IL TRIBUNALE

    Visti gli atti del procedimento a carico di Di Biase Laura Maria,

                            O s s e r v a
    Che  il  procedimento  a carico dell'imputata di cui sopra veniva
portato  a conoscenza di altro giudice persona fisica e che dinanzi a
tale  giudice veniva svolta in parte l'attivita' istruttoria mediante
escussione dei testi di lista;
    Che  a seguito del passaggio del suddetto magistrato dall'ufficio
giudicante  penale  monocratico  di  Foggia,  all'ufficio  g.i.p., il
processo proseguiva dinanzi a questo giudice;
        che all'udienza celebrata in data 16 novembre 2000, dinanzi a
questo  giudice,  a  fronte  del  consenso del p.m. all'utilizzazione
degli  atti  istruttori  gia'  assunti  dinanzi al precedente giudice
persona  fisica  ex  art. 511  c.p.p.,  la  difesa si opponeva per le
ragioni  di  cui  al  verbale  che  si  allega,  in  base al disposto
dell'art. 525, secondo comma c.p.p., come interpretato dalla sentenza
delle sezioni unite della Suprema Corte n. 2 del 2999.
    Questo  giudice,  ritenuto applicabile all'ipotesi processuale di
specie   l'art. 525  comma  secondo  del  c.p.p.,  solleva  d'ufficio
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 525 comma secondo
c.p.p.,   per   contrasto   con   gli   articoli 111,  3,  101  della
Costituzione,  in  quanto  ritenuto  rilevante  e  non manifestamente
infondato  il  contrasto  con  le  suddette  disposizioni della carta
costituzionale.
    A questo proposito osserva che:
        in   base  all'art. 111  della  Costituzione,  riformato,  la
giurisdizione  si  attua  mediante  il giusto processo regolato dalla
legge  (...) ne assicura la ragionevole durata. La scelta di ritenere
il  giudice  sempre vincolato alla richiesta delle parti di rinnovare
l'istruttoria  dibattimentale  in  caso  di  mutamento  della persona
fisica  del  giudice  o  di  uno  o  piu'  membri del collegio, anche
nell'ipotesi   in   cui  i  verbali  delle  prove  testimoniali  gia'
legittimamente  assunte  nel  contraddittorio  delle  parti  appaiano
complete  ed  esaurienti  sotto  ogni  aspetto  rilevante ai fini del
decidere,   si   pone   in   termini   di  contrasto  con  il  dictum
costituzionale  contenuto nell'art. 511 della Costituzione secondo il
quale  il  processo  deve  celebrarsi in tempi ragionevoli poiche' la
soluzione indicata dalla cassazione a sezioni unite con sentenza n. 2
del  1999,  se  applicata  indiscriminatamente  produrrebbe  il  solo
effetto  di  allungare  i  tempi  di  durata  dei processi e cio' con
evidente  compromissione dell'efficienza di funzionamento del sistema
di giustizia;
    considerato  che tale effetto comporta a parimenti una violazione
del   disposto   dell'art. 6   della   Convenzione   europea  per  la
salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle liberta' fondamentali
secondo  il  quale  il processo deve celebrarsi in tempi ragionevoli,
norma questa ugualmente ritenuta allo stato dell'evoluzione giuridica
o dogmatica di immediata efficacia precettiva;
        considerato  che  l'effetto  di  un allungamento dei tempi di
durata   del  processo  non  e'  da  sottovalutare  alla  luce  delle
numerosissime  condanne  inflitte  dalla  Corte  europea  dei diritti
dell'uomo  all'Italia  per  violazione di questo canone fondamentale,
ritenuto peraltro che la rilevanza costituzionale del bene costituito
dall'efficienza  dell'amministrazione della Giustizia - art. 97 della
Costituzione  e'  indiscutibile  -  e che lo stesso implica snellezza
delle   procedure  e  ripudio  di  attivita'  ripetitive  agevolmente
eliminabili   senza   arrecare  pregiudizio,  solleva  conflitto  per
violazione  dell'art. 111  della  Costituzione.  Osserva  inoltre che
l'art. 525  secondo  comma del Codice di procedura penale, in base al
quale  alla  deliberazione della sentenza devono concorrere a pena di
nullita'   assoluta  ed  insanabili  gli  stessi  giudici  che  hanno
partecipato  al dibattimento - come interpretato dalla sentenza delle
sezioni  unite  della  suprema  Corte  sopra  richiamata,  si pone in
contrasto anche con l'art. 3 della Costituzione poiche' la situazione
processuale  a  cui  si  riferisce  l'art. 525  secondo  comma appare
identica ad altre regolate in modo diverso.
    A  questo  proposito  si  consideri  il  combinato disposto degli
artt. 238  quinto  comma  e  495  Codice  di  procedura penale che si
occupano  di  disciplinare  l'acquisizione  e la valutazione di prove
assunte in altri procedimenti.
    Come  e' noto l'art. 238 quinto comma, Codice di procedura penale
stabilisce  che salvo quanto previsto dall'art. 190-bis del Codice di
procedura  penale  resta  fermo  il diritto delle parti di ottenere a
norma  dell'art. 90  Codice di procedura penale l'esame delle persone
le  cui  dichiarazioni  sono  state acquisite a norma dei commi 1, 2,
2-bis e 4 del presente articolo.
