IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha   pronunciato   la  seguente  ordinanza  sui  ricorsi  riuniti
nn. 4812/2000,   5564/2000,   5663/2000,   13324/2000  e  13508/2000,
proposti da:
        A.  -  quanto al primo ricorso: Federazione Radio Televisione
(F.R.T.),  in persona del presidente dott. Filippo Rebecchini, s.p.a.
Super  3, in persona del presidente dott. Filippo Rebecchini e S.r.l.
Formula  Uno,  titolare  dell'emittente  radiofonica Radio Sabbia, in
persona   del   legale   rappresentante   dott.  Roberto  Giovannini,
rappresentati    e   difesi   dall'avv.   prof. Claudio   Chiola   ed
elettivamente  domiciliati  presso  la  studio di questi in Roma, via
Camilluccia n. 785;
        B. - quanto al secondo e al quinto ricorso: Coordinnaento AER
-  ANTI  -  CORALLO, con sede legale in Ancona, in persona del legale
rappresentante  avv.  Marco Rossignoli e la Puntoradio 96 s.r.l., con
sede  in  Novara,  in  persona  del  legale  rappresentante  Fabrizio
Berrini,   rappresentata   e  difesa  dall'avv.  Marco  Rossignoli  e
dall'avv.   Mauro   Maiolini,   anche  disgiuntamente  tra  loro,  ed
elettivamente  domiciliati  in  Roma,  via  Dei  Latini  n. 4  presso
l'avv. Maiolini    (Studio    Tomei);   limitatamente   al   predetto
Coordinamento  l'avv.  Rossignoli  sta  in  giudizio  da se', a sensi
dell'art. 86 c.p.c;
        C. - quanto al terzo ricorso: R.T.S. Radio Televisione Senese
S.r.l.,  emittente televisiva con sede in Prato, via Fiorentina n. 1,
in  persona  del  legale  rappresentante  sig.ra Lia Cati; Televideon
S.r.l.,  emittente televisiva con sede in Prato, via Fiorentina n. 1,
in persona del legale rappresentante sig. Paolo Salvi; RTV 38 S.p.a.,
emittente  televisiva  con  sede  in Figline Valdarno, via Fiorentina
n. 100,  in  persona  del  legale  rappresentante Boris Mugnai; tutte
rappresentate  e  difese dagli avv. Avilio Presutti e Felice Vaccaro,
ed  elettivamente  domiciliate  nello  studio  del primo in Roma, via
delle Tre Madonne, n. 16;
        D.  - quanto al quarto ricorso: Federazione Radio Televisioni
(F.R.T.),  in  persona  del  presidente  dott. Filippo Rebecchini, la
S.p.a. Super 3, in persona del presidente dott. Filippo Rebecchini, e
Radio  Dimensione  Suono S.p.a., in persona del legale rappresentante
sig.  Gaetano Potenza, rappresentati e difesi dall'avv. prof. Claudio
Chiola  ed  elettivamente  domiciliati  presso lo studio di questi in
Roma, via Camillucia n. 785;

    Contro:
        quanto  al  primo, al secondo, al quarto e al quinto ricorso:
Autorita'  per  le  garanzie  nelle  comunicazioni,  in  persona  del
presidente  p.t.,  rappresentata  e  difesa  dall'Avvocatura generale
dello  Stato,  presso  la  cui  sede  in  Roma,  via  dei Portoghesi,
domicilia ex lege; e nei confronti di Societa' editrice il quotidiano
"Il Messaggero" di Roma, non costituita in giudizio;
        quanto  al  terzo  ricorso:  Autorita'  per le garanzie nelle
comunicazioni,  in  persona  del  presidente  p.t., non costituita in
giudizio; e nei confronti di:
          Societa'  editrice  il  quotidiano "Il Messaggero" di Roma,
non costituita in giudizio;
          Comitato  regionale  per il servizio radiotelevisivo per la
Toscana, in persona del presidente p.t., non costituito in giudizio;
          R.T.I.  Reti  televisive  italiane  S.p.a.,  in persona del
legale  rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Aldo
Bonomo e Luigi Medugno, ed elettivamente domiciliata presso lo studio
di quest'ultimo in Roma, via Panama n. 12,
    per l'annullamento:
        quanto  al  primo,  al  secondo  e  al  terzo  ricorso: della
deliberazione  dell'Autorita'  per  le  garanzie  nelle comunicazioni
n. 29/00/CSP del 1o marzo 2000, in tema di propaganda elettorale;
        quanto  al  quarto  e  al quinto ricorso: della deliberazione
dell'Autorita'  per le garanzie nelle comunicazioni n. 200/00 CSP del
22 giugno  2000,  in  tema  di comunicazione politica e di parita' di
accesso ai mezzi d'informazione nei periodi non elettorali.
    Visto i ricorsi con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione in giudizio dell'Autorita' per le
garanzie nelle comunicazioni e dei soggetti controinteressati;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Relatore   alla   pubblica   udienza   del  13 dicembre  2000  il
consigliere  Calveri  e uditi i difensori delle parti come da verbale
di udienza;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

F a t t o

    A.  - Con ricorso notificato in data 24 marzo 2000 la Federazione
Radio  Televisioni  ed alcune emittenti radiotelevisive hanno chiesto
l'annullamento,  previa sospensione, della deliberazione n. 29/00/CSP
del   1o marzo   2000,  recante  "Disposizioni  di  attuazione  della
disciplina  in  materia  di  comunicazione  politica  e di parita' di
accesso  ai  mezzi  di  informazione  relative  alla  campagna per le
elezioni  regionali,  "provinciali  e  comunali fissate per il giorno
16 aprile  2000",  adottata  in esecuzione delle previsioni contenute
nella legge 22 febbraio 2000, n. 28.
    Dopo  aver  premesso  alcune  considerazioni  sulla  natura della
deliberazione  dell'Autorita',  sulla  nozione di accesso ai mezzi di
informazione  per  la  comunicazione politica e sui limiti del potere
regolamentare  in materia di programmi radiotelevisivi, le ricorrenti
hanno  lamentato  una serie di violazioni che caratterizzerebbero sia
la  deliberazione  impugnata,  sia  la  legge  n. 28/2000 di cui essa
costituisce attuazione.
    In particolare le ricorrenti hanno dedotto l'illegittimita' della
deliberazione   dell'Autorita'   per   i   motivi  cosi'  di  seguito
sintetizzabili:
    1. - Violazione del principio di generalita' ed astrattezza delle
norme secondarie.
    L'efficacia  del  provvedimento impugnato (avente indubbia natura
regolamentare)  e' stata circoscritta - art. 18 della deliberazione -
alle  elezioni  del  16 aprile  2000.  Tanto priverebbe la propaganda
elettorale  di  quella  ripetibilita'  nel  tempo  che costituisce il
nucleo  fonte  del  principio  di  generalita' ed astrattezza, valido
anche  per  le  norme  giundiche  secondarie  e  che  rappresenta una
garanzia  d'imparzialita' e di indifferenza nei confronti delle forze
politiche in campo.
