IL TRIBUNALE Visto il ricorso ex art. 98, legge fallimentare proposto da Caguana Valentin Pablo Antonio nei confronti di Fallimento Isla de John Martin s.a.s. di Maragno Rosa & C., ha pronunciato la seguente ordinanza. Il creditore Caguana Valentin Pablo Antonio del Fallimento Isla de John Martin s.a.s. di Maragno Rosa & C. ha depositato in data 19 dicembre 2000 ricorso ex art. 98, legge fallimentare avverso il provvedimento di esclusione pronunciato dal G.D. Il ricorso risulta depositato presso la seconda sezione civile del tribunale di Milano ed e' stato trasmesso al giudice delegato al fallimento Isla de John Martin s.a.s. di Maragno Rosa & C. senza che vi sia un formale provvedimento di assegnazione del procedimento che risulta attribuito alla cognizione del giudice delegato in virtu' del disposto di cui all'art. 98, primo comma, legge fallimentare, in combinazione con il successivo art. 99, primo comma. La norma, in parte qua, appare in contrasto con i principi di cui all'art. 111 Cost., per le seguenti considerazioni relative alla violazione delle regole del giusto processo ed in particolare della imparzialita' del giudice. Sulla rilevanza della questione di legittimita' costituzionale. In base a quanto prevede l'art. 98, legge fallimentare, i ricorsi aventi ad oggetto l'opposizione allo stato passivo sono attribuiti automaticamente al giudice delegato del fallimento cui si riferisce il credito visto il non equivoco tenore letterale della norma: "i creditori esclusi ... possono fare opposizione, entro quindici giorni dal deposito dello stato passivo in cancelleria, presentando ricorso al giudice delegato". Il giudice delegato e' anche giudice istruttore della causa di opposizione in base al disposto di cui all'art. 99, primo comma, legge fallimentare, a mente del quale "il giudice delegato provvede all'istruzione delle varie cause di opposizione". La norma impone quindi che la causa di opposizione sia necessariamente affidata al giudice delegato. La trattazione della causa davanti ad un giudice diverso dal giudice delegato presuppone allora che sia rimossa la disposizione di cui all'art. 98, legge fallimentare, e tale rimozione puo' avvenire, salvo l'intervento del legislatore, solo mediante la declaratoria di illegittimita' costituzionale della norma. Poiche' la questione di legittimita' costituzionale di cui all'art. 98, legge fallimentare, attiene al profilo preliminare della individuazione dei giudice cui assegnare la causa di opposizione allo stato passivo, la competenza a sollevare la predetta questione spetta direttamente allo stesso giudice delegato investito del procedimento ai sensi dell'art. 98, legge fallimentare. Sulla non manifesta infondatezza. Con la legge costituzionale n. 2 del 1999, il Parlamento ha innovato fortemente il contenuto dell'art. 111 Cost., stabilendo che il giusto processo e' solo quello regolato dalla legge, che si svolge nel contraddittorio delle parti in condizioni di parita', davanti ad un giudice terzo e imparziale, entro un tempo ragionevole. Se pure l'innesto del giusto processo all'interno della carta costituzionale come valore positivo identificabile solo con il rispetto di determinate regole e' stato occasionato da esigenze connesse alla tutela penale (la forte proiezione della riforma verso il processo penale e' testimoniata da quella parte di innovazione che e' dedicata, espressamente, al solo processo penale), non per questo i principi fissati nell'art. 111 Cost. non debbono non trovare applicazione anche nel processo civile. Di fronte alla novella costituzionale l'interprete puo' reagire in due modi differenti (e cosi' e' accaduto nella letteratura processualcivilistica nettamente divisasi in due schieramenti), racchiusi fra la condivisione di una lettura minimalista da un lato e la enfatizzazione delle possibili conseguenze sul processo civile dall'altro. Le premesse sottese alla cultura della sottovalutazione dell'intervento novellatore possono essere condivise nel senso che non si puo' affermare che il processo, prima della legge costituzionale n. 2 del 1999, non fosse giusto, posto che da tempo la dottrina aveva enucleato alcuni valori essenziali del processo civile tali da risultare costituzionalizzati