    In  sostanza, qualora venga acquisito un verbale di dichiarazioni
rese  in  altro  procedimento  penale, la richiesta di riesaminare in
dibattimento l'autore di queste dichiarazioni e' valutata dal giudice
sulla  base  dei  consueti  parametri  di  cui all'art. 190 Codice di
procedura   penale  con  la  conseguente  possibilita'  di  rigettare
l'istanza  ove  il  giudice  la  ritenga  manifestamente  superflua o
irrilevante.
    Dal  suddetto disposto di legge, da quello di cui al 495 c.p.p. -
secondo  periodo - a norma del quale quando e' ammessa l'acquisizione
dei  verbali  di  prove  di altri procedimenti il giudice provvede in
ordine  alla  richiesta  di  nuova assunzione della stessa prova solo
dopo   l'acquisizione   della   documentazione  relativa  alla  prova
dell'altro  procedimento  si ricava che i verbali relativi alle prove
testimoniali   legittimamente   assunte   in   altro  processo  fanno
validamente    parte   del   fascicolo   del   dibattimento   e   che
sull'utilizzabilita'  di  essi  nel  diverso  processo  il giudice si
pronuncia in base ai consueti parametri di cui all'art. 190 Codice di
procedura  penale  prescindendo  dall'eventuale  mancanza di consenso
delle parti; ne deriva che risulta illogico ritenere che la richiesta
di  nuovo  esame  del  teste, che ha gia' reso dichiarazioni in altro
processo  riguardante altri reati, debba invece superare il filtro di
cui  all'art. 190 Codice di procedura penale e possa essere rigettata
legittimamente   dal   giudice   mentre  nel  caso  di  dichiarazione
testimoniali  rese  nello  stesso  processo, ipotesi piu' garantita e
piu'  tranquillante per lo stesso giudice in ossequio al principio di
immediatezza,  peraltro  non  fornito  di  copertura  costituzionale,
l'organo giudicante sia comunque vincolato alla richiesta della parte
che chiede di fare ascoltare al giudice la viva voce del testimone; a
cio' si aggiunga il contrasto con altre disposizioni codicistiche.
    Infatti   l'ammissibilita'   delle   dichiarazioni   rese   nella
precedente   fase  dibattimentale  e  quelle  assunte  nell'incidente
probatorio  come  del  resto  affermato  dalla  Corte di cassazione a
sezioni  unite  con  la  sentenza  n. 2  del 1999) offre un ulteriore
elemento   a   favore  dell'eccezione  qui  sostenuta,  dato  che  la
disciplina  codicistica  non  prevede  un  diritto incoercibile della
parte  di  esaminare  in  dibattimento  la  persona  che  ha  reso le
dichiarazioni   assunte   con  le  forme  dell'incidente  probatorio.
L'art. 525  si  pone  ancora in contrasto con l'art. 26 del Codice di
procedura   penale   che   offre   ulteriori   elementi   a  sostegno
dell'eccezione esposta con quest'ordinanza.
    Si   consideri,  infatti,  che  il  legislatore  in  ossequio  al
principio  della  conservazione  degli  atti  a  natura probatoria ha
stabilito  che i verbali delle prove assunte dinanzi ad altro giudice
incompetente per materia conservano la loro validita'. Ne deriva che,
fortiori,  deve  ritenersi  non  residui  spazio  per  dubitare della
perdurante validita' delle prove legittimamente assunte dinanzi ad un
giudice  competente  anche se diversamente composto o se diverso come
persona fisica.
    Contrasto  anche  con  l'art.  33-novies  del Codice di procedura
penale  introdotto  dal decreto-legge n. 51 del 1998 secondo il quale
l'inosservanza  delle  disposizioni  sulla  composizione collegiale o
monocratica  del  Tribunale  non  determina l'inutilizzabilita' delle
prove  gia'  acquisite;  ribadisce  quest'articolo il principio della
conservazione  degli  atti  a  natura  probatoria  e  quindi avvalora
l'eccezione  d'incostituzionalita'  che  qui  si  solleva.  Quanto al
contrasto  con  l'art. 101 della Costituzione, questo giudice osserva
che  nel  caso  di  specie non si capisce per quale motivo il giudice
persona  fisica  che  e'  chiamato  a  sostituire, nell'ipotesi di un
mutamento  fisiologico  delle funzioni, il precedente giudice persona
fisica  debba  per  qualche  motivo  non essere considerato uguale al
collega  visto  che i giudici sono tutti uguali dinanzi alla legge ed
osserva  sotto  questo  punto  di  vista  che  diversa e' per esempio
l'ipotesi  del  giudice  astenutosi o ricusato, diversa da quella del
mutamento  della  persona  del  giudicante  che  invece  e'  naturale
conseguenza  di trasferimenti o malattia o infermita'; nel primo caso
e'  sicuramente innegabile l'esistenza di motivi di sospetto circa la
prova  assunta dal precedente giudice, poiche' questi si trova in una
situazione di non perfetta terzieta' ed infatti ai sensi dell'art. 42
secondo  comma,  del  Codice di procedura penale il provvedimento che
accoglie  la dichiarazione di astensione o di ricusazione dichiara se
ed  in  quale  parte  gli atti gia' compiuti dal giudice astenutosi o
ricusato conservano efficacia mentre questa situazione di sospetto e'
estranea all'ipotesi di mutamento fisiologico del giudice.