    2.  -  Violazione  e  falsa  applicazione degli artt. 2 e 4 della
legge  22 febbraio  2000,  n. 28. Illegittimita' per violazione della
riserva   di   legge  ex  art. 21  Costituzione.  Illegittimita'  per
violazione della liberta' ex art. 21 della Costituzione.
    La  deliberazione,  al  suo  art. 1,  opera un articolato riparto
degli  spazi  per  la  comunicazione politica che, prescindendo dalla
soluzione  di  merito adottata, non sarebbe supportato da alcuna base
legislativa  perche'  la  legge n. 28, agli artt. 2 e 4, prevede solo
una generica esposizione paritaria delle varie opinioni e valutazioni
politiche.
    La  ripartizione  degli  spazi in questione sarebbe, poi, operata
sulla  base  di  una  molteplicita'  di  criteri  ("originali" quelli
concernenti  l'individuazione  dei  soggetti  politici  legittimati a
partecipare  ai  programmi  di  comunicazione  politica di dimensione
nazionale),  cosi'  differenziati  nelle  varie  fasi  della campagna
elettorale  tanto  da  dar  luogo ad un vero e proprio "florilegio di
criteri".
    Con  la  disciplina  della comunicazione politica, come delineata
dall'Autorita',  verrebbe  a  sacrificarsi  la liberta' delle singole
emittenti  nella scelta del contenuto dei propri programmi attraverso
l'imposizione  di  un  sostanziale  divieto  di  diffondere  opinioni
politiche  personali. Tanto farebbe venir meno la liberta' di critica
politica   delle   emittenti,   liberta'  il  cui  riconoscimento  ha
determinato la scomparsa del monopolio pubblico radiotelevisivo.
    3.  -  Art.  2:  messaggi politici autogestiti. Irragionevolezza.
Violazione dell'art. 11 disposizioni legge in generale. Disparita' di
trattamento.
    La  disciplina  concernente  le  modalita'  di  trasmissione  dei
messaggi  politici  autogestiti, e cioe' di quei messaggi motivati di
propaganda   politica  affidati  alla  responsabilita'  dei  soggetti
politici  ammessi  ad accedere all'emittente radiotelevisiva, sarebbe
affetta  da  plurimi  profili  di  illegittimita'  per  le sintetiche
considerazioni che seguono:
        a)   -  la  previsione  di  maggior  favore  per  i  messaggi
autogestiti   rispetto  agli  spazi  di  comunicazione  politica  (le
emittenti  nazionali  possono  rifiutare  i  primi  ma non i secondi)
introduce    un   regime   irragionevole   in   quanto   inversamente
proporzionale  diverso  livello di protezione costituzionale dei beni
incisi, che e' piu' elevato per la liberta' di opinione politica;
        b)  irragionevolezza  del  termine  (quinto giorno successivo
alla  data  di  convocazione dei comizi elettorali) entro il quale le
emittenti   devono  comunicare  (art. 4,  comma  1,  lett.  g,  della
deliberazione)  "la  collocazione nel palinsesto dei contenitori". In
alcune  regioni,  infatti,  (v.  Regione Liguria) i comizi elettorali
sono  stati  convocati prima dell'imposizione del dies a quo, sicche'
le   emittenti   non   hanno  potuto  trasmettere  messaggi  politici
autogestiti;
        c)  la  gratuita'  dei  messaggi  imposta  per  le  emittenti
nazionali,  contrariamente a quanto previsto per le emittenti locali,
e'  in  contrasto  con  l'art. 42  della  Costituzione  in  ordine al
criterio  dell'equo  indennizzo  che  non  puo' non interessare anche
l'ipotesi dell'esproprio di spazi radiotelevisivi privati;
        d)   infondatezza   della   tesi   interpretativa   sostenuta
dall'Autorita',  secondo  cui, poiche' l'art. 4, comma 3, della legge
n. 28/2000,  dispone che il regime dei messaggi autogestiti ha inizio
alla   data  di  presentazione  delle  candidature,  per  il  periodo
precedente  - che va dalla data di convocazione dei comizi elettorali
a  quella  della  presentazione  delle  candidature  -  non  potrebbe
diffondersi alcun messaggio autogestito;
        e)  attribuzione  di una situazione di assoluto privilegio in
favore  della  stampa  periodica  rispetto  alle emittenti televisive
(art. 7   della   legge  n. 28/2000  e  art. 10  della  deliberazione
dell'Autorita'),  consentendo  alla  prima,  senza  alcun ragionevole
fondamento,  una piena disponibilita' nella fruizione anche economica
degli spazi.

    4.  -  Art.  6:  informazione  radiotelevisiva.  Violazione degli
artt. 3, 21, 41 e 48 della Costituzione.
    L'art. 2  della  legge  n. 28/2000  impone  a  tutte le emittenti
radiotelevisive, anche fuori dei periodi di competizione elettorale e
referendaria, l'obbligo di assicurare a tutti i soggetti politici con
imparzialita'   ed   equita'   l'accesso   all'informazione   e  alla
comunicazione  politica",  disattendendo  le posizioni di liberta' di
cui  godono  le  emittenti. Questo obbligo, ad avviso dei ricorrenti,
viene aggravato dal potere attribuito all'Autorita' (art. 5, comma 1)
di  definire  i criteri ai quali, fino alla chiusura delle operazioni
di voto, debbono conformarsi le emittenti radiotelevisive private nei
programmi di informazione.
    L'Autorita'   ha   fissato   detti   criteri   nell'art. 6  della
deliberazione  impugnata,  ma  il  complesso  della  disciplina cosi'
risultante apparirebbe illegittimo sotto diversi profili:
        a)  sia l'art. 5 della legge che l'art. 6 della deliberazione
assoggettano  imprese  locali  e  nazionali  al  medesimo  regime  di
obblighi,  cosi'  disconoscendo che la Corte costituzionale (sentenza
n. 207/1976)  ha  statuito,  constatando una situazione di pluralismo
nel    campo    radiotelevisivo,   l'impossibilita'   di   assimilare
trasmissioni  con  diversi  bacini  di destinatari (violazione art. 3
Cost.);
        b)  tutti  i  concessionari  radiotelevisivi, operanti sia in
ambito   nazionale   che   locale,   sono   soggetti  all'obbligo  di
trasmissione   di   programmi  di  informazione,  concretantesi,  tra
l'altro,  principalmente  nell'obbligo  di  istituire un telegiornale
(art. 20,  comma  6,  legge  n. 223/1990;  art. 5,  commi  1 e 1-bis,
decreto legge n. 323/1993).
