di  ottenere  l'assunzione di tutti gli elementi che la
suffragiano, anche in eventuale deroga alle norme del codice.
    Sul  punto, piu' specificamente e' gia' intervenuta, tra l'altro,
Corte  costituzionale  3 giugno 1966 n. 53 (in Giur. Cost. 1966, 869)
la  quale  ha  affermato  espressamente  la necessita' che l'imputato
possa  comunque  provare  fatti idonei a far rilevare l'insussistenza
delle  imputazioni a suo carico, perche' "se si nega o si limita alla
parte  il  potere  processuale di rappresentare al giudice la realta'
dei fatti ad essa favorevole, se le si nega o si restringe il diritto
ad esibire i mezzi rappresentativi di quella realta', si rifiuta o si
limita ...  la  tutela del diritto alla difesa" (Corte costituzionale
3 giugno 1966 n. 53 in Giur. Cost. 1966, 869).
    La  necessaria lettura sistematica delle due diverse disposizioni
costituzionali induce il tribunale a ravvisare la "ratio" del diritto
di  inutilizzabilita'  non  nella  tutela  del  contradditorio in se'
considerato  ma  nella  tutela  del  contraddittorio  come  strumento
necessario per garantire l'imputato.
    L'art. 111   in   questo  senso  e'  chiarissimo  e  non  ammette
fraintendimenti  interpretativi: "La colpevolezza (e non l'innocenza)
dell'imputato  non puo' essere provata sulla base delle dichiarazioni
rese    da    chi    si    e'    sempre   volontariamente   sottratta
dall'interrogatorio  dell'imputato".  ll divieto dell'utilizzabilita'
pertanto si riferisce solo alle prove di colpevolezza, e non a quelle
di innocenza.
    L'esclusione  delle  dichiarazioni  non  e'  quindi  dovuta a una
presunta  inattendibilita'  ontologica, derivante dalla insussistenza
del  metodo  dialettico  ma  piu'  semplicemente,  in  quanto  questa
procedura lede il diritto di difesa dell'imputato. Cio' emerge ancora
piu'  chiaramente  da  una  analisi storica dell'origine della norma.
Infatti   l'attuale   quarto   comma   dell'art. 111,   nel  progetto
predisposto  dalla Commissione affari costituzionali del Senato della
Repubblica  doveva  essere  inserito  all'interno dell'art. 25 con la
seguente  formulazione:  "Nessuno  puo'  essere  condannato in base a
dichiarazioni ...".
    Questa impostazione si ricollega idealmente alle affermazioni che
l'Alta  Corte  ha  compiuto nella celebre sentenza n. 361/1998, causa
principale dell'avvenuto processo riformatore.
    In  questa  decisione  la  Corte  ha  voluto  specificare come la
mancata  attuazione  del  contraddittorio possa precludere il diritto
alla   prova  spettante  al  p.m.,  ma  mai  il  diritto  alla  prova
dell'imputato  con la conseguente utilizzabilita' delle dichiarazioni
a favore.
    L'art. 1  legge  n. 35/2000 non distinguendo tra dichiarazioni di
accusa  e dichiarazioni di difesa viene a porsi pertanto in oggettivo
contrasto   con   il   combinato  disposto  degli  art. 111/25  della
Costituzione.
    La   questione   sollevata   dalla  difesa,  pertanto,  non  puo'
sicuramente  ritenersi  manifestamente  infondata.  Essa e', inoltre,
sicuramente  rilevante  in  quanto,  nei  due  interrogatori  tenuti,
visionari dal Collegio al solo fine di valutare la rilevanza concreta
della    questione   preposta,   il   Ferrero   smentisce   eventuali
responsabilita'  dell'imputato  per  il reato in questione per cui un
loro   inserimento   nel  fascicolo  dibattimentale  potrebbe  essere
astrattamente  idoneo  a  integrare o formare il libero convincimento
del giudice.