ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 3,
del   d.l.   27 aprile   1990,  n. 90  (Disposizioni  in  materia  di
determinazione  del  reddito  ai  fini  delle imposte sui redditi, di
rimborso   dell'imposta   sul   valore   aggiunto  e  di  contenzioso
tributario,  nonche'  altre  disposizioni  urgenti),  convertito, con
modificazioni,  nella  legge  26 giugno  1990,  n. 165,  promosso con
ordinanza  emessa  il  25 gennaio 1999 dalla Corte di cassazione, sul
ricorso  proposto dal Ministero delle finanze contro l'E.N.I. S.p.a.,
iscritta  al  n. 322  del  registro ordinanze 1999 e pubblicata nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n. 23,  prima serie speciale,
dell'anno 1999.
    Visti l'atto di costituzione dell'E.N.I. S.p.a. nonche' l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  23 gennaio  2001  il  giudice
relatore Massimo Vari;
    Uditi  l'avvocato  Franco  Gallo per l'E.N.I. S.p.a. e l'avvocato
dello  Stato  Franco  Favara  per  il  Presidente  del  Consiglio dei
ministri.
    Ritenuto  che  -  nel  corso  di un giudizio promosso dall'E.N.I.
S.p.a.  nei  confronti dell'amministrazione finanziaria - la Corte di
cassazione,  con  ordinanza  del  25 gennaio  1999,  ha sollevato, in
riferimento  all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 14, comma 3, del d.l. 27 aprile 1990, n. 90
(Disposizioni  in materia di determinazione del reddito ai fini delle
imposte  sui  redditi, di rimborso dell'imposta sul valore aggiunto e
di  contenzioso  tributario,  nonche'  altre  disposizioni  urgenti),
convertito, con modificazioni, nella legge 26 giugno 1990, n. 165;
        che  il  rimettente  ha  denunciato  detta disposizione nella
parte  concernente  la disciplina temporale della modifica apportata,
con  il  precedente  art. 1, comma 1, lettera c), al testo originario
dell'art. 14,  comma  4,  del decreto del Presidente della Repubblica
22 dicembre  1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte
sui  redditi),  il  quale prevedeva che, ai fini della determinazione
dell'imposta,  l'ammontare  del  credito  di  imposta  dovesse essere
computato in aumento del reddito complessivo netto;
        che,  ad  avviso del rimettente, detta modifica - consistente
nell'eliminazione  dell'aggettivo  "netto"  dalla  locuzione "reddito
complessivo netto" - trova applicazione, giusta quanto disposto dalla
norma  sospettata  di  incostituzionalita',  a partire dal periodo di
imposta  1989,  con la conseguenza che per il periodo di imposta 1988
e' rimasto in vigore, nella sua formulazione originaria, il ricordato
art. 14,  comma 4, del decreto del Presidente della Repubblcia n. 917
del 1986;
        che il rimettente, nel richiamare la tesi secondo la quale la
disciplina  sopravvenuta - introdotta dal d.l. n. 90 del 1990 al fine
di  consentire  la  compensazione  tra  credito  di imposta e perdite
pregresse di esercizio, impedita dal regime vigente per l'anno 1988 -
avrebbe  portata  innovativa e non interpretativa, esclude, tuttavia,
che  l'art. 14,  comma  4, del testo unico delle imposte sui redditi,
nel  testo  originario,  arrechi  un  vulnus  agli artt. 53 e 3 della
Costituzione;
        che,  in  particolare,  secondo l'ordinanza si tratterebbe di
una  norma  di  "agevolazione (in senso atecnico)", espressiva di una
discrezionalita' del legislatore, tale da non consentire di sindacare
ne'  il fatto che lo stesso legislatore "abbia indicato, al solo fine
della  attribuzione  della agevolazione, un sistema di individuazione
dell'imponibile  diverso  da  quello  ordinario", ne' il fatto che, a
causa   di   situazioni   contingenti,   si  determinino  trattamenti
differenziati;
        che  il  medesimo  giudice  a quo ritiene, invece, che sia la
disposizione  censurata  a  porsi  in  contrasto  con  l'art. 3 della
Costituzione, giacche', avendo il legislatore ritenuto ragionevole il
ripristino,  attraverso  il  d.l.  n. 90  del  1990, della disciplina
vigente   prima  del  testo  unico  del  1986,  siffatta  circostanza
renderebbe irragionevole la non applicazione della stessa per il solo
anno 1988;
        che, ad avviso dell'ordinanza, la "sospetta irragionevolezza"
sarebbe  rafforzata  sia  dal  fatto  che  la  agevolazione (in senso
atecnico),  mantenuta  in  vigore  per  il  1988, "e' correlata ad un