    La  legge  n. 28/2000 vorrebbe svilire questa essenziale funzione
asservendola  agli  interessi dei c.d. soggetti politici, anche fuori
dal  momento  elettorale;  sotto  altro  verso,  poi,  i programmi di
informazione  devono piegarsi alle esigenze di "parita', trattamento,
obiettivita' e completezza" .
    Ne  risulterebbe l'impossibilita' per le emittenti di manifestare
una  linea  editoriale  e  di  qualificarsi  nei riguardi del proprio
uditorio attraverso la manifestazione di propri orientamenti.
    Si  potrebbe  giustificare, tutt'al piu', in campagna elettorale,
la   sottrazione   all'emittente   di   una   quota   di   spazio  di
radiodiffusione  per destinarlo alle forze politiche in competizione,
ma non l'incisione totale dello spazio di liberta';
        c)  sotto  tale  profilo,  ed  espressiva  di  un trattamento
discriminatorio ed irragionevole, e' la comparazione della disciplina
della  comunicazione  politica,  cui  si e' fatto riferimento, con la
disciplina  della  stampa  periodica  alla  quale e' lasciata la piu'
ampia  determinazione  nella  scelta  della  propria linea editoriale
(art. 7 della legge n. 28);
        d)  un siffatto intervento legislativo, imponente obblighi di
contenuto  a  carico  dell'attivita'  di  informazione  delle imprese
emittenti, colliderebbe con i principi costituzionali affermati dalla
Corte   costituzionale  (sent.  n. 826/1988)  sulla  distinzione  tra
pluralismo  interno  (previsto  per  la  concessionaria  del servizio
pubblico)  e  pluralismo esterno (quale principio cardine del settore
privato);
        e)  l'art. 5  della legge n. 28/2000, nel tracciare il potere
regolamentare   dell'Autorita',  si  limiterebbe  all'indicazione  di
finalita'  affatto  generiche  (parita' di trattamento, obiettivita',
completezza,  imparzialita'  nell'informazione)  tali  da  consentire
all'Autorita'  di apprestare una disciplina regolamentare liberamente
integratrice in materie coperte da riserva di legge;
        f)  l'art. 6  della  deliberazione,  nel  porre i criteri cui
devono   unifonnarsi   i   mezzi  radiotelevisivi  nei  programmi  di
informazione, configurerebbe detti criteri come una serie di divieti,
assai simili a censure, che incidono sul concetto stesso di attivita'
di  informazione, in quanto riducono la possibilita' per le emittenti
di fare effettiva informazione sulla campagna elettorale;
        g)  ulteriore esempio della par condicio come imposizione del
silenzio  alle  voci  informative  si  trarrebbe dalla disciplina dei
sondaggi di opinione (art. 14 della delib.), di cui viene proibita la
diffusione nei quindici giorni precedenti la data delle votazioni.

    5.  - Art. 7: violazione del principio di legalita' e degli artt.
3,  21  e 41 Cost., in relazione agli artt. 21 legge n. 223/1990 e 38
n. 103/1975.
    L'art. 7  della  deliberazione introduce una regolamentazione per
le  emittenti  locali autorizzate a trasmettere in contemporanea "che
operano  in  circuiti  nazionali",  assimilandole  -  a  parere delle
ricorrenti,  senza  alcuna base legislativa - alla gravosa disciplina
prevista  per  le  emittenti nazionali. Uguale assimilazione e' stata
operata  nei  riguardi delle imprese di mera ripetizione di programmi
esteri  (operanti  in  base  ad autorizzazione ex art. 38 della legge
n. 103/1975),  senza  considerare  che  esse  non  sono  emittenti ma
semplici e inerti strumenti di ridiffusione.
    6. - Art. 9: violazione del principio di legalita', nonche' degli
artt. 3, 21 e 41 della Costituzione.
    L'art. 9  della  deliberazione  impone alle imprese emittenti una
serie  di  obblighi, a fini di "monitoraggio", che non solo sarebbero
privi   di   fondamento  legislativo,  ma  apparirebbero  inutilmente
vessatori e sostanzialmente inutili.

    7.  -  Art.  16,  comma  17:  violazione dell'art. 10 della legge
n. 28/2000  e del principio di legalita' e tassativita' in materia di
sanzioni amministrative.
    L'art. 10  della  legge  n. 28/2000,  che  prefigura  un  sistema
compiuto  di  sanzioni, sia per le violazioni della legge stessa, sia
per  le  violazioni  delle  disposizioni  emanate  dalla  Commissione
parlamentare  o  dall'Autorita',  innovando alla normativa previgente
(art. 15  della  legge  4  n. 515/1993),  ha  previsto esclusivamente
sanzioni di tipo riparatorio.
    In   violazione  del  disposto  legislativo  l'Autorita'  avrebbe
"recuperato"  (art. 16  della  deliberazione)  le sanzioni pecuniarie
stabilite  dall'art. 15  della  legge  n. 515/1993,  cosi' violando i
parametri indicati in epigrafe.
    8)   -   Violazione   degli  artt. 3  e  21  della  Costituzione.
Irragionevolezza e contraddittorieta' interna.
    La  disciplina  della  par  condicio nel suo complesso, lungi dal
realizzare il risultato dell'obiettivita' dell'informazione politica,
ha  in  realta' finito per porre una serie di gravi limitazioni della
normativa costituzionale indicata in epigrafe.
    Nel  giudizio si e' costituita, nell'interesse dell'Autorita' per
le  garanzie  nelle comunicazioni, l'Avvocatura generale dello Stato,
preliminarmente  eccependo  la  carenza  di interesse all'impugnativa
delle  ricorrenti  in  quanto l'impugnativa e' diretta contro un atto
regolamentare  non  idoneo  ex  se  a  incidere  negativamente in via
immediata  e  concreta  sulle situazioni giuridiche individuali delle
stesse.
    Nel  merito  ha  puntualmente  replicato alle censure dedotte nel
ricorso,   sostenendo   l'insussistenza  dei  profili  costituzionali
prospettati  in  ordine  alla disciplina dettata per la comunicazione
politica e la propaganda elettorale.
    Hanno  dispiegato  intervento  in giudizio il Coordinamento AER -
ANTI  -  CORALLO  e  la  Puntoradio  96  S.r.l., in rappresentanza di
imprese  radiofoniche  e  televisive  in ambito locale, allo scopo di
sostenere le ragioni dei ricorrenti siccome dedotte in ricorso.
    B.   -   Con   ricorso  notificato  in  data  31 marzo  2000,  il
Coordinamento  AER  -ANTI  -CORAlLO,  e la Puntoradio 96 S.r.l., gia'
interventori  adesivi  nel  giudizio  che precede, hanno impugnato la
medesima  deliberazione  n. 29/00/CSP  del  1o  marzo  2000  adottata
dall'Autorita' per le garanzie nelle comunicazioni.