in base ad una lettura combinata degli artt. 24, 25, 101 e 111 Cost. Cio' che non puo' essere recepito e' il riflesso minimalista di quella premessa dal momento che mentre in passato una certa norma poteva essere dichiarata incostituzionale solo se in contraddizione con uno dei principi di cui agli artt. 24, 25, 101 e 111 Cost., ora ciascuna singola disposizione va direttamente confrontata con il nuovo art. 111 Cost. Cosi', per esemplificare, ancor prima della modifica costituzionale si riteneva che l'impulso d'ufficio potesse collidere non solo con il sistema processuale ordinario (vedi artt. 99 e 112 c.p.c.), ma anche con il principio della terzieta' del giudice, gia' imminente nella Carta costituzionale per effetto delle interazioni fra gli artt. 3, 24 e 25 e l'art. 101 Cost., ed ora emblematicamente riassunto nel nuovo art. 111. Secondo gran parte della letteratura il principio di neutralita' del giudice era ricavabile dal divieto di iniziativa processuale d'ufficio (art. 24), dalla garanzia del giudice naturale (art. 25), dal divieto di costituire giudici speciali (art. 102) e dalla soggezione dei giudici alla legge (art. 101). Dalla lettura in controluce di tali disposizioni, in base a questa impostazione, era quindi agevole arguire la costituzionalizzazione del giusto processo, quale processo tenuto da un giudice terzo e imparziale. La rilevanza costituzionale del giusto processo passava pur tuttavia per la verifica della compatibilita' di singole norme ordinarie con singole norme primarie, con la conseguenza che il principio della terzieta' del giudice non poteva considerarsi violato quando pur risultando per breve periodo compresso il principio della domanda di parte come presupposto dell'esercizio della giurisdizione, il contraddittorio non fosse sostanzialmente eroso. In sostanza la garanzia del contraddittorio (espresso con formule anche disomogenee) poteva temperare il divieto della iniziativa officiosa. Adesso l'effettivita' del contraddittorio non dovrebbe supplire al principio nemo iudex sine actore, per il semplice fatto che il valore della tutela del contraddittorio e' autonomo rispetto al valore della terzieta' del giudice (emblematica e' al proposito la vicenda dell'art. 146, legge fallimentare, di cui si e' occupata Corte cost., 8 maggio 1996, n. 148, in Foro it., 1996, I, 2648). In questa prospettiva della autonomia dei principi di cui all'art. 111 Cost. dai precetti costituzionali di cui agli artt. 24, 25, 101, 111 (vecchio testo) della Costituzione, va colto l'aspetto davvero innovatore della legge sul giusto processo. Ogni disposizione dell'ordinamento processuale va quindi oggi riletta alla luce del nuovo testo dell'art. 111 della Costituzione. La rilettura dell'art. 98, legge fallimentere, suggerisce prima facie il potenziale conflitto tra tale disposizione e l'art. 111 Cost. nella parte in cui si prevede che il processo debba svolgersi davanti ad un giudice imparziale. Il dubbio di costituzionalita' attinge piu' al principio della imparzialita' del giudice che a quello della terzieta' (anche se taluni interpreti criticano l'endiadi adoperata dal legislatore ed osservano che tali espressioni in verita' nulla aggiungono di nuovo a quanto ricavabile in origine dalla Carta fondamentale), se diversamente dalla terzieta' intesa come neutralita' del giudice rispetto alle parti, si legge l'imparzialita' come valore fondante un approccio del giudice al procedimento equidistante rispetto alle parti e scevro da possibili condizionamenti da prevenzione cognitiva. Il giudice e' davvero imparziale soltanto se il suo approccio al processo non e' alterato da conoscenze acquisite in precedenza (nell'esercizio delle funzioni giudiziarie) che si collochino al di fuori del medesimo giudizio e se, biunivocamente, le conoscenze apprese nel processo possano condizionare l'esercizio delle altre funzioni assegnategli e cio' indipendentemente dal fatto, per usare le parole del giudice ad quem, che vi sia identita' di valutazione contenutistica della fattispecie. Il giudice, oltre che terzo rispetto alle parti, deve essere ed apparire imparziale. Ora come l'espressa previsione della terzieta' del giudice impone di rivalutare tutte le ipotesi di attivita' giurisdizionali