fenomeno economico non eccezionale, ma normale"; sia perche', ai fini
dell'operativita'  di  detta  agevolazione,  il legislatore stesso ha
adottato  "un  meccanismo  di ricostruzione del reddito del soggetto"
per  il  quale,  ai dividendi "non ricevuti", e' stata conferita "una
valenza diversa" da quella, allo stesso fine, attribuita, ai medesimi
dividendi,  "per  gli  anni contigui" e cio' non in consonanza con la
"genesi   e  finalita'  dell'agevolazione",  in  virtu'  delle  quali
appariva  "congruo,  al  fine  specifico, attribuire ai dividendi non
ricevuti la stessa natura di quelli ricevuti";
        che  si e' costituita in giudizio l'E.N.I. S.p.a., resistente
nel  giudizio  a  quo  invocando  una  declaratoria di illegittimita'
costituzionale,   per  contrasto  con  l'art. 3  della  Costituzione,
"dell'art. 14,  comma  4, TUIR nel testo originario, ove interpretato
nel senso indicato dall'ordinanza di rimessione";
        che,  peraltro,  la medesima parte, con memoria depositata in
prossimita'  dell'udienza,  ha  concluso  per  la incostituzionalita'
della  disposizione denunciata, sollecitando, in via subordinata, una
pronuncia interpretativa di rigetto;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  il  quale  ha  concluso  per  l'infondatezza  della sollevata
questione,    eccependone,    altresi',   con   successiva   memoria,
l'inammissibilita'.
    Considerato  che  l'art. 14,  comma  3,  del d.l. 27 aprile 1990,
n. 90,  convertito,  con  modificazioni,  nella legge 26 giugno 1990,
n. 165,  viene  denunciato  in  quanto,  secondo  il  rimettente, non
permette  l'applicazione retroattiva, per l'anno 1988, della modifica
apportata  dall'art. 1,  comma 1, lettera c), del medesimo d.l. n. 90
del  1990, al testo originario dell'art. 14, comma 4, del decreto del
Presidente  della Repubblica n. 917 del 1986, cosi' determinando, per
tale  anno, l'impossibilita' di operare una compensazione tra credito
d'imposta  e  perdite  pregresse di esercizio, atteso che l'ammontare
del   credito  d'imposta  deve  computarsi  in  aumento  del  reddito
complessivo  netto  e  non  gia',  come  consentito  dalla menzionata
modifica normativa, in aumento del reddito complessivo;
        che  il  giudice  a  quo  muovendo  dalla premessa per cui la
disciplina  contemplata  dall'originaria  disposizione  dell'art. 14,
comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986,
e' frutto di una discrezionalita' legislativa esercitata in modo tale
da   non   ledere  i  principi  dettati  dagli  artt. 3  e  53  della
Costituzione, ritiene, tuttavia, che lo stesso legislatore, nel porre
la  norma  denunciata, abbia fatto un uso irragionevole della propria
discrezionalita' e cio' per non aver conferito portata retroattiva ad
un regime che, in quanto analogo a quello in vigore prima del decreto
del  Presidente  della  Repubblica n. 917 del 1986, risulterebbe, per
cio' stesso, intrinsecamente ragionevole;
        che,   cosi'   argomentando,   l'ordinanza,  sebbene  invochi
l'estensione  di  un  regime  a  discapito  dell'altro,  nega  che la
disposizione   applicabile   per   il  1988  si  presti  a  dubbi  di
costituzionalita',  mostrando,  in definitiva, di ritenere ambedue le
discipline sostanziali, succedutesi nel tempo, frutto, di per se', di
un esercizio non censurabile della discrezionalita' del legislatore;
        che,  peraltro,  disattendendo  una  siffatta prospettazione,
gia'  di  per  se'  contraddittoria,  il giudice a quo solleva, nella
medesima  ordinanza,  dubbi di costituzionalita' che investono, a ben
vedere,  non tanto le disposizioni portate al vaglio di questa Corte,
quanto  la  disciplina dettata originariamente dall'art. 14, comma 4,
del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n. 917 del 1986, la
quale,  pur  tuttavia,  non viene denunciata, malgrado costituisca la
norma  applicabile,  ratione  temporis  alla fattispecie sottoposta a
cognizione nel giudizio principale;
        che,  pertanto,  alla  stregua  del  consolidato orientamento
della   Corte,   la   questione,   cosi'   prospettata   in   termini
contraddittori,  deve  essere dichiarata manifestamente inammissibile
(vedi,  tra  le  altre,  ordinanze n. 7 e n. 435 del 2000, n. 373 del
1999).