    I  ricorrenti  Coordinamento  hanno preliminarmente sollevato una
questione  di  costituzionalita'  della legge 22 febbraio 2000, n. 28
con  riferimento  agli  artt. 3,  21,  41, 42 e 49 della Costituzione
nella considerazione che sia detta legge, sia la deliberazione di cui
sopra  che di quest'ultima costituisce attuazione, impedirebbero alle
imprese  radiotelevisive  di esprimere una propria linea editoriale e
un  proprio  orientamento,  cosi'  favorendo l'esodo dalla propaganda
elettorale della maggior parte delle emittenti.
    Con  distinto motivo, e' lamentata la legittimita' degli artt. 10
e  11 della deliberazione per aver dettato una disciplina diversa per
la stampa rispetto a quella applicabile alle imprese radiotelevisive,
non  determinando  a  carico della prima una limitazione alla propria
attivita' di informazione e consentendole di disporre della fruizione
degli spazi per i messaggi politici anche sotto il profilo economico.
    Si   censura,   poi,   la  violazione  e  la  falsa  applicazione
dell'art. 21  della  legge  n. 23/1990  e dell'art. 3, comma 5, della
legge  n. 249/1997  in ordine all'assimilazione delle trasmissioni in
contemporanea,  da  parte di emittenti locali che operano in circuiti
nazionali, alle trasmissioni in ambito nazionale.
    Ha   resistito   al   ricorso   l'Autorita'   intimata  eccependo
l'inammissibilita' e l'infondatezza dell'impugnativa.
    C.  -  Con  ricorso  in  data  31 marzo  2000  la  R.T.S.,  Radio
Televisione  Senese, ed altre emittenti radiotelevisive hanno chiesto
l'annullamento  della  deliberazione  n. 29/00/CSP del 1o marzo 2000,
gia' oggetto di impugnativa dei due precedenti ricorsi.
    Le   ricorrenti  deducono  (primo  motivo)  la  violazione  degli
artt. 3,   21   e  41  della  Costituzione  assumendo  che  la  legge
n. 515/1993  aveva  gia'  regolamentato  gli  spazi per la propaganda
elettorale e la parita' di accesso, sicche' la normativa posta con la
legge  22 febbraio  2000,  n. 28  costituirebbe un appesantimento non
necessario   del   sistema  viziato  per  carenza  dei  requisiti  di
generalita' ed astrattezza.
    Deducono,   altresi',   che   il  potere  conferito  dalla  legge
n. 28/2000  sarebbe  lesivo del principio che sancisce la liberta' di
espressione  del  pensiero, determinando, fra l'altro, una disparita'
di trattamento tra le emittenti radiotelevisive e la stampa.
    Sostengono,  poi,  (secondo  motivo)  che  la legge n. 28 avrebbe
conferito  all'Autorita' un potere di censura in palese contrasto con
l'art. 21   della  Costituzione,  consentendole  di  intervenire  per
riequilibrare la parita' di accesso tra i vari soggetti politici.
    L'Autorita',  nel  disporre  con  l'art. 1 della deliberazione il
riparto  degli  spazi  per  la  comunicazione politica, avrebbe agito
arbitrariamente, non richiedendo la legge n. 28/2000 in proposito che
parita'  di  trattamento nell'accesso ai mezzi di informazione (terzo
motivo).
    L'impugnata   deliberazione  sarebbe,  poi,  illegittima  (quarto
motivo)  laddove,  nel  silenzio  della legge sul punto, determina il
momento  di  cessazione delle prescrizioni di parita' di trattamento,
obiettivita', completezza e imparzialita' dell'informazione nei mezzi
radiotelevisivi,  alla  chiusura  delle  operazioni di voto. Sarebbe,
inoltre,  contraria  all'art. 21 della Costituzione la definizione di
"comunicazione   politica"   utilizzata   dal   legislatore   perche'
omnicomprensiva.
    Non   si   sottrarrebbe,   infine,   a   censura  l'art. 7  della
deliberazione  nella  parte  in  cui  estende  alle  imprese  di mera
ripetizione  di  programmi  esteri la disciplina legislativa riferita
alle  emittenti  televisive  nazionali (quinto motivo), mentre, sotto
altro  verso,  gli  artt. 4 e 5 della deliberazione, regolatori delle
modalita'  di trasmissione dei messaggi politici autogestiti gratuiti
e  a  pagamento,  sarebbero  afflitti  da  eccesso  di potere sotto i
distinti   profili   della   contraddittorieta'   e  del  difetto  di
istruttoria.
    Anche  nei  riguardi di tale impugnativa ha resistito l'Autorita'
intimata eccependo l'inammissibilita' e l'infondatezza del ricorso.
    D.  -  Con  ricorso  notificato  tra il 28 e il 31 luglio 2000 la
Federazione  Radio  Televisioni  ed  alcune emittenti radiotelevisive
hanno chiesto l'annullamento, previa sospensione, della deliberazione
n. 200/00/CSP   del   22 giugno  2000,  recante  "Disposizioni  di  "
attuazione della disciplina in materia di comunicazione politica e di
parita'   di  accesso  ai  mezzi  di  informazione  nei  periodi  non
elettorali",  adottata in esecuzione delle previsioni contenute nella
legge 22 febbraio 2000, n. 28.
    Le  ricorrenti,  che  hanno  gia'  impugnato la deliberazione del
1o marzo 2000 con cui l'Autorita' per le garanzie nella comunicazione
ha adottato le disposizioni di attuazione della disciplina in materia
di  comunicazione  politica  e  di  accesso  ai mezzi di informazione
relative   alla   campagna   per  le  elezioni  del  16 aprile  2000,
sostanzialmente replicano lo stesso assunto difensivo gia' sviluppato
con il ricorso n. 4812/2000.
    Infatti,  dopo  aver  premesso alcune considerazioni sulla natura
della deliberazione dell'Autorita', sulla nozione di accesso ai mezzi
di informazione per la comunicazione politica e sui limiti del potere
regolamentare  in materia di programmi radiotelevisivi, le ricorrenti
hanno   lamentato  una  serie  di  violazioni,  specie  di  carattere
costituzionale, che inficerebbero sia la deliberazione impugnata, sia
la legge n. 28/2000 di cui essa costituisce attuazione.
    Resistendo  al  ricorso  l'Autorita'  intimata  ha  riproposto le
argomentazioni  gia'  formulate  nei  riguardi del precedente ricorso
n. 4812/2000,  concludendo  per  l'inammissibilita'  e l'infondatezza
dell'impugnativa.
    E.  - La medesima deliberazione n. 200/00/CSP del 22 giugno 2000,
gia'  oggetto  dell'impugnativa  di  cui al precedente ricorso, viene
gravata  dal  Coordinamento  AER  -  ANTI  - Corallo e dalla societa'
Puntoradio 96 con atto notificato in data 28 luglio 2000.