officiose, allo stesso modo e per le medesime ragioni l'imparzialita' del giudice pur essendo un valore costituzionale immanente, non trovava una nitida espressione nel diritto positivo (Corte cost., 24 aprile 1996, n.131, in Foro it., 1996, I, c. 1489) ricordava che il principio costituzionale dell'imparzialita' e terzieta' del giudice connota nell'essenziale la funzione giurisdizionale come paradigma del giusto processo). Cio' ha consentito al giudice delle leggi di manipolare l'art. 34 c.p.p. (il leading case della giustizia costituzionale e' rappresentato da Corte cost., 15 settembre 1995, n. 432, in Foro it., 1996, I, c. 411 che ha aperto la stagione delle nuove incompatibilita' nel processo penale) e al contempo di lasciare inalterata la disciplina del processo civile sino al 1999. La Corte ha ripetutamente affermato che nel processo civile determinate possibili incrostazioni valutative potevano essere tollerate in quanto non venendo in giuoco il valore primario della liberta' personale, la presenza del medesimo magistrato in diverse fasi di uno stesso procedimento poteva trovare giustificazione o nella diversita' della cognizione o nella diversita' delle funzioni (Corte cost., 7 novembre 1997, n. 326, in Foro it., 1998, I, c. 1007, ha precisato che il problema della prevenzione cognitiva si attenua nel processo civile per effetto della mediazione dell'impulso paritario delle parti; lo stesso giudice a proposito della incompatibilita' fra cognizione cautelare e cognizione di merito ha escluso - diversamente dalle analoghe situazioni del processo penale - l'esistenza di una omologa valutazione contenutistica delle due cognizioni - Corte cost., 7 novembre 1997, n. 326 - non tenendo in adeguato conto che la cognizione sommaria del giudice investito del procedimento cautelare non sembra esprimere una valutazione di verosimiglianza ma di prova superficiale). Di questa diversita' di approccio fra il processo penale e quello civile si e' resa consapevole soprattutto la dottrina nell'ultimo quadriennio sollecitando la giustizia costituzionale a pervenire ad un assetto finale non troppo dissimile da quello edificato per il processo penale, anche nella prospettiva della salvaguardia dell'unita' della giurisdizione e della riconosciuta unita' culturale del giudice. Anche a seguito di tali sollecitazioni si e' prodotto un primo parziale risultato con riferimento ai rapporti fra cognizione sommaria e cognizione di controllo a contradditorio pieno (Corte cost., 15 ottobre 1999, n. 387, in Foro it., 1999, I, c. 1441 ha dichiarato infondata, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 51, primo comma, n. 4, e secondo comma, c.p.c., nella parte in cui non prevede incompatibilita' tra le funzioni del giudice che pronuncia decreto di repressione della condotta antisindacale ex art. 28, legge 20 maggio 1970, n. 300, e quelle del giudice dell'opposizione a tale decreto, poiche' la fattispecie rientra all'evidenza nell'ambito della previsione di tale disposizione del codice di rito, in quanto l'espressione "altro grado" contenuta nell'art. 51, primo comma, n. 4, c.p.c. non puo' avere un ambito ristretto al solo diverso grado del processo, secondo l'ordine degli uffici giudiziari come previsto dall'ordinamento giudiziario, ma deve ricomprendere anche la fase che, in un processo civile, si succede con carattere di autonomia, avente contenuto impugnatorio, caratterizzata da pronuncia che attiene al medesimo oggetto e alle stesse valutazioni decisorie sul merito dell'azione proposta nella prima fase, ancorche' davanti allo stesso organo giudiziario, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.). Proprio l'apertura contenuta in questa decisione induce il giudice delegato a riproporre il quesito sulla legittimita' costituzionale dell'impianto fallimentare oppositorio dal momento che le luci offerte dalla sentenza n. 387/1999 non sembrano da sole idonee a risolvere i problemi delle incompatibilita' del giudice nel processo civile quanto meno per il fatto a) che non tutti i profili possono ascriversi ad una estensione della lettura fase o grado in senso sostanziale dell'art. 51, n. 4, c.p.c.; b) gli adattamenti tabellari non possono superare il testo