    I  ricorrenti,  che  hanno  gia'  impugnato  la deliberazione del
1o marzo 2000 con cui l'Autorita' per le garanzie nella comunicazione
ha adottato le disposizioni di attuazione della disciplina in materia
di  comunicazione  politica  e  di  accesso  ai mezzi di informazione
relative   alla   campagna   per  le  elezioni  del  16 aprile  2000,
ripropongono   gli   stessi   motivi  gia'  dedotti  con  il  ricorso
n. 5564/2000.
    Costituendosi  in giudizio l'Autorita' intimata ha replicato alle
tesi contenute nel ricorso del quale ha chiesto il rigetto.
    Alla  pubblica udienza del 13 dicembre 2000 i cinque ricorsi sono
stati trattenuti in decisione.

                            D i r i t t o

    1.  - L'evidente connessione soggettiva ed oggettiva consiglia di
riunire  tutti  e  cinque  i  ricorsi, ai sensi dell'art. 52 del r.d.
8 agosto 1907, n. 642, ai fini di un'unica decisione.
    2.  - In limine, vanno esaminate le eccezioni di inammissibilita'
sollevate dall'Autorita' resistente nel modo che segue:
        a.  -  i  primi  tre  ricorsi,  e  cioe'  quelli rubricati ai
nn. 4812,  5564  e  5563  del  2000,  afferenti all'impugnativa della
deliberazione  n. 29/00/CSP  del 1o marzo 2000, recante "Disposizioni
di attuazione della disciplina in materia di comunicazione politica e
di parita' di accesso ai mezzi di informazione relative alla campagna
per  le  elezioni  regionali,  provinciali  e comunali fissate per il
giorno  16 aprile  2000",  sarebbero  improcedibili  per  intervenuta
cessazione  della materia del contendere, o comunque per sopraggiunta
carenza  di interesse, in considerazione del fatto che il regolamento
adottato  dall'Autorita'  per  le  garanzie  nelle  comunicazioni  ha
disciplinato elezioni amministrative ormai svolte;
        b.  -  tutti  i ricorsi, e quindi anche il terzo e il quinto,
rubricati  ai  nn.  13324,  13508  del  2000  -  aventi ad oggetto la
deliberazione n. 200/00/CSP del 22 giugno 2000, recante "Disposizioni
di attuazione della disciplina in materia di comunicazione politica e
di  parita'  di  accesso  ai  mezzi  di  informazione nei periodi non
elettorali"   -   sarebbero  inammissibili  perche'  i  provvedimenti
impugnati,  in  quanto  atti  di  natura  regolamentare  e quindi dal
contenuto  generale  e astratto, non sarebbero di per se' in grado di
incidere negativamente, in via immediata e concreta, sulle situazioni
giuridiche individuali dei ricorrenti.
    3. - Le eccezioni vanno disattese.
    3.1.   -   Non   puo',  anzitutto  pertinentemente  invocarsi  la
cessazione  della materia del contendere, che e' ipotesi tipizzata di
estinzione  del  processo  amministrativo  che  si verifica allorche'
"l'amministrazione   annulla  o  riforma  l'atto  impugnato  in  modo
conforme   all'istanza   del   ricorrente"  (art. 23,  u.  c.,  legge
6 dicembre  1971,  n. 1034).  Nei  casi  all'esame, in relazione alla
deliberazione  impugnata,  non  e'  sopraggiunto  alcun provvedimento
pienamente satisfattorio delle pretese azionate dai ricorrenti.
    3.2.  -  Non  puo',  del  pari,  parlarsi di improcedibilita' per
sopravvenuta  carenza  di  interesse.  Infatti,  come replicato dalla
difesa dei ricorrenti sulla base di condivisibile giurisprudenza, "la
scadenza,  nelle more del giudizio del termine di efficacia dell'atto
impugnato    non    determina    l'improcedibilita'    del    ricorso
giurisdizionale  per  sopravvenuta  carenza  di  interesse, in quanto
sussiste  sempre un interesse delle parti in caso di accoglimento del
gravame a non vedere adottati successivi atti similari da parte della
P.A." (CdS, IV, 19 dicembre 1994, n. 1037).
    Ora,  anche  a  voler  ammettere  che,  con  la deliberazione del
1o marzo  2000,  la disciplina dettata dall'Autorita' per le garanzie
nelle   comunicazioni   abbia   riguardato   un   preciso  ambito  di
operativita'  temporale (individuabile nella campagna per le elezioni
amministrative   del   16 aprile  2000),  l'accoglimento  delle  tesi
difensive   dei  ricorrenti  determinerebbe  un  vincolo  futuro  per
l'amministrazione  (effetto conformativo) a non replicare, in materia
di  comunicazione  politica  e  di  accesso  ai mezzi di informazione
durante  la  campagna  elettorale,  le norme regolamentari di cui sia
stata dichiarata l'illegittimita'.
    3.3.  - Anche l'eccepita inammissibilita' dei ricorsi per carenza
di  interesse  all'impugnazione  diretta dei regolamenti in questione
non  ha  pregio,  omettendosi  di  considerare  che  l'impugnabilita'
autonoma  dei  regolamenti  e'  del  tutto  legittima,  e addirittura
necessaria, quando essi siano suscettibili di produrre in via diretta
una  lesione dell'interesse dei ricorrenti (CdS, IV, 12 ottobre 1999,
n. 1558).
    Tanto premesso, non puo' dubitarsi che le deliberazioni impugnate
introducono  una  disciplina puntuale e minuziosa (in tema di riparto
degli   spazi   per   la  comunicazione  politica,  di  modalita'  di
trasmissione  dei  messaggi  politici  autogestiti,  di  programmi di
informazione  nei  mezzi  radiotelevisivi,  di  sondaggi  politici ed
elettorali, di procedimenti sanzionatori) con la quale e' prefigurata
una  serie  di  prescrizioni  limitative  a  carico  delle  emittenti
radiotelevisive   tale   da  legittimare  queste  ultime  a  proporre
l'immediata impugnazione.
    4.  -  Ritenuta,  quindi,  la  piena  ammissibilita' dei ricorsi,
osserva  la sezione che, nell'ordine logico dei motivi dedotti, vanno
con  priorita'  esaminati  quelli  con  i  quali  vengono prospettate
questioni  di legittimita' costituzionale di alcune norme della legge
22 febbraio  2000,  n. 28 ("Disposizioni per la parita' di accesso ai
mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e
per  la  comunicazione  politica"),  che costituiscono il presupposto
logico e giuridico delle deliberazioni impugnate.
    4.1.  -  La  considerazione  di  fondo,  comune a tutti i ricorsi
all'esame,  si  esprime  nel vulnus che alla liberta' delle emittenti
sarebbe  arrecato dall'obbligo loro imposto, dall'art. 2, della legge
(concernente   la   "comunicazione   politica   radiotelevisiva")  di
"assicurare  a tutti i soggetti politici con imparzialita' ed equita'
l'accesso  all'informazione"  (primo  comma),  anche  al di fuori dei
periodi di competizione elettorale.