normativo. Sub a). Poiche' il giudice istruttore della causa di opposizione allo stato passivo e' e non puo' non essere il giudice delegato, non si puo' lasciare alla iniziativa soggettiva (parti per la ricusazione; giudice per l'astensione) la scelta se rendere giusto il processo ex art. 98 legge fallimentare; il problema ordinamentale va risolto in astratto una volta per tutte. Sub b). La soluzione empirica suggerita dal giudice delle leggi (previsione da inserire nelle tabelle di composizione dell'ufficio, che il magistrato della fase a cognizione piena sia diverso da quello della fase sommaria) non e' attuabile perche', diversamente dall'ipotesi di cui all'art. 28 statuto dei lavoratori ove il magistrato che si occupa della opposizione non e' per legge lo stesso che ha trattato la fase sommaria, nel giudizio ex art. 98, legge fallimentare, l'identita' e' automatica e predeterminata. Escluso che la distonia provocata dall'art. 98 legge fallimentare, possa essere superata in via amministrativa o con il meccanismo della ricusazione-astensione, non resta che indagare sulla esistenza anche nel processo civile di un principio di incompatibilita' del giudicante (previsto nel processo penale) derivante da una preventiva cognizione sul medesimo procedimento, argomento sul quale la dottrina si e' di recente lungamente interrogata (pur se sino ad ora forti resistenze al cambiamento sono state raccolte proprio sul piano del processo di fallimento visto che il giudice costituzionale, pur ripetutamente interessato, ha costantemente disatteso i dubbi di legittimita'). In particolare per cio' che attiene alla vicenda che qui interessa, Corte cost., 18 luglio 1998, n. 304, in Foro it., 1998, I, c. 3024 (sulla falsariga dei precedenti risalenti costituiti da Corte cost., 18 novembre 1970, n. 158, in Foro it., 1970, 1, c. 2998; Corte cost., 29 aprile 1975, n. 94, in Foro it., 1975, I, c. 1045) ha escluso il dubbio di costituzionalita' con riferimento alla posizione del giudice delegato nel giudizio di opposizione allo stato passivo. In quella occasione il giudice remittente aveva dubitato della costituzionalita' dell'art. 99, legge fallimentare, argomentando dalle considerazioni condivise dalla Corte costituzionale in tema di incompatibilita' nel processo penale. Il giudice delle leggi ha osservato che "l'attivita' relativa alla formazione dello stato passivo si caratterizza per una verifica dei crediti effettuata con cognizione sommaria, laddove quella in sede di opposizione e' finalizzata a raccogliere elementi utili alla decisione del collegio sulla base dei motivi dell'opposizione stessa, suscettibili d'introdurre nuovo materiale probatorio". La ratio decidendi della pronuncia manifesta infondatezza sembra dunque raccolta in due proposizioni: a) il giudice delegato nella sua veste di giudice istruttore si limita a raccogliere gli elementi da sottoporre all'esame del collegio; b) l'oggetto della cognizione puo' essere diverso in quanto nel processo di opposizione puo' essere raccolto ulteriore materiale probatorio. Sub a). La prima proposizione tende a sminuire il ruolo del giudice delegato quale mero giudice della "raccolta delle prove", trascurando che il giudice delegato quale giudice istruttore partecipa alla decisione del collegio non gia' in posizione di emarginazione, ma quale componente che piu' degli altri e' informato delle vicende del processo. Peraltro il fatto che il giudice del provvedimento gravato sia investito della cognizione impugnatoria quale membro di un collegio, non puo' certo escludere l'incompatibilita' per prevenzione cognitiva come dimostra chiaramente l'art. 669-terdecies c.p.c. in tema di reclamo cautelare. Il fatto che la cognizione impugnatoria sia affidata ad un collegio non e' una garanzia sufficiente per superare il principio della imparzialita'. Sub b). La seconda proposizione mira a sottolineare la profonda diversita' del profilo cognitorio fra fase della verifica del passivo e fase dell'opposizione. Si assume, infatti, che nella fase sommaria la cognizione sarebbe limitata a prove cartolari (cosi' si era espressa l'Avvocatura dello Stato nel giudizio costituzionale concluso con la pronuncia n. 304/1999), mentre nella fase a cognizione piena