    Intanto,   si   premette,   la   sottoposizione  delle  emittenti
radiotelevisive  locali  e  nazionali  al medesimo regime di obblighi
(art. 5 della legge n. 28/2000) - cosi' disconoscendosi le differenze
essenziali  sussistenti  tra  le due forme di emittenza, gia' sancite
dalla  Corte  costituzionale  in  occasione  della  dichiarazione  di
illegittimita'  del  monopolio  statale anche a livello locale (sent.
n. 202   del   28 luglio   1976)  -  stabilendo,  in  via  normativa,
un'equiparazione  di  situazioni oggettivamente diverse costituirebbe
figura  tipica  di  violazione del principio di eguaglianza ex art. 3
della Costituzione.
    Sotto   altro,   e   decisivo,   verso,  la  legge  in  questione
pretenderebbe  di  svilire  l'essenziale  funzione di trasmissione di
programmi  di  informazione,  gia'  costituente oggetto di un obbligo
imposto  a  tutti i concessionari radiotelevisivi (concretantesi, per
le  imprese  operanti  in  ambito  locale,  nel riservare quattro ore
settimanali   alla   trasmissione   di   programmi  di  informazione,
divulgazione  e  approfondimento  su problematiche sociali, oltre che
nell'obbligo  di  istituire un telegiornale: art. 5, commi 1 e 1-bis,
del  decreto  legge  n. 323/1993;  per  le  concessionarie  in ambito
nazionale,  nel  trasmettere  quotidianamente telegiornali o giornali
radio:  art. 20,  comma  6, legge n. 223/1990), per asservirla, anche
fuori   dal   momento   elettorale,  agli  interessi  di  non  meglio
specificati soggetti politici.
    Gli  esiti  di  siffatta  disciplina,  in  tema  di comunicazione
politica, porterebbero all'impossibilita' per le imprese emittenti di
manifestare   una   propria   linea   editoriale,  vietando  loro  di
qualificarsi   nei  confronti  del  proprio  uditorio  attraverso  la
manifestazione di propri orientamenti. Ma, in tal modo, l'emittente -
che  deve  essere considerata impresa di opinione e, quindi, titolare
di    un'autonoma    posizione   soggettiva   tutelata   dall'art. 21
costituzione - verrebbe privata dell'aspetto essenziale della propria
personalita'.
    Si  soggiunge che, se l'esigenza di assicurare all'elettorato gli
strumenti  necessari  per  la  formazione di una consapevole e libera
opinione  politica  puo' giustificare la sottrazione all'emittente di
una  quota della spazio di radiodiffussione per destinarla alle forze
politiche  in  competizione,  configurando  quindi  forme  di accesso
dall'esterno  al  mezzo  radiotelevisivo  e  imponendo  all'emittente
stessa  la  "prestazione"  consistente nella messa a disposizione del
proprio   apparato   produttivo,   cio'   non  potrebbe  giustificare
l'incisione  totale  dello  spazio  di  liberta'  di  cui  la  stessa
emittente gode.
    4.2.  -  Sotto  l'evidenziato  profilo apparirebbe illuminante la
comparazione con la stampa periodica, alla quale e' stata lasciata la
piu'  ampia  e  incondizionata  liberta'  nella  determinazione della
propria  linea  editoriale.  In  particolare, mentre per la stampa il
legislatore  continua  ad affidarsi al libero gioco della concorrenza
del  mercato  editoriale,  per  il  settore  radiotelevisivo vorrebbe
diversamente applicare un modello di rigido governo del settore.
    Ma una tale opzione sarebbe illegittima in quanto discriminatrice
e   irragionevole,   dal   momento  che  la  presenza  di  emittenti,
particolarmente a livello locale, e' superiore a quella delle imprese
di  stampa  periodica,  risultando  cosi'  esclusa la possibilita' di
concentrazioni  tali da mettere in pericolo il pluralismo delle fonti
notiziali e degli orientamenti politico-informativi.
    4.3.  -  La  decisione,  poi,  del  legislatore di intervenire in
subiecta   materia,   imponendo   obblighi   di  contenuto  a  carico
dell'attivita'  di informazione delle imprese emittenti, colliderebbe
anche  con  i  principi  costituzionali  piu'  volte  affermati dalla
Consulta   in   tema   di   attivita'   radiotelevisiva   svolta  dai
concessionari privati. La Corte avrebbe, infatti, sempre distinto (ex
multis:   sent.   n. 826/1988)  tra  il  regime  di  pluralismo  c.d.
"interno", previsto esclusivamente per la concessionaria del servizio
pubblico   e   comportante  obblighi  di  contenuto  (obiettivita'  e
completezza  dell'informazione)  garantiti  dai poteri di indirizzo e
vigilanza  attribuiti  alla  Commissione  parlamentare  quale  organo
rappresentativo  dell'intera  collettivita',  e  il  pluralismo  c.d.
"esterno",  quale  principio cardine del settore privato, fondato sul
libero   concorso   delle   differenti  voci  informative  le  quali,
attraverso  il  confronto,  garantiscono  la tendenziale obiettivita'
dell'informazione.
    4.4.  -  Ulteriore questione di costituzionalita' e' prospettata,
infine,  con riguardo ai "messaggi politici autogestiti" (consistenti
nell'esposizione  di  un  programma  o  di un'opinione politica della
durata   tra   uno   e   tre  minuti)  che  devono  essere  trasmessi
gratuitamente  dalle  emittenti nazionali (art. 4, terzo comma, lett.
b,  legge  n. 28),  contrariamente a quanto previsto per le emittenti
locali, per le quali e' previsto un rimborso (medesimo art. 4, quinto
comma).
    Tale disciplina, penalizzante per le emittenti nazionali, sarebbe
immotivatamente  in  contrasto con l'art. 42 della Costituzione e con
il  criterio  dell'equo  indennizzo  che non potrebbe non interessare
anche l'ipotesi dell'esproprio di spazi radiotelevisivi privati.
    5.  -  Ritiene  il  Collegio  che le questioni, come prospettate,
appaiono rilevanti e non manifestamente infondate.
    In   punto   di   rilevanza   si   osserva  che  le  disposizioni
regolamentari  delle  deliberazioni del 3 marzo e del 20 giugno 2000,
oggetto   di   impugnazione   dei  ricorsi  all'esame,  costituiscono
attuazione,  quando  non  mera  riproduzione, delle norme della legge
n. 28/2000    di    cui   e'   stato   prospettato   il   dubbio   di
costituzionalita'.  Con  la conseguenza che un apprezzamento positivo
del   vaglio   di  costituzionalita',  siccome  sopra  delineato,  si
ripercuoterebbe   in   senso  invalidante  sugli  atti  regolamentari
impugnati con i ricorsi.
    6.  -  Le  medesime  questioni risultano, poi, non manifestamente
infondate.
    Va,  anzitutto,  data  adesione alla premessa argomentativa dalla
quale  muove  la  tesi  difesa  dei  ricorrenti (in particolare con i
ricorsi  n. 4812  e  13324 del 2000), e cioe' che la legge n. 28/2000
esplica  un  intervento  non soltanto sulla propaganda elettorale, ma
anche  sulla  comunicazione  politica e sull'informazione politica di
ciascuna  emittente  radiotelevisiva.  La distinzione non e' priva di
rilievo  in quanto, mentre la propaganda elettorale va riferita ad un
determinato   soggetto   (partito   o   candidato),  terzo,  rispetto
all'emittente,  e  quindi  la  relativa  disciplina  non incide sulla
liberta' d'opinione politica di quest'ultima, traducendosi unicamente
nel diritto di accesso per diffondere messaggi politici autogestiti e
di cui il terzo si assume la piena responsabilita', la "comunicazione
politica"  e' imputabile all'emittente e fa capo alla sua liberta' di
opinione,  al  pari  dell'informazione  politica,  che  rientra nella
liberta' di cronaca politica sempre imputabile all'emittente.
    Tanto   premesso,   la   legge  n. 28/2000,  nel  distinguere  la
"comunicazione politica" dai "messaggi politici autogestiti" (artt. 2
e  3)  ha  previsto  non  soltanto  l'apertura ai terzi delle singole
emittenti,  ma  l'obbligo  di  queste ultime di organizzare programmi
politici  "paritari".  In  particolare,  con  la  disciplina  dettata
dall'art. 2  della  legge  viene  imposta a carico delle emittenti la
predisposizione  di  programmi di opinione e di valutazione politiche
diuna   particolare  forma  ("tribune  politiche,  dibattiti,  tavole
rotonde, presentazione in contraddittorio di candidati e di programmi
politici, confronti, interviste e ogni altra forma nella quale assuma
carattere   rilevante   l'esposizione   di   opinioni  e  valutazioni
politiche"),  nella  quale  deve  essere  assicurata  la  parita'  di
condizioni tra i diversi soggetti politici che vi partecipano.
    Ma  una  siffatta  disciplina,  sembra,  in  effetti,  lesiva dei
principi   costituzionali  affermati  negli  articoli 21  e  3  della
Costituzione alla stregua di quanto segue.
    Come  pertinentemente  evidenziato  dai deducenti, il concetto di
"limite"  alla  liberta'  di  manifestazione  del pensiero, garantita
dall'art. 21  della Costituzione (ovviamente anche nei riguardi delle
emittenti  private),  va  inteso  in senso "negativo" ed "esterno" in
modo da operare attraverso l'esclusione di determinate manifestazioni
o determinate notizie, comprese nell'area della liberta', ma non puo'
mai  imporre,  in  "positivo",  un  facere  o comunque incidere nelle
scelte del titolare della liberta'.
    In  altre  parole, il concetto di limite alla liberta' postula la
sopravvivenza  di  quest'ultima,  nel  senso  che  il limite deve per
necessita'   logica,  prima  che  giuridica,  rimanere  esterno  alla
liberta'   medesima,   la   quale  non  puo'  essere  asservita  alla
realizzazione dell'interesse sotteso al limite.
    Orbene,    la    disciplina    della    comunicazione    politica
radiotelevisiva,   delineata   agli   articoli 2   e  4  della  legge
n. 28/2000,  non  si  attesta nei confini del "limite", ma implica la
piena   funzionalizzazione  del  mezzo  radiotelevisivo,  e  cio'  in
contrasto   con   il  riconoscimento  della  liberta'  dei  mezzi  di
diffusione  garantita  dall'art.  21  della Costituzione. Infatti, in
ragione  della  necessaria  parita'  fra  le  varie  forze politiche,
all'emittente privata - alla quale nmane comunque la "paternita'" del
programma  trasmesso  -  e' negata la possibilita' di manifestare una
propria  identita'  politica ed e' imposto il divieto di qualificarsi
nei  confronti  del  proprio  uditorio  attraverso  l'affermazione di
propri   orientamenti.   Ma,   in   tal   modo,  come  con  insistita
prospettazione  deducono  i ricorrenti, l'emittente - che deve essere
considerata  impresa  di  opinione  e  quindi titolare di un'autonoma
posizione soggettiva tutelata dall'art. 21 della Costituzione - viene
privata  dell'aspetto  essenziale della propria personalita', dovendo
subire dall'esterno la neutralizzazione del proprio pensiero e quindi
anche della propria immagine.
    Certamente  va  ammesso  che  la  liberta'  politica  puo' essere
soggetta  a limiti in ragione di un bilanciamento con un contrapposto
interesse sempre di livello costituzionale. Nella specie, tale ultimo
interesse  risulta  individuabile  nell'esigenza  di  attribuire pari
visibilita'  alle  forze  politiche  per  consentire agli elettori di
formarsi il proprio convincimento in vista del momento elettorale.
    Ora,   a   parte  ogni  considerazione  su  quanto  rilevato  dai
ricorrenti  che,  nell'ambito  delle  manifestazioni  politiche, alla
liberta'  politica  dell'emittente  non  potrebbe contrapporsi la par
condicio  dei  partiti  politici,  perche' esigenza estranea all'area
costituzionale,  non  puo'  non riconoscersi che il bilanciamento tra
liberta'  di opinione e d'informazione e funzione elettorale non puo'
spingersi   fino  ad  espropriare  in  toto  di  ogni  manifestazione
"politica" le emittenti private.
    In  vero,  per  quanto  plausibile la finalita' che la disciplina
legislativa   tende   a   perseguire   -   e  certamente  praticabile
nell'esclusivo  ambito  in  cui sia possibile applicare la logica del
servizio  pubblico  -  e'  certo che essa non legittima l'azzeramento
della  liberta' di opinione delle singole emittenti private, se non a
costo  di  menomare  la  stessa liberta' garantita dall'art. 21 della
Costituzione,   in   coerente   esplicazione  della  quale  e'  stata
giustificata  l'esistenza  dell'emittenza  privata  in  alternativa a
quella pubblica.
    Le   considerazioni  che  precedono  non  sembrano  poter  essere
contraddette  dalle  argomentazioni  svolte  ex  adverso dalla difesa
dell'Autorita'.  In particolare, da quelle con le quali si oppone che
l'impostazione  dei  ricorrenti  sposterebbe  l'attenzione dal quadro
complessivo  dei  diritti costituzionali, per isolare come prevalenti
quelli  che attengono alla posizione delle emittenti radiotelevisive.
In  tal  modo  i  ricorrenti  mostrerebbero  di ignorare il carattere
essenziale    che    rivestono    nell'impianto    costituzionale   i
diritti-doveri  del cittadino elettore, che devono ricevere tutela in
ogni momento in cui si vada formando la sua consapevolezza politica.