potrebbero essere dedotte le prove tipiche di un qualsiasi altro processo ordinario di cognizione. Questa affermazione non puo' essere condivisa, sia per eccesso che per difetto, e cio' giustifica una nuova istanza di rimessione. Innanzi tutto non e' vero che nel processo di opposizione allo stato passivo possono essere dedotti tutti i mezzi di prova previsti per il processo di cognizione, in quanto non possono trovare spazio, ad esempio, le prove costituende che presuppongono la disponibilita' della lite - confessione e giuramento -. In secondo luogo non e' vero che nella fase della verificazione del passivo le uniche prove da cui il giudice delegato possa trarre il proprio convincimento siano solo quelle "cartolari" precostituite. Infatti, a tacer d'altro, nel giudizio di verifica possono essere assunte le opportune informazioni secondo quanto dispone l'art. 95, legge fallimentare. Le opportune informazioni possono fornire al giudice delegato elementi di valutazione non dissimili, nella sostanza, da quelli ricavabili dall'istruttoria orale. Cosi' pure elementi di valutazione possono essere desunti dalle contestazioni e dalle osservazioni dei controinteressati (ovverosia gli altri creditori). All'interno di questa nozione di sommarie informazioni possono trovare spazio tutte le c.d. prove "di non lunga indagine", definizione che, peraltro, in quanto assente nel diritto positivo, si presta ad interpretazioni a fisarmonica. In tale contesto nei "cataloghi" di prove di lunga indagine suggeriti in letteratura non se ne incontrano due uguali. Tutto cio' induce a ritenere che non possa essere recepita nel nostro ordinamento la nozione astratta di "prova di lunga indagine " e che invece debba valutarsi in concreto, in relazione alle singole specificita' del procedimento, se un determinato mezzo istruttorio sia o no ammissibile. In questo senso se non puo' essere trascurato che sul piano normativo un valore essenziale della verifica fallimentare e' la celerita', non si puo' neppure misconoscere che nella realta' attuale e nella prassi l'esigenza di pervenire rapidamente alla formazione dello stato passivo non e' affatto osservata. Ed allora se la valutazione della ammissibilita' della prova di lunga indagine va svolta in concreto, deve escludersi che possano essere considerate incompatibili con il procedimento di verifica tanto le prove orali, quanto gli accertamenti tecnici nella misura in cui questi adempimenti istruttori possano concludersi in termini tali da non provocare ritardi nella dichiarazione di esecutivita' dello stato passivo. La cognizione sommaria del giudice delegato non e' quindi una cognizione superficiale ma una cognizione che si fonda su prove deformalizzate. La diversita' dello spettro cognitivo di cui dispone il giudice delegato nella fase sommaria dell'accertamento del passivo rispetto a quella di cui dispone il giudice delegato che diviene giudice istruttore nella causa di opposizione e' quindi affidata a criteri puramente casuali (esame di questioni di puro diritto, esame di domande che necessitano di lunga istruttoria, esame di domande che possono essere risolte con breve istruttoria, ecc...) che non possono assolutamente influenzare il valore del principio della imparzialita' del giudice. Il semplice fatto che nel corso del procedimento di opposizione allo stato passivo possa arricchirsi il materiale probatorio non e' un motivo sufficiente per escludere che il giudice delegato-istruttore abbia un approccio al processo uguale a quello che avrebbe un altro giudice completamente estraneo alla formazione del provvedimento impugnato. Per superare il vincolo della forza della prevenzione tipico delle ripetitivita' decisorie si potrebbe sostenere che la fase necessaria della verifica sommaria del passivo e quella eventuale della opposizione costituiscono fasi dello stesso processo come gia' si e' affermato in occasione del rapporto fra procedimento cautelare ante causam e processo di merito. Ma se il processo di merito non esprime in alcun modo una forma di gravame rispetto al provvedimento cautelare si' che il legame fra i due procedimenti e' soltanto quello della strumentalita', nel caso dell'opposizione ex art. 98, legge fallimentare, le cose