    In  proposito  non  puo' non osservarsi che non si tratta di dare
prevalenza   a   questo   o   a   quell'altro  interesse  di  rilievo
costituzionale,  quanto  di  assicurarne  il dovuto bilanciamento, il
quale,  come  sopra  puntualizzato, postula una limitazione ma non la
totale incisione di uno di essi.
    Deve,    poi,    rimarcarsi   il   fatto   che   alle   emittenti
radiotelevisive,  in  quanto  imprese  di  opinione,  non  puo' esser
sottratta  la  capacita' di valutazione politica, che e' strettamente
connessa  alla  liberta'  di cronaca politica. Disconoscere tale dato
significherebbe  vanificare  l'importanza di quel regime pluralistico
c.d.  "esterno"  dell'informazione radiotelevisiva - esplicazione del
piu' generale principio del pluralismo cui la Corte costituzionale ha
riconosciuto  valore centrale in un ordinamento democratico (sent. 14
luglio   1988,   n. 826)  -  che  implica  la  concreta  possibilita'
nell'emittenza  privata  che i soggetti portatori di opinioni diverse
possano  esprimersi  senza  il  pericolo di essere emarginati e senza
essere  menomati  nella  loro autonomia. Peraltro, privare le singole
emittenti  private  della  liberta'  di  opinione politica renderebbe
privo  di  consistenza  il  valore della liberalizzazione del settore
radiotelevisivo.  Con  la  conseguenza, sotto altro verso, e come non
senza   ragione   sostenuto  dalla  difesa  della  Federazione  radio
televisioni,  che  il  livellamento "funzionale", cosi' derivante, di
tutte le eminenti radiotelevisive, sia della RAI, che non e' pubblica
ma  svolge  servizio  pubblico,  che  di  quelle  private, renderebbe
irragionevole  l'esistenza  stessa di un regime radiotelevisivo misto
pubblico-privato.
    Quanto  all'esigenza  di  tutela del processo di formazione della
consapevolezza  politica  dell'elettore  e' quanto meno dubbio che il
risultato  di  una  tendenziale  obiettivita' dell'informazione possa
essere  piu' compiutamente perseguito a mezzo dell'applicazione di un
modello   di   rigida   disciplina   del   settore  dell'informazione
radiotelevisiva,  come  proposto  nel  sistema  legislativo della cui
conformita'  costituzionale  si  dubita,  piuttosto che all'esito del
libero concorso di differenti voci informative.
    6.1.  -  Sotto  altro  verso, la circostanza che a differenza del
settore  radiotelevisivo,  per  la  stampa  periodica  (art. 7  legge
n. 28/2000)  non  siano  previste limitazioni di sorta in ordine alla
propaganda elettorale, induce a ritenere la disciplina legislativa di
riferimento   affatto   discriminatrice  e  irragionevole,  e  quindi
contraria   ai   canoni  di  uguaglianza  sanciti  dall'art. 3  della
Costituzione.  In  proposito  non  puo'  dubitarsi  che la disciplina
apprestata  per  la  stampa  periodica  si  ponga  in  contrasto  con
l'obiettivo,  chiaramente  proclamato nell'atto legislativo, di porre
tutte le forze politiche in condizioni di pari visibilita'.
    Non appaiono del tutto convincenti i rilievi in proposito opposti
dalla  difesa della resistente facenti leva sul persistente carattere
di invasivita' del mezzo radiotelevisivo rispetto alla stampa, e tale
da giustificarne il diverso trattamento di regime.
    Invero,  puo'  ammettersi  - come peraltro avvertito dalla stessa
Corte   costituzionale   (sent.  n. 826/1988)  -  che  l'informazione
radiotelevisiva  ha  caratteri di capillarita', di suggestivita' e di
esterna  capacita'  di  incidenza  sull'opinione pubblica, che non si
riscontrano  in  altri  sottosistemi comunicativi. Ma la riconosciuta
peculiarita'  di  tale  settore informativo potrebbe giustificare, in
tema   di   propaganda  elettorale,  una  diversa  modulazione  della
capacita'   dell'emittente  radiotelevisa  rispetto  a  quella  delle
stampa, rimanendo privo di un ragionevole fondamento la situazione di
privilegio  riservato  a  quest'ultima anche in ordine alla fruizione
economica degli spazi.
    Se,   come   si  afferma  in  una  delle  memorie  difensive  dei
ricorrenti,  l'obiettivo  che  si  intende  perseguire  con  la legge
n. 28/2000   va   identificato   nell'esigenza   di  attribuire  pari
notorieta'  ai  soggetti  politici,  lo steso risulta incoerentemente
abbandonato nei confronti della stampa, dove invece potrebbero aversi
pesanti  disparita'  di  "visibilita'"  a  vantaggio  di alcune forze
politiche  soltanto.  A meno che non si voglia ritenere, in linea con
la  tesi  paradossale  svolta  dai  ricorrenti,  che  le  garanzie di
un'informazione  elettorale  paritaria  debbono  valere  solo  per  i
cittadini "utenti radiotelevisi" e non per i cittadini "lettori".
    6.2.  -  Da  ultimo,  non manifestamente infondata si appalesa la
questione  di costituzionalita' prospettata con riguardo ai "messaggi
politici  autogestiti",  consistenti  -  come  sopra  puntualizzato -
nell'esposizione  di  un  programma  o  di un'opinione politica della
durata tra uno e tre minuti.
    In  proposito  e' previsto che, durante la campagna elettorale, i
messaggi  in  questione  devono  essere trasmessi gratuitamente dalle
emittenti   nazionali   (art. 4,   terzo   comma,   lett.  b),  legge
n. 28/2000),  contrariamente  a  quanto  previsto  per  le  emittenti
locali, per le quali e' previsto un rimborso (medesimo art. 4, quinto
comma).
    Orbene,  un  tale  differente  regime,  che va a svantaggio delle
emittenti  nazionali,  si  configura  come  arbitrario non trovando a
sostegno  alcun  plausibile  fondamento  giuridico.  Non  par dubbio,
quindi,    che    una    cosi'   diversificata   disciplina   risulti
iminotivatamente  in contrasto con l'art. 42 della Costituzione e con
l'esigenza  proclamata  da  tale  norma  che  gli atti ablatori della
proprieta'  privata  postulino la corresponsione di un indennizzo, il
quale  non potrebbe non interessare anche l'ipotesi dell'esproprio di
spazi radiotelevisivi privati.
    7.-  Alla  stregua  di  tutte  le considerazioni che precedono si
solleva la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 2,
3,  4,  5 e 7 della legge 22 febbraio 2000, n. 28 per contrasto con i
principi  costituzionali  desumibili  dagli articoli 3, 21 e 42 della
Costituzione.
    Si  dispone,  pertanto,  la  trasmissione  degli  atti alla Corte
costituzionale,  con conseguente sospensione del presente giudizio ai
sensi  dell'an. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per la pronuncia
sulla legittimita' costituzionale della predetta norma.