non stanno proprio cosi'. Infatti se pur e' vero che tale giudizio rappresenta un ordinario giudizio di cognizione di primo grado (cui seguono appello e ricorso per cassazione), la struttura del processo e' caratterizzata da alcune componenti dei giudizi di gravame che ne condizionano profondamente l'esito. Si pensi al fatto che a) l'opposizione va radicata entro un termine perentorio che decorre dalla comunicazione del provvedimento sfavorevole (Cass., 17 marzo 2000, n. 3104), tanto e' vero che se manca l'avviso si ritiene ammissibile l'opposizione entro il termine annuale (Cass., 27 agosto 1990, n. 8763, in Fallimento, 1991, 251; trib. Catania, 13 giugno 1998, in Foro it., 1998, I, 3010); b) la legittimazione alla opposizione spetta solo al creditore "soccombente"; c) nel giudizio non possono essere introdotte domande nuove (Cass., 8 novembre 1997, n. 11026, in Fallimeno, 1998, 1232; Cass., 11 luglio 1996, n. 6319, in Giust. civ., 1996, I, 2848); d) non e' ammissibile la reformatio in pejus (trib. Milano, 12 maggio 1997, in Giur. it., 1998, 1666). Talora poi il giudice di legittimita' ha dichiarato espressamente che il giudizio di opposizione allo stato passivo ha natura impugnatoria (Cass., 8 novembre 1997, n. 11026). Ci si trova pertanto di fronte da un lato ad un provvedimento sommario che incide su diritti soggettivi (si pensi al diritto a partecipare alle distribuzioni del ricavato) e dall'altro lato ad un procedimento nel quale viene riesaminato il provvedimento sommario, situazione questa assai simile, per non dire identica, a quella decisa con la pronuncia n. 387/1999. In relazione a questi profili impugnatori il timore che la forza della prevenzione possa condizionare l'esercizio della giurisdizione da parte del giudice delegato-istruttore non puo' assolutamente essere escluso e l'ordinamento non puo' tollerare il solo dubbio che la parte possa avere della imparzialita' del giudice che sul medesimo bene della vita gia' si sia pronunciato (sul punto vanno recepite le ormai ripetute affermazioni di principio contenute nelle decisioni della Corte europea dei diritti dell'uomo, secondo la quale justice must not only be done, it must also be seen to be done; sent. 30 ottobre 1991, in Rev. trim. droits de l'homme, 1992, 201). Ma la ragione della necessita' di separare le due funzioni (giudice delegato e giudice istruttore) deriva anche all'inverso dal possibile vincolo da cognizione preventiva che il giudice delegato puo' avere in quanto giudice istruttore della causa di opposizione allo stato passivo. L'esempio emblematico e' costituito da come le conoscenze acquisite in corso di causa possano condizionare la valutazione amministrativa della convenienza di una transazione (ammissibile anche in questi procedimenti, cfr. trib. Trieste, 3 aprile 1998, in Giur. comm., 1999, II, 434; trib. Roma, 8 febbraio 1995, in Dir. fallim., 1995, II, 922) che il tribunale fallimentare deve autorizzare con la presenza nel collegio del giudice delegato. L'unica soluzione per evitare che si possa dubitare della imparzialita' funzionale del giudice delegato (e non gia' della imparzialita' del singolo magistrato) e' costituita dalla soppressione dell'inciso contenuto nell'art. 98, legge fallimentare, nella parte in cui si prevede che l'opposizione si introduca "presentando ricorso al giudice delegato", e di quello contenuto nell'art. 99, legge fallimentare, nella parte in cui si dice "il giudice delegato provvede all'istruzione". Sul piano normativo processuale ed ordinamentale non vi sono controindicazioni assorbenti sia a) perche' sarebbe sufficiente sostituire al giudice delegato nell'art. 98, legge fallimentare, il presidente (un modello al riguardo e' quello di cui all'art. 87 del t.u. n. 385/1993 in tema di liquidazione coatta amministrativa delle aziende bancarie), e sopprimere la parola "delegato" nell'art. 99, sia b) perche' l'istituzione del giudice unico di primo grado ha consentito la creazione di tribunali nei quali la composizione dell'organico non e' mai inferiore alle quattro unita'. Si impone quindi la rimessione del procedimento alla Corte costituzionale perche' valuti la legittimita' degli artt. 98 e 99, legge fallimentare, in relazione all'art. 111 Cost.